Le principali associazioni che riuniscono lobbisti e consulenti politici inglesi, APPC, PRCA e CIPR GAG launch hanno pubblicato una nuova serie di regole di condotta per coloro che operano nel campo dei public affairs.
L’Association of Professional Political Consultants (APPC), CIPR Government Affairs Group (GAG) e Public Relations Consultants Association (PRCA), nonostante siano molte le diversità tra le tre organizzazioni, hanno sviluppato un framework comune mirato a tutti coloro – società di lobbying, studi legali, NGO, organizzazioni di rappresentanza, banche d’affari, aziende ed enti pubblici - che interagiscono con le istituzioni pubbliche, le cui basi sono i princìpi di trasparenza, onestà e integrità.
La legislazione inglese non prevede una regolamentazione sul modello americano, ma lascia spazio ad un’autoregolamentazione, il cui frutto è proprio l’APPC Code of Conduct, redatto per la prima volta nel 1994 a seguito di una serie di scandali e di un’inchiesta parlamentare, e fondamentale nel ricostruire l’immagine dei lobbisti inglesi. Ad esso si affianca un “Register of Members'interests”, che deve essere sottoscritto da ogni parlametare e che prevede nel caso di conflitto di interessi l’obbligo per il parlametare in questione di dichiarare il conflitto e e astenersi dall’intervenire e dal votare. Sono previste, in caso di violazione, sanzioni come la multa o anche la prigione.
Ecco il nuovo codice, ma ecco però che iniziano a piovere da subito le critiche da parte di osservatori e parlamentari, in particolare sulla regola che consente ai lobbisti di mantenere segreti i nomi dei propri clienti. Il nuovo codice infatti non richiede ai lobbisti di tenere un registro pubblico dei propri clienti, ma richiede alle organizzazioni coinvolte semplicemente di “essere sempre chiare e precise riguardo l’identità e l’organizzazione che si rappresenta”, una norma che molti parlamentari hanno reputato assolutamente insufficiente, come le recenti polemiche che hanno coinvolto recentemente i due giganti della comunicazione Edelmann e Burson Marsteller (che non hanno rispettato in pieno l’obbligo previsto dal codice di informare la controparte dell’interesse rappresentato) in Inghilterra hanno dimostrato.
La pubblicazione del nuovo Code, che impone ai lobbisti di “non fare offerte di tipo finanziario o simile” nei confronti dei detentori di pubblici offici, va a precedere un’inchiesta parlamentare sul lobbying che sarà avviata dal Public Administration Committee della House of Commons entro Natale. L’inchiesta sarà la prima relativa al lobbying dal 1991, e non è escluso che da essa possa uscire una raccomandazione per una regolamentazione di tipo legislativo della materia. PR Week afferma che l’inchiesta andrà a verificare “la trasparenza del settore del lobbying, l’effettività dei recent tentative di autoregolamentazione e se le regole attualmente in vigore relative ai rapporti di parlamento e Governo con i privatio debbano essere modificate”. La Commissione ha pubblicato 10 domande su cui richiede ai soggetti interessati di inviare le proprie risposte, inclusa una che sta creando qualche polemica, relativa a se i lobbisti debbano essere regolati da un’autorità esterna.
Le polemiche derivano dal fatto che proprio recentemente l’Association of Professional Political Consultants ha scritto a tutti i parlamentari esprimendo il proprio sostegno all’inchiesta, lasciando intendere di voler diventare proprio quell’ente esterno di governo dei lobbisti di cui si parla nelle 10 domande.
Come spesso accade, un’indagine di questo genere sulle aziende non riscuote molto successo tra le stesse. Peter Bingle, managing director of Bell Pottinger Public Affairs ha scritto su PR Week che “è inutile affermare in pubblico che siamo contenti dell’inchiesta, anche perché non lo siamo. Devo ancora incontrare qualcuno in questo ambiente che lo sia”. Secondo Bingle l’avvio dell’inchiesta ha un colpevole, l’Association of Professional Political Consultants (APPC), che in questi ultimo mesi ha spesso attaccato le società di lobbying non iscritte all’associazione. L’APPC, nonostante la adesione sia volontaria, richiede a tutti i propri iscritti di sottoscrivere il codice di condotta, e si comporta come una sorta di pubblica autorità nel campo. Come Bingle la pensa Chris Whitehouse, managing director di The Whitehouse Consultancy. "Il dibattito è passato da un tentativo di migliorare trapsarenza ed eticità ad un tentative di assicurare un vantaggio commercial per le società membre dell’APPC”.
Peter Luff, parlamentare Conservatore e ex lobbista, a capo del Trade and Industry Committee, appoggia l’idea di Bingle e Whitehouse, affermando che secondo lui il nuovo codice è un tentativo di alcune società di lobbying di limitare il mercato. “La trasparenza è un fattore assolutamente cruciale in questo campo, ma sono convinto che questo nuovo codice non sia altro che una mossa commerciale da parte di un ristretto gruppo di lobbisti portata avanti solo per motivazioni affaristiche, e non per un impegno genuino verso la trasparenza”.
La querelle inglese va aggiungersi ai dibattiti sulla regolamentazione dell’attività di lobbying attualmente in corso presso l’Unione Europea, in Italia, in Francia e in alcuni paesi dell’Europa orientale, e segue la recente firma del presidente Bush allariforma del settore votata dal Congresso americano a settembre.
Franco Spicciariello - LI.Info




































