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I lobbisti ora fanno meno paura. Il Senato propone un "registro"
Scritto il 2012-03-12 da lobbyingitalia su Italia

Operazione trasparenza. L’assalto, persino fisico, delle corporazioni alle riforme del governo Monti, col Parlamento trasformato in un suk, ha rilanciato un tema antico: la regolamentazione dell’attività di lobbying. E l’iniziativa della presidenza del Senato, che ha prospettato la creazione di un apposito registro (suddiviso per settori di attività, da pubblicare sul web), ha riacceso le discussioni: a molti le regole fanno paura, ma per altri rappresentano un’esigenza condivisa, che permetterebbe di far uscire dal cono d’ombra un’attività professionale che aspira alla normalizzazione. E come sempre in questi casi si guarda a Bruxelles, Strasburgo o Washington, dove l’attività delle lobby è pienamente legittimata. Per altro, dei 4.352 lobbisti registrati all’Europarlamento nel 2009, il 41% erano italiani.

«Per noi è improponibile un ordine, meglio un registro su base volontaria che garantisca la massima trasparenza. E si distingua una buona volta tra faccendiere e lobbista. Quest’ultimo è un professionista con un committente: come, ad esempio, l’avvocato», afferma Federico Serra, vicepresidente della Public Affairs Association e autore, con Massimo Cherubini, del libro "Siamo due lobbisti. Lobbies & Government Affairs all’epoca dei faccendieri". «Il faccendiere porta avanti in modo occulto i propri interessi, che spesso sono contrari all’ordine democratico. Viceversa il lobbista rappresenta interessi particolari e legittimi, portandoli all’attenzione dei decisori istituzionali, che hanno bisogno di molte informazioni per poter valutare le situazioni». Serra ricorda le note parole di J.F. Kennedy, che diceva: "I lobbisti sono quelle persone che per farmi comprendere un problema impiegano 10 minuti e mi lasciano sulla scrivania 5 fogli di carta. Per lo stesso problema i miei collaboratori impiegano 3 giorni e decine di pagine".

Fatto sta che negli ultimi decenni sono state presentate una quarantina di proposte di legge sul lobbying, sette soltanto in questa legislatura: nessuna è mai approdata in Commissione. Con l’effetto caos denunciato nelle scorse settimane. Alcune stime parlano, per l’Italia, di 2.000 rappresentanti di interessi "consapevoli", cioè professionisti del settore. A questi si affiancano circa 5.000 operatori "inconsapevoli" e ulteriori 10.000 "abusivi", che pur avendo altre qualifiche e finalità professionali si trovano a svolgere attività di lobbying. Sono meno di dieci, per altro, le società che fanno esclusivamente lobbying professionale. E ammonterebbe a 150 milioni di euro la spesa totale di aziende ed organizzazioni di rappresentanza, in Italia, per simili attività. Rivoli di denaro spesso destinati alla politica, magari in forma di donazioni e contributi anonimi, cui sarebbe opportuno garantire la piena tracciabilità.

«In effetti il registro dei lobbisti in sé non serve a nulla, il problema è regolamentare l’attività nel suo complesso», nota Franco Spicciariello, partner della società di lobbying Open Gate Italia e docente di "Teorie e tecniche del lobbying" all’università LUMSA. «Iniziativa lodevole – aggiunge Spicciariello è comunque quella del ministro Catania, che ha già disposto un registro al ministero dell’Agricoltura. Ma occorre evitare il proliferare dei registri. È necessario un organo unificato: per esempio, Civit o l’Antitrust potrebbero gestirlo. E non si può prescindere da un codice di condotta con delle sanzioni».

Il rischio che le varie istituzioni, per contrastare il caos vigente, facciano ciascuna a suo modo c’è. Attualmente, alcune regioni già regolano il lobbying: Abruzzo, Molise e Toscana, che conta 120 "gruppi di interesse" registrati (aprile 2011). «E poi si parla sempre dei doveri dei lobbisti – conclude Spicciariello , ma parliamo anche di diritti: facilitiamo, per esempio, il loro accesso ai testi degli emendamenti. Per non parlare, poi, del diritto all’audizione presso i membri del governo. Altrimenti inutile lamentarsi che le istituzioni si trasformano in un suk».

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Andrea Rustichelli - La Repubblica Affari & Finanza


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