Unione Europea – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Commissione UE, verso una riforma del Registro per la Trasparenza http://www.lobbyingitalia.com/2016/03/commissione-ue-registro-trasparenza/ Tue, 01 Mar 2016 16:38:21 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3174

Nuova consultazione della Commissione sul Registro per la Trasparenza delle lobby. La domanda principale è: sarebbe opportuno renderlo obbligatorio per tutte le istituzioni dell’UE?

Il 1º marzo la Commissione avvierà una consultazione pubblica di 12 settimane per raccogliere contributi sull’attuale regime di registrazione per i rappresentanti di interessi che cercano di influenzare il lavoro delle istituzioni dell’UE e sulla sua evoluzione verso un registro obbligatorio dei lobbisti esteso al Parlamento europeo, al Consiglio dell’Unione europea e alla Commissione.

Il primo Vicepresidente della Commissione Frans Timmermans ha dichiarato: “L’attuale Commissione sta modificando il nostro modo di lavorare, che evolve verso un maggior coinvolgimento dei soggetti interessati e una maggiore trasparenza a proposito di chi incontriamo e perché. Dobbiamo andare ancora oltre e stabilire un registro obbligatorio, valido per tutte e tre le istituzioni, che garantisca la piena trasparenza sui lobbisti che cercano di influenzare l’elaborazione delle politiche dell’UE. Per riuscire a mettere in pratica correttamente questa proposta ci auguriamo di ricevere il maggior numero di contributi possibile da cittadini e soggetti interessati di tutta Europa sul funzionamento dell’attuale sistema e sulla sua evoluzione. Un’Unione europea più trasparente e responsabile è un’Unione in grado di fornire risultati migliori ai cittadini.

La Commissione ha elaborato una consultazione in due parti che consentirà di raccogliere le opinioni di un’ampia gamma di soggetti interessati, della società civile e dei cittadini. La prima fase della consultazione, che non richiede una conoscenza approfondita dell’attuale registro per la trasparenza, consente ai non esperti di rispondere a domande sui principi e sull’ambito di applicazione; la seconda sezione intende invece raccogliere pareri sul funzionamento pratico dell’attuale sistema da parte di coloro che lo utilizzano. I documenti della consultazione sono disponibili in tutte le lingue dell’UE per consentire un ampio feedback. La consultazione terminerà martedì 24 maggio.

Il nuovo sistema, che la Commissione intende presentare come proposta di accordo interistituzionale, costituirebbe un’evoluzione rispetto al registro attuale, gestito congiuntamente dal Parlamento europeo e dalla Commissione ma non obbligatorio e non esteso al Consiglio. Le riforme interne alla Commissione hanno già determinato un netto aumento delle iscrizioni al registro per la trasparenza: al 1º marzo nel registro figurano 9.286 iscritti rispetto ai 7.020 del 31 ottobre 2014, prima cioè dell’entrata in funzione della Commissione e delle sue riforme. La Commissione ritiene che lavorare insieme ai colegislatori del Parlamento europeo e del Consiglio sia determinante per consentire ai cittadini di avere una visione d’insieme su quali rappresentanti di interessi cercano di influenzare il processo legislativo. La consultazione pubblica servirà da base per la proposta che la Commissione presenterà nel corso dell’anno.

Contesto

La Commissione ha già intrapreso importanti riforme della propria organizzazione interna per promuovere una maggiore trasparenza. In base ai metodi di lavoro della Commissione Juncker, i commissari non possono più riunirsi con organizzazioni che non figurano nel registro per la trasparenza. In linea con l’iniziativa per la trasparenza, introdotta nel novembre 2014, tutte le riunioni tra rappresentanti di interessi e commissari, membri dei gabinetti e direttori generali della Commissione devono essere rese pubbliche entro due settimane dal loro svolgimento.

Nel suo primo anno di attività la Commissione ha pubblicato informazioni su oltre 6.000 riunioni (delle quali circa 5.500 con commissari e membri dei gabinetti e 600 con direttori generali). L’introduzione di questo nuovo sistema ha di fatto reso l’iscrizione nel registro per la trasparenza un requisito obbligatorio per qualsiasi soggetto intenzionato a incontrare i più alti responsabili politici e funzionari dell’UE.

L’impegno della Commissione di presentare la proposta di un registro per la trasparenza obbligatorio esteso a tutte le istituzioni europee figura anche negli orientamenti politici del presidente Juncker e nel programma di lavoro 2016 della Commissione. La Commissione ritiene che i cittadini abbiano il diritto di sapere chi cerca di influenzare il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione nel processo legislativo.

Le modifiche previste per il registro per la trasparenza sono parte di un più ampio progetto di riforma del modo di elaborare le politiche nell’UE. Nella sua agenda “Legiferare meglio, presentata nel maggio 2015, la Commissione si è assunta l’impegno di aprire ulteriormente il processo di elaborazione delle politiche al controllo e al contributo dei cittadini. Sono già stati istituiti nuovi meccanismi di feedback che consentono ai soggetti interessati di manifestare alla Commissione il loro punto di vista fin dall’inizio dell’elaborazione di un’iniziativa, sulla base di tabelle di marcia e valutazioni d’impatto iniziali, e in seguito all’adozione di una proposta da parte della Commissione, in modo da contribuire al processo legislativo in seno al Parlamento e al Consiglio.

Altri strumenti che consentono ai soggetti interessati di presentare osservazioni sulla legislazione esistente sono previsti nel quadro del programma REFIT. Il sito web “Ridurre la burocrazia — dite la vostra!” è già operativo e consente ai cittadini di fornire un feedback su norme dell’UE esistenti. I contributi ricevuti vanno ad alimentare l’operato della piattaforma REFIT, che offre consulenza alla Commissione sugli ambiti legislativi che andrebbero riesaminati per rendere la legislazione dell’UE più efficace ed efficiente.

Nel novembre 2014 la Commissione ha infine adottato una comunicazione che delinea una maggiore trasparenza nei negoziati per il partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP). La Commissione ritiene fondamentale garantire che l’opinione pubblica abbia accesso a informazioni accurate ed esaurienti sulle intenzioni dell’UE nell’ambito dei negoziati.

La consultazione pubblica sarà aperta fino all’1 giugno 2016 al seguente link.

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Innovation Deals: l’UE propone un nuovo sistema di lobbying partecipativo http://www.lobbyingitalia.com/2016/02/innovation-deals-lue-propone-un-nuovo-sistema-di-lobbying-partecipativo/ Mon, 08 Feb 2016 13:59:47 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3160 Tecnologie e leggi sono in continua evoluzione. Il loro progresso detta il ritmo dell’introduzione di nuovi ambiti di ricerca e applicazione, di nuovi prodotti e servizi. Tecnologie e leggi non si sviluppano però in maniera armonica. Sarebbe un controsenso se lo facessero. Alcune regole ci proteggono dall’ignoto e da fughe in avanti nell’interesse di singoli gruppi che potrebbero danneggiare la collettività. Altre leggi rappresentano un intrico di lacci e lacciuoli che rallenta inutilmente il lavoro di scienziati e innovatori.Ci sono momenti della storia dell’umanità in cui la tecnologia accelera e crea nuove opportunità a ritmi particolarmente intensi, cambiando profondamente il nostro modo di vivere, produrre e consumare. Questi momenti si chiamano rivoluzioni industriali: il vapore e l’elettricità hanno abilitato lo sviluppo della prima e della seconda. Da qualche decennio siamo nel mezzo della  terza rivoluzione industriale, spinta dallo sviluppo dell’informatica, dalla convergenza dell’informatica con le tecnologie di comunicazione, dalla socializzazione delle tecnologie digitali.

Nel mezzo di una rivoluzione industriale il confronto tra norma e tecnologia è particolarmente serrato. Nuove regole creano nuovi mercati, definiscono nuovi standard, rallentano alcune direzioni di sviluppo. Epico lo scontro di fine Ottocento che prese il nome di War of Currents e che vide Thomas Edison tentare di impedire, o quanto meno rallentare, l’introduzione del sistema di corrente alternata in mano all’imprenditore George Westinghouse. Scriveva Edison nel novembre del 1886 al suo mentore e poi stretto collaboratore Edward Johnson: “Sono sicuro che da qui a sei mesi Westinghouse ammazzerà uno dei suoi clienti!” Edison scatenerà contro Westinghouse una delle più impressionanti campagne di comunicazione e lobbying mai intentate fino allora, con l’obiettivo di convincere il legislatore americano a stare ben lontano dai sistemi di corrente alternata. Tragicamente, proprio lo stesso Edward Johnson morirà per una forte scossa elettrica (trent’anni dopo la lettera di Edison…). A quel punto però il sistema di corrente alternata sarà ormai diventato lo standard, che ancora oggi porta energia nelle nostre case.

Da un punto di vista della gestione dell’innovazione, l’ambito normativo non è altro che uno dei tanti cambi di battaglia dove un’azienda può trovare nuove fonti di vantaggio competitivo. Primo esempio è il complesso mondo della proprietà intellettuale (Kodak Vs Polaroid, Samsung Vs Apple, Research in Motion Vs NTP etc etc). Insieme al collega di Groningen, Dries Faems, ho dedicato un intero fascicolo del California Management Review all’analisi dell’Appropriation Advantage, cioè alla capacità di alcune aziende di impostare meglio di altre la gestione della loro proprietà intellettuale e di ottenere grazie a ciò un posizionamento migliore rispetto alla concorrenza (l’angolo dell’autopromozione: ecco il video che abbiamo realizzato per spiegare questo concetto).

Dal punto di vista della politica sull’innovazione, l’ambito normativo è una leva particolarmente potente per rallentare o accelerare lo sviluppo di dinamiche industriali. Influenzare lo sviluppo delle norme e delle politiche in un senso o nell’altro si chiama lobbying. Particolarmente curioso come il concetto di lobbying nacque e si sviluppò. Si narra che il Presidente USA Ulysses Grant (1869-1877) fosse costretto ad una pesante coabitazione alla Casa Bianca, dove aveva deciso di trasferirsi tutta la famiglia della First Lady Julia Dent. Per sfuggire alle pressioni del suocero, il Presidente aveva preso l’abitudine di trascorrere le serate godendosi un buon sigaro nella lobby del Willard Hotel, a pochi metri dalla Casa Bianca. Gli avventori dell’hotel si abituarono alla presenza del Presidente e iniziarono ad avvicinarlo presentandogli problemi e idee. Da quelle origini è sorta una vera e propria industria dei lobbisti, che si è inventata forme di pressione ben più sofisticate e non sempre inclusive. Anzi.

L’iniziativa chiamata Innovation Deals, annunciata dal Commissario Carlos Moedas in un recente discorso a Bruxelles, è in qualche modo un tentativo di dare una forma più partecipativa alle dinamiche di lobbying su nuove regole per l’innovazione.

Innovation Deals ha come obiettivo quello di creare dei tavoli di negoziazione rappresentativi dei diversi interessi del mondo scientifico e industriale. Compito di questi tavoli sarà quello di evidenziare ambiti di intervento su regole che possono essere efficacemente cambiate per promuovere l’applicazione alla società di scienza e tecnologia.

Innovation Deals è un progetto pilota che potrà funzionare se (1) l’esperimento verrà preso sul serio dagli Stati Membri dell’Unione: lo stanno facendo i Paesi Bassi che hanno adottato questa come una delle iniziative bandiera della loro Presidenza. Inglesi, tedeschi e francesi sostengono da anni la rilevanza della questione.

Avrà successo se appunto (2) sarà inclusivo, innanzitutto perché escludere i riottosi non è una buona strategia per veder riuscire la fase implementativa.

Avrà successo se (3) la governance di questi tavoli sarà innovativa. Non è semplice avvicinare competenze e linguaggi della giurisprudenza e della tecnologia. Per farlo bisogna trovare dei contesti nuovi. Me ne sto accorgendo chiacchierando con i colleghi giuristi Erika Palmerini e Andrea Bertolini che lavorano insieme agli ingegneri della Scuola Superiore Sant’Anna al progetto Robolaw, che ha come obiettivo quello di allineare lo sviluppo normativo con quello tecnologico nel campo della robotica.

Primo ambito di sperimentazione, suggerisce Moedas, sarà l’economia circolare. Si tratta di un contesto meno controverso rispetto al dibattito sulle staminali o alle lotte tra tassisti e Uber. E’ dunque un ambito in cui, se ben impostati, questi tavoli potrebbero in breve identificare risultati molto interessanti. E’ fondamentale che l’Italia si faccia coinvolgere e travolgere da questa iniziativa.

Fonte: Alberto Di Minin, Sole24Ore

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UE, nasce la lobby delle compagnie aeree più potente d’Europa (EuNews) http://www.lobbyingitalia.com/2016/01/ue-nasce-la-lobby-delle-compagnie-aeree-piu-potente-deuropa-eunews/ Fri, 22 Jan 2016 10:08:47 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3137 Ne fanno parte Air France-KLM, il gruppo Lufthansa, International Airline Group, Ryanair ed Easyjet

Tieni i tuoi amici vicino e i tuoi nemici ancora più vicino” dice una massima del generale cinese Sun Tsu. Frase che negli ultimi tempi deve essere stata letta e riletta dagli amministratori delegati dei cosiddetti “big five” del cielo europeo, che hanno deciso di riunirsi in un’unica associazione chiamata “Airlines for Europe” (A4E).

Dopo anni di guerra più o meno aperta, le compagnie considerate tradizionali Air France-KLM, il gruppo Lufthansa e International Airline Group (composto da British Airways, Iberia, Aer Lingus e Vueling), si sono alleate con le due più grandi compagnie low-cost europee: Ryanair e Easyjet.

Scopo dell’operazione è creare la più grande lobby Ue del settore, diventando così il punto di riferimento privilegiato e l’interlocutore principale delle istituzioni comunitarie, in particolare della Commissione europea. I cinque gruppi fondatori di A4E rappresentano il 50% del traffico aereo dell’Unione. L’associazione diventerà operativa verso la metà di quest’anno.

Fonte: EuNews

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Il lobbying dei (e per) i buoni http://www.lobbyingitalia.com/2016/01/il-lobbying-dei-e-per-i-buoni/ Sat, 09 Jan 2016 08:40:17 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3116 (Francesco Angelone) L’attività di lobbying come indicatore di deficit democratico e come strumento per restituire nelle mani dei cittadini il potere decisionale. Sembrerebbe una contraddizione in termini ma non lo è se a cambiare è il soggetto di tale attività. È quello che sostiene la Wake Up Foundation, organizzazione no-profit impegnata, con la campagna Wake Up Europe!, nel tentativo di ridistribuire in maniera più equa il potere politico in favore dei cittadini. La fondazione, presieduta e guidata dalla giornalista e regista italiana Annalisa Piras e dal giornalista inglese Bill Emmott, co-autori del documentario Girlfriend in a Coma uscito nel 2012, nasce proprio con l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo le “pericolose tendenze attualmente in corso nelle società occidentali”.

La campagna Wake Up Europe! scaturisce da un secondo docu-film diretto dalla Piras ed uscito nel 2015, The Great European Disaster Movie, che affronta il tema della crisi europea. Nel documentario, ambientato in un futuro prossimo, l’Unione Europea è solo un ricordo. Su un aereo che affronta turbolenze durante il volo e che non riesce ad atterrare su nessuna pista, un archeologo (scelta emblematica) spiega ad una bambina di essere in ritardo per una conferenza sull’Unione Europea nella quale deve intervenire. La bambina gli chiede cosa sia l’Unione Europea e a quel punto comincia un viaggio nel passato, un passato dove i nazionalismi e gli indipendentismi hanno messo la parola fine al sogno dei padri fondatori. L’Europa oggi, secondo il team di Wake Up Foundation, è a rischio implosione e lo è soprattutto per la scarsa consapevolezza dei cittadini su quanto sta accadendo.

Il lobbying allora che ruolo ha in tutto ciò? In un contesto politico come quello dell’Unione Europea, che appare a molti troppo poco trasparente e distante dai cittadini, che non vedono come poter entrare in contatto con le istituzioni europee, cresce lo spazio per il corporate lobbying che finisce per dominare il processo legislativo. Tanto ignari sembrano essere i cittadini dei diritti forniti loro dalla legislazione europea quanto consapevole il mondo degli affari sembra essere dei propri.

Bruxelles, il luogo dove vengono prese le decisioni, è chiaramente una postazione privilegiata per osservare quanto accade in Europa. Nella capitale del Belgio e d’Europa sono attivi circa 30 mila lobbisti se si contano anche quelli non iscritti al Registro per la trasparenza di Commissione e Parlamento, un esercito pari per numero solo a quello dello staff in servizio presso la Commissione europea. Figurano in questa stima anche le ONG, spesso mal equipaggiate per rappresentare gli interessi dei cittadini europei per carenza di personale, per la natura stessa degli interessi che devono rappresentare e per il budget di cui dispongono. Ne consegue che, seppure parlino a nome di molti, la loro voce non arriva forte come quella della di pochi più attrezzati alle orecchie dei decisori pubblici europei.

Oggi, però, per sovvertire questa tendenza i cittadini hanno a disposizione una serie di strumenti forniti dalla rivoluzione informatica ma anche uno strumento più tradizionale come quello della collaborazione, anche pro-bono. Negli Stati Uniti è in pieno svolgimento il fenomeno per cui appassionati e volontari qualificati forniscono la propria esperienza, strategie, marketing e risorse umane di cui le organizzazioni hanno bisogno. In Europa il fenomeno, più irregolare e frammentato, sta comunque guadagnando slancio.

the good lobby

Per far incontrare la domanda e l’offerta di know-how, le ONG e i volontari qualificati, la Wake Up Foundation ha istituito The Good Lobby, una piattaforma online dove studenti, accademici e chiunque voglia può fornire assistenza per le attività di advocacy di cui si occupano le ONG. Per mettere a disposizione le proprie skill di diritto comunitario, comunicazione e sviluppo delle policy è sufficiente iscriversi alla piattaforma. Saranno le ONG a rivolgersi alla piattaforma per trovare le competenze di cui hanno bisogno e questa favorirà l’incontro di domanda e offerta e la loro collaborazione.

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Avvocati e lobbisti, convivenza in attesa di regole [Huffington Post] http://www.lobbyingitalia.com/2015/11/avvocati-e-lobbisti-convivenza-in-attesa-di-regole-huffington-post/ Tue, 10 Nov 2015 15:53:35 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3036 Gli studi legali di Brussels, quando fanno attività di lobbying per i loro clienti presso le Istituzioni comunitarie, devono sottostare o meno alle stesse regole di trasparenza dei lobbisti veri e propri? La domanda non è banale perché una risposta affermativa implica l’iscrizione al registro della trasparenza e la conseguente pubblicazione dei nominativi dei propri clienti, sulla falsariga di quanto avviene da tempo negli Stati Uniti, come condizioni imprescindibili per poter fare incontri istituzionali.

Jakob Hanke su Politico ci informa che la Commissione Europea sta procedendo all’apertura di una consultazione pubblica volta a comprendere le posizioni dei vari operatori. Da un lato i lobbisti veri e propri vogliono regole uguali per tutti a fronte della stessa attività e cioè l’obbligatorietà della registrazione e pubblicazione della lista dei clienti e accusano in qualche modo gli avvocati di concorrenza sleale, dall’altra gli avvocati lobbisti cercano di conservare il privilegio legato alla riservatezza, che costituirebbe una delle caratteristiche intrinseche della professione e non intendono rivelare pubblicamente i nominativi dei propri clienti. La soluzione di possibile compromesso potrebbe essere sempre ripresa dal modello statunitense secondo cui la rivelazione dell’identità dei clienti sarebbe obbligatoria soltanto quando si svolge un’attività di public affairs, mentre il rapporto confidenziale con il cliente rimarrebbe salvaguardato se l’oggetto del mandato riguarda strettamente l’attività legale.

Inoltre Hanke rivela che secondo alcuni esperti indipendenti, tuttavia il modello americano non sarebbe perfettamente assimilabile in Europa, dove gli studi fanno parte di 28 associazioni nazionali diverse con regole differenti e che pertanto è difficile capire dove finisce l’attività legale ed inizia l’attività di lobbying. In sostanza ciò che rende difficile l’applicazione di un reale principio di trasparenza in Europa è probabilmente dovuto al fatto che manca una definizione completa ed esaustiva di che cosa sia l’attività di lobbying. Quello che è però evidente è che ormai da tempo i principali studi sia negli Stati Uniti che a Brussels hanno aperto dei dipartimenti al cui interno non operano avvocati, ma lobbisti a tutti gli effetti che offrono servizi di government affairs. E d’altra parte è condivisibile la logica di business sottostante: le “law firm” puntano a diventare degli attori globali integrati orizzontalmente in grado di offrire una consulenza giuridico-legislativa che oltre alle aule dei tribunali comprende anche quelle parlamentari, sfruttando al meglio le economie di scala che ne derivano.

Tale strategia negli Usa si è dimostrata vincente e se si guardano le classifiche per fatturato delle principali società di lobbying, elaborate da Open Secrets, uno dei principali osservatori di monitoraggio del rapporto tra denaro e politica, ai primissimi posti si trovano da sempre studi legali come “Patton Boggs” e “Akin Gump“, tutti tra l’altro obbligati a rivelare apertamente compensi e clienti per cui hanno svolto attività di lobbying. Quindi sarebbe auspicabile che anche in Europa si giunga ad un sistema di regole uniformi per tutti gli attori del mercato a favore di una maggiore trasparenza. Gli studi legali italiani invece sono ancora indietro da questo punto di vista, e anche quando sono branch di studi stranieri si attengono, almeno formalmente, all’esercizio dell’avvocatura in senso stretto, anche se un’integrazione con attività di lobbying sembra nella natura delle cose in un futuro più che prossimo, seguendo gli esempi comunitari e americani.

Fonte: Luigi Ferrata – SEC Relazioni Pubbliche e Istituzionali, su Huffington Post

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Commissione UE sotto i fari dell’Ombudsman: più trasparenza con le big tobacco [L’Espresso] http://www.lobbyingitalia.com/2015/10/commissione-ue-sotto-i-fari-dellombudsman-piu-trasparenza-con-le-big-tobacco-lespresso/ Tue, 06 Oct 2015 07:31:14 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2970 La Commissione europea sotto accusa: omette di censire i colloqui con gli avvocati ingaggiati dai produttori di sigarette. E l’Ombudsman ora scrive: massima trasparenza sulla salute pubblica entro il 31 dicembre.

E’ difficile perdere il vizio del fumo. E nonostante le promesse, la Commissione Ue continua ad avere incontri nascosti con i lobbisti delle sigarette. Lo riconosce l’Ombudsman europeo, la più agguerrita e indipendente tra le autorità che vigilano sulla vita dell’Unione. Ieri il responsabile Emily O’Reilly ha pubblicato un rapporto preliminare sulle relazioni con Big Tobacco: un documento che evidenzia «debolezze intrinseche» nei metodi di lavoro della Commissione, con un approccio «inadeguato, inaffidabile e insoddisfacente».

Si tratta di un settore delicatissimo, sottoposto alle pressioni concentriche dei giganti delle sigarette che fanno di tutto per evitare norme restrittive in difesa della salute. Il più grave scandalo nella storia recente dell’Europa Unita è avvenuto proprio su questo fronte. Nel 2012 il responsabile della Sanità europea John Dalli è stato obbligato a dimettersi dopo che un’indagine dei detective antifrode lo aveva chiamato in causa per una mazzetta da 60 milioni di euro: una tangente destinata ad alleggerire la legislazione Ue in tema di tabacco.

Il dossier dell’Ombudsman ritiene che sia la vecchia Commissione guidata da Jose Manuel Barroso, sia l’attuale presieduta da Jean-Claude Juncker abbiano omesso di rendere noti gli incontri con gli avvocati ingaggiati da Big Tobacco. Vengono registrati solo i colloqui con i lobbisti ufficiali delle aziende e delle associazioni industriali ma non quelli con i loro legali, che formalmente fanno capo di studi professionali indipendenti. Ma per la O’Relly questo è solo un escamotage per violare la convenzione voluta dalle Nazioni Unite nel 2005, che impone la massima trasparenza nelle relazioni tra fabbricanti di nicotina e istituzioni internazionali.

La Commissione ha respinto l’accusa e replica che avere fornito all’Ombudsman i documenti richiesti dimostra come le regole di trasparenza siano state rispettate. Ma il Garante vuole che tutti i colloqui tra alti dirigenti europei ed emissari di Big Tobacco vengano censiti, anche quelli con gli avvocati. E ha dato tempo fino al 31 dicembre per spiegare come intendono risolvere il problema. «La Commissione europea ha una responsabilità particolare nel garantire che le decisioni per la salute pubblica siano quanto più trasparenti possibili», ha dichiarato Emily O’Relly», aggiungendo: «Si tratta di un’opportunità per la Commissione Juncker di diventare un leader globale nella difesa della salute pubblica».

«Questa decisione è una vittoria significativa nella lotta contro i modi di agire sinistri di questa industria letale», ha commentato Olivier Hoedeman, coordinatore delle campagne della ong Corporate Europe Observatory che mette in luce i conflitti di interesse tra grandi aziende e istituzioni europee.

Gianluca Di Feo – L’Espresso

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Bruxelles corrotta, Europa infetta | L’Espresso http://www.lobbyingitalia.com/2015/10/bruxelles-corrotta-europa-infetta-lespresso/ Fri, 02 Oct 2015 13:42:28 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2957 Nuova inchiesta de L’Espresso, molto negativa sul mondo del lobbying comunitario.

Tangenti. Sprechi. Inefficienza. Istituzioni al servizio di lobby potenti e occulte. Ecco tutti i pubblici vizi della capitale. Che affossano la fiducia nell’Unione.

È UN TOUR TRA GLI EDIFICI più importanti della città: dalla residenza reale al museo di belle arti, dagli uffci ministeriali alle carceri, dall’osservatorio astronomico al palazzo di giustizia. Sono maestosi, coperti di marmi e statue a testimoniare la solidità della virtù pubblica. Eppure per dieci anni a gestirli è stata una cricca: ogni appalto una mazzetta, altrimenti non si lavorava. Tutti sapevano, nessuno ha mai denunciato la rete criminale che ha trasformato il cuore del Paese in una vera Tangentopoli. Non stiamo parlando della gang romana di Mafia Capitale, questa è Bruxelles: due volte capitale, del Belgio e dell’Europa. E due volte corrotta, nell’intreccio d’affari tra poteri locali e autorità continentali. Qui non si decide soltanto la vita di una nazione lacerata dalle tensioni tra valloni e fiamminghi, ma il destino di mezzo miliardo di persone, cittadini di un’Unione che mai come in questo momento si mostra debole e inconcludente. Dall’inizio del millennio la fiducia degli italiani, come evidenzia il sondaggio Demopolis, è crollata e solo uno su quattro crede ancora nell’Europa. Bruxelles però è anche il laboratorio in cui la corruzione si sta evolvendo. La mutazione genetica delle vecchie bustarelle in un virus capace di intaccare in profondità la reputazione delle istituzioni europee, diffuso silenziosamente da quei soggetti chiamati lobby. Realtà estranee alla tradizione democratica dei nostri Stati nazionali e molto diverse dai modelli statunitensi, perché qui non ci sono leggi che le regolino, né sanzioni che le spaventino: le lobby sono invisibili e allo stesso tempo appaiono onnipotenti.

LA GIUSTIZIA IMPRIGIONATA Il simbolo è Place Poelaert, la grande piazza panoramica affacciata sul centro storico di Bruxelles. Da un lato c’è il palazzo di giustizia, con la cupola dorata che svetta sull’intera città: una muraglia di impalcature lo imprigiona da cima a fondo, soffocando le colonne dietro un gigantesco castello di assi che marcisco no tristemente. Il cantiere dei restauri è abbandonato da otto anni, da quando i titolari sono stati arrestati, assieme ad altri 33 tra imprenditori e funzionari accusati di avere depredato l’intero patrimonio immobiliare statale. Proprio di fronte al palazzo della giustizia impacchettato c’è uno splendido complesso rinascimentale, con un giardino impeccabile. È la sede del Cercle de Lorraine, “the business club”, come recita la targa: l’associazione che raccoglie gli industriali più prestigiosi del Paese, baroni e visconti da sempre padroni del vapore assieme ai manager rampanti della new economy. Lì, tra sale affrescate e camerieri in livrea, promuovono i loro interessi. Insomma, sono una lobby. Una delle oltre seimila che presidiano la capitale europea, con più di 15 mila dipendenti censiti mentre altrettanti si muovono nell’oscurità. A Bruxelles il colore degli affari rispecchia il cielo perennemente coperto: si va dal grigio al nero. Non a caso, la frase magica della cricca degli appalti era «bisogna che il sole splenda per tutti».

Espresso Bruxelles 2

IL CANTIERE INFINITO Oggi la città è tutta un cantiere. Sono centinaia. Dall’aeroporto al quartiere generale della Nato, dalla periferia al centro storico si vedono ovunque gru e ruspe all’opera. Per non essere da meno, anche il Parlamento europeo vuole abbattere l’edificio dedicato a Paul-Henri Spaak, completato nel 1993 con un miliardo di spesa: il progetto prevede altri 750 uffici per i deputati del presente e del futuro, rappresentanti delle nazioni che aderiranno all’Unione negli anni a venire. Se però dal Palazzo di Giustizia si va verso il Parlamento percorrendo la chaussée d’Ixelles, la frenesia cementizia si mostra in una luce diversa. La lunga arteria è stata completamente rifatta nel 2013, solo che al momento dell’inaugurazione c’è stata una sorpresa: i marciapiedi erano troppo larghi e gli autobus finivano per incastrarsi l’un contro l’altro. Hanno ricominciato da capo, di corsa. Appena riaperta al traffico, però, la pavimentazione allargata non ha retto al peso dei pulmann e si è riempita di buche, manco fosse Roma. E giù con la terza ondata di lavori: ora la strada sembra una chilometrica sciarpa rattoppata. Ixelles è un comune autonomo, perché Bruxelles in realtà è un insieme di diciannove piccoli municipi indipendenti, ciascuno con il suo borgomastro. In questo periodo il meno sereno è il sindaco di Uccle, che per undici anni è stato pure presidente del Senato belga. Come avvocato ha difeso una masnada di magnati kazaki, ottenendone l’assoluzione. In cambio ha ricevuto 800 mila euro. «Compensi professionali», ha spiegato Armand De Decker. Il sospetto invece è che la scarcerazione degli oligarchi sia il tassello di un intrigo internazionale: una clausola del patto segreto tra il presidente kazako Nazarbayev e l’allora collega francese Sarkozy per la vendita di elicotteri, in cui era previsto anche «di fare pressione sul senato di Bruxelles». Un’accusa formulata dagli inquirenti parigini, perché le procure locali si guardano bene dall’indagare. Gli investigatori belgi non hanno fama di efficienza né di indipendenza. La storia recente del Paese è costellata di scandali che si perdono nel nulla, tra trame occulte e massoneria: i parallelismi con l’Italia sono forti e anche qui prospera una cultura del sospetto, che porta i cittadini a diffidare della giustizia. L’inchiesta sulla tangentopoli capitale è partita nel 2005, le sentenze di primo grado ci sono state solo quattro mesi fa. I dieci dirigenti della Régie des Batiments, che per un decennio hanno intascato almeno un milione e 700 mila euro, se la sono cavata con condanne irrisorie. «I fatti sono gravi, ma ormai antichi», ha riconosciuto la corte.

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IL BAROMETRO DELL’ONESTA’ Questa giustizia lenta e spesso inefficace è anche arbitro di parecchi dei misfatti che avvengono nei palazzi della Ue. Sono le magistrature nazionali a procedere penalmente contro i corrotti, perché le agenzie europee possono minacciare soltanto sanzioni amministrative: la punizione massima è il licenziamento, una rarità, mentre più frequenti sono le retrocessioni di grado e soprattutto le lettere di richiamo. Di certo, non un grande deterrente per rinsaldare la moralità dei commissari, dei 751 deputati e dei 43 mila funzionari che gestiscono ogni anno oltre 140 miliardi di euro e scrivono leggi vincolanti per 28 Paesi. Mentre anche dalla loro onestà dipende la credibilità di un organismo sempre meno rispettato. L’istituto statistico più autorevole, Eurobarometro, due anni fa ha lanciato l’allarme: il 70 per cento dei cittadini ritiene che la corruzione sia entrata nelle istituzioni europee. Lo credono 27.786 persone, selezionate scientificamente per rappresentare l’intera popolazione dell’Unione. È un dato choc. La Commissione ha reagito annunciato una crociata contro le tangenti in tutto il Continente. Ovunque, tranne che nei suoi uffici: nel 2014 il primo rapporto anti-corruzione nella storia della Ue ha sezionato i vizi di ogni Paese, senza però fare cenno ai peccati dentro casa: quella che la Corte dei Conti europea ha definito nero su bianco «un’infelice e inspiegabile omissione». D’altronde la presidenza di Jean-Claude Juncker è cominciata nel peggiore dei modi. Le rivelazioni di LuxLeaks – pubblicate in Italia da “l’Espresso” – hanno messo a nudo il suo ruolo nel trasformare il Lussemburgo nel Bengodi delle aziende in cerca di tasse irrisorie. Per riscattarsi, Juncker ha promesso una sterzata contro l’iniquità fiscale legalizzata. «Ma finora la Commissione è stata passiva su questa materia», sottolinea Eva Joly, per anni il giudice istruttore più famoso di Francia, che ha portato alla sbarra i crimini delle grandi aziende, ed ora è eurodeputato verde: «La follia è che abbiamo al vertice dell’Europa l’uomo che ha arricchito il Lussemburgo grazie alle tasse rubate agli altri, con guadagni che continuano a crescere. Nel Parlamento i verdi hanno imposto la creazione di un comitato speciale: il primo rapporto sarà pronto tra un mese e sarà molto duro. Anche i conservatori ora hanno capito e c’è la volontà di piegare i paradisi fiscali: sono convinta che il Lussemburgo dovrà adeguarsi o uscire dall’Unione».

Espresso Bruxelles 4IL GRANDE CIRCO Quello che Juncker costruito in Lussemburgo, a Malta lo ha realizzato John Dalli, il ministro che ha fatto dell’isoletta una piazzaforte finanziaria, graditissima agli investitori italiani più spregiudicati e ai miliardi rapidi delle scommesse. Poi nel 2010 Dalli è entrato nel governo dell’Unione: come commissario per la salute ha avuto in mano dossier fondamentali, incluso il via libera alle coltivazioni ogm. Finché la sua carriera non si è trasformata in circo. Letteralmente. Il suo vecchio amico Silvio Zammit, pizzaiolo e impresario circense part-time, è andato in giro chiedendo soldi per conto del «boss». Ha prospettato a una holding svedese la possibilità di spalancare il mercato eu ropeo a un prodotto che piace molto agli scandinavi: lo snus, il tabacco da masticare. Una passione da pirati e cowboy, fnora proibita nel resto della Ue, con potenzialità miliardarie: rimpiazza le sigarette anche dove il fumo è vietato. In cambio Zammit ha chiesto una somma niente male: 60 milioni di euro, poco meno della storica tangentona Enimont. La questione è arrivata sul tavolo dei detective dell’Olaf, l’unità antifrode eu ropea guidata dall’italiano Giovanni Kessler. Con investigatori provenienti dalla Guardia di Finanza, perquisendo di notte l’uffcio del commissario, sono stati trovati «indizi plurimi» del coin volgimento personale di Dalli. Nell’ottobre 2012 l’allora presidente Barroso ha obbligato il maltese alle dimissioni, frmate molto controvoglia. Tant’è che quando, dopo la sostituzione del capo della polizia, l’indagine penale nell’isola è stata archiviata, Dalli ha cominciato a sparare denunce dichiarandosi vittima di un’ingiustizia. E il parlamento ha criticato l’azione dell’Olaf: «Dal rapporto dei supervisori emergono molti dubbi sui metodi del nostro istituto antifrode più importante, che nei resoconti manipola le statistiche per presentare risultati migliori del reale», sancisce l’eurodeputato verde Bart Staes, membro di spicco del comitato che vigila sul budget, altro ca posaldo del sistema di controllo. L’Olaf si è trovata ai ferri corti pure con la Corte dei conti, a cui ha contestato appalti oscuri. Che a sua volta ha rimandato le accuse al mittente. Insomma, un tutti contro tutti, con esiti abbastanza deprimenti per l’affidabilità dei custodi di Bruxelles. Oggi l’Europa sembra avere tanti cani da guardia litigiosi. E tutti con la museruola: abbaiano, ma non mordono. Il loro compito infatti si limita a suggerire provvedimenti. Fuori dai palazzi della Commissione, non hanno poteri e devono invocare l’aiuto delle polizie nazionali. Che – tra interessi patrona li e differenze normative – non sempre collaborano. I detective europei hanno bisogno di un’autorizzazione pure per ascoltare i testimoni. All’Olaf ogni indagine è affidata a una coppia di ispettori, senza assistenti: si fanno da soli pure le fotocopie e passano più tempo a difendersi da tiro incrociato delle altre autorità che non a investi gare. Il feeling che si respira è negativo, come se la lotta alla corruzione interna non fosse una priorità, anzi, dei primi eletti del movimento anti-europeo inglese: nei comizi urlava contro il malaffare di Bruxelles, poi falsificava le note spese. Janice Atkinson, sempre dell’Ukip, a marzo si è fatta triplicare la ricevuta dopo il cocktail con la moglie del leader Nigel Farage – 4350 euro invece di 1350 – mentre la sua assistente si vantava: «È un modo di riportare a casa i nostri soldi». E quando nel 2011 un reporter del “Sunday Times” si è finto lobbista, offrendo denaro in cambio di emendamenti a sostegno della sua società, tre deputati hanno abbocca to subito. Due – un austriaco e uno sloveno – si sono dimessi e sono stati condannati in patria. Il terzo, l’ex ministro degli Esteri romeno Severin, è ancora al suo posto mentre l’istruttoria a Bucarest langue. Distinguere tra lobbisti veri e falsi non è facile. A Bruxelles è stato istituito un registro per queste figure, senza vincoli né sanzioni: chi vuole si accredita. L’attivissima sezione europea di Transparency International un mese fa ha dimostrato che metà delle 7821 dichiarazioni ufficiali delle lobby era no «incomplete o addirittura insensate». E in tanti si sottraggono al censimento, a partire dagli studi legali: un’armata che esercita un’influenza nascosta. La soluzione? «Rendere obbligatoria l’iscrizione al registro», spiega Carl Dolan di Transparency. «E bisogna vietare ogni contatto con chi non è iscritto», aggiunge Staes: «Devo ammettere però che in Parlamento non esiste una maggioranza favorevole al registro obbligatorio. Noi verdi, come i 5 stelle italiani e alcuni esponenti socialdemocratici, ci stiamo battendo, molti invece sono contrari».

PORTE GIREVOLI Tra i palazzi delle istituzioni e quelli dei potentati economici ci sono tante porte girevoli. Si passa dagli uffici della Commissione a quelli delle corporation e viceversa. Figure come Lord Jonathan Hill, con trascorsi in società di lobby della City, imposto dal governo Cameron al vertice della strut tura Ue che si occupa di mercati finanziari. O il caso sensazionale di Michele Petite, il direttore europeo degli affari legali che si tramuta in consigliere della Philip Morris e poi rientra come presidente del comitato etico che dirime i confitti d’interesse nella Ue. Ma queste sono le pedine sullo scacchiere di una partita più complessa. Le manovre dei lobbisti intrecciano network che possono seguire la geopolitica dei governi, dei Partiti o semplici reti di conoscenze trasversali adeguatamente retribuite. Il terreno di caccia favorito è la zona grigia in cui i grandi propositi dei legislatori europei si trasformano in regolamenti, spesso modesti. Uno dei passaggi più opachi avviene nei “gruppi di esperti” che studiano i dossier caldi. Una ong ha appena svelato che il 70 per cento degli esperti incaricati di valutare la questione del fracking, la discussa tecnica di estrazione petrolifera, hanno relazioni con le compagnie del settore. Non si tratta di un’eccezione, ma di un andazzo molto diffuso. L’Ombudsman europeo, l’autorità etica più piccola e dinamica, apre un’istruttoria dietro l’altra. Senza spezzare la cortina di ferro che protegge gli intrallazzi. «Bisogna incrementare al massimo la trasparenza, deve esserci sempre una traccia scritta di chi interviene nelle discussioni interne», sintetizza Carl Dolan. I confitti di interessi pullulano: nel 2012 sono stati segnalati 1078 dipendenti europei con incarichi extra. Quelli sanzionati sono una ventina, quasi sempre con reprimende scritte o verbali. L’impunità è pressoché certa. Per anni il funzionario Karel Brus ha fatto sapere in anticipo agli emissari di due colossi dei cereali, l’olandese Glencore e la francese Univivo, i prezzi stabiliti dall’Europa per gli aiuti agricoli: notizie d’oro, che permettevano di investire a colpo sicuro. In cambio si ipotizza che abbia incassato almeno 700 mila euro. Prima della condanna penale però sono passati dieci anni e il travet è sparito in Sudamerica. E per le due società c’è stata solo una multa: mezzo milione, inezie rispetto ai profitti.

LA NUOVA CORRUZIONE La Commissione ha in mano un’arma micidiale: può bandire le aziende corruttrici da tutti i contratti europei. Misura applicata solo due volte negli ultimi anni. Perché la volontà di fare pulizia sembra labile. Prendiamo il dieselgate di Volskwagen: gli uffici tecnici dell’Unione avevano segnalato i trucchi della casa tedesca da parecchi mesi, ma la denuncia è rimasta lettera morta fino all’intervento delle autorità statunitensi. «Questa è la nuova corruzione. Ed è il nuovo mondo, in cui si agisce tramite logaritmi che falsifcano i dati dei computer: la realtà si riduce a schermate digitali, mentre Volskwagen otteneva fondi per produrre auto ecologiche e contribuiva ad aumentare l’inquinamento che uccide migliaia di persone», tuona Eva Joly: «Ma la portata dello scandalo è ancora più grave, perché dimostra che il rispetto delle regole non è più un valore. La Germania, il Paese della legge e dell’ordine, ha ingannato tutti; la loro azienda simbolo ha mentito per anni. Le nazioni che hanno costruito questa Unione stanno perdendo credibilità e non capiscono quanto ciò peserà sul futuro delle nostre istituzioni». In quello choccante 70 per cento di cittadini che percepisce un’Europa corrotta si proietta una sfiducia più vasta. «È un dato che nasce dallo sconcerto per la debolezza della reazione davanti ai problemi: la crisi economica, il tracollo greco e adesso l’esodo dei migranti», commenta Bart Staes: «La gente sente i racconti sulle pressioni delle lobby, si diffonde il sospetto che l’Unione serva più per tutelare gli interessi economici che i cittadini. C’è la necessità di riforme profonde, che non sono nell’agenda di Juncker. Ma soprattutto bisogna dare risposte concrete: fatti, non storytelling. Partiamo dalla Volskwagen: quasi tutti i produttori di auto sfruttano i buchi nella legislazione per alterare i test, noi verdi abbiamo proposto di cambiare le regole e punire chi mente. Se agisci e la gente vede che i guasti vengono risolti, allora avrà di nuovo fiducia».

CORSI E RICORSI STORICI Un professore dal cognome altisonante, David Engels, in un saggio ha paragonato il declino dell’Unione al crollo della repubblica nella Roma antica. Oggi come allora, l’allargamento troppo rapido dei confini, il confronto con un’economia globalizzata, la crisi dei modelli religiosi – all’epoca i nuovi culti importati nell’Urbe, adesso l’Europa cristiana alle prese con l’Islam – e il contrasto tra i privilegi dei patrizi e l’impoverimento dei ceti popolari, logorano le istituzioni democratiche. Un’analisi che riecheggia le parole scritte da Altiero Spinelli nel 1941, in quel manifesto di Ventotene che ha partorito l’idea di Europa unita. «La formazione di giganteschi complessi industriali e bancari… che premevano sul governo per ottenere la politica più rispondente ai loro particolari interessi, minacciava di dissolvere lo Stato stesso. Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si valevano per meglio sfruttare l’intera collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione che solamen te lo stato totalitario, potesse in qualche modo risolvere i confitti di interessi». Era la situazione che ha fatto trionfare le dittature e spinto il continente nel baratro della guerra. L’Europa unita è nata da questa lezione, che ora sta dimenticando.

Espresso Bruxelles 5Eravamo i più convinti di tutti. Quindici anni fa, l’alba del nuovo millennio vedeva l’Italia piena di euro-entusiasti: oltre il 53 per cento di cittadini. Ci credevamo più dei tedeschi e molto più dei francesi. Da allora la fiducia nella Ue si è sgretolata. E i dati Demopolis dimostrano che non è colpa della moneta unica. La picchiata del consenso è cominciata con la recessione economica internazionale e si è intensificata con la crisi greca, toccando il minimo a giugno: soltanto il 27 per cento degli italiani dava ancora credito al sogno europeo. Adesso il sondaggio, condotto dall’istituto diretto da Pietro Vento su un campione di mille persone, mostra una minuscola ripresa del consenso, ma solo di un punto. Nota informativa L’indagine è stata condotta nel settembre 2015 dall’Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento, su un campione stratifcato di 1.000 intervistati, rappresentativo dell’universo della popolazione italiana maggiorenne. Metodologia ed approfondimenti su: www.demopolis.it

soru lobby ue

Gianluca Di Feo, L’Espresso

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Quando gli ex commissari europei fanno i lobbisti – 2 http://www.lobbyingitalia.com/2015/07/quando-gli-ex-commissari-europei-fanno-i-lobbisti-2/ Thu, 30 Jul 2015 13:30:19 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2906 Non solo gli ex commissari sono a libro paga delle multinazionali, per conto delle quali fanno pressioni nei confronti degli attuali rappresentanti della Commissione per modificare proposte di legge e regolamenti, ma a volte infrangono le regole che la stessa Commissione ha scritto.

Per l’ex commissario estone  le porte del Berlaymont, il palazzo della Commissione Ue, non esistono neppure. Terminato il suo mandato da commissario, Kallas è stato nominato consigliere speciale dell’attuale commissario lettone Valdis Dombrovskis.

In aprile, l’esecutivo che ogni mese paga a Kallas un cospicuo stipendio ha detto a Kallas che stava facendo qualcosa di illegale: lobbying per la società di software Nortal per la quale Kallas lavora. Naturalmente, chi lavora in Commissione non può lobbare la Commissione e deve attendere 18 mesi dalla scadenza del suo contratto per cominciare a farlo.
Eppure l’ex commissario ai Trasporti Kallas, il 29 gennaio, ha incontrato l’attuale commissario ai Trasporti Violeta Bulc. Ma per dirgli cosa? La Bulc ha parlato di “visita di cortesia a titolo personale”.
In Commissione sembra che si vogliano davvero tutti bene, perché le visite di cortesia tra ex commissari sono all’ordine del giorno. Anche l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini, commissario tra il 2004 e il 2008, ha definito “visita di cortesia” l’incontro con l’attuale commissario Frans Timmermans.
Il soggetto dell’incontro scritto da Frattini, secondo il registro di trasparenza, è quello di “legiferare meglio”, ma gli uomini vicini all’ex ministro giurano che quello con Timmermans sia stato solo l’incontro tra due vecchi amici. Quanto sono intensi e profondi i rapporti nati all’interno della Commissione.
Gianluca De Falco – Il Fatto 24 Ore
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Quando gli ex commissari europei fanno i lobbisti http://www.lobbyingitalia.com/2015/07/quando-gli-ex-commissari-europei-fanno-i-lobbisti/ Mon, 27 Jul 2015 20:50:47 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2894 Ottenere un incontro con un commissario europeo non è affatto facile. Ma esiste una corsia preferenziale: essere un ex commissario europeo. E se poi questo ex commissario è un lobbista, rappresenta cioè gli interessi di un gruppo di potere, una grande società o un’associazione di categoria europea, poco importa, il conflitto di interessi non sembra essere un problema.
D’altronde un ex commissario può sempre sostenere di incontrare un commissario in carica per dargli consigli sull’incarico o per mantenere rapporti di amicizia, non certo per sostenere i clienti per cui lavora.
Le famose regole sulla trasparenza degli incontri tra funzionari Ue e lobbisti, in realtà, non vengono in aiuto della trasparenza. L’oggetto degli incontri con i lobbisti, recitano le regole, deve risultare specificato, ma la specifica può essere piuttosto vaga, tipo “cena di lavoro” o “questioni europee”.
Facciamo alcuni esempi concreti. Per diversi anni l’inglese Peter Mandelson è stato l’uomo di Tony Blair a Bruxelles. Ha ricoperto l’incarico di commissario europeo al Commercio dal 2004 al 2008 e nel 2010 ha fondato la società di lobby Global Counsel. Il registro di trasparenza dell’Ue dice che Mandelson, il 16 giugno scorso, ha incontrato a cena Martin Selmayr, capo di gabinetto del Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Selmayr era accompagnato da altri tre membri “senior” del gabinetto. Tra questi c’era Ann Mettler che, come capo del Centro europeo strategico politico, è uno dei più influenti consiglieri politici di Juncker.
Le regole di trasparenza impongono ai “senior”, ossia agli alti funzionari della Commissione, di specificare l’esatto argomento in discussione nei loro incontri di carattere economico. Possono ad esempio scrivere Unione energetica, Fondi Horizon 2020, Situazione Grecia, ecc. In questo caso, il soggetto indicato è stato “cena di lavoro”.
Un altro ex commissario, il belga Etienne Davignon, vanta un elenco impressionante di incontri con alti funzionari. Davignon ha lavorato in Commissione Europea dal 1977 al 1985 e oggi è uno dei businessman più immanicati a Bruxelles. Tra le altre cose, è presidente del think-tank pro europeo Friends of Europe e siede nei Cda di diverse grandi società. Davignon è anche consigliere speciale di Gérard Mestrallet, amministratore delegato della multinazionale francese dell’energia Engie, meglio conosciuta con il suo vecchio nome, GDF Suez. L’ex commissario appare per due volte sul registro di trasparenza della Commissione: 17 aprile e 8 maggio, come rappresentante di Engie in incontri con Juncker e il suo capo di gabinetto Selmayr.
Un fatto degno di nota, perché Juncker ha dichiarato di aver fatto riunioni solo con altre due aziende: Deutsche Bank (rappresentata dall’ex ministro delle finanze a Lussemburgo sotto il governo Juncker, vale a dire Luc Frieden) e Atos (guidata da Thierry Breton, che è stato ministro delle Finanze francese, quando Juncker ha assunto la presidenza dell’Eurogruppo a 2003).
Gianluca De Falco – Il Fatto 24 Ore
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L’Europa governata dalle lobby (Internazionale) http://www.lobbyingitalia.com/2015/07/leuropa-governata-dalle-lobby-internazionale/ Thu, 23 Jul 2015 15:42:25 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2864 (Antonio Pollio Salimbeni) Tre parlamentari europei – tra cui l’ex ministro dell’interno austriaco Ernst Strasser, del Partito popolare, poi condannato – pizzicati a chiedere centomila euro a dei giornalisti che si spacciavano per lobbisti in cambio della presentazione di alcuni emendamenti a una direttiva europea. Poi, nel 2012, il caso del commissario europeo alla salute e consumatori, il maltese John Dalli, accusato di aver tenuto all’oscuro la Commissione della sua partecipazione a riunioni informali con rappresentanti dell’industria del tabacco nei giorni in cui stava elaborando una direttiva sul settore. Il maltese ha dovuto dimettersi quasi subito. Poi gli emendamenti “copia e incolla” alla direttiva sulla protezione dei dati: un eurodeputato ne ha presentati 158 per difendere una posizione contraria al diritto alla privacy e arrivavano direttamente dai documenti delle imprese interessate. Infine la pratica durata fino al 2009: gli esperti mandati dalle aziende alla Commissione, la sola istituzione che può elaborare e proporre una legge.

La storia dell’Unione europea è piena di episodi del genere, ma sono casi estremi. Il problema riguarda la normalità dei rapporti tra il business e le istituzioni europee, che non hanno mai ispirato così poca fiducia ai cittadini. Un rapporto di Trasparency international rimette il dito sulla piaga: anche se la Commissione di Jean Claude Juncker ha fatto dei passi avanti, deve fare ancora molta strada per assicurare una trasparenza effettiva e una completa eguaglianza di accesso alle istituzioni europee.

Bisogna precisare che l’attività di lobbying e l’influenza indebita non sono necessariamente sinonimi. La prima è certamente volta a influenzare le decisioni pubbliche per conto di un cliente o di un gruppo d’interesse, ma se è svolta alla luce del sole e rappresenta interessi legittimi in modo trasparente non pone alcun problema etico o politico. La seconda invece è un’attività opaca, subdola, volta esplicitamente a condurre un gioco sleale. È un processo discriminatorio perché favorisce solo determinati interessi a scapito di altri, e può portare a varie forme di corruzione.

Il lobbismo va considerato parte del funzionamento di una democrazia, e così la pensa anche Trasparency international. Ma spesso una parte dei processi attraverso cui vengono influenzate le decisioni pubbliche resta nascosto e passa attraverso canali informali. E qui cominciano i rischi e aumenta la vulnerabilità delle istituzioni. Capita che emergano conflitti di interesse o che certi gruppi godano di un accesso privilegiato a chi prepara e prende le decisioni.

Dopo Washington, Bruxelles è la città al mondo con la maggiore concentrazione di lobbisti. Non stupisce: nella capitale belga si prendono decisioni che condizionano più del 60 per cento della produzione legislativa degli stati dell’Unione. I lobbisti sono tra 15mila e 30mila, ovvero da 1,3 a 2,6 per ciascun funzionario europeo. Tenendo conto che a preparare, redigere e approvare le proposte di legge e le normative sono poche migliaia di funzionari, la sproporzione è ancora più forte.

Nel registro europeo della trasparenza sono attualmente iscritte 7.821 organizzazioni, di cui 4.879 dichiarano di avere come obiettivo influenzare le decisioni politiche delle istituzioni per conto delle aziende. Exxon Mobil, Shell, Microsoft e Deutsche Bank sono in cima alla lista delle imprese che spendono di più nell’attività di lobbying: le prime tre 4 milioni e mezzo di euro, la banca tedesca 3,9 milioni. Dominano i settori della farmaceutica, della finanza, delle telecomunicazioni e dell’energia.

Il peso di un cartellino

La spesa annuale in attività di lobbying è un indicatore fondamentale, come lo è anche il numero di badge, i cartellini che permettono di entrare nel parlamento europeo e avere accesso ai deputati, agli assistenti, e agli esperti dei gruppi politici. In genere i lobbisti delle imprese ne hanno pochi (Microsoft ne ha quattro, Shell ne ha sette, ExxonMobil cinque, Google otto, Siemens dieci), mentre le organizzazioni di categoria hanno accesso più facile: BusinessEurope ha a disposizione 23 badge, il Wwf 10, Eurocommerce 13, l’European Chemical Industry Council 24, Greenpeace 13, Oxfam 12, il Bureau européen des unions de consommateurs 24.

Nell’Unione europea l’iscrizione al registro è volontaria e questo getta un’ombra pesante sul livello di trasparenza: 14 dei 20 studi legali più grandi del mondo che hanno una sede nella capitale belga (tra cui Clifford Chance, Whitye&Case, Sidley Austin) non sono nella lista ma undici di queste sono registrati come lobby organisations a Washington, dove la registrazione è obbligatoria. In Europa solo 88 studi legali sono registrati.

A dominare la scena a Bruxelles sono i lobbisti che rappresentano associazioni di imprese e del commercio. I settori a più alta intensità lobbistica sono l’energia, il clima, l’economia digitale, i mercati finanziari e i trasporti. In fondo alla lista troviamo politiche regionali, bilancio, affari interni, aiuti umanitari e le politiche per la periferia dell’Unione europea. Più del 75 per cento dei 4.318 incontri con esterni della Commissione europea tra il dicembre del 2014 e il giugno del 2015 ha riguardato lobbisti di imprese, gli incontri con le organizzazioni non governative sono stati il 18 per cento, quelli con istituti di ricerca e vari think tank il 4 per cento, quelli con autorità locali il 2 per cento.

Vigilare in casa propria

Bisogna preoccuparsi oppure no? Certamente bisogna vigilare, perché il rischio di alterare il processo decisionale è elevato. Ma non bisogna esagerare. Trasparency international pubblica una graduatoria sul grado di trasparenza, sulle salvaguardie contro l’influenza indebita e sulle regole etiche nei sistemi politici di 22 paesi europei, da cui risulta che la Commissione europea è in seconda posizione con una quotazione del 53 per cento dopo la Slovenia (55 per cento). Il parlamento europeo ha il 37 per cento, il consiglio il 19 per cento. L’Italia si trova al 20 per cento, la Germania al 23 per cento, la Francia al 27 per cento, la Spagna al 21 per cento.

Ciò dimostra che l’influenza delle lobby non è solo un problema europeo, ma pervade i sistemi politici nazionali. Un caso recente è stata la difficilissima trattativa sulla vigilanza bancaria unica sotto l’egida della Banca centrale europea. Sull’estensione dei poteri della Bce ci sono state aspre contese sia nel Consiglio sia nel parlamento, e la Germania ha gettato tutto il suo peso nel negoziato. L’obiettivo era difendere le Sparkassen (casse di risparmio) e le Landesbanken (banche regionali di proprietà pubblica). Nella repubblica federale le banche sono “la cinghia di trasmissione tra la politica e l’economia”. Due anni fa Die Zeit ha fatto i conti concludendo che su 620 parlamentari tedeschi 126 facevano parte del consiglio di sorveglianza di almeno una società. La maglia degli interessi è intricatissima, sia a Bruxelles sia nelle capitali europee, e spesso i fili sono gli stessi.

Fonte: Internazionale

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