«I lobbisti sono quelle persone che per farmi comprendere un problema impiegano 10 minuti e mi lasciano sulla scrivania cinque fogli di carta. Per spiegarmi lo stesso problema i miei collaboratori impiegano tre giorni e decine di pagine». Non lo dice Luigi Bisignani, la citazione è di John Fitzgerald Kennedy. In America l'attività delle lobby è sacrosanta. Si chiama «democrazia degli interessi» e funziona meglio della «democrazia degli ideali». Anche perché nella democrazia degli interessi i voti si pesano, non si contano. Negli Usa il diritto di «fare pressione» sul decisore pubblico è sancito dal Primo emendamento della Costituzione, laddove si menziona il «right to petition», ovvero il diritto di rivolgersi direttamente al governo al fine di rappresentare le proprie istanze, prima che il decision-maker decida. Qui in Italia invece il lobbista è marcio a prescindere.
Lungi da noi difendere l'idea che una trasparente vita pubblica si debba affidare al lobbismo ipertrasversale, ma le fattispecie penali sono altra cosa rispetto alla critica radicale. Come l'associazione segreta e a delinquere sono altra cosa rispetto alle prassi untuose dell'Italia pubblica.
Ma chi sono e cosa fanno i lobbisti in Italia? La categoria si divide in tre figure chiave: i dipendenti che lavorano in esclusiva per una grande azienda (col ruolo di direttore dei rapporti istituzionali), i consulenti che mettono in piedi una società specializzata e i battitori liberi, come Bisignani. Un esempio del primo genere è Stefano Lucchini, oggi dirigente dell'Eni, collaboratore di Raul Gardini, ex di Enel e Banca Intesa, ha capito prima di tutti che il mestiere non si fa solo a Roma. La sua squadra tiene relazioni all'estero ma anche nei comuni e nelle regioni dove il Cane a sei zampe fa affari miliardari. Poi ci sono i consulenti che sulle relazioni hanno costruito un business. Nella loro banca dati si trovano curriculum, vita morte e miracoli di chi conta nei Palazzi.
I più bravi garantiscono un monitoraggio continuo dei resoconti parlamentari e degli emendamenti che interessano il cliente. Fra questi il più noto è scuramente Claudio Velardi, una vera macchina da guerra. Ex braccio destro di D'Alema, lobbista della prima ora con la sua società Reti fondata nel 2000 insieme a Massimo Micucci e Antonio Napoli, si è inventato un'agenzia che fattura milioni. La società era coinquilina di Berlusconi a Palazzo Grazioli, ma di recente ha lasciato via del Plebisicto per Prati. Da Reti sono passati clienti del calibro di Autostrade, che aveva bussato alla porta di Velardi durante il pasticcio Abertis, Enel, Lottomatica, Google, Terna, Unicredit, fino a Sky e Tosinvest, la finanziaria della famiglia Angelucci a cui proprio Velardi cedette le quote di maggioranza del «Riformista». Fra i consulenti a sinistra non si può non ricordare Angelo Rovati, fedelissimo di Romani Prodi. «Io non sono un politico e neppure un tecnico sofisticato; sono un naïf. Faccio parte di un giro di amici, quasi un gruppo di goliardi, che sta cercando di dare una mano al più in gamba di noi», disse una volta. Compratore e venditore di banche, fondi, immobili, intercettato al telefono con Stefano Ricucci, imprenditore nel ramo catering, Rovati ha querelato un concorrente che lo accusava di vincere appalti con l'appoggio di Prodi. «Mai fatto un affare grazie a lui». Nel 2006 fu costretto a lasciare il suo incarico a Palazzo Chigi, in seguito allo scandalo scoppiato per una sua consulenza a Telecom Italia (alla quale fu suggerito un piano di scorporo della rete), allora guidata da Marco Tronchetti Provera. Anche a Milano, meno cafonal e più radicalchic, i lobbisti fanno «pierre», public relations, al ristorante. Si incontrano al Bolognese, al Baretto, al Boeucc, al Girarrosto. Vi si attovagliano i capi delle relazioni istituzionali di banche, assicurazioni, multinazionali e industrie, ciascuno ha il suo tavolo, quasi sempre lo stesso. Cambiano i commensali. Non è certo in Borsa che si chiudono i veri affari.
Link all'articolo originale - http://www.iltempo.it/2011/06/22/1266930-lobbisti_come_pierre_america_diritto.shtml
Camilla Conti - Il Tempo






































