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Unione europea: i lobbisti politici contro ogni trasparenza
Scritto il 2006-04-14 da lobbyingitalia su Europa

Dopo il voto contro la costituzione europea di Francia e Paesi Bassi, sarebbe opportuno attirare l’attenzione su un conflitto che pone in evidenza il carattere profondamente antidemocratico dell’Unione Europea, così come il suo ruolo di salvadanaio per l’arricchimento personale di industriali e di trampolino di lancio per gli attacchi alla classe operaia.

Siim Kallas, il commissario europeo incaricato degli affari amministrativi, revisione dei conti e della lotta antifrode, ha annunciato in marzo la preparazione di una iniziativa europea di trasparenza. Per questo sarebbe necessario tra l’altro che i lobbisti professionisti rivelassero gli interessi che rappresentano e le loro fonti di finanziamento.

Niente di sensazionale, direte voi. Dopo tutto, la stampa rigurgita di appelli alla trasparenza e alla responsabilità del settore pubblico “burocratico” e “inefficace”.
Ma Kallas, in un discorso pronunciato alla Nottingham Business School davanti alla European Foundation for Management, ha reso noto che a Bruxelles esistono circa 15000 professionisti del lobbing e circa 2600 gruppi di interesse che vi dispongono di un ufficio permanente. Egli ha stimato che le attività di lobby generano annualmente tra i 60 e i 90 milioni di euro di profitti per i lobbisti. Poiché non esiste nessuna direttiva né tenuta dei conti obbligatoria, nessuno può saperlo veramente. Lo stesso vale per le organizzazioni non governative (ONG) di cui molte dipendono dai fondi pubblici e che forniscono poche informazioni sugli interessi che esse rappresentano. Kallas ammette che la commissione europea ha trasferito più di 2 milioni di euro per “buone cause” ai sedicenti paesi in via di sviluppo attraverso ONG di cui essa non sa molto.

Come sottolineava Kallas, nei siti web di alcune ONG che beneficiano dei fondi comunitari si può leggere che il loro compito principale risiede nel “lavoro di lobby nei corridoi della Commissione”.
O meglio” ha spiegato al suo auditorio della Nottingham Business School, “la Commissione finanzia delle lobby perché dei lobbisti professionisti esercitino delle pressioni su di essa”.
Ma chi sono questi lobbisti? Quali interessi rappresentano?
L’Osservatorio Europeo delle Imprese (CEO), un gruppo di ricerca e indagini situato ad Amsterdam, ha redatto una intrigante guida sul mondo della lobby industriale del quartiere Leopoldo, chiamato “Il quartiere europeo di Bruxelles”. E’ un mondo totalmente sconosciuto al grande pubblico.

L’UE, un terreno fertile per i lobbysti

Dopo gli anni 90, la totalità del quartiere è stato largamente ricostruito per i burocrati europei e il loro entourage di lobbisti, consulenti e mediatori politici. Più di 85000 persone vi lavorano. Solo 15000 persone vivono in quello che era stato un quartiere residenziale e per la maggior parte, questi abitanti sono ricchi eurocrati.

Le ragioni di ciò stanno nel fatto che la complessa struttura decisionale dell’UE, fatta in modo da tenere alla larga il grande pubblico, fornisce un terreno fertile per i lobbisti industriali.
Con più di un migliaio di gruppi di pressione ai quali si aggiungono centinaia di servizi di pubbliche relazioni e di servizi finanziari, studi di procuratori d’affari che offrono i loro servizi di lobby, decine di “think tank” (gruppi di studio) finanziati dalle imprese così come da uffici di “affari comunitari”, Bruxelles fa concorrenza a Washington per il titolo di capitale mondiale del lobbing.

Secondo il CEO, il 70% dei 15000 lobbisti professionisti rappresentano la grande industria. Ogni industria o settore immaginabile beneficia di un gruppo di pressione. Il 20% rappresenta le ONG, compresi i sindacati, i grandi gruppi di organizzazione della salute pubblica, dell’ambiente, ecc. Il 10% rappresenta gli interessi delle regioni, delle città e delle istituzioni internazionali.

Uno dei più grandi gruppi, Hill & Knowlton, occupa forse da solo più persone di quanto possano fare tutti i gruppi sociali e ambientali presenti a Bruxelles. Essi hanno esercitano la loro attività di lobbisti per tutti coloro che possono presentarsi come associazioni commerciali e grandi imprese. Il loro obbiettivo principale è la Commissione europea perché essa sola è abilitata a proporre e a elaborare una nuova legislazione per il Parlamento europeo.

I lobbisti hanno anche come bersaglio il Consiglio dei ministri che avendo l’ultima parola - a porte chiuse- sulle proposte presentate dalla Commissione, rappresenta un altro potere decisionale.

Non si deve dimenticare infine che l’estensione dei poteri del Parlamento europeo ha contribuito a renderlo bersaglio dei lobbisti; a tal punto che nel marzo 2004, la Società dei professionisti in affari europei (SEAP) ha inviato una lettera al presidente del Parlamento europeo per lamentare la mancanza di posti e cuffie per la traduzione destinati ai lobbisti. Si contano quasi 5000 lobbisti accreditati in possesso di lasciapassare che permette loro di un accesso permanente a tutti gli edifici occupati dal Parlamento. Anche se il Parlamento ha la sua sede ufficiale a Strasburgo, possiede grandi immobili anche a Bruxelles. L’insieme del processo parlamentare è diventato tributario dei lobbisti per la redazione delle risoluzioni e degli emendamenti al punto che Chris Davies, un liberaldemocratico britannico deputato al Parlamento europeo, ha affermato in occasione di un seminario di formazione di lobbisti: “Ho bisogno di lobbisti. Conto sui lobbisti”.

Ci si può fare un’idea della perversione dell’insieme della cultura politica facendo riferimento al rapporto redatto dal CEO che riprende le parole di Davies: “In ragione dell’intensità del lavoro e della complessità degli argomenti che sono all’ordine del giorno del Parlamento Europeo, Davies spiegava che era desideroso di ricevere iniziative di emendamenti specifici concernenti le proposte di legge. Davies sottomette questi emendamenti al voto del Parlamento europeo e molte di essi diventano legge europea”.

La “rotazione delle carriere” è un fenomeno ordinario, visto che i membri del parlamento europeo così come gli eurocrati non smettono di acquisire funzioni lucrative negli affari di lobbing a Bruxelles.
L’esempio più famoso è certo quello del britannico Sir Leon Brittain, già Commissario europeo per il commercio estero, divenuto consigliere per gli affari relativi all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) all’interno dello studio di avvocati Herbert Smith, vice presidente della banca d’affari internazionale UBS Warburg, membro del consiglio di amministrazione dell’Unilever e presidente del comitato LOTIS dell’International Financial Services London (IFSL), gruppo di pressione rappresentante i servizi finanziari del regno Unito. Secondo il CEO, il deputato britannico liberal democratico al parlamento europeo Nick Clegg, è un altro esempio; egli raggiunse l’anno scorso a Bruxelles la società di pubbliche relazioni e consulenti Gplus Europe. Il CEO ha anche segnalato dopo che il deputato laburista al parlamento europeo David Bowe, aveva perso il suo seggio nel giugno 2004, annunciava, a mezzo dell’ European Voice, che era alla ricerca di un impiego. “Qualsiasi offerta verrà considerata”, scriveva.

I Lobbisti

Il CEO enumera un gran numero di strategie di lobbing che la società Kimmons & Kimmons espone in uno dei loro stage di formazione. E’ una lettura interessante.

“L’aereo militare” (the gunship) comporta un lobbing aggressivo, che comprende minacce di delocalizzazione nel caso in cui non si abbandoni il progetto ufficiale, e deve essere usato nel caso in cui tutte le altre tattiche siano state vane.
“The Kofi Annan”, conosciuto anche come “cavallo di Troia” o impegno costruttivo, che consiste nel sottoporre ai governi un compromesso mutualmente accettabile.
“Il buon poliziotto e il cattivo poliziotto” (The good cop-bad cop) dove una impresa o un gruppo adotta una linea dura e un altro presenta una soluzione di “compromesso costruttivo”.
“Il dentista” (The dentist) con cui un’impresa o un gruppo che non apprezza un regolamento proverà di estrarre il “dente peggiore” per poi passare ai restanti in seguito.
“La terza parte” (The third party) significa lavorare con le ONG e i sindacati nell’intento di trovare un compromesso per regolare un conflitto.
“L’asino” (The donkey) è la tecnica della carota e del bastone allo scopo di impossessarsi delle chiavi di chi decide.
Premettendo che la società afferma che queste strategie non rientrano nel campo della seduzione e della corruzione, si può dare per certo che esse sono state applicate spesso.

Una delle principali associazioni industriali è l’Unione delle Industrie dei paesi della comunità europea (UNICE), la confederazione padronale europea. Non stupisce che questa preconizzi un mercato del lavoro “flessibile” in seno ad un mercato interno liberato più possibile di ogni “distorsione” fisica, tecnica, fiscale e sociale. UNICE emette analisi dettagliate e commentari su quasi tutta la politica emanata da Bruxelles. Essa non si limita al lobbing di Bruxelles ma, attraverso le federazioni nazionali degli aderenti, pratica il lobbing anche sui 25 governi nazionali europei. Essa ha preteso una moratoria su tutte le nuove iniziative sociali fino a che l’UE non sia divenuta l’economia più “concorrenziale” del mondo.

Secondo il CEO, la scelta degli uffici dell’ UNICE è stata dettata dal fatto che si trovano proprio di fronte alla Direzione generale del mercato interno della Commissione Europea che è ferocemente pro-business. Fino all’autunno scorso, il commissario responsabile della Direzione generale era Fritz Bolkestein, che è all’origine della direttiva sui servizi di interesse economico generale, detta Direttiva Bolkestein, destinata a liberalizzare e aprire i servizi pubblici alle imprese private. Poiché la direttiva è stata rinviata per revisione in seguito a una massiccia opposizione popolare il suo successore non farà altro che ritoccarla un po’.

L’UNICE e la Tavola rotonda europea degli industriali lanciarono la campagna per fare della “competitività” l’ obiettivo primario dell’UE; questo fu raggiunto nel marzo 2000 con l’Agenda di Lisbona il cui obiettivo è di fare della competitività un elemento centrale dell’UE al quale tutti gli altri settori politici devono essere subordinati. A questo fine, l’UNICE pretese e finì per ottenere che l’UE effettuasse nella primavera del 2004 delle valutazioni dell’impatto commerciale relativo a tutta la politica comunitaria esistente e futura. Questo significa che, seguendo l’esempio britannico, sarà impossibile introdurre una legge o adottare una politica che imponga alle imprese costi superiori ai benefici. José Manuel Barroso ha dichiarato che farà dell’Agenda di Lisbona la priorità assoluta della sua presidenza della Commissione Europea.

Tutte le più grandi multinazionali e imprese hanno stabilito le loro sedi nel quartiere Leopoldo. Boeing e Airbus hanno entrambe i loro uffici per gli affari comunitari al Rond-Point Schumann, una posizione ideale che permette di fare un salto alla Commissione europea e al Consiglio d’Europa per avanzare la rivendicazione del dominio mondiale dell’ industria aerea.

La lobby dell’industria chimica è stato uno delle più evidenti per avere organizzato una delle più scandalose campagne della storia dell’Unione Europea. Fino al 99% dei prodotti chimici venduti nell’UE non sono stati sottoposti ad alcun esame ufficiale relativo all’ambiente e alla salute.

Secondo il CEO, il gigante tedesco BASF che dispone di uffici di lobbing a Bruxelles, ha preso il comando del Consiglio europeo dell’industria chimica (CEFIC). Con il sostegno di Bush, il CEFIC ha realizzato una campagna contro gli sforzi dell’UE di regolamentare i prodotti chimici tossici con un sistema di Registrazione, Valutazione, Autorizzazione delle sostanza chimiche (REACH). Il CEFIC ha dispensato milioni di euro in lobbing e in una campagna dei media per ritardare e indebolire il progetto. Sotto la direzione di BASF, il CEFIC ha argomentato che il REACH avrebbe un impatto sfavorevole sulla “competitività” e ostacolerebbe l’obbiettivo comunitario dell’Agenda di Lisbona, di rendere la sua economia la più competitiva del mondo entro il 2010. Delle analisi redatte da consiglieri finanziati dalle imprese presentarono stime largamente e deliberatamente esagerate dei costi che REACH potrebbe richiedere alle imprese così come delle perdite d’impiego che ne deriverebbero.
L’industria chimica fece presto ad avere i governi di Regno Unito, Francia e Germania al suo fianco e il progetto REACH fu considerevolmente edulcorato.

Il CEO dal canto suo ha esaminato le attività di una società di lobbing, Burson-Marsteller, che ha sede in Avenue de Cortenburgh. Una delle società di pubbliche relazioni più controverse del mondo e che contava tra i suoi clienti recenti il Congresso nazionale Iracheno di Ahmed Chalabi, la dittatura birmana e la famiglia reale saudita.

Burson-Marsteller, impiega 45 persone di cui alcuni dirigenti del “front group” per conto di imprese. Uno di questi “front group” è il Forum scientifico e ambientale sul Bromo (BSEF), creato da Burson-Marsteller per i quattro maggiori produttori di bromo al mondo, USA, Israele e le imprese chimiche giapponesi, che si oppongono al divieto del bromo, un additivo ignifugo con gravi effetti collaterali sull’ambiente e la salute. Essi ricorsero ai servizi di Burson-Marsteller quando molti paesi cominciarono a regolamentare l’uso dei ritardatori di fiamma al bromo (BFR) e cercarono di impedirlo colpendo alcuni dei loro prodotti. La ricerca finanziata dal BSEF indica il bromo come buono per l’ambiente in quanto riducendo il fuoco riduce l’inquinamento. Nel maggio 2003, i loro avvocati comunicarono alla stampa che “[i nostri clienti] non esiteranno ad usare tutti i mezzi a loro disposizione nel caso in cui ci sia il minimo rapporto scorretto o inesatto relativo ai BFR e che porti pregiudizi agli affari dei loro clienti”. L’anno scorso, l’UE ha annullato il divieto di un tipo di bromo.

Un esame della carriera del direttore dell’ufficio di Burson-Marsteller a Bruxelles, David Earnshaw, mostra le connessioni che esistono tra i lobbisti, il mondo industriale, le ONG (di cui alcune sono esse stesse grandi imprese) e l’UE. Era stato precedentemente responsabile dell’ufficio di Oxfam a Bruxelles e, prima ancora, aveva condotto la campagna del lobby industriale per la direttiva comunitaria del Patents on Life (”brevetti per la vita”).

Un altro potente gruppo è quello del lobby Biotech, comprendente l’Associazione europea delle sementi (ESA) e l’associazione europea della Bio-Industria. Quattro delle più grandi imprese d’agribusiness e di biotech del mondo (Monsanto, Sygenta, Pioneer (DuPont) e Bayer) sono membri di questi due gruppi che dispongono anche di propri uffici.

ESA auspica l’applicazione di una versione attenuata della direttiva europea concernente le sementi e che determina i termini per l’ etichettaggio delle sementi geneticamente modificate (GM). Mentre all’inizio, l’industria biotech aveva riportato molti successi beneficiando delle politiche che esse preconizzavano, ora si trova a dover affrontare un ritorno della situazione a favore dei consumatori e il fatto che i governi nazionali hanno bloccato tutti i nuovi prodotti. Dopo le campagne aggressive e taglienti condotte contro i gruppi ambientalisti, l’industria ha ora sviluppato molte proposte comunitarie importanti per la “coesistenza” di agricoltura GM e agricoltura tradizionale e biologica, e la Direttiva delle sementi che fisserà i termini al di sotto dei quali sarà necessario etichettare le sementi GM.

Esistono dei think tank di imprese. Uno dei più in vista a Bruxelles è il Centro politico europeo. E’ finanziato dall’industria e mette a disposizione dei media l’ “esperto istantaneo” pronto a commentare gli ultimi sviluppi dell’UE.

Il Centro per la New Europe (CNE) è un altro think tank molto ben finanziato e concepito secondo i modelli americani ultra-destrorsi e molto aggressivi, la Heritage Foundation e il Competitive Enterprise Institute. Esso attacca la politica ambientale europea che dichiara essere basata su una “scienza stantia”.

TechCentralStation, un think tank di destra che dispone di un sito web (www.TechCentralStation.be) finanziato da Microsoft, Exxon e McDonald pubblica degli articoli scritti da ultra-destrorsi americani e europei che denunciano tutta la politica progressista ancora in discussione.
Mentre prima tali organizzazioni erano considerate come marginali, esse fanno ora parte della corrente generale. TechCentralStation per esempio, organizza delle conferenze in collaborazione con il gruppo parlamentare cristiano democratico del parlamento europeo.

Altri think tank industriali comprendono Friend of Europe (Amici dell’Europa), il Foro dell’Europa e la New Defence Agenda (NDA). Il NDA fa parte del crescente complesso dell’industria militare di Bruxelles. Fu fondato nel 2003 ed è finanziato dai fabbricanti di armi Lockheed Martin e BAE System allo scopo di promuovere le spese militari europee.

L’altro gruppo di lobby dell’industria bellica comprende l’Associazione europea dei costruttori di materiale aerospaziale (AECMA) e il Gruppo europeo delle industrie della difesa (EDIG). Anche l’industria bellica mette in primo piano l’Agenda di Lisbona e la competitività per portare avanti la sua causa e far passare le spese attuali dell’UE che sono il 3%, a quelle degli Stati Uniti che sono il 6% del PIL.

La risposta dei lobbisti

L’annuncio esitante del commissario Kallas durante la richiesta di trasparenza dei lobbisti da lui proposta -che tutte le sue proposte possono essere discusse- ha suscitato una opposizione feroce anche da parte di quei gruppi che l’Iniziativa di trasparenza cerca di frenare.

Contrariamente a questa proposta, essi chiedono l’autoregolamentazione, codici di condotta volontari e “responsabilizzazione sciale delle imprese”. Un portavoce dell’ UNICE ha espresso questa riflessione: “Una proposta di maggiore regolamentazione è un’assurdità”. Rogier Chorus, della società dei professionisti degli affari europei (SEAP) una organizzazione commerciale che raggruppa 150 lobbisti creata allo scopo di evitare ogni forma di regolamentazione del lobbing, ha dichiarato che era “un po’ irritato” dal tentativo, visto che SEAP aveva stabilito un codice di condotta etica volontario nei confronti dei lobbisti. Egli ha detto: “A questo punto io non lo accetterei [il registro di divulgazione delle informazioni]”. In un modo arrogante, ha intimato alla Commissione di “rivedere la sua copia” accusandola di corruzione, dicendo che essa farebbe bene a spazzare prima davanti alla propria porta rendendo “i funzionari meno vulnerabili alle bustarelle”.

Rigirando la frittata, ha affermato che una divulgazione obbligatoria del lobbing complicherebbe prima di tutto il compito dei gruppi di interesse più piccoli che farebbero fatica a farsi sentire. Il fatto che i “gruppi di interesse più piccoli”, come per esempio le persone comuni non hanno modo di pagare i grandi salari dei lobbisti, non gli è proprio venuto in mente.
I membri di SEAP sono tenuti a seguire uno stage presso l’ European Training Institute (ETI) concernente il loro codice di condotta. Ci si può fare un’idea di cosa rappresenti uno stage simile rifacendosi all’intervista con il presidente esecutivo di ETI, Daniel Guéguen.
Secondo CEO, Guéguen ha predetto tattiche di lobbing ancora più aggressive. In una intervista recente ha detto : “Penso anche che in futuro si andrà verso strategie di lobbing sempre più dure, verso degli approcci dell’intelligence economica sempre più sofisticati che comporteranno probabilmente il ricorso a pratiche di manipolazione, di destabilizzazione, o di disinformazione”.

Traduzione di Velia Vagnarelli

Jean Shaoul - www.wsws.org

(di Gaetano Gatì) La Francia, al momento colpita dalle dure contestazioni contro la vessata riforma sul lavoro, è sede di discussione attiva in Parlamento non solo sulle attività dei privati ma anche sul loro interfacciarsi con il pubblico, regolando una grossa fetta di democrazia, l’attività di lobbying. Settore che merita di essere regolato sino ai minimi particolari cercando di evitare che sfoci in pratiche poco limpide e illegali. Lo scorso 26 maggio la Commission des Lois dell’Assemblea Nazionale francese (omologo delle nostre Commissioni Affari Costituzionali) ha modificato largamente l’art. 13 del “ddl Sapin II”, che si concentra sulla lotta per la trasparenza e contro la corruzione del processo decisionale pubblico. In circa tre ore di dibattito, e con l’approvazione di 89 emendamenti, si è arrivati a una svolta nella discussione del ddl: in particolare, è stata proposta la creazione di un nuovo registro nazionale dei rappresentanti di interesse.In più, ciò che in Italia è spesso demandato alla stampa (con risultati soprattutto negativi), in Francia viene fatto dal parlamento: dare una definizione di lobbista, in primis. Inoltre l’Assemblée Nationale, che già aveva dato una definizione del mestiere, sta andando a creare anche un registro dove possono essere inserite le figure che effettuano attività di lobbying e public affairs. Una delle maggiori preoccupazioni emerse durante la discussione, condotta dal relatore del Partito Socialista Sébastien Denaja, è stata quella di approvare “un testo di sinistra”.L’attività parlamentare si è particolarmente concentrata sull’art. 13 del “progetto di legge Sapin”; all’interno del progetto sono presenti anche altre norme che regolano la protezione delle c.d. whistleblower (ndr gola profonda - dall’informatore dello scandalo Watergate – coloro i quali sono artefici di fuga di informazioni soprattutto per quanto riguarda illeciti commessi nelle P.A. o nei palazzi del potere, es. Julian Assange) e ovviamente la disciplina dell’attività di lobbying.Partendo da un inizio poco convincente, la regolamentazione del registro dei lobbisti è stata partorita dalla Commissione parlamentare con significativi progressi tanto che è stata accolta con favore anche dalla ONG Trasparency International.Novità legislative  Migliorata la definizione di lobbista: cercando di escludere i cittadini comuni che non fanno questo tipo di attività. Sono inclusi però i corpi industriali pubblici, le camere consiliari locali e le persone giuridiche oltre che le ong patronali e le associazioni culturali.Viene fatto l’obbligo ai lobbisti che desiderano avere appuntamenti con ministri, membri del governo, funzionari e parlamenti compresi anche i dipendenti parlamenti di essere registrati a suddetto registro.Sono soggetti a obbligo di registrazione anche i lobbisti che hanno incontri con i funzionari locali.I lobbisti dovranno indicare i nomi dei loro clienti, le fonti e i documenti che producono in modo tale da evitare gli studi falsi o le documentazioni create ad hoc per questo o quello studio di settoreI lobbisti dovranno anche dare un resoconto sulle loro attività e spere all’autorità sulla trasparenza della vita pubblica (HATPV)Non c’è norma senza sanzioneQualora non venissero rispettate queste disposizioni, si incorrerà a una multa che rispetto al passato avrà un massimo importo da 30.000 ai 50.000 euro, e verranno cancellati dal registro i recidivi.L’opposizione però non ha mancato di segnalare, attraverso il portavoce Olivier Marleix, che questi obblighi riguardano solamente i lobbisti. Lo stesso deputato ha infatti chiesto regole chiari e stringenti anche per i decisori pubblici. A risposta di ciò, la presidenza ha affermato che il presidente dell’Assemblea o del Senato possono ricorrere all’HATPV per segnalare violazioni. Un po’ poco rispetto agli obblighi da rispettare dall’altra parte della barricata. 

Mondo - Lobbyingitalia

Proseguono gli sforzi verso una normativa europea più chiara e decisa sulle lobbyNon solo in Italia: anche in Europa il lobbying è ammantato da un velo di incertezza normativa e di sfiducia da parte di istituzioni e cittadini. Anche per questo, nelle ultime settimane l’azione delle organizzazioni e associazioni che si occupano della trasparenza del processo decisionale si è fatta più forte e omogenea, anche su impulso delle principali Istituzioni europee. L’iniziativa più importante è partita diverse settimane fa dalla Commissione Europea, che ha avviato una Consultazione pubblica sulla proposta di un registro per la trasparenza obbligatorio. È inoltre in corso anche una petizione su change.org, sempre più strumento di espressione della democrazia “dal basso”, portata avanti dalla sezione europea di Transparency International per “puntare i riflettori” sulle lobby di Bruxelles.La consultazione della CommissioneLa Commissione europea intende raccogliere le opinioni di tutte le parti interessate sull'operato dell'attuale registro per la trasparenza delle organizzazioni e dei liberi professionisti impegnati nell'elaborazione e nell'attuazione delle politiche dell'Unione e sulla sua futura evoluzione verso un sistema obbligatorio esteso al Parlamento europeo, al Consiglio dell'UE e alla Commissione europea. La consultazione pubblica ha un duplice obiettivo: 1) raccogliere opinioni sul funzionamento dell'attuale registro per la trasparenza e 2) ricevere contributi utili per la concezione del futuro sistema di registrazione obbligatoria annunciato negli orientamenti politici del presidente Juncker. Lo scopo è valutare e capire che cosa ha funzionato bene finora e che cosa può essere migliorato e come, in modo da garantire che si possano sfruttare pienamente le potenzialità del registro come valido strumento per disciplinare le relazioni tra le istituzioni dell'UE e i rappresentanti di interessi. I risultati della consultazione pubblica serviranno da base per la preparazione della proposta di un registro obbligatorio da parte della Commissione.La consultazione sarà aperta a tutti fino al prossimo 1 giugno, e potrà essere compilata al seguente link. Sarà molto interessante valutare anche i contributi pervenuti, che saranno pubblicati sul sito web nelle lingue in cui sono stati compilati, entro 15 giorni lavorativi a partire dal termine della consultazione. Una relazione di sintesi sarà pubblicata entro tre mesi dal termine della consultazione. In particolare, un punto fondamentale sarà rappresentato dalle impressioni sull’attuale sistema di registrazione, da più parti definito lacunoso se non fallimentare.La petizione di Transparency InternationalLa petizione di Transparency International Europe parte da una visione molto negativa della mancanza di trasparenza del lobbying europeo, come minaccia per la democrazia e della fiducia dei governi nella politica. Transparency negli ultimi anni ha condotto, come molte altre ONG sulla trasparenza, indagini sulle attività “nascoste” di alcuni particolari gruppi di pressione. A dire il vero, il punto di partenza di Transparency è molto scettico nei confronti delle “lobby” in generale (farmaceutiche, bancarie, commerciali), ma il principale motivo degli scandali sulla corruzione degli ultimi mesi è considerato la mancanza di trasparenza.La petizione online è disponibile a questo link: https://www.change.org/p/commissione-europea-puntare-i-riflettori-sul-lobbismo-nell-ue . Queste le richieste alla Commissione Juncker:Fare in modo che tutti i lobbisti siano obbligati a iscriversi al registro europeo, di modo che gli esponenti delle istituzioni UE non potranno più incontrare lobbisti non registrati, e non potranno più invitarli a udienze o gruppi di esperti.Assicurare che le norme valgano per tutte le istituzioni europee, compreso il Consiglio, che finora non ha nemmeno aderito al registro volontario. E’ importante che i leader politici e i loro consiglieri pubblichino online tutti i loro incontri con lobbisti.Rendere più affidabili le informazioni fornite sul registro. A tal fine è neccessario un robusto sistema di controllo, che includa sanzioni per lobbisti che non rispettano le regole.Le due consultazioni permetteranno di creare una comunità di interesse attorno a un tema molte volte dibattuto in modalità e con accezioni parziali e spesso negative. Sarebbe auspicabile una partecipazione degli “addetti ai lavori”, proprio i lobbisti che, con le loro competenze tecniche e l’esperienza delle tante barriere ideologiche che li circondano, hanno l’opportunità di esprimere un pensiero originale, efficace e, si spera, incisivo anche nei confronti dei legislatori nazionali.

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Le ong Transparency International, Sunlight Foundation, Open Knowledge, Access Info con il supporto del Programma dell'Unione Europea per la Prevenzione e la lotta al crimine hanno predisposto una nuova lista di 38 standard basati sulle più avanzate regolamentazioni del lobbying a livello internazionale. L’obiettivo è orientare i governi dei Paesi in cui è più diffuso il fenomeno a implementare la loro regolamentazione, e i Paesi in cui le relazioni istituzionali si svolgono sotto una cappa di opacità a rispettare tre requisiti essenziali della regolamentazione dell’attività dei gruppi di pressione: trasparenza, integrità, partecipazione. Al maggio 2015, almeno 20 Paesi in tutto il mondo hanno una regolamentazione del lobbying, la cui portata ed efficacia varia da caso a caso, a livello nazionale: Australia, Austria, Brasile, Canada, Cile, Francia, Georgia, Germania, Ungheria, Irlanda, Israele, Lituania, Macedonia, Montenegro, Perù, Polonia, Slovenia, Taiwan, Regno Unito, Stati Uniti (aggiungiamo anche i progressi in Messico, Colombia, Nigeria, Ucraina).  Sebbene la maggior parte di questi Paesi siano ad alto livello di industrializzazione, ogni regolamentazione presenta aspetti che i 38 standard mirano a mitigare: tra tutti, gli scandali relativi alla corruzione che portano le ong e i centri di ricerca ad interrogarsi e interessarsi sempre più sulle normative nazionali in tal senso. È ben specificato che la regolamentazione non è che uno strumento per raggiungere l’obiettivo del maggior livello di eticità delle attività di public affairs; è infatti necessaria anche la disponibilità da parte di decisori e gruppi di pressione a rispettare nel concreto le norme, in modo tale da creare un ambiente di decisione pubblica etico e “fair”. Princìpi guida Il lobbying è un’attività legittima e una parte fondamentale del processo decisionale. la società democratica è basata su un pluralismo degli interessi tra i quali i decisori pubblici devono muoversi per prendere decisioni ragionate in favore dell’interesse generale. C’è un particolare interesse pubblico ad assicurare la trasparenza e l’integrità del lobbying, così come la diversificazione della partecipazione e il contributo alla decisione normativa. Ogni misura normativa per assicurare i primi due principi deve essere proporzionale, adeguata allo scopo e non impedire il diritto individuare di associazione, libertà di opinione e rappresentazione dell’interesse al decisore pubblico. I primi standard riguardano le definizioni di lobbying, decisore pubblico e lobbista. Ne vengono escluse le interazioni tra cittadini e pubblici ufficiali riguardo i loro interessi privati, e tra pubblici ufficiali stessi (decisori pubblici, agenti diplomatici o rappresentanti di Stati stranieri) nell’attuazione delle proprie funzioni pubbliche. Altra sezione riguarda le norme sulla trasparenza. La registrazione deve essere obbligatoria, periodica, prevedere un’attività di reporting delle attività e degli incontri; devono essere pubblicate una serie di informazioni da parte dei lobbisti, tra le quali i documenti presentati e i finanziamenti alla politica; i dati devono essere accessibili, aperti e comparabili; il carico burocratico deve essere minimo, sia per il pubblico che per il privato. È consigliato che i decisori pubblici e gli enti decisionali pubblichino le proprie informazioni, che devono essere chiare, libere ed esaustive. Ulteriori norme dovranno essere previste per raggiungere il maggior livello possibile di integrità. Ai decisori pubblici è raccomandata la sottoscrizione di un codice di condotta di cui sono definiti nello specifico i punti (tra questi, le norme di prevenzione di conflitto di interessi); di rispettare un periodo di cooling-off di almeno due anni prima di lavorare come rappresentante di interessi privati, per prevenire il fenomeno delle revolving doors; di dichiarare, nel caso inverso di provenienza dal settore privato, di non difendere interessi di parte una volta nominati/eletti come decisori pubblici. Norme sull’integrità sono previste anche per i lobbisti o rappresentanti di interesse: anche qui un codice di condotta, standard comportamentali e auto-regolazione. Partecipazione ed accesso: anche qui sono previste norme che puntano alla totale disclosure del settore e che già in alcune democrazie sono attuate, seppur non con l’efficacia richiesta da TI. Sono auspicati il diritto alla partecipazione per ogni tipo di gruppo interessato a un processo decisionale pubblico (anche non organizzato con strutture di lobby), un processo di consultazione pubblico precedente a qualsiasi iniziativa decisionale, la par condicio sia nell’accesso che nella partecipazione alla formazione della decisione, la giustificazione di eventuali rifiuti a richieste portate avanti da gruppi di interesse. Riguardo gruppi di esperti, il legislatore deve prevedere una composizione interna bilanciata includendo tutti i diversi interessi. Riguardo il sistema di controllo, sono raccomandati precisione e tempismo nelle attività di monitoraggio delle attività di relazioni istituzionali; un meccanismo di ricorsi aperto a tutti; una serie di sanzioni, efficaci proporzionate e dissuasive, per la violazione di norme sul registro. Non è però previsto che tipo di ente debba assumere il controllo sulle attività di lobbying: un ente già esistente, o un organo ad hoc? Infine, relativamente al quadro regolatorio generale, è sottolineato l’interesse per il contesto locale sia dal punto di vista territoriale (se si è in presenza di accentramento o decentramento governativo, o se c’è un alto tasso di corporativismo) che sociale (tasso di professionalità dell’attività di lobbying, gruppi sociali presenti e attivi). La revisione annuale dei risultati della regolamentazione dal punto di vista del tasso di eticità e concorrenza dell’intero mercato nazionale è l’ultimo step per garantire un quadro regolamentare completo per la disciplina del lobbying. Link allo studio di Transparency International e alle opinioni in merito della Sunlight Foundation.

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