Italia – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 “Lobbying all’italiana”: il rapporto di Transparency International alla Camera http://www.lobbyingitalia.com/2014/11/lobbying-allitaliana-il-rapporto-di-transparency-international-alla-camera/ Wed, 05 Nov 2014 12:13:13 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2653 La presentazione del rapporto della sezione italiana di Transparency International “Lobbying all’italiana“, presso la Sala della Mercede della Camera dei Deputati, è stata l’ultima occasione di confronto e analisi del sistema lobbistico italiano per professionisti del settore e mondo politico.

I risultati del rapporto: bassi livelli di trasparenza, partecipazione, integrità

Il rapporto (qui il link), annunciato negli scorsi giorni, è stato elaborato da un team tutto italiano composto da professionisti del settore (lobbisti, comunicatori, professionisti del public affairs e delle relazioni istituzionali, tra cui Gianluca Sgueo e Francesco Macchia), esponenti del mondo accademico e membri italiani di Transparency International, ONG sempre attiva sul tema della lotta alla corruzione e della trasparenza che sta portando avanti un progetto di analisi dei sistemi lobbistici di tutti (o quasi) i sistemi europei (atteso per inizio 2015 il report comparativo finale dei 18 ordinamenti analizzati, chiamato “Lifting the Lid on lobbying“, cofinanziato dalla Commissione Europea).

Come per gli altri Paesi precedentemente analizzati, la conclusione dell’organizzazione è stata netta e impietosa: l’Italia necessita urgentemente di una regolamentazione del lobbying e si trova tra i Paesi con il più basso livello di trasparenza in base ai parametri utilizzati. Chiara Putaturo, membro del team di studio assieme a Susanna Ferro e Davide Del Monte per Transparency, ha illustrato i risultati della ricerca, in particolare riferendosi alla valutazione di tre principali indicatori.

Livello di trasparenza, 11%: livello bassissimo, che si spiega per l’assenza di un registro (presente in Italia solo nell’esperienza – ormai conclusa – del MIPAAF o – assai confusamente – a livello regionale). Il “decreto trasparenza” del 2013 ha avvicinato i cittadini alle istituzioni grazie alle previsioni sugli Open Data, ma sia il suo uso, che la sua applicazione, che la sua diretta fruibilità appaiono limitati.

Livello di integrità, 27%: emerge la necessità di codici etici adeguati per lobbisti e decisori. Attualmente, esiste un Codice etico per funzionari statali, mentre per i lobbisti si possono registrare solo le iniziative di Ferpi e de Il Chiostro, le principali associazioni di categoria del settore.

Ultimo indicatore, il livello delle pari condizioni d’accesso, 22%: in Italia sono previste dai regolamenti parlamentari delle consultazioni, che però risultano spesso informali, e per di più la consultazione dei gruppi non è bilanciata da regole che permettano la fruibilità dei risultati di audizioni o studi presentati ai decisori. Risultato finale: 20%.

In effetti, basterebbe citare una ricerca del Global Corruption Barometer del 2013 per comprendere la necessità di una regolamentazione: il 70% cittadini in Italia ritiene che poteri siano corrotti: ciò testimonia che i cittadini conoscono il fenomeno ma lo ritengono opaco. TI Italia definisce il lobbying come “qualsiasi forma di comunicazione da parte di un gruppo di pressione verso decisori per influenzare il processo decisionale”. Il problema essenziale è di natura culturale: più di 50 proposte legislative presentate nell’ultimo mezzo secolo non sono andate a buon fine, e hanno portato, secondo il rapporto, a un tipo di lobbying “ad personam” legato più a rapporti personali che alla discussione di contenuti, e alla convinzione che la figura del lobbista fosse affine a quella del faccendiere o massone. Il Registro Europeo per la Trasparenza è uno dei pochi strumenti in cui è possibile tener conto dei lobbisti che hanno sede in Italia (612 nell’ottobre 2014), ma il carattere volontario e non onnicomprensivo del Registro rende questo dato inconsistente. Il report contiene, infine, delle concrete proposte da parte di TI: un registro pubblico obbligatorio per lobbisti gestito dall’Autorità anticorruzione o dalla Presidenza del Consiglio; la trasparenza dell’iter legislativo; la pubblicità degli incontri e il controllo degli accessi ai decisori politici; un Freedom Of Information Act (con diritto di accesso agli atti pubblici); una regolazione del fenomeno delle revolving doors; un codice etico per i lobbisti (o l’attuazione di linee guida nazionali per la categoria); la tutela e l’indipendenza dei giornalisti, destinando in particolare maggiori risorse e tutele giudiziarie per giornalismo d’inchiesta e indipendente, per ostacolare il fenomeno dei giornalisti “parziali” nei confronti di eventuali finanziatori.

Ben più interessante il riscontro che l’analisi ha poi trovato nel confronto con esponenti, da un lato, del mondo politico e, dall’altro, dell'”industria” del lobbying italiano.

Il mondo politico: ottimi auspici, qualche imprecisione, poca determinazione

Il Sottosegretario di Stato al Ministero delle Riforme costituzionali e Rapporti con il Parlamento, Ivan Scalfarotto, ha considerato tre punti di forza del gruppo che fa lobbying: autorevolezza sociale del gruppo che preme (che deriva dalle maggiori risorse a disposizione, dal maggiore consenso di base o dalla maggiore professionalità sul campo); competenza specifica in un settore (in quanto spesso il lobbista ne sa più del decisore generalista); accesso privilegiato alle sedi delle decisioni (in due modi: conoscenza personale dei decisori maturata con esperienze precedenti; dimestichezza con le procedure decisionali e facilità nell’accesso ai luoghi di decisione). Scalfarotto ha individuato due problemi del fenomeno lobbying: la tenuta dei decisori, ossia la capacità di esporsi e documentarsi sull’argomento; la trasparenza dei lobbisti. Il Governo auspica, da parte propria, una rapida discussione sui ddl in esame alle camere. Punti focali dell’analisi di TI sono la “legge Severino”, che ha previsto piani anticorruzione da mandare a Cantone da parte degli attori pubblici; la statistica sui lobbisti in Italia, la cui attività è concentrata più sulla legislazione di settore che su affari generali e bilancio; la connotazione negativa dei lobbisti in Italia a causa essenzialmente dell’assenza di legislazione.

Anna Masera, responsabile della comunicazione per la Camera dei Deputati, ha espresso un monito sulla richiesta di trasparenza generica portata avanti negli ultimi tempi: secondo la sua opinione, spesso un resoconto scritto dei lavori di una Commissione è uno strumento migliore, più autorevole e professionalmente meglio fruibile di una diretta streaming dei lavori parlamentari, che forse presterebbe il fianco a strumentalizzazioni politiche inficiando la correttezza del processo decisionale.

Il viceministro per le Infrastrutture e i Trasporti e segretario nazionale del Partito Socialista Riccardo Nencini (autore, in particolare, della legge toscana sulle lobby all’epoca del proprio incarico come Presidente del Consiglio regionale),  ha annunciato piccoli passi avanti in materia di regolamentazione delle lobby in seno alle istituzioni nazionali: oltre alla presentazione di un coraggioso emendamento allo Sblocca Italia non ammesso (portato avanti dai deputati del Gruppo Misto – Partito Socialista Italiano (PSI) Pastorelli, Di Lello e Di Gioia), attualmente la Commissione competente del Senato (Commissione 1°, Affari Costituzionali) sta lavorando ai vari ddl sull’attività di rappresentanza di interessi (A.S. 281); inoltre, il 3 novembre scorso il Quirinale ha varato la legge delega sul Codice degli appalti che prevede la parola “gruppi di pressione/lobby” su una legge nazionale per la prima volta. Nencini si è concentrato su diverse questioni riguardanti il lobbying. Il tema decisivo, tralasciato da TI Italia, è la relazione tra gruppi di pressione e alti dirigenti dello Stato, non considerati (erroneamente) influenti quanto i decisori politici. Spesso, infatti, all’interno della struttura amministrativa dei dicasteri sono presenti decision makers più incisivi di chi occupa posizioni politiche pubbliche. Altro tema “caldo”: l’ipocrisia italiana, figlia di una cultura decennale (di stampo “cattocomunista”) che fa sì che ciò che appartiene al mondo del profitto sia nascosto. È la ragione madre per la quale, secondo Nencini non c’è ancora legge sulle lobby. C’è grande difficoltà, nella cultura italiana, di distruggere il campo dell’opacità, attraverso meccanismi presenti in altri ordinamenti. Fondamentale poi è anche l‘individuazione del campo semantico in cui inscrivere l’attività di lobbying: non si tratta solo di combattere meglio la corruzione. Il codice degli appalti è scritto soprattutto per dare efficienza, certezza, semplicità per la realizzazione di opere pubbliche e evitare costi eccessivi. Ulteriore questione urgente riguarda i partiti politici: in Italia non ci sarà più, nei prossimi anni, finanziamento pubblico ai partiti: l’urgenza è di avere maggiore trasparenza per comprendere i fenomeni di fundraising, in particolare il crowdfunding, che nei prossimi mesi si succederanno sul modello anglosassone. Infine: sarà importante offrire opportunità uguali in trasparenza e partecipazione: in particolare, va ridiscusso il rapporto di fiducia, ultimamente degenerato negli ultimi atti del Governo Renzi, molto spesso arrivati alla discussione alle Camere senza poi l’effettiva possibilità di modifiche al testo discusso.

Sono intervenuti alla discussione anche esponenti dell’opposizione all’attuale Governo, l’uno “esterno al partito” (il vicepresidente della Camera per il MoVimento 5 Stelle Luigi Di Maio) e l’altro “interno” (Giuseppe “Pippo” Civati) al partito che detiene l’attuale maggioranza parlamentare, il PD.

Di Maio ha ribadito la necessità, espressa già durante le discussioni sulla Legge di Stabilità 2014 e ribadita in occasione della conferenza con la promessa di documentare con foto “l’assalto alla diligenza” per la discussione della Stabilità 2015, di una maggiore regolamentazione degli accessi ai locali della Camera; si è però detto d’accordo sul che le lobby non siano il male, ma uno strumento fondamentale nel processo decisionale. Di Maio ha però dimostrato scarsa dimestichezza con il termine “lobbista”, forse a causa della ritrosia culturale che spesso porta a definire le “lobby” come esponenti del potere occulto e cattivo, e a confonderle con le attività portate avanti da altri soggetti, spesso definiti da stampa e politica come faccendieri (tirando in ballo anche, erroneamente, la vicenda-Scarpellini).

politiciTra le proposte, quella di sfruttare il principio dell’autodichia (spesso utilizzata dalla Camera e dal Senato per dichiarare illegittimo qualsiasi provvedimento che regolasse le due istituzioni, che detengono la competenza assoluta sull’argomento) per regolamentare l’accesso alle Camere direttamente nei regolamenti parlamentari, e in particolare vietare o registrare l’accesso di chi, in qualità di giornalista parlamentare o ex parlamentare o, ancora, invitato su discrezione di personale delle Camere o parlamentari, ha maggiori opportunità di influenzare il decisore rispetto a chi non possiede gli stessi strumenti di relazione. In realtà, a detta del vicepresidente della Camera, non è stato ancora messo all’ordine del giorno un provvedimento in materia (“per cui basterebbe il parere positivo di sole 20 persone nell’ambito della Presidenza della Camera”), ed è ravvisata una volontà politica rimasta inespressa all’interno del Parlamento.

Civati si è detto d’accordo ad attribuire il controllo dell’eventuale registro dei lobbisti all’antitrust, piuttosto che all’autorità anticorruzione, per dare sin dall’inizio un’immagine positiva all’attività di lobbying; si è detto altresì favorevole a regole di trasparenza per i politici. Non si è però mostrato fiducioso sul Governo (che non ha in programma un’iniziativa diretta, il che fa presupporre l’indisponibilità a produrre sul tema un decreto legge, attualmente principale fonte di produzione di norme in Italia), ponendo l’accento sulla questione della “disintermediazione” e del mancato bilanciamento tra Governo e Parlamento.

I lobbisti: bisogno di regole per crescere in autorevolezza

tavolo lobbistiLa parola è poi andata ai lobbisti, e in particolare ai rappresentanti delle due maggiori associazioni di settore: Giuseppe Mazzei, presidente de Il Chiostro – per la trasparenza delle lobby, e Patrizia Rutigliano, di FERPI.

Mazzei, nel ricordare che la propria associazione è stata tra le prime a proporre un codice etico volontario per chi esercita attività di pressione, ha specificato che la normativa sul lobbying non significa necessariamente anticorruzione, ma piuttosto partecipazione e miglioramento della qualità della normazione. “Se non c’è regolamentazione è colpa di lobby “occulte”, come quelle burocratiche. Va bene che vigili l’autorità anticorruzione, ma quando il legislatore si è occupato di questo ha realizzato un reato, il “traffico di influenze illecite”, rivelatosi una norma che è interpretabile troppo largamente e quindi inutile. Infatti, non si spiega cosa sia “indebitamente” e cosa sia illecito”, le sue parole. Mazzei si aspettava la diretta applicazione da parte del Governo di nuove regole sul lobbying, come contenuto del DEF 2014. Altro punto importante da affrontare è la lotta ai conflitti di interesse, in particolare all’accesso indebito di soggetti che rappresentano interessi privati in modo opaco (ex parlamentari, giornalisti). Ulteriore questione su cui focalizzarsi, infine, è il finanziamento della politica: “Deve essere chiaro che il finanziamento non è un corrispettivo per poi avere una decisione favorevole. Otto anni fa Il Chiostro ha applicato un codice etico per evitare di utilizzare il finanziamento come strumento di lobbying. Tutti gli iscritti lo devono rispettare. I lobbisti non sono quelli che fanno relazione, ma trasmettono contenuti, e una regolamentazione eviterebbe il lobbismo di relazione. Inoltre, le sanzioni devono essere non penali, ma pecuniarie e disciplinari. Il codice etico deve far parte della regolamentazione, con norme severissime per l’immagine dei lobbisti e del Paese. E qui richiamo anche i giornalisti: presentare le lobby come negative è lesivo per la cultura dell’Italia”.

Patrizia Rutigliano, presidente di FERPI, associazione che riunisce comunicatori e lobbisti, afferma che “anche la comunicazione finanziaria deve essere regolamentata per evitare generalizzazioni negative. Sono attività che servono per promuovere valori delle aziende. Aziende e PA spesso vanno insieme, per quanto riguarda i rapporti di consulenza. La regolamentazione deve tenere conto di tutti gli attori: ONG, sindacati, politici, aziende, associazioni. L’autorità super-partes non deve essere l’anticorruzione, perché ha la tendenza a bloccare ciò che si sviluppa, e porterebbe a distorsioni come il reato di traffico di influenze. Necessarie accountability e trasparenza, ma attenzione a quest’ultimo concetto: mettere tutto sul sito web in maniera disequilibrata può essere nocivo. A volte non si possono rendere pubblici elementi strategici dell’azienda, soprattutto per società quotate. Lo studio sulla regolamentazione deve contenere tutte le norme presentate dai parlamentari, ma bisogna ascoltare tutti i portatori di interessi per avere un’idea onnicomprensiva del fenomeno”.

Gianluca Comin, comunicatore, giornalista, lobbista, durante la propria carriera ha avuto modo di approfondire tutti gli aspetti del lobbismo italiano. Secondo Comin la regolamentazione della materia è necessaria per tre motivi: il nuovo modo di lavorare del lobbista, la richiesta portata avanti dai lobbisti stessi e le nuove regole sul finanziamento della politica. L’ex capo delle relazioni istituzionali di Enel ha affrontato due aspetti sempre più importanti nell’attività di relazione: il nuovo ruolo dei social e la necessità sempre maggiore di conoscere gli aspetti giuridici della materia. Punti fermi di una legge sulle lobby, affermati più da lobbisti che da decisori, secondo lui devono essere “la trasparenza reciproca (ad esempio, predisponendo un elenco con gli obiettivi di chi fa lobbying e una lista degli incontri dei decisori pubblici), necessaria al momento in cui i partiti faranno fundraising (tutto trasparente in America); la previsione di incompatibilità (per una migliore chiarezza dei ruoli sarebbe, ad esempio, auspicabile il metodo utilizzato per gli avvocati, che devono sospendere l’iscrizione all’albo per esercitare altre professioni). Chi deve controllare tutto? Antitrust, camere, anticorruzione, ma anche una commissione terza ex-novo come in Gran Bretagna. Legarsi all’anticorruzione però sarebbe danno di immagine, serve un soggetto terzo, serio e autorevole, e lo richiedono i lobbisti stessi”. Anche in questo caso, la raccomandazione finale al governo riguarda “il futuro problema del finanziamento di partiti e movimenti. È ipocrita essere eletti senza finanziamenti, di cui devono occuparsi dei professionisti, come accade per il no profit. Serve regolamentare il crowdfunding, per il quale sono necessarie l’autorevolezza di chi chiede i soldi e la professionalità nelle tecniche di fundraising”.

Lelio Alfonso, anch’egli con diverse esperienze professionali nel campo della politica (lobbista, politico, manager, docente universitario) ritiene “necessario riaprire il tema di riforma dei regolamenti parlamentari, abbandonato ultimamente, così come quello della semplificazione delle leggi e della burocrazia. Il Parlamento, poi, è troppo spesso svuotato della capacità di legiferare (i voti di fiducia hanno tagliato fuori il Legislativo). C’è la possibilità di cambiare i regolamenti, e tutto avverrebbe a costo zero; le due camere hanno regolamenti diversi e si sta cambiano quella col regolamento migliore. Ruolo ostativo da parte dei burocratici? No, sono professionisti che spesso aiutano i lobbisti per far capire meglio ai decisori la posizione. Riguardo le authority, meglio l’antitrust piuttosto che cercarne un’altra nuova, ce ne sono abbastanza. In ogni caso, il buon professionista aiuta a fare leggi migliori, e il Paese ne deve essere grato. Serve massima accountability per un’attività che non è assolutamente ostacolo alle scelte della collettività”.

zanettoUltimo tra i lobbisti a parlare è stato Paolo Zanetto, che ha partecipato al gruppo di lavoro di Transparency è ha espresso la necessità di una legge sul lobbying, “per due ragioni. La prima è storica: al momento la compensazione degli interessi è sempre più frequente, a causa del continuo ricorso al decreto legge governativo e alla poca abitudine del governo di utilizzare consultazioni pubbliche, il che crea necessariamente presupposto per azioni di lobbying a porte chiuse (nella fase di gestazione del provvedimento) o di molti emendamenti nella fase successiva dell’iter. Secondo, l’esigenza di trasparenza nel quadro del finanziamento della politica. Oggi la politica deve adattarsi in ottica della fine del finanziamento pubblico ai partiti (lo testimoniano le due cene di fundraising del PD). Se questa è la direzione intrapresa da quel partito, è necessaria la trasparenza. Non si parla di compliance, ma di atteggiamento culturale che sta cambiando. Anche Cattaneo & Zanetto presenterà a breve un’iniziativa sulla trasparenza”.

Conclusioni: un quadro ancora incerto, in attesa di passi concreti del Governo

In conclusione, il confronto è stato utile per ravvisare le principali problematiche del fenomeno lobbistico in Italia e le diverse istanze in merito. L’iniziativa di Transparency International Italia è risultata opportuna per la discussione però, in molti casi, non ha considerato alcuni aspetti dell’attività di lobbying (su tutti, il grande potere delle strutture ministeriali) che in Italia sono caratteristici e non possono essere affrontati come negli altri casi europei analizzati. Non sono state portate avanti proposte concrete sulla regolamentazione, in particolare sullo strumento da utilizzare per attuare una legge sulle lobby (decreto governativo? Disegno di legge di iniziativa parlamentare? Norme ministeriali? Regolamenti parlamentari?). Sono state ravvisate anche alcune imprecisioni, o forse imparzialità, nella definizione di lobbying (basta definire “comunicazione” ogni tipo di attività di lobby che va dall’articolo di giornale, alla commissione di uno studio a un think tank, alla vera e propria attività di presentazione degli emendamenti?), di lobbista (i sindacati sono lobby?) e di decisore pubblico (lo sono solo i ministri e parlamentari, o anche i membri del Gabinetto o delle Direzioni Generali dei ministeri?).

La richiesta, a più voci, è diretta soprattutto al Governo e punta ad un’iniziativa forte e decisa al di là di vuoti proclami lasciati poi irrealizzati. Si rende necessario un sostegno dell’iniziativa parlamentare da parte dell’Esecutivo, ormai in Italia vero e proprio fulcro decisionale, senza la quale la regolamentazione omogenea e nazionale del lobbying diventa irrealizzabile.

(GattoGiov)

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Spagna, il 93% dei lobbisti richiede la regolamentazione della propria attività. E in Italia? http://www.lobbyingitalia.com/2014/10/spagna-il-93-dei-lobbisti-richiede-la-regolamentazione-della-propria-attivita-e-in-italia/ Fri, 03 Oct 2014 17:54:14 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2599 (Giovanni Gatto) Il 93% dei lobbisti spagnoli richiede la regolamentazione della propria attività, secondo il sondaggio interno condotto lo scorso giugno tra i membri dell’Associazione dei Professionisti delle Relazioni Istituzionali, che aveva l’obiettivo di fare una “radiografia” del settore in ambito spagnolo. Grazie ai risultati dell’indagine è stato possibile delineare chiaramente quale fosse il profilo medio del lobbista spagnolo, a quali settori questi fosse interessato per la maggiore e quale forma di regolamentazione fosse maggiormente adatta al modello di attività di lobbying del Paese.

Secondo l’indagine, nella maggior parte dei casi il lobbista spagnolo lavora in una impresa, sia essa una società di lobbying (31%), o un’azienda che abbia al proprio interno una divisione lobby o relazioni istituzionale (25%), e si occupa principalmente di uno di questi settori: sanità (25%), ICT e Media (24%) o energia (13%). Quasi tutti i membri di APRI (93%) vogliono la regolamentazione del lobbying, che doti i lobbisti di maggiore trasparenza e autorevolezza attraverso la creazione di un Codice di Condotta e di un Registro Universale per l’accesso ai poteri legislativo ed esecutivo, simile o, se possibile, ancora più restrittivo e cogente di quello che si applica al Parlamento e alla Commissione dell’Unione europea.

Anche in campo politico è possibile trarre dalle cifre e dalle dichiarazioni l’interesse reale per una regolamentazione del lobbying, sebbene i numeri dei favorevoli siano più contenuti rispetto a quelli riscontrati tra i professionisti del settore. “La lobby difende i suoi interessi, non l’interesse pubblico. Chi deve difendere l’interesse generale è il legislatore: è lui a ponderare tutti gli interessi in gioco e scegliere quale decisione sia la migliore per tutti. È positivo che si possa fare attività di lobbying? Può il legislatore tenere in conto tutti gli interessi? Ascoltare tutti sì, scegliere tutti no”, sostiene Jordi Jané, membro del partito CiU al Congresso dei Deputati, intervenuto in occasione della presentazione del rapporto “La lobby nel nuovo quadro normativo”, alla presenza di più di 600 politici di 20 paesi dell’Unione europea. La maggior parte di questi concorda sul fatto che il lobbying sia una pratica necessaria per le democrazie: l’86% si è dichiarato d’accordo che una lobby etica e trasparente contribuisse allo sviluppo della politica. Il Partito Popolare ha preferito non regolamentare l’attività di lobbying, pur impegnandosi a farlo in una prossima revisione del regolamento del Congresso dei Deputati. “Considero questa opzione – ha dichiarato Jané – chiaramente insufficiente: il luogo in cui si prendono le decisioni della massima importanza è l’esecutivo. Limitarsi al Congresso è una soluzione parziale”.

Ma le differenze tra le opinioni dei politici si svelano a seconda di dove questi svolgono le loro attività. In Spagna, solo il 5% degli intervistati ritiene che i lobbisti diano un peso eccessivo alle élite e ai più ricchi. La media europea è del 24%. Se la domanda riguarda invece la mancanza di trasparenza, quasi la metà dei politici spagnoli pensa che dovrebbe essere migliorata, mentre in Europa lo pensa solo il 26%. Il 34% dei legislatori spagnoli vede utile la creazione di un registro obbligatorio: 20 punti sotto la media europea e quasi 40 rispetto ai decisori nelle istituzioni dell’Unione europea, dove c’è una maggiore regolamentazione (ma anche scandali dalla portata maggiore, come quello che ha coinvolto il Commissario alla Salute Dalli).

A tal proposito, recentemente la Spagna era stata richiamata dalla ONG Transparency International per la mancanza di una regolamentazione del lobbying con la conseguente assenza di trasparenza dei processi decisionali: con questa presa di posizione, l’associazione dei lobbisti mette ulteriore pressione sul governo Rajoy per accelerare un processo partito ormai diversi mesi fa e arenatosi in occasione delle elezioni comunitarie.

Anche in Italia, negli ultimi mesi, la discussione sulla regolamentazione delle lobby ha coinvolto rappresentanti del mondo politico, professionale e accademico. Il segretario del PSI Nencini, già autore della regolamentazione regionale toscana sui gruppi di interesse ai tempi del proprio mandato come Presidente del Consiglio Regionale, ha espresso il desiderio di inserire una regolamentazione delle lobby nel codice degli appalti in discussione attualmente al Senato, promuovendo una tavola rotonda il 4 ottobre a Firenze alla presenza di rappresentanti del mondo lobbistico e politico; il MoVimento 5 Stelle ha promosso un incontro sul tema (qui il link), che si è tenuto il 25 settembre a Roma; una serie di articoli del prof. Pier Luigi Petrillo, a capo del team che si è occupato della gestione del registro per la trasparenza del MIPAAF (uno dei pochi esempi attuali di regolamentazione organica del fenomeno, riferita a un Ministero) ha incoraggiato la ripresa delle discussioni sul tema (qui il primo articolo). Ma proprio nei giorni scorsi è arrivata la notizia che una regolamentazione del lobbying non rientrasse tra le priorità del governo, e che non ci sarebbero stati altri d.d.l. governativi a breve termine. E dire che le proposte ci sono e provengono, numerose, da diversi soggetti: urgono passi decisi e consapevoli della necessità di una regolamentazione del settore.

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Legge sulle lobby, il tempo è ormai scaduto (Lettera43) http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/legge-sulle-lobby-il-tempo-e-ormai-scaduto-lettera43/ Wed, 24 Sep 2014 16:02:43 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2509 (Gianluca Comin*) Trasparenza. Incompatibilità. Autorevolezza del controllore. I punti fermi del testo che Renzi deve mettere nero su bianco. Dopo i tentativi a vuoto di Prodi, Monti e Letta.

È giunto il tempo di mettere mano alla legge sulle lobby. Anzi il tempo è bello che scaduto. E ogni giorno di ritardo non fa che accrescere il divario di pensiero tra i legittimi “portatori di interessi” e una volgata comune che li definisce faccendieri. In mezzo, le istituzioni e i funzionari pubblici che un po’ resistono e un po’ si lamentano dell’invadenza dei lobbisti.
Quindi, basta polemiche e rivendicazioni: si metta a punto un testo e si porti all’approvazione in tempi non biblici, perché comunque arriveremo tardi, persino dopo il Cile che proprio quest’estate ha reso operativo un regolamento stringente, ideato dal governo di destra di Piñera e approvato da quello di sinistra della Bachelet.

SERVE IL CORAGGIO DI RENZI. Nel mondo dei professionisti in realtà si è convinti che questa è #lavoltabuona. Dopo i tentativi del governo Prodi (2007), di Monti (2012) e di Letta (2013) ci vuole il coraggio e la capacità di innovazione di Renzi per rompere luoghi comuni e mettere nero su bianco un testo che ci renda pari agli altri Paesi europei, se non agli Stati Uniti.
Ora si aprirà un fitto dibattito sui dettagli e il sasso l’ha già lanciato nei giorni scorsi con competenza il professor Pierluigi Petrillo, autore tra l’altro dell’unico albo ancora in vigore (ma ben poco applicato), quello del ministero dell’Agricoltura introdotto dall’allora ministro Mario Catania. Mettiamo qualche punto fermo.

1. Trasparenza. È l’ingrediente principale di qualsiasi regolamentazione. Che poi avvenga con un albo al quale obbligatoriamente iscriversi, con un registro volontario o con altre formule sono dettagli. È importante che si sappia che Mario Rossi rappresenta quel gruppo di interessi aziendali, sindacali, associativi, ecc. Altrettanto trasparente deve essere il processo legislativo. Il governo Renzi è sulla buona strada. Il power point seguito da un fitto dibattito online con gli interessati assomiglia alle tecniche europee del libro verde e delle consultazioni regolare. Poi però il processo legislativo da noi e non da ora diventa opaco, spesso in mano a funzionari che anche la politica ha difficoltà ad indirizzare. Quindi trasparenza nel ruolo e nel drafting legislativo. Un esempio? Eccolo.
2. Incompatibilità. Se Paola Bianchi fa la parlamentare, l’assistente parlamentare, il funzionario o il dipendente pubblico, ma anche se fa la giornalista, non può fare la lobbista. Rendiamo netta la separazione e, secondo alcuni, introduciamo anche la norma sul revolving door già in vigore per le autority che impone un periodo di astensione nel passaggio dal pubblico al privato? Su questo punto ho dei dubbi. Secondo me basta la trasparenza, cioè il sapere che Paola Bianchi è una ex parlamentare e si occupa di infrastrutture. Vedremo.
3. Autorevolezza del controllore. Perché la legge non rimanga lettera morta qualcuno si deve occupare a certificare che Mario Rossi è un lobbista ed a rendere cogenti le norme applicate. Può essere una Agenzia, una Autority o la presidenza del Consiglio. Basta andare a vedere quello che fanno gli inglesi, che con una rigorosa selezione hanno nominato, per la presidenza del Registro pubblico dei lobbisti, Alison White (ex Royal Mail, ex Federfarma britannica, ex Business Link West Midlands , ex Ordine degli odontoiatri, quindi esperienza pratica e non figura da astratto legalese) la cui prima dichiarazione è stata: «Mi piace pensare di essere un osso duro. Sono una persona molto resistente e determinata». Rispondeva al labourista Paul Flynn le cui parole sentiamo spesso echeggiare anche nelle nostre aule parlamentari: «I lobbisti sono persone molto preparate, persuasive e ambigue. Stai per prendere clienti molto difficili. Cosa c’è nella tua esperienza che ti può suggerire come affrontare questi mostri?».

* Professore di Strategie di Comunicazione, Luiss, Roma

Fonte: Lettera43.it

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Euronews: Politica esautorata e leggi inutili, la miscela che paralizza l’Italia http://www.lobbyingitalia.com/2014/03/euronews-politica-esautorata-e-leggi-inutili-la-miscela-che-paralizza-litalia/ Mon, 17 Mar 2014 09:10:47 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2199 Sergio Rizzo, Corriere della Sera: “Roma veramente è la città che in sé riassume tutti i simboli del potere di questo Paese, nel passato e nel presente. Questa è una città nella quale da 2767 anni ininterrottamente si esercita il potere”.

Guarda il video del reportage di Enrico Bona.

Oggi il potere in Italia è nelle mani di Matteo Renzi e della sua squadra di ministri. E’ il terzo governo che vede la luce in poco più di due anni e mezzo. Come i due che lo hanno preceduto, è nato da un’intesa di palazzo, allo scopo di fare alcune riforme giudicate indispensabili per rimettere l’Italia sui binari della crescita. Di queste riforme si parla da tempo, ma si è fatto poco. Come se la macchina legislativa fosse inceppata. O la politica avesse perso la capacità di decidere.

Rizzo: “Negli ultimi anni di fatto la burocrazia si è impadronita del processo legislativo. Sono loro che fanno le leggi. Le scrivono dentro i ministeri, dopodiché le leggi vanno in Parlamento ed escono dal Parlamento approvate con l’obbligo, per essere attuate, di fare delle ulteriori norme, che devono fare sempre gli stessi che hanno scritto la legge. Quindi di fatto il Parlamento si limita a ratificare quello che scrivono i superburocrati nei ministeri e qui vengono fuori i conflitti di interessi più incredibili”.

Negli ultimi cinque anni, sono state fatte circa 480 nuove leggi in materia fiscale in Italia. Di queste leggi, una sessantina hanno semplificato il sistema; le altre lo hanno reso ancora più complicato. Ma, affinché le leggi entrino in vigore, come spiegava Sergio Rizzo, spesso è necessario un passaggio aggiuntivo: un regolamento la cui stesura è affidata agli alti burocrati. Antonio Catricalà è stato per anni e fino a pochi mesi fa un esponente di questa elite selezionatissima.

Antonio Catricalà, ex vice ministro per lo Sviluppo economico: “Molto spesso il regolamento serve davvero perché le norme da creare sono estremamente complesse e tecniche. Altre volte invece il regolamento nasce dall’esigenza di chiudere l’accordo politico. Allora, c‘è un punto controverso? In Parlamento ci si mette d’accordo che quel punto sarà poi risolto con un regolamento. Ma questo poi non succede”.

Un Parlamento che non decide rende i funzionari della pubblica amministrazione ancora più potenti, conferendo loro un ruolo politico. Una vera forzatura, tenuto conto che non sono eletti e che non decadono automaticamente con la fine di un governo.

Luigi Tivelli, ex consigliere parlamentare alla Camera: “Arriva un ministro, fa un contratto di cinque anni a un direttore generale. Poi il ministro che gli succede un anno e mezzo dopo, perché cade il governo e arriva un governo di un altro colore un anno e mezzo dopo, eredita il direttore generale che era del colore dell’altro ministro. E allora questo direttore generale, o cambia casacca – è diffuso il fenomeno dei cambi di casacca nella nostra burocrazia – oppure fa di fatto opposizione al nuovo ministro”.

La costituzione prevede che gli alti dirigenti della pubblica amministrazione siano selezionati per concorso pubblico tra i membri del Consiglio di Stato, i giudici del Tribunale amministrativo e pochi altri organi ristretti. Oggi funzionari di governo e domani magistrati, o viceversa.

Stefano Rodotà, giurista: “Spesso, il Consigliere di Stato si trova poi a essere giudice nell’applicazione della legge. Perché ci sono leggi che ha scritto lui, materialmente, che ha collaborato a scrivere con il ministro. Dopo, se torna a fare il giudice, sarà lui a stabilire, a prendere la decisione sulla base di una legge che ha scritto lui. Quindi c‘è anche una sorta di conflitto: dovrebbe esserci sempre una separazione tra chi ha legiferato e chi poi fa il giudice”.

Dal 1889, la sede del Consiglio di Stato è a Palazzo Spada, uno degli edifici più maestosi della Roma barocca. Nel cortile, la falsa prospettiva di Francesco Borromini crea l’illusione che la statua in fondo sia a grandezza naturale, mentre invece misura solo 60 centimetri.

Il governo Renzi sta tentando di fare qualcosa di simile con la burocrazia, ridimensionando il potere che ha acquisito negli anni.

Rodotà: “Il ministro nuovo può cambiare il vertice dell’amministrazione, i direttori generali, ha tre mesi per farlo. Quindi dire che io sono paralizzato dal fatto che ricevo un’eredità dal passato, oggi, non è del tutto vero. Secondo: la scelta del mio capo di gabinetto, del mio capo dell’ufficio legislativo, è assolutamente libera”.

Una burocrazia debordante e l’eccesso di regolamentazione frenano le spinte riformiste. Ma in Italia il problema è più grave: spesso mancano le regole che servirebbero di più, come quelle che tracciano una netta linea di confine tra attività politica e interessi privati.

Pier Luigi Petrillo, docente di Teoria e Tecniche del Lobbying, Unitelma Sapienza di Roma: “Se un parlamentare non viene rieletto, può diventare lobbista. Può cioè fare attività di lobbying nei confronti dei suoi ex colleghi. E’ una cosa che in Italia succede spesso. Anche perché l’ex parlamentare ha libero accesso in Parlamento. E’ lecito, non è vietato, ma è certamente un’anomalia del nostro sistema”.

A differenza di quanto accade nella maggior parte dei paesi europei e non solo in quelli, in Italia non esiste un registro dei lobbisti. Una lacuna che rende il sistema ancora più opaco e incoraggia fenomeni di corruzione.

Franco Spicciariello, lobbista, Open Gate Italia: “L’assenza di regole riguardo l’attività di lobbying in Italia deriva principalmente da una scelta politica. Considera che oltre cinquanta proposte di legge sono state presentate a Camera e Senato negli ultimi quarant’anni, e mai nemmeno una è arrivata alla discussione in aula. Quindi la scelta della politica è stata sempre molto chiara. Ci sono stati anche un paio di tentativi di governi, prima sotto Prodi e poi nell’ultimo governo Letta: in entrambi i casi, non si è mai andati avanti”.

Pier Luigi Petrillo faceva parte del gruppo di esperti che l’anno scorso furono incaricati dal premier Letta di elaborare nuove regole di trasparenza e ci spiega perché il Consiglio dei Ministri ha respinto le loro proposte: “Imporre a un ministro o a un parlamentare di tenere un’agenda in cui indica in modo dettagliato tutti gli incontri avuti con i portatori di interessi a 360 gradi, quindi non soltanto con le lobby del settore economico e del settore bancario, ma con tutti i portatori di interessi, dalle associazioni di categoria alle associazioni civili alle associazioni religiose fino ad arrivare alle grandi multinazionali… ecco: questi obblighi venivano considerati eccessivi”.

Nel suo ultimo rapporto, la Commissione europea afferma che la corruzione in Italia è un fenomeno diffuso tanto nel settore pubblico quanto in quello privato. Un sistema che favorisce i poteri forti e intrappola il Paese in un abbraccio asfissiante tra affari, politica e burocrazia.

I rimedi sono noti. Si tratta di metterli in pratica.

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Lobby e lobbisti – Il Post http://www.lobbyingitalia.com/2013/12/lobby-e-lobbisti-il-post/ Wed, 25 Dec 2013 16:28:53 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=1965 Lo scorso 21 dicembre alla Camera i deputati del Movimento 5 Stelle hanno mostrato alcuni cartelli con scritto “Caro PD decido io” e la foto di Luigi Tivelli, ex funzionario della Camera, definito un «lobbista mandato per controllare l’azione del PD». Il parlamentare del M5S Giorgio Sorial, nella stessa occasione, ha detto che «a decidere in Parlamento sono i lobbisti»; Beppe Grillo sul suo blog ha scritto che il Partito Democratico è «schiavo delle lobby d’oro».

La protesta dei deputati del Movimento 5 Stelle sembra essere abbastanza chiara ma non è altrettanto chiaro se la parola “lobby” e “lobbista” (o “lobbysta”) sia da loro utilizzata in modo corretto o improprio. “Lobbista” non è infatti né una parolaccia né un’offesa, ma è piuttosto una professione che in alcuni stati – e anche nelle istituzioni comunitarie europee – è prevista e regolamentata, e in generale non implica nulla di particolarmente insano in una democrazia.

“Lobby” è un termine inglese che deriva a sua volta dalla parola latina che significa “loggia”, “tribuna”: in origine è stato utilizzato nel Diciannovesimo secolo per indicare nella Camera dei Comuni, una delle due assemblee che costituiscono il Parlamento britannico, il luogo dove i deputati incontravano il pubblico e, in particolare, i rappresentanti dei vari gruppi di interesse. Le persone che aspettavano i parlamentari nella lobby per parlare con loro furono quindi col tempo chiamati “lobbyists”. Oggi la parola “lobby” significa “gruppo di pressione”: indica genericamente un gruppo di persone che cerca di esercitare la propria influenza sul potere politico e amministrativo per difendere un interesse. Anche un sindacato, un’associazione studentesca, un’associazione di commercianti o di imprenditori, un’organizzazione per i diritti umani, in questo senso, svolgono attività di lobbying: cercano di fare pressioni sui politici perché tengano conto dei loro interessi – e di quelli delle persone che rappresentano – nel fare le leggi.

Nello specifico, però, ci sono società e figure professionali che si occupano direttamente e specificamente dell’attività di lobbying, “su commissione”: un’azienda interessata all’approvazione di una determinata legge, insomma, può stipulare un contratto con una società o una persona specializzata in lobbying perché queste facciano pressione sui politici per una determinata questione. Le modalità di azione di queste pressioni possono essere più o meno lecite: questo dipende in gran parte dal fatto che le attività di lobbying siano regolamentate a livello istituzionale o si svolgano invece senza alcun controllo normativo.

Le azioni delle lobby possono limitarsi a una serie di comunicazioni e contatti con i rappresentanti della politica – presentare dati e rapporti a sostegno della loro posizione – o organizzarsi in vere e proprie campagne per influenzare l’opinione pubblica, per finanziare le campagne elettorali, per promuovere scioperi o proteste organizzate e tradursi, dunque, in domanda politica. La forza delle lobby dipende prevalentemente dalla loro disponibilità di risorse economiche, numeriche, e dal livello di influenza che le lobby stesse sono in grado di esercitare: conoscenze personali, accesso ai luoghi in vengono prese le decisioni e ai canali di pressione più importanti (come per esempio i media).

La definizione di “lobby” del dizionario di economia e finanza dell’Enciclopedia Treccani fornisce un quadro piuttosto completo delle opportunità e dei rischi di queste attività.

I gruppi di pressione possono concorrere al bene della democrazia nella misura in cui – agendo dall’interno delle istituzioni e non dal loro esterno, in quanto riconosciuti e regolamentati – la loro molteplicità e interazione diano luogo a una ‘competizione’ che realizzi un equilibrio tra spinte e pressioni contrastanti, volto al conseguimento dell’interesse generale (visione pluralista). Possono, al contrario, rappresentare un ostacolo o un pericolo per l’interesse generale, quando il processo democratico sia dominato da un numero esiguo di gruppi di pressione ‘speciali’ – ossia raramente regolamentati e articolati – che difendono interessi parziali, o quando, più in generale, lo Stato si ponga come unico detentore dell’interesse comune, che difende contro interessi particolari giudicati perturbatori, anche se tollerati (visione democratica classica).

La prima visione coincide con il modello anglosassone e statunitense di lobbying, in cui si accorda legittimità alle attività dei gruppi di pressione; la seconda con il modello latino-francese, in cui tali gruppi difficilmente sono riconosciuti come elementi costitutivi della democrazia.

L’attività di lobbying è regolamentata in Australia, Canada, Germania, Polonia, Stati Uniti, Ungheria, Taiwan e anche nella Commissione e nel Parlamento europeo. Il Libro Bianco della Commissione UE del 2001, il Libro Verde del 2006 e il Registro europeo dei rappresentanti di interessi del 2007 hanno stabilito una regolamentazione dell’attività delle lobby all’interno delle istituzioni europee: un sistema di registrazione su base volontaria, un codice di condotta comune e un sistema di controllo e di sanzioni da applicare in caso di violazione del codice. Sono iscritti al registrocirca 5.400 gruppi di pressione che appartengono al mondo economico o alla cosiddetta società civile organizzata, diverse ONG e alcuni sindacati. Qualche esempio di lobby presente nel registro dell’UE e con sede in Italia: Altroconsumo, Legambiente ONLUS, Slow Food.

In Italia, invece, il lobbismo non è regolamentato dal punto di vista normativo: nel corso degli anni sono stati presentati diversi disegni di legge per rendere più trasparente l’attività dei vari gruppi, ma nessuno è mai stato approvato.Tra questi il cosiddetto “ddl Santagata”, presentato durante il secondo governo Prodi nel novembre del 2007 dal ministro per l’Attuazione del programma di governo Giulio Santagata. Anche l’attuale governo Letta si sta occupando della regolamentazione delle lobby e ha creato un gruppo di lavoro incaricato di redigere un nuovo disegno di legge. Il gruppo, coordinato dal segretario generale di Palazzo Chigi Roberto Garofoli e da Pier Luigi Petrillo, professore di Teoria e tecniche del lobbying alla LUISS, ha presentato il testo durante il Consiglio dei ministri del 5 luglio 2013 che ha però rinviato l’approvazione per ulteriori approfondimenti. Il testo prevedeva l’istituzione di un albo dei lobbisti, affidava il loro controllo all’Antitrust, chiedeva regole e limiti all’attività di pressione. E, soprattutto, prevedeva l’obbligo dei ministri di redigere una relazione che desse conto dei loro rapporti con queste persone e le società che essi rappresentavano.

In assenza di una normativa a livello nazionale, alcune Regioni hanno approvato delle leggi per regolamentare l’attività delle lobby: il Molise e anche la Toscana, con lo scopo di favorire la presenza di soggetti rappresentativi di interessi nell’attività politica e amministrativa della Regione e migliorare la trasparenza della politica.

Fonte: IlPost.it

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Confindustria: accordo con Confservizi per fare lobby più incisiva http://www.lobbyingitalia.com/2013/11/confindustria-accordo-con-confservizi-per-fare-lobby-piu-incisiva/ Wed, 20 Nov 2013 15:41:32 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=1868 Un accordo organizzativo della durata sperimentale di un anno e’ stato sottoscritto oggi dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi e dal presidente di Confservizi Giancarlo Cremonesi con l’obiettivo di sperimentare a breve termine forme di collaborazione volte a una maggiore incidenza delle azioni di rappresentanza presso le istituzioni e i decisori politici (vedasi alla parola “lobbying”), ampliando il campo delle iniziative sui temi di interesse comune.

In una fase successiva – informa Confindustria in una nota – si costituirà un tavolo tecnico tra le due organizzazioni che avrà il compito di verificare le condizioni per avvicinare, con formule flessibili e focalizzate sui singoli contesti associativi e sulle singole esigenze di rappresentanza, il mondo delle imprese municipalizzate al sistema confederale.

 

Fonte: Il Sole 24 Ore Radiocor

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Vent’anni da sporco lobbista http://www.lobbyingitalia.com/2011/01/ventanni-da-sporco-lobbista/ Sat, 01 Jan 2011 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2011/01/ventanni-da-sporco-lobbista/ Il lettore apprezzerà non soltanto la franchezza e lo stile disteso di Ventanni da sporco lobbista, il saggio di Fabio Bistoncini (Guerini e associati, 187 pagine, 18,50 euro) dovrà chinare la testa davanti al coraggio del libro.
Perché in queste pagine anche chi oggi aderisce acriticamente alla tesi prevalente. e ingiusta, che In Italia vede il lobbista come il sotterraneo e inevitabile corruttore della politica e dei costumi, troverà pane per i suoi denti e per i suoi dubbi. Anche e soprattutto mentre le cronache si affollano dei presunti scandali dei vari Gigi Bisignani e Vincenzo Morichini.

Bistoncini, dal 1996 fondatore e partner di Fb & Associati, racconta e svela decine di casi concreti. E attraverso tanti esempi spiega efficacemente che il lobbismo è connaturata a tutte le democrazie compiute. Oscar Giannino, nella prefazione, va oltre: poiché il governo come espressione della volontà generale rousseauiana è l’anticamera del totalitarismo, sostiene, meglio mille lobby trasparenti. E anche Giannino ha perfettamente ragione.

Maurizio Tortorella – Panorama

«Il libro è per metà un buon manuale che spiega ai non addetti ai lavori della comunicazione pubblica e istituzionale in che cosa consista oggi il lobbismo […] Per l’altra metà, invece, […] è un’autodifesa pubblica, l’orgogliosa controarringa riservata a tutti coloro – in primis, la stampa – che usano il termine di lobbista per descrivere i tanti faccendieri che inducono politici e pubblica amministrazione a declinare discrezionalmente i propri poteri per favorire, extra legem e contra legem, gli amici degli amici.

Condivido appieno la difesa del lobbismo, che nulla ha a che vedere coi faccendieri imbratta-appalti o corrompi-commesse.» (dalla prefazione di Oscar Giannino) Nel nostro Paese, il termine lobby è utilizzato per spiegare le azioni di corruttela da parte di gruppi di interessi che si muovono nell’ombra. Attraverso questo libro scopriamo, invece, che il lobbying è una attività connaturata a tutti i regimi democratici e consiste nel costante dialogo tra chi detiene il potere decisionale e parti della società che chiedono il riconoscimento e la tutela dei propri interessi.

L’autore traccia un vero e proprio identikit del lobbista, attività che svolge da vent’anni, attraverso l’analisi degli avvenimenti storici e politici e con alcuni racconti tratti dalla sua esperienza professionale.

FABIO BISTONCINI è fondatore e partner di FB & Associati, società nata nel 1996, una delle prime realtà imprenditoriali a occuparsi di advocacy e lobbying (www.fbassociati.it). Docente in Master e Corsi di Laurea, è socio dell’Associazione italiana delle agenzie di relazioni pubbliche (ASSOREL) e della Società Italiana di Scienza Politica (SISP). Dal 2003 al 2007 è stato Vice Presidente della Federazione delle Relazioni Pubbliche Italiana (FERPI). È autore di numerosi articoli.

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L’intermediazione d’interessi. Lobbying http://www.lobbyingitalia.com/2010/01/lintermediazione-dinteressi-lobbying/ Fri, 01 Jan 2010 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2010/01/lintermediazione-dinteressi-lobbying/ Perché Lobby? Si può Lobby?

Lobby brutta parola. Anche in questi giorni, mentre giace in parlamento il Decreto Legge Governativo ispirato dal dott. Santagata (probabilmente, come molti altri, destinato a rimanere tale), serpeggia fra chi sente questa espressione un brivido.
L’associazione delle parole è semplice: mafia, oscuri giochi di potere, multinazionali assetate di potere a scapito di poveracci, angoli bui e sussurri, scambi di regalie e cose poco pulite.
Il libro “L’intermediazione di interessi. Lobbying” vuole ribaltare questa concezione, dimostrando – legge alla mano – che molti comportamenti lobbistici sono leciti se non addirittura raccomandabili per chi non voglia condannarsi all’ininfluenza nella società.
Il lobbying è un misto di capacità tecniche e comunicative ed è uno strumento molto potente al servizio della società civile, dell’impresa e persino delle amministrazioni pubbliche.
La sua forte carica di trasparenza e chiarezza degli obbiettivi disincentiva i poco onesti ad approcciarvisi, ponendosi – invece – a servizio delle spinte legittime che in una società come la nostra nascono spontanee e che i meccanismi della democrazia classica e partitica, con i loro logori e dispendiosi meccanismi non possono più garantire.
È – in ultima analisi – una risposta seria e strutturata al costo della politica.

Perché il lobbismo

È una ipotesi di studio, ma anche un prassi che ha trovato nella realtà solide conferme: l’Italia è un Paese arretrato in questo ambito e ne sta pagando le conseguenze.
Come molte idee è nato da un serio think tank culturale, quale è la Fondazione Vittorino Colombo di Milano.
La Fondazione è un ente morale, che riunisce alcuni fra i più importanti nomi della cultura accademica e della imprenditoria italiana. Si occupa di impresa, urbanistica e qualità della vita; ha una spiccata attenzione alle tematiche dell’attualità sociopolitica e socioculturale. Si avvale del Centro Studi Achille Grandi e del Centro Studi Il Ponte.
Da oltre 10 anni conferisce il Premio Internazionale Vittorino Colombo: fra i premiati Shirin Ebadi, Nobel per la pace 2003, Ivo Sanader Primo Ministro della Repubblica di Croazia, Card. Angelo Sodano Segretario di Stato Vaticano e Boutros Ghali già Segretario Generale dell’ONU, Vaclav Havel Firmatario Charta 77 e già Presidente della Repubblica Ceca e altre Personalità internazionali.

“… Il libro di Marcello Menni, a differenza di altri volumi scritti sul tema, assicura un approccio al problema senza la distorsione dell’ideologia o delle tesi pre-confezionate. L’autore è un osservatore attento e scrupoloso del fenomeno del lobbismo, lo descrive, lo analizza e immagina delle soluzioni capaci di trasformare un’attività di per sé sotterranea almeno in Italia in un’attività trasparente e, persino, dignitosa….” (Lorenzo Del Boca).

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Lobbying – Agire tra vincoli http://www.lobbyingitalia.com/2010/01/lobbying-agire-tra-vincoli/ Fri, 01 Jan 2010 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2010/01/lobbying-agire-tra-vincoli/ Il lobbying è argomento di confine, a tratti ignorato o bistrattato per la prevalente accezione negativa, che tende a collocarlo in una luce un p0′ sinistra, entro il novero delle trame di palazzo contrastanti con l’interesse della collettività. A ben guardare, tale visione è sospesa tra ingenuità e ipocrisia, non riuscendo nemmeno alla lontana a evidenziare funzioni, modalità, dinamiche, effetti di un’attività che non pare lasciare alcun soggetto nel ruolo di semplice osservatore.
Questa società non può essere rappresentata come utopistico sistema funzionalisticamente compiuto, né come effetto di strategie massimizzanti di attori individuali. Sono i gruppi, le coalizioni, le organizzazioni che dispiegano le proprie azioni in ambienti condizionati dalle azioni ed influenze altrui, da logiche di potere e rapporti non strutturati gerarchicamente.
Il lobbying si sostanzia in processi di continua costruzione, rottura e ricostruzione della realtà sociale, che si definisce in un quadro istituzionale dinamico, costrittivo nei confronti degli attori, ma mai definitivo e stabile.
Gli studi sull’impresa hanno tentato una collocazione del fenomeno entro l’ambito angusto delle pubbliche relazioni, all’interno di un’area marketing che non può contenerlo.
Tra la chiave di lettura dei sistemi politici e quella dei vincoli istituzionali si snoda il percorso di analisi del lobbying in questo volume, al termine del quale tali due prospettive appaiono come due facce della stessa medaglia, che si completano reciprocamente per rendere meglio intelligibile un fenomeno complesso. Il soggetto agisce intenzionalmente, ma non è libero nella sua azione; il soggetto è vincolato istituzionalmente, ma non per questo abdica al suo ruolo di attore strategico.

IL CURATORE

Piero Mastroberardino è professore straordinario di Economia e gestione delle imprese nella Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Foggia. È direttore del Dipartimento di Scienze Economico_Aziendali, Giuridiche, Merceologiche e Geografiche; ha ideato e dirige il Laboratorio d’Impresa, presso il medesimo Dipartimento. È autore di vari lavori monografici, saggi e contributi sui temi dell’economia d’impresa e sulle teorie organizzative, con particolare interesse per i rapporti tra organizzazioni, il management, gli assetti proprietari.

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Lobbying.net http://www.lobbyingitalia.com/2010/01/lobbying-net/ Fri, 01 Jan 2010 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2010/01/lobbying-net/ Quando, qualche mese fa, Santo Primavera mi chiese di scrivere alcune righe che precedessero il suo secondo libro sul lobbying accettai con grande entusiasmo. normalmente non amo introdurre o concludere libri non miei, ma in questo caso l’eccezione è giustificata sia dal rapporto con l’autore che dal giudizio nei confronti del libro.

Infatti già alcuni anni fa, nel corso di un master che vedeva Santo nelle vesti di studente e io in quelle di docente, se non altro per ragioni anagrafiche, ci trovammo a discutere in ordine a una materia che, oggi ancora come ieri, suscita in italia una malcelata diffidenza. Sarà per un’errata interpretazione dell’attività, sarà per l’inesistenza di una regolamentazione, sarà per l’improvvisazione di tanti, ancora oggi sulla materia oggetto del volume in italia si brancola nel buio. È proprio per questo che leggendo il manoscritto di Santo Primavera ne ho apprezzato l’approccio analitico, ma semplice, che attraverso diversi esempi mette in luce in tutta la sua evidenza l’attività del lobbista in italia così come all’estero.

Per diversi anni una difficoltà interpretativa, nel descrivere il ruolo del lobbista, ha favorito una ricostruzione delle funzioni ispirata più alle analogie con altre figure, già consolidate, che non la costruzione di una professionalità propria. affogata nel mare delle relazioni esterne, diluita nella generica funzione di organizzare eventi, assimilata a un’attività sostanzialmente di intelligence, la figura
del lobbista ne è uscita spesso sfuocata e mal definita, andando in sostanza a unire, in un’indistinta miscela, le peggiori caratteristiche delle tre figure da cui si tendeva a prendere spunto. L’attività inoltre, caratterizzata molto spesso più da eccezioni che da regole vere e proprie, fatica a trovare una collocazione in un ordinamento che, nonostante le svariate proposte di legge presentate, ne ignora l’esistenza e spesso in malafede non ne regola l’attività autorizzando, come è evidente, le peggiori devianze.

Tutto questo non ha certo impedito che si moltiplicassero le società destinate a tutelare i particolari interessi di aziende o di ordini professionali nei confronti di istituzioni locali, regionali o nazionali. il problema è che il successo di alcune di tali esperienze è spesso meramente occasionale e perseguito nonostante l’assordante silenzio dell’ordinamento italiano al riguardo. in estrema sintesi un’attività che di per se tende a favorire la conoscenza da parte delle istituzioni, e che nel suo originale obiettivo
si ripromette di fornire al decisore pubblico tutti gli elementi necessari per adottare le proprie scelte, viene spesso derubricata verso la semplice attività di “rubare” informazioni e tentare di modificare a proprio uso e consumo novelle legislative e provvedimenti amministrativi.
In realtà il primo difetto di comunicazione è già alla radice dell’attività. il lobbista infatti, pur non essendo necessariamente un super tecnico della materia di cui si occupa, non è solamente un organizzatore di occasioni di incontro più o meno conviviali, dovrebbe bensì essere un soggetto che, titolare di un gran numero di informazioni sulla materia di cui si discute, si pone come una preziosa risorsa nei confronti del decisore pubblico chiamato a fare le scelte. Seppur infatti non si nega la finale mission del lobbista diretta a favorire il proprio cliente e i suoi interessi particolari, si deve riconoscere a questo, nell’originale impostazione, la maggior competenza possibile sull’argomento e il ruolo dunque di interlocutore privilegiato nei confronti del decisore pubblico.

La virtù del lobbista in sostanza non si misura sulla mera capacità di favorire occasionalmente e con interventi sporadici il suo committente, bensì nella capacità di istruire e mantenere un canale aperto con l’autorità decidente, che gli riconosca competenza e preparazione sugli argomenti trattati. da tale punto di vista è opportuno notare come elemento fondamentale di ogni trattativa venga ad essere la conoscenza della casistica comunitaria e internazionale sullo stesso argomento, in modo da poter evitare al decisore pubblico potenziali errori già fatti in altre realtà.

L’esistenza di un flusso informativo continuo e leale fra il lobbista e il suo referente politico o amministrativo è la migliore garanzia di un ordinato sistema di rapporti. eventuali forzature o blitz
occasionali che deroghino a una tale regola, pur non potendosi di principio escludere, tendono normalmente a ottenere solo risultati episodici e alla lunga rischiano seriamente di danneggiare il sistema dei rapporti. Se è vero come è vero che un punto di particolare difficoltà è costituito dalla diffidenza con cui il decisore pubblico guarda i rappresentanti di interessi individuali, è opportuno valutare che tale diffidenza trova le sue radici, da una parte nella totale mancanza di regolamentazione dall’altra, ma probabilmente è una conseguenza della prima, nella difficoltà del pubblico di individuare i reali referenti sulle singole questioni.

Infatti nell’attuale sistema l’accavallarsi, non sempre ordinato, di diverse figure interne o esterne all’azienda, che a vario titolo interpellano l’amministrazione, crea molto spesso imbarazzi e incomprensioni che rischiano di deflagrare in una poco produttiva interruzione
dei rapporti. ogni rapporto equilibrato per produrre risultati deve avere come ingrediente base la conoscenza fra loro degli interlocutori e il corretto utilizzo delle diverse armi negoziali a disposizione
dell’uno o dell’altro. il lobbista in sostanza non è solo colui a cui è delegata l’organizzazione degli incontri, a lui dovrebbe essere in realtà delegata anche la “road map” sulla base della quale tali incontri si debbano svolgere, ivi compresa la predisposizione di soluzioni auspicate dall’azienda e diverse da quelle paventate dal decisore pubblico. Pur tuttavia, se in alcuni casi non può essere negata una mission destruens del lobbista nei confronti di una eventuale novella ritenuta odiosa per il proprio assistito, dall’altra questa deve essere sempre preceduta da una fase costruens relativa a possibili soluzioni alternative. Tale regola vale a maggior ragione quando la norma o il provvedimento, di cui si auspica la modifica, rechi rilevanti entrate economiche all’autorità che si propone di adottarla. in tal caso la predisposizione di una norma di abrogazione, ove non venga prevista una diversa copertura finanziaria, è facilmente destinata all’insuccesso.

Da quanto premesso emerge con una certa evidenza la necessità che la struttura di lobbying, al netto di tutte le qualità richieste per una buona attività di pubbliche relazioni, dovrà anche essere in possesso di un significativo bagaglio di informazioni e di una più che buona capacità tecnica nell’intervenire sull’impianto normativo locale e nazionale. ed è proprio su tale punto che l’attività del lobbista si allontana dall’attività del responsabile delle relazioni esterne o dell’organizzazione degli eventi, andando ad assumere una sua particolare conformazione che in casi estremi, e sottolineiamo estremi, potrà anche comprendere il discreto utilizzo della stampa scritta, radiofonica e televisiva.

Nel suo contributo Santo Primavera compie un ulteriore sforzo rispetto alla ordinaria saggistica sul tema, infatti alla sensibilità dello studioso unisce l’esperienza pratica dell’amministratore locale.
nel libro infatti è fortemente presente la doppia visione dell’autore, la cui personalità è sospesa fra il potenziale lobbista e il quotidiano “lobbato”. in estrema sintesi l’approccio pragmatico nasce spontaneamente nell’autore che nel quotidiano ha modo di valutare l’oggetto del suo studio.

Avendo personalmente un’esperienza simile, sospesa fra impegni nel Governo nazionale e responsabilità in aziende private, non posso non guardare con simpatia a un simile prodotto, la cui fruibilità esce dai rigidi confini degli “addetti ai lavori” per andarsi a collocare presso una più ampia platea. dobbiamo dunque rilevare che ancora una volta nell’esperienza nazionale la pratica vola anni luce
avanti alla legislazione, andando a disegnare codici, comportamenti, e nuove figure professionali il cui inquadramento normativo appare ancora una chimera. Mentre questo libro va in stampa e la commissione europea si interroga sulla necessità di modificare la normativa concernente le lobby, il legislatore italiano, al contrario essendo di una tale normativa carente, assiste apparentemente disinteressato alle acrobazie degli ormai dilaganti gruppi di interesse e di pressione, nella speranza
che essi stessi come nella giungla trovino le ragioni e le modalità di una pacifica convivenza. Se da un lato il libro di Santo Primavera ci apre una ampia e documentata finestra sul fenomeno dall’altra non può non essere considerato come un monito al legislatore che ad essere indulgenti possiamo considerare ancora… distratto.

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