francia – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 17 May 2016 08:00:23 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Anche in Francia il lobbying è poco trasparente: lo dice Transparency International http://www.lobbyingitalia.com/2014/10/anche-in-francia-il-lobbying-e-poco-trasparente-lo-dice-transparency-international/ Thu, 23 Oct 2014 18:00:03 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2629
(Giovanni Gatto) Dopo la
Spagna, anche la Francia è passata al setaccio di Transparency International, ONG che si occupa della lotta alla corruzione e della domanda di trasparenza dei processi decisionali pubblici in giro per il mondo. Anche in questo caso, i risultati sono disastrosi: il Paese transalpino ottiene un punteggio di 2,7 su 10, risultando ancora molto arretrato per quanto riguarda il livello di regolamentazione del fenomeno lobbistico.

Il rapporto ha testimoniato come la Francia sia molto indietro per quanto riguarda la definizione delle relazioni tra portatori di interesse e politici, salvo che nel caso dell’Assemblea Nazionale. Qui infatti è già presente un Registro dei rappresentanti di interesse che raggruppa aziende, associazioni di categoria, ONG e società di consulenza. Il registro (Tableau des représentants d’intérêts) è nato da un progetto portato avanti dal deputato del Partito Socialista Christophe Sirugue, che nel luglio del 2012 istituì un gruppo di lavoro interno all’Assemblea francese (composto dai deputati Marie-Françoise Clergeau, Pascale Got, Arlette Grosskost, Marc Le Fur e Bernard Perrut) appoggiato anche dall’associazione francese dei lobbisti (Association française des conseils en lobbying). Pascal Tallon, presidente dell’Associazione, auspicava che in questo modo “tutti potessero scoprire che non c’è nulla da scoprire”.

Il formulario d’iscrizione al registro dei lobbisti è, lodevolmente, molto dettagliato: sulla scorta del modello anglosassone, richiede dettagliate informazioni per l’iscrizione come il volume d’affari dell’ente, l’obiettivo nei confronti dei decisori e le persone registrate per nome dell’azienda o organizzazione. Unica pecca (non da poco) la non obbligatorietà della registrazione per avere l’accesso esclusivo al decisore pubblico, caratteristica che rende il sistema simile a quello europeo, in cui non vi sono enti preposti al controllo stringente delle iscrizioni al registro (come, ad esempio, avviene in Canada o negli USA). Il Registro è entrato in vigore il 1° Ottobre 2013.

In realtà l’Assemblea Nazionale è stata la sola ad essersi interessata della trasparenza del processo decisionale francese, tanto da aver già applicato delle regole sul lobbying sin dal 2009: in particolare un registro pubblico e dei codici di condotta, poi rinforzati col provvedimento del 2013. In entrambi i casi Transparency International France ha portato avanti (insieme all’altra associazione francese Regards Citoyens) una vera e propria azione di lobbying anche attraverso audizioni parlamentari. Il lavoro del bureau presieduto dal deputato Sirigue non è stato però recepito anche dall’altra camera parlamentare francese, il Senato, né dalle istituzioni governative. Questa è la maggior motivazione per la quale la Francia sia stata “bocciata” da TI, insieme all’interpretazione “europea” del registro per la trasparenza in senso non obbligatorio. L’ONG, come per gli altri rapporti pubblicati, si è basata sulla valutazione di tre variabili: integrità, tracciabilità e partecipazione al processo decisionale. Riguardo l’integrità, il rapporto ha denunciato il mancato rispetto dei codici condotta e, in alcuni casi, la loro mancata applicazione; l’assenza di un organo di controllo indipendente sul registro per la trasparenza; il punteggio totale degli adempimenti ha raggiunto solo il 30%.

“Insufficiente e disequilibrata” è stata invece considerata la tracciabilità del processo legislativo: difficile conoscere dall’esterno quali e quanti siano i locali frequentati da portatori di interesse particolare, ad esclusione del Palais Bourbon (sede dell’Assemblée), e ancor più difficile comprendere il fenomeno delle revolving doors (in francese “pantouflage”), ossia del passaggio da pubblico a privato o viceversa. Ad esempio, ha destato scandalo la nomina di Xavier Musca, segretario generale all’Eliseo ai tempi di Sarkozy, alla carica di direttore generale di Crédit Agricole, o il consigliere dell’ex Primo Ministro Jean-Marc Ayrault, Nicolas Namias, nei quadri dirigenziali di Natixis. La valutazione degli strumenti di controllo, verifica e sanzione delle patologie non democratiche nel processo decisionale ha raggiunto solo il 10%. Per quanto concerne l’equità nell’accesso al processo decisionale, l’accusa rivolta da TI France all’establishment francese è quella di non avere chiare regole riguardo la formazione di comitati consultivi, che spesso restano chiusi all’esterno e non pubblicano i lavori o quanto meno la loro composizione interna.

Secondo Anne-Marie Ducroux di TI France, il problema è essenzialmente culturale: ancora in Francia la parola “lobbying” è considerata tabù (meglio parlare di “rappresentanza di interesse”), la legge è vista ancora come “calata dall’alto” in nome della volontà generale di rousseauviana memoria, senza la possibilità per attori economico-sociali di influire sul processo decisionale dell’Esecutivo il quale, a sua volta, non avrebbe la necessità di rendere conto dei propri atti in virtù del principio di separazione dei poteri. La legge Le Chapelier, poi, già nel 1791 (curiosamente l’anno in cui negli Stati Uniti veniva inserita l’attività di lobbying tra i diritti costituzionali…) aveva sancito l’abolizione delle corporazioni e di tutti i tipi di corpi intermedi[1], facilitando l’accentramento decisionale pubblico transalpino. L’interesse generale trascende “per tradizione”, quindi, gli interessi particolari, che non sono autorizzati ad intervenire nella decisione pubblica.

La Francia, quindi, è stata dipinta come una “cattiva alunna”, non avendo compreso la “lezione” delle principali democrazie rappresentative anglosassoni in meno alla necessità di una regolamentazione delle lobby per garantire concorrenza e maggior produttività all’intero processo economico. Ciò che incoraggia, nel caso francese, sono i passi decisi portati avanti da una minoranza parlamentare e dalle associazioni, che hanno portato alla concreta regolamentazione del fenomeno in seno all’Assemblea. Un passo avanti che ancora molti Paesi non hanno fatto. Tra questi, l’Italia, che rimane in attesa del rapporto di Transparency International previsto per il prossimo Novembre.

 

[1] Cfr. P.L. Petrillo, “Democrazie sotto pressione”, Giuffrè editore, Siena, 2011.

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Norme sul lobbying: l’Europa avanza, l’Italia è immobile http://www.lobbyingitalia.com/2014/01/norme-sul-lobbying-leuropa-avanza-litalia-e-immobile/ Wed, 29 Jan 2014 12:12:46 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2154 E con il via libera arrivato ieri da parte della Camera dei Lords alla “Lobbying Bill” proposta dal Primo Ministro britannico David Cameron, sono ora 26 i paesi al mondo (di cui 10 europei), oltre all’Unione Europea, ad avere norme che regolano l’attività di lobbying.

Quello delle normative sul lobbying è un processo che parte da lontano, e che vede la sua prima vera affermazione negli USA col “Federal Regulation of Lobbying Act” del 1946 (sostituito nel 1995 dal “Lobbying Disclosure Act” e dalle successive modifiche volute anche dal presidente Obama con l’Honest Leadership Act). Ma, in particolare a partire dagli anni 2000, anche l’Europa ha iniziato a marciare verso lo stesso obiettivo, sotto la spinta di una richiesta da parte di cittadini, imprese e organizzazioni internazionali (con OCSE e ONU in prima fila) di una sempre maggior trasparenza della politica. E gli stessi lobbisti, contrariamente ad un’errata opinione comune, sono assolutamente favorevoli (come dimostrato da un sondaggio dell’OCSE del 2009) ad una regolamentazione del settore, che garantirebbe loro certezza del diritto per la loro attività e una legittimità che certamente aiuterebbe anche l’aspetto business.

La situazione italiana sul tema è purtroppo nota. Circa 50 progetti di legge e un ddl del Governo Prodi tra il 1976 ed oggi hanno portato al nulla di fatto. Il presidente del Consiglio Enrico Letta più volte si speso in favore di una legislazione adeguata, ma uno scontro tra i Ministri Quagliarello e D’Alia – interventi con due progetti contrastanti –  e la forte opposizione dell’ex Ministro De Girolamo (che paventò addirittura un “ritorno all’Unione Sovietica”) in Consiglio dei Ministri lo scorso luglio, ha fatto finire tutto in un mandato al Ministro delle Politiche UE, Moavero Milanesi “di fare un esame comparato con i principali paesi europei“.

Essendo ormai passati sei mesi, e dopo un ulteriore intervento televisivo del presidente Letta poche sere fa, come aiuto al Governo abbiamo pensato potesse essere utile rendere noto l’esame comparato che il Governo (ufficialmente, è chiaro) non ha ancora realizzato. Ecco quindi di seguito un quadro delle norme esistenti sul lobbying nei vari stati dell’Unione Europea ed europei in generale.

Le normative sul lobbying in Europa

Il primo paese a normare l’attività di lobbying è stata la Germania, il cui registro risale addirittura al 1951, istituzionalizzato poi nel settembre 1972. Il registro è volontario, e non è designato come un registro dei lobbisti di per se. Infatti, è primariamente un sistema che regola l’accesso agli edifici parlamentari. Inoltre, include solo organizzazioni e non individui, non include informazioni finanziarie sulle risorse impegnate, mentre invece impone  di comunicare soggetti rappresentati e le questioni su cui l’organizzazione lavora. La norma riflette la tradizionale cultura tedesca del coinvolgimento delle organizzazioni di rappresentanza (principalmente dell’industria e i sindacati) e delle fondazioni nel sistema decisionale pubblico. Sono di conseguenza assenti dal registro le società di lobbying. Al 24 gennaio 2014 erano 2148 le organizzazioni registrate.

La Germania inoltre presenta dei registri anche a livello di lander. Brandenburgo e Renania-Palatinato ne hanno istituito uno nel 2012, mentre Berlino e l’Assia dovrebbero averne uno a breve.

L’Austria è il paese con la regolamentazione più recente. Nel 2012 ha adottato un stringente regolamentazione dell’attività di lobbying con una norma denominata “Lobbying- und Interessenvertretungs-Transparenz-Gesetz” (Legge sulla trasparenza di lobbying e rappresentanza di interessi”. Il Bundestag austriaco ha approvato una norm che impone un registro obbligatorio per tutti coloro che ricevono un compenso per attività mirate ad influenzare la legislazione o le politiche pubbliche. L’obbligo riguarda anche le organizzazioni di rappresentanza . Tra i dati da includere nel Lobbying- und Interessenvertretungs-Register, gestito dal Ministero della Giustizia, sono inclusi: l’identità del lobbista, i clienti, le questioni su cui il lobbista lavora e i contatti con i funzionari pubblici (Ministri, parlamentari, dirigenti della PA). La gran parte di questi dati è disponibile al pubblico via web. Inoltre, i lobbisti debbono impegnarsi a rispettare un Codice di Condotta incluso nella norma generale, la cui violazione può portare alla sospensione dal registro e quindi dalla possibilità di esercitare l’attività. La norma è in vigore dall’1 gennaio 2013. Al 29 gennaio 2014 risultano essere 231 i lobbisti o le organizzazioni iscritte al Registro austriaco.

Sempre nel 2012, nel mese di luglio, la Tweede Kamer der Staten-Generaal, la Camera Alta del Parlamento d’Olanda ha introdotto con un proprio atto un Lobbyistenregister che prevede un sistema di accessi (uno per organizzazione) alla Camera. Il Registro distingue tre categorie di lobbisti: rappresentanti di società di consulenza di PR o public affairs; i lobbisti delle associazioni di rappresentanza, e quelli delle municipalità e delle province. Al 13 gennaio 2014 erano 78 i lobbisti rappresentanti di società o organizzazioni iscritti nel Registro olandese, che prevede una disclosure limitata di informazioni, ma aiuta a regolamentare l’accesso, tema assai sentito da parte di istituzioni e lobbisti.

Anche la Francia presenta una regolamentazione assai leggera a seguito dell’istituzione di un Registro dei lobbisti presso l’Assemblee national e il Senat. Come in Olanda, la registrazione consente ai lobbisti un accesso diretto alle sedi delle due camere, Palais Bourbon e a Palais du Luxembourg. A seguito di recenti aggiustamenti (il rapporto Sirigue del marzo 2013), le informazioni contenute nel registro sono molto più abbondanti: oltre ai nomi dei lobbisti debbono infatti essere rese note le risorse assegnate da una particolare società o ONG; le società di consulenza sono invitate a fornire i nomi dei loro clienti e le ONG le fonti delle donazioni e sovvenzioni. Inoltre, ci sono più filtri prima dell’iscrizione (che può essere respinta), è stato limitato l’accesso ad alcune aree mentre è stata data la possibilità ai lobbisti registrati di ricevere degli alert o inviare contributi sulle norme. Le relazioni individuali tra parlamentari e lobbisti non sono condizionate dall’inclusione di quest’ultimi nel registro (sarebbe incidere sulla libertà dei parlamentari). E’ previsto un Codice di Condotta. Al 28 gennaio 2014 risultano essere 237 i lobbisti registrati. Più limitato è invece il registro del Senato. Rimane infine il buco nero dei rapporti tra lobbisti e Governo. E’ possibile che però presto venga istituito un registro unico presso l’Haute Autorité pour la transparence de la vie publique che ha come mission anche quella di dare indicazioni sui rapporti tra lobbisti e amministrazione pubblica.

L’Europa dell’Est avanza

Diversa è la situazione dei paesi dell’ex blocco sovietico, dove più si è sviluppata una regolamentazione dell’attività grazie alle spinte delle OCSE a supporto del processo di democratizzazione, anche se principalmente in un’ottica di politiche anticorruzione.

La Lituania è stato il primo paese dell’Est ad adottare una legge sull’attività di lobbying il 27 giugno 2000 (entrata in vigore l’1 gennaio 2001).  La legge determina cos’è l’attività di lobbying, un lobbista (inteso solo come il consulente) e il suo cliente; prevede il controllo sulle informazioni fornite e una serie di sanzioni per la violazione della norma. La legge definisce attività di lobbying quella condotta dietro compenso mirata ad influenzare l’adozione, la modifica, l’integrazione o l’abrogazione di atti normativi. La legge è stata però scarsamente applicata, e ciò perché le ONG e altri soggetti hanno rifiutato di essere integrati, anche per un processo culturale che deriva dal ricordo del regime sovietico che tendeva ad inquadrare nel sistema e schiacciare ogni rappresentanza della società civile.

La Polonia ha approvato una norma che regola l’attività di lobbying e impone un registro obbligatorio nel 2005.   Tra i principali elementi della norma la definizione di “attività di lobbying” e il tipo di lobbisti (come la Lituania, la norma si applica ai soli consulenti), le procedure di registrazione e la tarsparenza, e le sanzioni in caso di violazione della norma. Una particolarità della norma polacca è che impone ai funzionari governativo di mantenere un registro dei contatti coi lobbisti da rendere pubblico annualmente. La norma, nata in un’ottica restrittiva ha però nel tempo subito delle modifiche ispirate alla promozione del buon governo e della trasparenza dell’iter legislativo. Un punto importante infatti è che  il Governo ogni sei mesi deve pubblicare il programma del lavoro legislativo e i termini per chiudere la discussione sulle bozze normative, inoltre vengono date indicazioni agli uffici su come cooperare al meglio coi lobbisti, cui deve essere garantito accesso e spazi riservati. Al riguardo il parlamento polacco è intervenuto modificando i suoi regolamenti dando anche delle specifiche sulla gestione delle audizioni.

Nel 2006 è stata la volta dell’Ungheria ad emanare una legge sul modello UE che istituiva un registro dei lobbisti volontario, abrogata poi nel 2011 dal governo Orban, in quanto la norma “non coincideva con i costumi e le procedure ungheresi” e non veniva percepita come necessaria (col risultato di scarse iscrizioni). Nel febbraio 2013 però il governo ha inserito una serie di regole sui rapporti tra funzionari pubblici e lobbisti all’interno di un sistema generale di norme anticorruzione e trasprenza.

Dopo Israele nel 2008, che dovrebbe rivedere la norma nel suo complesso nei prossimi mesi, nel 2010 è arrivata la legge sul lobbying della Slovenia. Questa è stata inserita all’interno delle misure anticorruzione nel quadro di un programma finalizzato al rafforzamento della trasparenza del sistema. La norma prevede un Registro obbligatorio che richiede di fornire: nome e indirizzo dei lobbisti; i loro clienti; i compensi ricevuti; i finanziamenti dati ai partiti politici; le questioni su cui fanno lobbying; gli uffici contattati. Tutte le informazioni sono rese pubbliche via web e sono sottoposte al controllo della Commissione per la prevenzione della corruzione. Come in Polonia, c’è un obbligo per i funzionari governativi di rendicontare i contatti coi lobbisti, anche se nel primo anno di applicazione della norma quest’ultimo aspetto non ha ricevuto adeguato rispetto (anche per mancanza di sanzioni specifiche).

Gli altri paesi che vedono in vigore normative sul lobbying sono Macedonia, Montenegro e Georgia (inclusa come Israele, essendo la lista dei paesi che fanno parte dell’UEFA l’unico concetto alternativo reale di Europa alternativo a quello dell’UE!). E non va dimenticato che nel resto del mondo, accanto a paesi come Canada e Australia (che vedono un registro anche per gran parte delle rispettive province e stati), c’è una lunga serie di nazioni che hanno deciso di regolare in maniera più o meno adeguata l’attività di lobbying. L’ultimo della lista è il Cile, che ha approvato la norma la scorsa settimana dopo un dibattito decennale, ma prima di esso ci sono stati Messico, Colombia, Argentina e Perù. In Asia addirittura le Filippine dagli anni ’50 e Taiwan dal 2008 hanno una norma, mentre in India la discussione è stata avviata, come anche in Nigeria.

Le norme a venire nel 2014

Ma non è finita qui. Molto probabilmente Irlanda, Spagna, Bulgaria, Romania e forse persino Ucraina potrebbero avere una normativa ad hoc entro il 2014, mentre l’Italia rimane con le sue tre, inutili ed inapplicate, norme a livello regionale (Toscana, la sua copia Molise e Abruzzo) e forse con il Registro dei rappresentanti di interessi presso il MIPAAF, che forse si salverà, dopo essere stato abbandonato, a seguito delle dimissioni del Ministro De Girolamo, acerrima nemica di ogni regolamentazione delle lobbies (anche se nella scorsa legislatura fu prima firmataria di un ddl di “Disciplina dell’attività di relazione istituzionale“)

A questo punto il Ministro Moavero ha a disposizione un quadro delle norme esistente (anche se ci piacerebbe leggere quello preparatogli dai suoi uffici), di conseguenza si attende il prossimo passo al riguardo da parte del presidente Letta. Un passo che auspichiamo possa dare seguito alla recente dichiarazione a Lilli Gruber nella sua trasmissione 8 e 1/2 e, ancor di più, agli anni di lavoro portati avanti da VeDrò, il “suo” think net” ormai purtroppo abbandonato.

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Lobbisti di Francia. Un incontro con un Ministro? Tra i 20.000 e i 100.000 euro http://www.lobbyingitalia.com/2012/02/lobbisti-di-francia-un-incontro-con-un-ministro-tra-i-20-000-e-i-100-000-euro/ Tue, 07 Feb 2012 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2012/02/lobbisti-di-francia-un-incontro-con-un-ministro-tra-i-20-000-e-i-100-000-euro/ Nel suo interessante e molto attento libro “La Republique du Copinage”, Vincent Nouzille mostra come la tradizione nazionale si stia rinnovando con il ritorno in forze delle reti religiose e la salita al potere di nuovi attori: i membri della prestigiosa Scuola di Commercio di Parigi (HEC), le donne, i “militanti della diversità”, il popolo gay.
Nouzille conclude il suo viaggio con una questione che lo preoccupa: il clientelismo ha cambiato scala, andando a servizio degli interessi personali (già di per sé condannabile) per diventare fonte di profitto con la recente comparsa di veri e propri “professionisti dell’arte dell’influenza” che navigano tra le funzioni di governo elettive, consigli privati e lobbying.

Secondo Nouzille, anche se questa sovrapposizione di potere e denaro non è un monopolio della destra, il cosiddetto “Sarkozyisme” è stato un acceleratore decisivo: “Il denaro irriga pericolosamente il sistema. I gruppi di pressione più forti hanno un vantaggio rilevante rispetto a quelli che dispongono di scarsi mezzi. Intorno al potere politico, le fortune si accumulano, gli accessi al potere diventano merce di scambio”.

IL PAESE DELLE RETI E DEGLI AMICI

Dall’Eliseo alle TV, dalle anticamere ministeriali ai consigli di amministrazione, l’influenza si misura in base al circolo di persone che si riesce a frequentare. Vari soggetti possono aiutare chi ne ha bisogno: un ex allievo di una grande scuola, un confratello di una qualche loggia, un amico influente nei media, un comunicatore ben introdotto, …

I più ricchi sanno servirsi meglio degli altri di “connivenze” che possono permettere loro di preservare i propri privilegi, anche a rischio di alimentare un certo sospetto sul quel sistema oligarchico che in tal modo sembrano consolidare. Si tratta di un microcosmo che si protegge, mescolando una solidarietà già esistente tra chi ne fa parte e calcoli e interessi personali.

Con l’elezione di Nicolas Sarkozy nel 2007, questi giochi di potere hanno cambiato scala. La crisi di fiducia si è propagata. L’autismo delle élites si è aggravato. I clans hanno approfittato di favori accordati loro dall’alto. Numerose decisioni pubbliche non si prendono più presso i ministeri ma nei silenziosi corridoi dell’Eliseo, dove ciascuno tenta di farsi ascoltare da consiglieri ben inseriti o da amici della Première Dame.

In un suo importante discorso pubblico, fatto il 14 gennaio 2007, poco prima di essere eletto, Nicolas Sarkozy ha dichiarato che “la democrazia irreprensibile non è una democrazia in cui incontri e appuntamenti si stabiliscono in funzione di connivenze e amicizie, ma in funzione delle competenze. E’ quella in cui lo stato è imparziale. Se lo stato vuole essere rispettato, deve essere rispettabile. Sarò intransigente…”. Ma nel corso dei mesi, al contrario, proprio durante la sua presidenza, si è sviluppata la “Repubblica del clientelismo”.

I predecessori di Nicolas Sarkozy, François Mitterand e Jacques Chirac, avevano, anche loro, “sistemato” numerose persone a loro vicine in “accoglienti armadi d’oro”. Ma, a partire dal 2007, il paracadutismo, come lo chiamano in Francia, è diventato uno sport di alto livello, quasi una disciplina olimpica! Sono comparse nuove reti che si sono ritagliate progressivamente il loro spazio accanto a quelle già esistenti; gli ex studenti della Scuola di Commercio HEC, per esempio, hanno discretamente preso un posto di primo piano nel mondo degli affari e dei media, senza che nessuno se ne accorgesse. A loro non importa molto il governo, il potere politico, l’essenziale è che il business funzioni. Ma sorridendo, ricordano che tra gli ex, ci sono professionisti della politica come Jean-Louis Borloo, Françoise Hollande, Valérie Pécresse, …

Anche i Think Tanks, laboratori di idee che irrigano il dibattito pubblico, sono emerse dietro le quinte dei governi e dei diversi partiti, ispirando sempre di più e più frequentemente progetti di legge e programmi di vario genere. Infine le reti di lobbisti professionisti, gli spin doctors: anche loro sanno giocare su tutti i tavoli pur di preservare i loro interessi (o dei loro clienti). Consigliano e supportano ministri, leader di maggioranza, leader di opposizione, tutti tirano la corda dalla loro parte per poter stare nei posti migliori. Chiunque sarà il (la) nuovo (a) presidente, loro ci saranno!

ELETTI, AVVOCATI E LOBBISTI “MONETIZZANO” LA LORO AGENDA DI INDIRIZZI

“Quanto vale un incontro con un Ministro?”
“Tra i 20.000 e i 100.000 euro…”. Questa la risposta di un lobbista parigino.

Nel mondo del “commercio delle influenze” le abilità relazionali sono una vera e propria attività, la rubrica telefonica uno strumento prezioso. Tutto si acquista e tutto si vende. Compreso l’accesso ai ministeri. Fa parte delle “prestazioni” che possono essere richieste dai clienti, che si tratti di gruppi di interesse che vogliono essere ascoltati, di corporazioni che vogliono far passare i propri messaggi, di imprese desiderose di difendere i mercati in cui operano. Alcune società di comunicazione e lobbying non lesinano su grandi mezzi per soddisfare la domanda: un incontro di un loro cliente con un ministro può rivelarsi molto efficace per fa andare avanti una causa, sbloccare una sovvenzione, suggerire un emendamento ad un progetto di legge che va contro alcuni interessi.

Le tariffe? “Non ce ne sono, dipende dal tempo che si impiega e dalla complessità dei dossier”, prosegue l’anonimo lobbista parigino di prima. “In ogni caso, un incontro con un segretario di Stato potrà costare al cliente tra i 20.000 e i 50.000 euro. Con un ministro importante tra gli 80.000 e i 100.000. In alcuni casi, eccezionali, si arriva anche a 200.000 euro”.

Gli importi riportati sopra danno le vertigini, ma sono stati confermati da molti altri professionisti. “Se messi a confronto con i prezzi praticati abitualmente da alcuni consulenti o da avvocati di alto livello, queste tariffe non mi sorprendono”, commenta Capucine Fandre, presidente della società di consulenza e lobbying “Séance Publique”. Sospetto di corruzione? Nessuno dei soggetti intervistati ha evocato questa ipotesi.

Il business dell’influenza, dunque, vale milioni anche in Francia. Ed è anche molto stuzzicante. Sono in tanti a concorrere in questo mercato in piena espansione ed ancora mal regolato. Vari responsabili delle relazioni istituzionali di grandi aziende o di grandi unioni professionali vivono e lavorano gomito a gomito con lobbisti nominati che rivendicano il loro stesso ruolo, con anziani politici o membri di alcuni uffici ministeriali divenuti consulenti, con consiglieri chiamati per la comunicazione che sviluppano attività di lobbying, con avvocati che vogliono valorizzare le loro competenze giuridiche e il loro carnet di contatti.

I confini tra mondo dei lobbisti e politica non sono netti. I passaggi dall’una all’altra sfera sono molto frequenti, a differenza di quanto invece accade in Italia, dove in genere la politica rimane un lavoro a vita essendo (troppo) ben remunerato. Si possono fare numerosi esempi, sia tra i consiglieri e amici dei leader di destra, sia di sinistra. Nessuno lobbista però ammette di mescolare le proprie attività professionali con la propria vita e le proprie conoscenze personali. Ciò che ribadiscono è invece: “Siamo fieri di essere utili con le nostre professionalità e la nostra pluriennale collaborazione con i decisori del mondo politico, del mondo dei media e dell’economia. Di mettere al servizio la nostra scienza dell’argomentazione, fondata su un’ottima conoscenza degli interlocutori”.

Un ottimo esempio di lobbista con qualche conflitto di interessi è quello di François Sarkozy, fratello del presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy. Nel 2010 la sua agenzia di “consulenza” nel settore sanitario AEC Partners (tra i clienti clienti Gsk, Bms, Sanofi-Aventis, Saint Jude Medical) è stata acquistata dal Publicis Group, venendo rinominata Publicis Healthcare Consulting, con il Sarkozy giovane diventato consigliere del COO di Publicis Jean-Yves Naouri.

François Guéant, figlio dell’attuale Ministro degli Interni, per esempio, ha a lungo occupato la funzione di capo di gabinetto di Pierre Simon, presidente della Camera di Commercio e dell’industria di Parigi. Era dunque il lobbista di questa importante istituzione che persegue gli interessi delle imprese ma, al contempo, portava (e porta) avanti un’importante carriera politica: consigliere dei ministri Brice Hortefeux e Alain Marleix dal 2005 al 2009, ex segretario nazionale del partito politico UMP (Union pour un Mouvement Populaire), cofondatore e presidente onorario dei giovani dell’UMP, dal 2007 sostituisce il deputato della regione del Morbihan Loїc Bouvard, al quale spera di succedere con le elezioni del 2012. Un esempio dunque di come questo “figlio di” poteva e può presentarsi all’Assemblée Nationale come politico eletto e come lobbista.

Un miscuglio che in un paese anglosassone creerebbe non pochi problemi al politico eletto, mentre in Francia sembra che il mondo del lobbying prenda un po’ dalla tradizione USA – ad esempio istituendo nel 2009 un Registro dei lobbisti presso l’Assemblée Nationale con tanto di Codice di Condotta – un po’ da quella europea, dove di trasparenza del lobbying si parla molto ma le regole sono assai poco incisive. Solo che sembra che di entrambe abbia sinora preso solo il peggio.

Giorgia Rossi – LI.Info

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Regolamentare le lobbies, ci provano anche i francesi http://www.lobbyingitalia.com/2007/10/regolamentare-le-lobbies-ci-provano-anche-i-francesi/ Thu, 18 Oct 2007 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2007/10/regolamentare-le-lobbies-ci-provano-anche-i-francesi/ Ci provano anche i francesi. Partendo dall’affermazione, un po’ ipocrita, che è ora di finirla di vedere andare a braccetto nei corridoi di Palais-Bourbon lobbisti e membri dell’Assemblée nationale, Arlette Grosskost e Patrick Beaudoin (UMP) deputati rispettivamente del Haut-Rhin e del Val-de-Marne, hanno chiesto lo scorso giovedì 28 giugno al presidente dell’assemblea nazionale, Bernard Accoyer, di costituire un gruppo di studi incaricato di un frame work di regole per l’attività dei gruppi di pressione.

Obiettivo della richiesta: presentare entro inizio 2008 una proposta di risoluzione recante modifica del regolamento dell’assemblea. I due deputati avevano già presentato nell’ottobre 2006 una proposta di risoluzione per stabilire norme di trasparenza su queste pratiche e formare un gruppo di lavoro battezzato "pressione e democrazia".

"Non condanniamo tutto in blocco”, precisa Patrick Beaudoin in una dichiarazione rilasciata a Liberation lo scorso luglio." Siamo anche favorevoli all’espressione della pressione, come fonte d’informazione, a condizione però che sia trasparente". "I metodi usati da imprese, sindacati ed ONG per influenzare il singolo parlamentare sono multipli, del semplice mail all’invito a pranzo fino viaggio tutto spesato. Essendo la regolamentazione estremamente vaga però, i gruppi d’interesse spesso superano la linea gialla. Come ad esempio quando fanno presentare emendamenti chiavi in mano, redatti dai rappresentanti delle lobbies, fino a quando accedono ai corridoi riservati dell’assemblea con indosso un badge di collaboratore parlamentare di qualche deputato".

Secondo un questionario realizzato da Grosskost e Beaudoin, che ha coinvolto 85 parlamentari, pubblicato ad inizio giugno, il 72% è stato oggetto di "frequenti o costanti" attenzioni da parte di lobbisti sotto forma di inviti (77 %) o attraverso richieste i presentare proposte di legge o d’emendamento (81 %).

Oltre ad un codice di condotta per i lobbisti, il tandem dell’UMP suggerisce di controllare il loro accesso all’assemblea con un distintivo personale, la loro iscrizione su un registro consultabile su Internet e la pubblicazione di un rapporto periodico sulle loro attività. "Occorre che si sappia chiaramente chi fa cosa", sottolinea Patrick Beaudoin.

Altro punto importante per i due deputati della maggioranza è garantire il pluralismo dei gruppi d’interesse ampliando e rendendo trasparente la procedura per farsi asocltare dai legislatori nelle sedi adeguate.

Un altro deputato Jean-Paul Charié, che sta redigendo un “Livre bleu du lobbying” che sarà pubblicato a breve, è assolutamente favorevole ad un controllo del lobbying e ritiene che il modo migliore sia "svilupparlo anziché sospettarlo". Il deputato (UMP) del Loiret va più lontano: "Gli eletti non conoscono tutto e devono informarsi presso la società civile. Raccogliere pareri non vuole dire di lasciarsi influenzare" Charié punta alla messa a disposizione di una sala del palazzo-Bourbon riservata agli ingressi interessati dai progetti di testo in corso.

Carta etica. Un’iniziativa quella dei due deputati dell’UMP alla quale si oppone Séverine Tessier, assistente parlamentare del deputato (PS) della Nièvre Christian Paul e presidente di Anticor, un’associazione di lotta contro la corruzione: "Sotto la cosiddetta trasparenza, queste proposte mirano ad istituzionalizzare la pressione". Secondo la Tessier occorre stabilire una frontiera tra pubblico e privato e limitare l’accesso dei lobbisti alle sole udienze "previste nell’ambito della procedura legislativa." Contraria alla proposta è anche l’organizzazione Corporate Europe, che la considera assolutamente limitata, priva com’è di qualsiasi imposizione di trasparenza finanziaria. Anticor ha in corso di redazione una carta etica per gli eletti (obbligo di rifiutare i regali, dichiarare ogni tentativo di pressione, ecc.). "Non sono tanto i lobbisti a dover adottare norme di condotta – afferma Séverine Tessier – ma sono i parlamentari a dover ben comportarsi”. Sempre a condizione che lo vogliano chiosa Liberation in un pezzo dedicato all’argomento qualche mese fa.

Franco Spicciariello – LI.Info

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