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Lobbista e gentiluomo
Scritto il 2011-06-24 da lobbyingitalia su Italia

“I lobbisti che parlano in rappresentanza degli interessi economici, commerciali e di altro tipo sono estremamente utili e hanno assunto un ruolo importante nel processo normativo”. Lo scriveva John F. Kennedy sul New York Times il 19 febbraio del 1956.

Dai tempi di Tocqueville (che nella “Democrazia in America” scriveva: “Gli americani di tutte le età, di tutte le condizioni, di tutte le opinioni, continuamente costituiscono delle associazioni”) l’America ha riconosciuto come naturale l’interazione tra le istanze di gruppi sociali organizzati e la politica a qualunque livello. E anzi ha forgiato il lobbismo come strumento di pluralismo e autonomia della società civile, nella convinzione che l’interesse comune sia possibile solo nel compromesso di interessi particolari. “Se ci fosse una normativa come negli Stati Uniti, in Canada o a livello europeo, quello che le cronache di questi giorni sull’inchiesta P4 definiscono uno scandalo rappresenterebbe la normalità dell’agire politico”, dice al Foglio Franco Spicciariello, partner di Open Gate Italia (società specializzata in attività di public affairs). “Ci si straccia le vesti per un certo modo di tessere rapporti, per l’esercizio di una pressione politica, ma la corruzione e l’abuso di potere sono un’altra cosa”, e soprattutto non coincidono con le relazioni funzionali alla realizzazione di un certo interesse. E’ è l’assenza di regole che ha relegato l’attività di lobbing in un cono d’ombra, illuminato solo in caso di inchieste giudiziarie.

E’ significativo che il secondo comma del primo emendamento, piattaforma giuridica e trampolino di tutte le attività di lobbing negli Stati Uniti, sia quasi coincidente con l’art. 50 della Costituzione italiana, secondo cui “tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità”.
E’ di ieri il tentativo di rendere operativo questo diritto: il senatore rutelliano Franco Bruno ha depositato un disegno di legge che prevede l’istituzione di un albo dei lobbisti detenuto dal Cnel, a cui sarebbe demanda la definizione di un codice deontologico. Spiega Bruno al Foglio: “In un momento in cui la politica rischia di essere guidata dal di fuori, occorre regolamentare l’attività di lobbing, come è stato fatto in Europa. Già nella fase di presentazione del testo ho riscontrato la disponibilità del Terzo polo e dell’Italia dei valori”.

In Italia il lobbismo, il tessere cioè reti di rapporti, l’esercizio di pressioni sui decisori è associato a fenomeni oscuri, che proliferano nell’anonimato e al di fuori della legalità. Finora sono stati concepiti più di trenta disegni di legge per regolamentare l’attività di lobbing, molti dei quali non sono nemmeno arrivati in Parlamento. Il più vicino al traguardo della Gazzetta ufficiale è stato il progetto di regolamentazione dei gruppi di pressione portato avanti dall’allora ministro per l’Attuazione del programma, Giulio Santagata, sotto il governo Prodi, nel 2007.

Per Francesco Galietti, ex consigliere di Tremonti, “basterebbero poche semplici regole, perché è impossibile disciplinare ogni aspetto del mondo delle relazioni, ma bisogna scongiurare il rischio del far west dei praticoni”. Con o senza una regia legislativa, l’attività lobbistica viene svolta in Italia da circa 1.200 addetti, per un fatturato di 45 milioni di euro. L’attività è assai diffusa anche in Europa, dove però il regime di trasparenza varato dal Parlamento europeo consente di monitorarla. A Bruxelles sono accreditati 1.793 lobbisti di cui il 43 per cento sono gruppi di interesse italiani.

Per Spicciariello “è auspicabile un cambio di mentalità, altrimenti si continua a gestire interessi, ma senza responsabilità”. Una gestione trasparente permetterebbe di riabilitare un’attività legittima, come quella del lobbista, che non attenta al bene comune ma, conclude l’ex tremontiano Galietti, “aiuta il decision making ad avere una visione più completa della realtà che deve disciplinare” e a circoscrivere le interferenze e le pressioni che invece trasbordano dai confini della legalità.

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Giulia De Matteo - Il Foglio


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