germania – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Fri, 13 May 2016 14:04:46 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Volkswagen e Cdu, chi fa lobbying sul partito della Merkel [Il Giornale] http://www.lobbyingitalia.com/2015/09/volkswagen-e-cdu-chi-fa-lobbying-sul-partito-della-merkel-il-giornale/ Thu, 24 Sep 2015 13:21:10 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2954 I colossi dell’auto foraggiavano la Cdu della Cancelliera, influenzando le scelte del governo.

«L’industria automobilistica tedesca ha fatto del governo federale il suo più importante alleato: un capolavoro di lobbismo» scrive Die Welt (lo stesso quotidiano che ha accusato il governo Merkel di aver chiuso un occhio sulla truffa delle emissioni targata Volkswagen) in una inchiesta sulle cortesie reciproche tra colossi dell’auto e politica teutonica.
Alleanza di ferro che passa anche dai generosi finanziamenti delle case automobilistiche (prima industria tedesca, 750mila posti di lavoro) ai partiti del Bundestag, in particolare la Cdu della cancelliera Merkel. Nel maggio 2015, si legge nel rendiconto del parlamento federale tedesco, alla Cdu sono arrivati 100mila euro da Daimler Ag di Stoccarda, il gruppo proprietario del marchio Mercedes, gigante del settore. Finanziamento che si ripete, peraltro, ogni anno. Mentre nel 2013, sotto elezioni, si è scoperto che la famiglia Quandt, proprietaria del 46% di Bmw, aveva donato 690mila euro al partito della Merkel, «la donazione più alta mai ricevuta da un partito a meno di un mese dal voto» accusò l’associazione LobbyControl . Se la Volkswagen non appare nelle liste dei «Große Spender» finanziatori della politica tedesca è per un semplice motivo: l’azienda di Wolfsburg è in parte pubblica. Il secondo azionista di Volkswagen, col 20%, è infatti il Land della Bassa Sassonia.

La capacità dell’industria automobilistica di influenzare le politiche governative è enorme. E spesso le porte tra aziende e partiti sono girevoli. Il capo della potente Vda (Verband der Automobilindustrie), l’associazione costruttori di automobili, si chiama Matthias Wissmann, e ha un passato eloquente: giovanissimo deputato della Cdu, poi ministro dei Trasporti nei governi Kohl, quindi ancora parlamentare Cdu durante il primo governo Merkel, nel 2007 lascia per diventare presidente della Vda. E far così fruttare la sua formidabile rete di contatti. «La lista dei desideri da inviare ad Angela Merkel – racconta Die Welt – viene completata a mano da Wissmann con la frase: “cara Angela…”». La Merkel, che il quotidiano conservatore arriva a definire «la lobbista più importante dell’industria automobilistica tedesca». Ma in ottima compagnia. Il capo dei lobbisti della Mercedes, Eckart von Klaeden, è stato tesoriere della Cdu fino al 2010, poi ministro della Cancelliera Merkel prima di diventare responsabile Public Policy di Daimler (Mercedes). Mentre l’ex capo di Volkswagen Martin Winterkorn (si è dimesso ieri, travolto dallo scandalo sulle emissioni truccate), ha assunto come capo delle relazioni politiche Thomas Steg, ex portavoce del governo federale di Grosse Koalition (ancora Merkel). Si stima che un centinaio di lobbisti tutelino gli interessi della Volkswagen in Europa e nel resto del mondo dov’è presente il marchio. E il lavoro non mancherà nei prossimi giorni.

Le relazioni a Berlino contano e danno ottimi frutti. Il governo tedesco, che a Bruxelles pesa più di tutti, quando c’è da difendere l’industria dell’auto tedesca non cede di un millimetro. Tra le decisioni politiche che più impattano sul business ci sono le normative sulla riduzione dei gas inquinanti. Ed è lì che la lobby dell’auto teutonica ha compiuto il capolavoro, grazie all’influenza del governo federale in Europa. Quando nel 2013 si discute a Bruxelles i nuovi parametri, i colossi dell’auto sono in fibrillazione. Una stretta sul numero di grammi permessi di Co2 per km avvantaggerebbe i produttori di utilitarie (come quelle italiane) e svantaggerebbe i tedeschi, padroni del settore grosse cilindrate. La missione è semplice: cambiare l’accordo raggiunto. Si mette in moto la lobby che arriva fino ad Angela Merkel e ai suoi ministri, che sbattono i pugni con i partner europei barattando parametri più laschi per i gas di scarico con fondi dal budget europeo (e «mettendo sotto ricatto paesi come il Portogallo, dove Volkswagen ha delle fabbriche» accusano i Verdi tedeschi). E il risultato viene raggiunto. Un asse indistruttibile. Come le auto tedesche.

Paolo Bracalini, Il Giornale

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Guida al lobbismo tedesco http://www.lobbyingitalia.com/2015/05/guida-al-lobbismo-tedesco/ Mon, 04 May 2015 14:55:47 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2793 Concentrato nella capitale, attorno ai palazzi della politica, il mondo delle lobby cerca di influenzare le decisioni di governo e Bundestag.

Cominciarono a sbarcare all’aeroporto di Tegel a metà degli anni ’90: uomini tutti vestiti di scuro, giacca, cravatta e ventiquattr’ore d’ordinanza, come extraterrestri arrivati da mondi sconosciuti. Non passavano inosservati nella folla scapigliata che a quei tempi frequentava l’aeroporto berlinese, anche se il loro dogma è quello di muoversi nella maniera più discreta possibile. Anticipavano i tempi nuovi di una città che, di lì a poco, sarebbe tornata ad essere la capitale della Germania.

Lobbisti da ogni angolo del Paese e soprattutto da Bonn, la piccola cittadina di provincia che aveva certificato per 40 anni il ritorno della Germania Ovest alla democrazia. Ma anche dai capoluoghi occidentali dell’industria tedesca, Monaco, Stoccarda, Mannheim, Francoforte, Düsseldorf, Wolfsburg, Amburgo, dove hanno sede le imprese che contano e che hanno bisogno della politica per contare sempre di più. Lentamente si sono sparsi per Berlino, conquistando gli avamposti attorno ai nuovi palazzi del potere, in quel quartiere politico che negli anni ha visto sorgere la sede della cancelleria a forma di lavatrice, gli edifici che ospitano i parlamentari, nuovi e vecchi palazzi ministeriali e la cupola trasparente che l’archistar Norman Foster ha piazzato in cima al Reichstag: vetro e acciaio, simbolo di una politica senza macchia. Nei giorni di seduta parlamentare, i cittadini possono sbirciare nell’aula dal tetto. Ma forse non riescono a vedere tutto quel che vi accade.

I 690 mila euro donati dalla famiglia Quandt, maggiore azionista della Bmw, alla Cdu di Angela Merkel mentre il suo governo battagliava con metodi insolitamente spregiudicati in Lussemburgo per preservare la produzione delle auto di grossa cilindrata ha tempo fa riaperto le polemiche sul rapporto fra industria e politica. E su quanto quelle lobby insediatesi a Berlino influenzino le scelte del governo tedesco.

La geografia del lobbismo cittadino è stampata su una guida edita da Lobbycontrol, l’associazione tedesca più agguerrita nel contrastare il potere dei gruppi di interesse sui parlamentari. Si chiama Lobby Planet, è piena di puntini nel triangolo adiacente al Regierungsviertel (il quartiere governativo) che va dalla Unter den Linden alla Potsdamer Platz fino al Gendarmenmarkt, ed è più accurata e precisa della lista volontaria predisposta dal Bundestag, dove si sono registrate ufficialmente poco più di 2000 associazioni. Ad esse vanno aggiunte le agenzie di pubbliche relazioni, gli studi di avvocati, i think tank ma anche i sindacati, le associazioni ambientaliste, le organizzazioni non governative. I settori più battuti: automobili, energia, finanza, sanità, armamenti, chimica, tabacco, tutte branche in cui le aziende devono difendersi dalle leggi a tutela dei consumatori.

Nessuno conosce il numero preciso di quanti si muovono attorno ai palazzi della politica: «Un calcolo approssimativo ma abbastanza realistico stima 5000 persone», ha detto Timo Lang, uno dei responsabili di Lobbycontrol. Un mondo di portatori sani di interessi particolari che, attraverso i contatti con ministri e parlamentari, devono essere spacciati per interessi generali.

«Il problema è appunto la maglia di controllo», ha aggiunto Lang, «perché il lobbismo è parte integrante delle procedure decisionali di una democrazia: il conflitto fra interessi contrapposti può portare a soluzioni equilibrate». Ma la zona grigia in cui i lobbisti possono muoversi, specie se corroborati da ingenti somme di denaro o da favori e privilegi personali da elargire, può produrre un veleno esiziale. «Le aziende non donano, investono», ha sostenuto un esperto del settore come il professore di diritto Martin Morlok. E infatti, appena arrivati al governo del Baden-Württemberg, anche i Grünen si sono visti moltiplicare il finanziamento dalla Südwestmetall, l’associazione che riunisce le industrie metallurgiche ed elettriche della regione: dai 12 mila euro degli anni passati ai 120 mila euro tra il 2011 e il 2012.

Dal punto di vista della trasparenza, la legge tedesca fa acqua da molte parti. Nel 2004 il governo rosso-verde di Gerhard Schröder inaugurò un programma di scambio fra politica e industria: per un tempo limitato, rappresentanti dei ministeri e delle aziende private si sarebbero scambiati le scrivanie per conoscere meglio le rispettive strutture e procedure di lavoro. Tempo qualche mese e venne fuori il primo scandalo: si scoprì che una giurista di una banca di investimenti privata prestata al ministero delle Finanze (a quei tempi guidato dal socialdemocratico Hans Eichel) aveva collaborato alla redazione della legge che legalizzò in Germania i fondi speculativi, fino a quel momento vietati sul mercato tedesco. Nello stesso anno un collaboratore della Daimler, ancora a busta paga dell’azienda, copiò documenti e rapporti interni al ministero dei Trasporti nel momento in cui veniva introdotto il bollo autostradale per i camion.

Da allora le abitudini non sono molto cambiate, nonostante nel 2008 il governo di Grosse Koalition abbia introdotto per lo scambio un limite di 6 mesi e la legge vieti che i collaboratori esterni siano impiegati in ministeri che trattano argomenti in conflitto di interesse con l’azienda di provenienza. Ma i politici non sono degli esperti e i lobbisti rappresentano merce preziosa per la consulenza. Quanto più forti sono le strutture di consulenza dei ministeri o del parlamento, tanto meno c’è bisogno di ricorrere a forze da fuori. Ma nella prima metà del 2013 erano ancora 39 collaboratori esterni a frequentare le stanze dei dicasteri tedeschi. Una riduzione sensibile rispetto ai 70 del 2011 e ai 300 dei primi anni. Ma il numero di coloro che provenivano da aziende private è passato nello stesso lasso di tempo da 5 a 10. In questi conteggi mancano peraltro i collaboratori provenienti da aziende pubbliche, anch’esse a rischio di conflitto d’interessi. E non tutti rispettano il limite di 6 mesi imposto dal regolamento.

La Corte dei conti ha tirato le orecchie ai ministri, imponendo di ridurre il numero degli apporti esterni e di valutare criticamente l’impiego di quanti provengono da imprese pubbliche. Ma la diminuzione dei collaboratori esterni non implica automaticamente una perdita di influenza delle lobby. Alcuni ministri impiegano lobbisti di lunga esperienza in posti chiave dei loro dicasteri: è stato il caso del liberale Philipp Rösler che quando era alla Sanità ha piazzato al vertice il numero 2 dell’associazione delle assicurazioni sanitarie private.

Il salto dal mondo delle lobby alla politica è controbilanciato da un movimento migratorio contrario. Non si contano più gli ex politici passati in breve tempo al servizio delle imprese. Daniel Bahr, ex ministro liberale alla Sanità, è finito sotto contratto del gruppo Allianz, che offre anche assicurazioni sanitarie. Katherina Reiche, Cdu, attualmente sottosegretario ai Trasporti, passerà a guidare dal settembre 2015 l’Associazione degli imprenditori comunali. Kurt Beck, presidente della fondazione dell’Spd Friedrich Ebert e fino a dicembre 2012 ministro-presidente Spd della Renania-Palatinato, da giugno 2013 è stato ingaggiato dalla casa farmaceutica Boehringer Ingelheim che ha sede nella stessa regione. Eckart von Klaeden, nello scorso governo ministro di Stato della cancelliera (l’equivalente del nostro sottosegretario alla presidenza del Consiglio) è emigrato alla Daimler appena partita la Grosse Koalition. Ma la lista è lunga: Roland Koch (Cdu) è passato dalla guida dell’Assia al gruppo edile Bilfinger, Friedrich Merz, ex capogruppo Cdu poi emarginato dalla Merkel, ha costantemente saltellato fra politica e avvocatura, trovandosi al centro dell’acquisizione di parti della banca pubblica WestLB, Wolfgang Clement (Spd) transitò dal ministero che si occupava di energia al consiglio di amministrazione di una società del gruppo energetico Rwe. Per finire ai casi più clamorosi: Gerhard Schröder, passato in poche settimane alle dipendenze di Nord Stream, la società partecipata da Gazprom che ha costruito la pipeline sotto il Mar Baltico approvata proprio dal suo governo e Joschka Fischer, l’ex ribelle dei verdi che una volta lasciata la politica ha prestato la sua opera di lobbista a Siemens, Bmw e ai due consorzi energetici Rwe e Omv. Per loro conto ha sponsorizzato il fallimentare progetto della pipeline Nabucco e per un certo periodo si è trovato a duellare con il suo vecchio cancelliere Schröder, il cui gruppo appoggiava il progetto alternativo di South Stream.

«C’è bisogno di regole nuove per adeguare la legislazione sulle lobby ai cambiamenti intervenuti negli ultimi anni», ha detto Christina Deckwirth di Lobbycontrol. Una proposta, appoggiata anche da Trasparency International, riguarda l’introduzione di un intervallo di 3 anni fra l’attività politica e quella lobbistica. Un periodo sufficiente per evitare che il politico porti con sé informazioni riservate, contatti e conoscenze maturate negli anni della sua attività pubblica. Un’altra proposta riguarda l’introduzione di un registro obbligatorio per associazioni e lobbisti, che sostituisca l’inutile lista del Bundestag e fornisca a parlamentari e opinione pubblica la mappa di chi opera attorno ai centri di potere. Il governo invece lavora a un progetto tutto suo che vorrebbe portare nei prossimi mesi in parlamento: prevede obblighi di denuncia e valutazioni del governo stesso. I tempi però si stanno allungando.

Fonti: Rassegna Est e Limes

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Norme sul lobbying: l’Europa avanza, l’Italia è immobile http://www.lobbyingitalia.com/2014/01/norme-sul-lobbying-leuropa-avanza-litalia-e-immobile/ Wed, 29 Jan 2014 12:12:46 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2154 E con il via libera arrivato ieri da parte della Camera dei Lords alla “Lobbying Bill” proposta dal Primo Ministro britannico David Cameron, sono ora 26 i paesi al mondo (di cui 10 europei), oltre all’Unione Europea, ad avere norme che regolano l’attività di lobbying.

Quello delle normative sul lobbying è un processo che parte da lontano, e che vede la sua prima vera affermazione negli USA col “Federal Regulation of Lobbying Act” del 1946 (sostituito nel 1995 dal “Lobbying Disclosure Act” e dalle successive modifiche volute anche dal presidente Obama con l’Honest Leadership Act). Ma, in particolare a partire dagli anni 2000, anche l’Europa ha iniziato a marciare verso lo stesso obiettivo, sotto la spinta di una richiesta da parte di cittadini, imprese e organizzazioni internazionali (con OCSE e ONU in prima fila) di una sempre maggior trasparenza della politica. E gli stessi lobbisti, contrariamente ad un’errata opinione comune, sono assolutamente favorevoli (come dimostrato da un sondaggio dell’OCSE del 2009) ad una regolamentazione del settore, che garantirebbe loro certezza del diritto per la loro attività e una legittimità che certamente aiuterebbe anche l’aspetto business.

La situazione italiana sul tema è purtroppo nota. Circa 50 progetti di legge e un ddl del Governo Prodi tra il 1976 ed oggi hanno portato al nulla di fatto. Il presidente del Consiglio Enrico Letta più volte si speso in favore di una legislazione adeguata, ma uno scontro tra i Ministri Quagliarello e D’Alia – interventi con due progetti contrastanti –  e la forte opposizione dell’ex Ministro De Girolamo (che paventò addirittura un “ritorno all’Unione Sovietica”) in Consiglio dei Ministri lo scorso luglio, ha fatto finire tutto in un mandato al Ministro delle Politiche UE, Moavero Milanesi “di fare un esame comparato con i principali paesi europei“.

Essendo ormai passati sei mesi, e dopo un ulteriore intervento televisivo del presidente Letta poche sere fa, come aiuto al Governo abbiamo pensato potesse essere utile rendere noto l’esame comparato che il Governo (ufficialmente, è chiaro) non ha ancora realizzato. Ecco quindi di seguito un quadro delle norme esistenti sul lobbying nei vari stati dell’Unione Europea ed europei in generale.

Le normative sul lobbying in Europa

Il primo paese a normare l’attività di lobbying è stata la Germania, il cui registro risale addirittura al 1951, istituzionalizzato poi nel settembre 1972. Il registro è volontario, e non è designato come un registro dei lobbisti di per se. Infatti, è primariamente un sistema che regola l’accesso agli edifici parlamentari. Inoltre, include solo organizzazioni e non individui, non include informazioni finanziarie sulle risorse impegnate, mentre invece impone  di comunicare soggetti rappresentati e le questioni su cui l’organizzazione lavora. La norma riflette la tradizionale cultura tedesca del coinvolgimento delle organizzazioni di rappresentanza (principalmente dell’industria e i sindacati) e delle fondazioni nel sistema decisionale pubblico. Sono di conseguenza assenti dal registro le società di lobbying. Al 24 gennaio 2014 erano 2148 le organizzazioni registrate.

La Germania inoltre presenta dei registri anche a livello di lander. Brandenburgo e Renania-Palatinato ne hanno istituito uno nel 2012, mentre Berlino e l’Assia dovrebbero averne uno a breve.

L’Austria è il paese con la regolamentazione più recente. Nel 2012 ha adottato un stringente regolamentazione dell’attività di lobbying con una norma denominata “Lobbying- und Interessenvertretungs-Transparenz-Gesetz” (Legge sulla trasparenza di lobbying e rappresentanza di interessi”. Il Bundestag austriaco ha approvato una norm che impone un registro obbligatorio per tutti coloro che ricevono un compenso per attività mirate ad influenzare la legislazione o le politiche pubbliche. L’obbligo riguarda anche le organizzazioni di rappresentanza . Tra i dati da includere nel Lobbying- und Interessenvertretungs-Register, gestito dal Ministero della Giustizia, sono inclusi: l’identità del lobbista, i clienti, le questioni su cui il lobbista lavora e i contatti con i funzionari pubblici (Ministri, parlamentari, dirigenti della PA). La gran parte di questi dati è disponibile al pubblico via web. Inoltre, i lobbisti debbono impegnarsi a rispettare un Codice di Condotta incluso nella norma generale, la cui violazione può portare alla sospensione dal registro e quindi dalla possibilità di esercitare l’attività. La norma è in vigore dall’1 gennaio 2013. Al 29 gennaio 2014 risultano essere 231 i lobbisti o le organizzazioni iscritte al Registro austriaco.

Sempre nel 2012, nel mese di luglio, la Tweede Kamer der Staten-Generaal, la Camera Alta del Parlamento d’Olanda ha introdotto con un proprio atto un Lobbyistenregister che prevede un sistema di accessi (uno per organizzazione) alla Camera. Il Registro distingue tre categorie di lobbisti: rappresentanti di società di consulenza di PR o public affairs; i lobbisti delle associazioni di rappresentanza, e quelli delle municipalità e delle province. Al 13 gennaio 2014 erano 78 i lobbisti rappresentanti di società o organizzazioni iscritti nel Registro olandese, che prevede una disclosure limitata di informazioni, ma aiuta a regolamentare l’accesso, tema assai sentito da parte di istituzioni e lobbisti.

Anche la Francia presenta una regolamentazione assai leggera a seguito dell’istituzione di un Registro dei lobbisti presso l’Assemblee national e il Senat. Come in Olanda, la registrazione consente ai lobbisti un accesso diretto alle sedi delle due camere, Palais Bourbon e a Palais du Luxembourg. A seguito di recenti aggiustamenti (il rapporto Sirigue del marzo 2013), le informazioni contenute nel registro sono molto più abbondanti: oltre ai nomi dei lobbisti debbono infatti essere rese note le risorse assegnate da una particolare società o ONG; le società di consulenza sono invitate a fornire i nomi dei loro clienti e le ONG le fonti delle donazioni e sovvenzioni. Inoltre, ci sono più filtri prima dell’iscrizione (che può essere respinta), è stato limitato l’accesso ad alcune aree mentre è stata data la possibilità ai lobbisti registrati di ricevere degli alert o inviare contributi sulle norme. Le relazioni individuali tra parlamentari e lobbisti non sono condizionate dall’inclusione di quest’ultimi nel registro (sarebbe incidere sulla libertà dei parlamentari). E’ previsto un Codice di Condotta. Al 28 gennaio 2014 risultano essere 237 i lobbisti registrati. Più limitato è invece il registro del Senato. Rimane infine il buco nero dei rapporti tra lobbisti e Governo. E’ possibile che però presto venga istituito un registro unico presso l’Haute Autorité pour la transparence de la vie publique che ha come mission anche quella di dare indicazioni sui rapporti tra lobbisti e amministrazione pubblica.

L’Europa dell’Est avanza

Diversa è la situazione dei paesi dell’ex blocco sovietico, dove più si è sviluppata una regolamentazione dell’attività grazie alle spinte delle OCSE a supporto del processo di democratizzazione, anche se principalmente in un’ottica di politiche anticorruzione.

La Lituania è stato il primo paese dell’Est ad adottare una legge sull’attività di lobbying il 27 giugno 2000 (entrata in vigore l’1 gennaio 2001).  La legge determina cos’è l’attività di lobbying, un lobbista (inteso solo come il consulente) e il suo cliente; prevede il controllo sulle informazioni fornite e una serie di sanzioni per la violazione della norma. La legge definisce attività di lobbying quella condotta dietro compenso mirata ad influenzare l’adozione, la modifica, l’integrazione o l’abrogazione di atti normativi. La legge è stata però scarsamente applicata, e ciò perché le ONG e altri soggetti hanno rifiutato di essere integrati, anche per un processo culturale che deriva dal ricordo del regime sovietico che tendeva ad inquadrare nel sistema e schiacciare ogni rappresentanza della società civile.

La Polonia ha approvato una norma che regola l’attività di lobbying e impone un registro obbligatorio nel 2005.   Tra i principali elementi della norma la definizione di “attività di lobbying” e il tipo di lobbisti (come la Lituania, la norma si applica ai soli consulenti), le procedure di registrazione e la tarsparenza, e le sanzioni in caso di violazione della norma. Una particolarità della norma polacca è che impone ai funzionari governativo di mantenere un registro dei contatti coi lobbisti da rendere pubblico annualmente. La norma, nata in un’ottica restrittiva ha però nel tempo subito delle modifiche ispirate alla promozione del buon governo e della trasparenza dell’iter legislativo. Un punto importante infatti è che  il Governo ogni sei mesi deve pubblicare il programma del lavoro legislativo e i termini per chiudere la discussione sulle bozze normative, inoltre vengono date indicazioni agli uffici su come cooperare al meglio coi lobbisti, cui deve essere garantito accesso e spazi riservati. Al riguardo il parlamento polacco è intervenuto modificando i suoi regolamenti dando anche delle specifiche sulla gestione delle audizioni.

Nel 2006 è stata la volta dell’Ungheria ad emanare una legge sul modello UE che istituiva un registro dei lobbisti volontario, abrogata poi nel 2011 dal governo Orban, in quanto la norma “non coincideva con i costumi e le procedure ungheresi” e non veniva percepita come necessaria (col risultato di scarse iscrizioni). Nel febbraio 2013 però il governo ha inserito una serie di regole sui rapporti tra funzionari pubblici e lobbisti all’interno di un sistema generale di norme anticorruzione e trasprenza.

Dopo Israele nel 2008, che dovrebbe rivedere la norma nel suo complesso nei prossimi mesi, nel 2010 è arrivata la legge sul lobbying della Slovenia. Questa è stata inserita all’interno delle misure anticorruzione nel quadro di un programma finalizzato al rafforzamento della trasparenza del sistema. La norma prevede un Registro obbligatorio che richiede di fornire: nome e indirizzo dei lobbisti; i loro clienti; i compensi ricevuti; i finanziamenti dati ai partiti politici; le questioni su cui fanno lobbying; gli uffici contattati. Tutte le informazioni sono rese pubbliche via web e sono sottoposte al controllo della Commissione per la prevenzione della corruzione. Come in Polonia, c’è un obbligo per i funzionari governativi di rendicontare i contatti coi lobbisti, anche se nel primo anno di applicazione della norma quest’ultimo aspetto non ha ricevuto adeguato rispetto (anche per mancanza di sanzioni specifiche).

Gli altri paesi che vedono in vigore normative sul lobbying sono Macedonia, Montenegro e Georgia (inclusa come Israele, essendo la lista dei paesi che fanno parte dell’UEFA l’unico concetto alternativo reale di Europa alternativo a quello dell’UE!). E non va dimenticato che nel resto del mondo, accanto a paesi come Canada e Australia (che vedono un registro anche per gran parte delle rispettive province e stati), c’è una lunga serie di nazioni che hanno deciso di regolare in maniera più o meno adeguata l’attività di lobbying. L’ultimo della lista è il Cile, che ha approvato la norma la scorsa settimana dopo un dibattito decennale, ma prima di esso ci sono stati Messico, Colombia, Argentina e Perù. In Asia addirittura le Filippine dagli anni ’50 e Taiwan dal 2008 hanno una norma, mentre in India la discussione è stata avviata, come anche in Nigeria.

Le norme a venire nel 2014

Ma non è finita qui. Molto probabilmente Irlanda, Spagna, Bulgaria, Romania e forse persino Ucraina potrebbero avere una normativa ad hoc entro il 2014, mentre l’Italia rimane con le sue tre, inutili ed inapplicate, norme a livello regionale (Toscana, la sua copia Molise e Abruzzo) e forse con il Registro dei rappresentanti di interessi presso il MIPAAF, che forse si salverà, dopo essere stato abbandonato, a seguito delle dimissioni del Ministro De Girolamo, acerrima nemica di ogni regolamentazione delle lobbies (anche se nella scorsa legislatura fu prima firmataria di un ddl di “Disciplina dell’attività di relazione istituzionale“)

A questo punto il Ministro Moavero ha a disposizione un quadro delle norme esistente (anche se ci piacerebbe leggere quello preparatogli dai suoi uffici), di conseguenza si attende il prossimo passo al riguardo da parte del presidente Letta. Un passo che auspichiamo possa dare seguito alla recente dichiarazione a Lilli Gruber nella sua trasmissione 8 e 1/2 e, ancor di più, agli anni di lavoro portati avanti da VeDrò, il “suo” think net” ormai purtroppo abbandonato.

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L’interesse tedesco per le lobby http://www.lobbyingitalia.com/2013/11/linteresse-tedesco-per-le-lobby/ Mon, 18 Nov 2013 16:50:54 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=1858 Tre giorni dedicati a capire come funziona il lobbying, come potrebbe migliorare, in che direzione sta andando, e che regole servirebbero per migliorarlo, dall’Europa agli Stati membri. Lo ha organizzato la Fondazione Adenauer, una fondazione politica tedesca impegnata nella promozione di temi legati alle istituzioni, la società civile, la democrazia e, ovviamente, la politica.

Durante la tre giorni (Qui il programma completo) si sono alternati tanti esperti, di varia provenienza. Lobbisti d’azienda, lobbisti di associazione, e lobbisti freelance. Nella prima economia d’Europa la professione del rappresentante di interessi va molto bene. C’è un sistema istituzionale ideale: al tempo stesso complesso (perché stratificato, con tanti centri di potere che contribuiscono alla formazione delle politiche pubbliche) ed efficiente. L’industria è in crescita, soprattutto in alcuni Lander. Per questo è ben radicata sul territorio, oltre che a Bruxelles.

Eppure anche la Germania ha i suoi problemi. La legge sul lobbying c’è, ma è sostanzialmente disapplicata, essendo oramai residuato di un’epoca lontana. Andrebbe rivista. Alcune associazioni della società civile spingono in questa direzione. Tra le più attive ci sono Transparency International e LobbyControl. Le imprese fanno muro. L’incontro dibattito tra un rappresentante della Volkswagen e alcuni attivisti di TI e LobbyControl ha assunto toni surreali. Il primo impegnato a negare che lo scambio di documenti tra loro e i decisori pubblici locali avesse un qualsiasi valore, e dunque non richiedesse alcuna pubblicazione. I secondi a insistere che un processo decisionale trasparente avrebbe bisogno comunque della piena accessibilità delle informazioni e dei documenti. E che, comunque, un registro dei lobbisti sarebbe un buon punto di partenza.

Il dato più interessante è però un altro. E cioè che una fondazione di matrice politica si impegni su un tema “scomodo”, per quanto attuale, e lo faccia senza finalità particolari. O meglio, lo faccia solo allo scopo di movimentare il dibattito, ascoltare chi ha opinioni da esprimere, mettere in contatto esperti, praticanti della politica, studiosi e tecnici. é così che dovrebbe funzionare, sempre. Per le lobby, e non solo.

 

Fonte: Gianluca Sgueo – Formiche.net

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Otto lobbisti per ogni deputato. A Berlino la tutela degli interessi è alla luce del sole http://www.lobbyingitalia.com/2013/10/otto-lobbisti-per-ogni-deputato-a-berlino-la-tutela-degli-interessi-e-alla-luce-del-sole/ Tue, 15 Oct 2013 16:04:15 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=1846 Sarà Milan o Venezia? Una coalizione rossonera, o neroverde? Frau Angela punta sui socialdemocratici, con cui ha già governato, ma li fa ingelosire flirtando con i Grünen. Un’alleanza con gli ecologisti è improbabile, non impossibile, ed ha già funzionato bene a livello locale. Forse non governerà mai da Berlino, ma è già al potere nella vecchia capitale, la piccola Bonn sul Reno, con ottimi risultati. I giovani ecologisti sono più disposti al compromesso. I vecchi leaders hanno attaccato con eccessiva durezza la Merkel durante la campagna elettorale ed ora sono fuori gioco. L’unico in grado di giungere a un’intesa sarebbe tuttavia Winfred Kretschmann, 65 anni, il premier verde del Baden-Württemberg, ma il partito lo tiene da parte.

Mentre si tratta per il nuovo governo, è in corso un’altra battaglia serrata tra le lobbies, che qui agiscono quasi alla luce del sole, senza le nostre ipocrisie. Hanno le loro sedi ufficiali a pochi metri dal Bundestag, e si contendono i deputati, formando gruppi di potere trasversali ai partiti. Gli elettori sanno se il loro rappresentante difende gli interessi delle case automobilistiche o dei produttori di tabacco, o dei birrai. Non tutto equivale a corruzione, anche se è facile scivolare, e difendere gli interessi di categoria può sostenere l’economia di una regione, e creare posi di lavoro. In Italia, spesso, i politici mandano in rovina un’industria, in Germania sono gli industriali che cercano di far funzionare meglio la politica.

Quando seguii Helmut Kohl in visita a Mosca nel 1987, accanto al cancelliere viaggiava Alfred Herrhausen, il capo della Deutsche Bank, che lo avrebbe consigliato nei colloqui con Gorbaciov. Il febbraio scorso, quando Frau Merkel, volò in Turchia per far visita a un battaglione tedesco stazionato sul confine con la Siria, a bordo si trovava Ole von Beust, ex sindaco cristiano democristiano di Amburgo. Avrebbe approfittato dell’occasione per colloqui d’affari ad Ankara, in quanto rappresentante della Ispat, agenzia per gli investimenti. Il suo datore di lavoro è il presidente turco Erdogan. La Turchia vuol favorire investimenti tedeschi e Beust, conosce tutti, e sa aprire le porte giuste a Berlino. Nessuno si scandalizza perché la cancelliera gli ha offerto un passaggio.

La scomparsa dal Parlamento dei liberali, ben legati agli ambienti economici e finanziari, ha sconvolto il lavoro delle lobbies. In Germania esistono 2.142 associazioni ufficialmente registrate al Bundestag e i loro interessi sono sostenuti da almeno 5 mila lobbisti, otto per ogni deputato più o meno. Un lavoro regolato da leggi di comportamento non scritte, ha rivelato un uomo della Deutsche Bank, alla Welt am Sonntag. Se si muove la prima banca tedesca, è scontato che sia il sommo capo Anshu Jain a incontrate la cancelliera, e un alto dirigente parla con un ministro: «Impossibile mandare un direttore qualsiasi a sostenere i nostri interessi».

Spesso sono i politici che abbandonano il campo e passano con l’ industria. Kurt Beck, 64 anni, è stato a lungo premier in Renania Palatinato, ed ora è diventato consigliere della Bohringer, industria farmaceutica. Il cristianodemocratico Markus Kerber, 50 anni, è stato fino a pochi mesi fa sottosegretario alle finanze, ora grazie ai suoi molteplici rapporti si è trasformato in consigliere per le imprese. Reinhard Görner, ex sottosegretario all’economia, era al tempo stesso (dal 1996) amministratore dell’associazione datori di lavoro. Per il futuro ha deciso di dedicarsi ai privati. Ma non basta intessere rapporti al vertice, servono anche i deputati: costruire un piccolo gruppo di fedeli, militanti in partiti diversi, serve a far pressione sul governo. Matthias Wissmnann, presidente della Vda, l’associazione delle case automobilistiche, è uno degli uomini più potenti di Berlino. Philip Rösler, capo dei liberali, di professione medico, quando era ministro della sanità allo stesso tempo era vicedirettore della mutua privata Pkv.

L’ex cancelliere Schröder, tornato avvocato, sostiene gli interessi della Gazprom, Roland Koch, a lungo premier cristianodemocratico in Assia, dirige oggi il colosso edilizio Bilfinger. Conflitto d’interessi? Per i tedeschi meglio che rimanga alla luce del sole, dato che è quasi impossibile controllare gli inciuci tra politica e capitale.

 

Fonte: Roberto Giardina – ItaliaOggi

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