“In Italia, l’aspirina costa il doppio che in Gran Bretagna, perché qui si può comprare solo in farmacia e intanto, da settimane, i farmacisti acquistano pagine e pagine sui quotidiani per spiegare quanto sarebbe rischioso lasciarci liberi di comprare tanta aspirina quanta vogliamo!”. Francesco Giavazzi
Terra di monopoli, corporazioni e privilegi. Di giornalisti, farmacisti, professori, banchieri e notai. È questa l’Italia descritta da Francesco Giavazzi – Docente di Economia Politica alla Bocconi ed editorialista del “Corriere della Sera” – in un pamphlet recentemente pubblicato, per spiegare le cause del “declino” del nostro Paese. Un Paese “grigio”, prigioniero di se stesso. Che non premia il merito e che preferisce la rendita al rischio dell’investimento. Un Paese in cui le grandi aziende, invece di competere sui mercati internazionali, si rifugiano in settori al riparo dalla concorrenza.
Ma ecco il colpevole! Scovato finalmente chi frena davvero l’Italia e le impedisce di crescere. Sono le corporazioni. Gli ordini professionali. Caste arroccate nella difesa dei propri privilegi. Quale allora la ricetta per invertire la rotta? Riscoprire l’adrenalina della concorrenza, tirando fuori un po’ più di coraggio…
Nel suo ultimo libro, “Lobby d’Italia”, lei mette in luce tutti quei “sassi” che qua e là bloccano i movimenti di un bellissimo meccano, l’Italia, che rischia di incepparsi definitivamente se presto quei sassi non saranno rimossi dagli ingranaggi. Ma quale soluzione concreta auspica per impedire il brutale declino del nostro Paese?
Le difficoltà dei conti pubblici sono una conseguenza del virus che ha colpito l’Italia,
non la causa prima. Il virus è la caduta della produttività (in cinque anni, abbiamo perso 7 punti rispetto alla Germania e 5 rispetto alla Francia). Su 10 italiani, meno di 6 lavorano, contro quasi 8 in Svezia. I giovani continuano a laurearsi a 26-27 anni e a quell’età il numero di coloro che lavorano o cercano un lavoro è il 10% in meno rispetto agli Stati Uniti. Per aprire un’attività produttiva, servono 16 pratiche amministrative (con allegato obolo al notaio) e per completarle si impiegano 62 giorni lavorativi. Le pratiche richieste in Danimarca sono 3 e richiedono 3 giorni. Le imbarcazioni di lunghezza superiore ai 17 metri iscritte al registro nautico sono 65 mila, in un Paese in cui solo 17 mila 141 contribuenti dichiarano un reddito superiore ai 200 mila euro (dati del 2002). La giustizia civile impiega in media 1.390 giorni per completare le procedure necessarie per recuperare un credito. In Francia, la causa si chiude in 75 giorni (dati della Banca Mondiale). L’aspirina costa il doppio che in Gran Bretagna perché qui si può comprare solo in farmacia e, intanto da settimane, i farmacisti acquistano pagine e pagine sui quotidiani per spiegare quanto sarebbe rischioso lasciarci liberi di acquistare tanta aspirina quanta vogliamo (mai capitato che un farmacista si sia rifiutato di vendermi un’aspirina).
Il Ministro Bersani ha lodevolmente iniziato ad affrontare alcuni di questi problemi, ma i primi passi sono timidi. Io pensavo che liberalizzare un mestiere (nella specie il conducente di taxi) volesse dire più o meno questo: poiché sono disoccupato, mi reco in Comune, dimostro di essere abilitato alla guida, di possedere legittimamente un’autovettura idonea allo scopo e di non essere
pregiudicato e, dopo l’esame dei requisiti, mi viene attribuito un numero che mi abilita a “scorrazzare” i cittadini. Mi spieghi come fa il simpatico Ministro Bersani a dire che ha liberalizzato le licenze?
Lei parla spesso di “due Italie”: quella di chi compete (e fatica) e quella di chi è protetto (e guadagna). Ma chi sono i “protetti”? E chi o cosa garantisce il perpetuarsi di tale protezione?
Soprattutto i servizi nei quali si sono rifugiati imprenditori che, una volta, non avevano paura di affrontare la concorrenza sui mercati internazionali.
Penso ai Benetton, ai Falk, ai Pirelli. Anche gli Agnelli hanno cercato di seguire quella strada e, nel tentativo, hanno quasi fatto fallire la Fiat. Fortunatamente un attimo prima che fosse troppo tardi, hanno passato la mano a manager capaci.
È risaputo che ogni gruppo di pressione goda di un enorme potere: può influenzare la vita politica, sociale e finanziaria di un Paese. Insomma, siamo al limite della corruzione o c’è qualcosa in più?
Ritiene sia necessaria una maggiore e precisa regolamentazione dell’attività di lobbying? O basterebbe più semplicemente, all’interno di queste lobby, una maggiore correttezza e un più forte senso etico nell’esercizio delle proprie azioni?
Le lobby fanno il loro mestiere. In un Paese in cui vi fosse concorrenza, come negli Stati Uniti, non fanno male a nessuno, si limitano a fare i loro interessi. Il problema quindi è introdurre più concorrenza, non regolamentare le lobby.
Silvia Guerrieri - Quale Impresa
































