ue – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 L’esercito delle lobby a Bruxelles: chi sono e quanto spendono i gruppi di interesse Ue [Sole 24 Ore] http://www.lobbyingitalia.com/2015/06/lesercito-delle-lobby-a-bruxelles-chi-sono-e-quanto-spendono-i-gruppi-di-interesse-ue-sole-24-ore/ Wed, 24 Jun 2015 08:56:31 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2831 Bruxelles città delle istituzioni Ue e delle lobby. Quasi tutte le grandi multinazionali, le industrie, le organizzazioni , i gruppi di interesse e anche e le Ong hanno almeno un ufficio nella capitale europea. Tra i corridoi e i bar dei grandi palazzi decisionali non è difficile notare i rappresentanti di varie organizzazioni intenti nel lavoro di lobbista. A influenzare maggiormente le decisioni delle istituzioni europee sarebbero le industrie che tra dicembre 2014 e giugno 2015, registrano già circa 4.318 incontri con rappresentanti e funzionari della Commissione Ue: è quanto riporta un’analisi della organizzazione anticorruzione Transparency International.

Le organizzazioni attualmente iscritte nel registro Ue per la Trasparenza sono 7.821: il 75% di queste, circa 4.879, cerca di favorire gli interessi delle aziende. Mentre il 18 % è rappresentato dalle Ong e il 4% dai think tank e solo il 2% dalle autorità locali. Nella top list delle imprese che spendono di più per fare lobby figurano la Microsoft, Exxon Mobil e la Shell con una spesa che varia tra i 4,5 e i 5 milioni di euro, dedicato a questo scopo. Seguite subito dopo dalla Deutsche Bank AG, la Dow Europe GmbH e Google: quest’ultima ha già avuto 29 incontri con le istituzioni europee in questi mesi. Ma anche Ong come Greenpeace e il Wwf si sono incontrate diverse volte con l’esecutivo comunitario e tra le lobby presenti a Bruxelles BusinessEurope, la General Electric Company (GE) , Eurocommerce e Airbus group.

«Le organizzazioni con un più alto budget per fare lobby hanno un grande accesso , in particolare nel settore finanziario, digitale ed energetico» osserva Daniel Freund di Transparency International. Le imprese che hanno dichiarato almeno 900mila euro di spese per lobby sono quelle che hanno ottenuto più di dieci colloqui ad alto livello con la Commissione Europea, in base al report. Tra i paesi che hanno ottenuto più incontri in questo periodo, al primo posto spicca il Belgio, poi la Germania, l’Inghilterra, la Francia e l’Italia. Le organizzazioni italiane registrate sarebbero 597. Per ora, tra le italiane, la Confindustria avrebbe ottenuto più appuntamenti con rappresentanti istituzionali Ue, poi l’Enel e l’Eni. In generale le organizzazioni italiane sembrano spendere meno per le attività di lobby rispetto ad altri paesi e si focalizzano in particolare sul settore energetico.

Il clima e l’energia, il lavoro e la crescita, l’economia digitale, i mercati finanziari e i trasporti sono i settori che attraggono di più i lobbisti di Bruxelles. Mentre i commissari Katainen, Hill e Oettinger hanno finora avuto pochi confronti con la società civile, tra il 4% e l’8 per cento. In particolare gli ambiti dei mercati finanziari e dell’economia digitale sono presi più di mira dalle imprese. Le nuove misure di trasparenza Ue sono però secondo l’analisi di Transparency International ancora poco seguite: l’80% delle organizzazioni presenti nel registro per la Trasparenza non ha riportato pubblicamente un solo incontro con commissari Ue o funzionari. Inoltre su 30mila funzionari che lavorano alla Commissione Europea neppure 300 sono soggetti alle nuove misure di trasparenza. Le nuove regole di trasparenza della Commissione riguardano solo l’1% dei funzionari e il 20% delle organizzazioni lobbistiche. Su questo punto Carl Dolan, direttore di Transparency International ha le idee chiare «Le istituzioni europee dovrebbero pubblicare “un’impronta legislativa” un documento pubblico con tutti gli incontri con le lobby e altri contributi che abbiano in qualche modo influenzato le politiche e le legislazioni».

Tra i problemi principali riscontrati dall’organizzazione anticorruzione vi è anche la carenza nella qualità dei dati raccolti dal registro per le lobby che rimane per ora su base volontaria: molte organizzazioni rimangono ancora fuori da questo database, tra queste quattordici su venti dei più grandi studi legali mondiali tutti con un ufficio a Bruxelles, come Clifford Chance, White&Case o Sidley Austin. Mente undici di queste sono registrate ad esempio a Washington DC dove vige l’obbligo di iscriversi. «La maggior parte delle informazioni che i lobbisti volontariamente compilano nei file del registro risultano incomplete, poco accurate o totalmente insignificanti» ha affermato Freund. Secondo l’organizzazione oltre il 60% delle organizzazioni che hanno fatto pressione sulla Commissione Ue per l’accordo commerciale tra Ue ed USA non ha dichiarato queste attività in maniera adeguata. Per Transparency International si rendono indispensabili alcuni passi in avanti che riguardino l’obbligatorietà del registro delle lobby e l’introduzione di “un’impronta legislativa” , ossia una testimonianza dell’influenza dei lobbisti su una parte di legislazione.

 

Fonte: Irene Giuntella – Il Sole 24 Ore

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Lobbyfacts,ecco il registro delle grandi lobby (Repubblica.it) http://www.lobbyingitalia.com/2014/10/lobbyfactsecco-il-registro-delle-grandi-lobby-repubblica-it/ Sun, 05 Oct 2014 16:05:40 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2608 Il sito www.lobbyfacts.eu censisce costi e sforzi delle aziende per avere norme e controlli comunitari più adeguati ai loro business. Primeggiano le banche popolari francesi Bpce, forti le multinazionali americane. In Italia vince il gruppo di serie tv Alcuni con 1,7 milioni l’anno

Voilà, il registro dei lobbisti d’Europa è in rete. Ed emerge quel che si sospettava: gli interessi tedeschi e francesi sono ottimamente rappresentati a Bruxelles, ma le aziende a stelle e strisce fanno la parte del leone. Le aziende italiane non sembrano particolarmente attive. Il gruppo più attivo è la società trevigina Alcuni, casa di produzione di audiovisivi e cartoni animati nota per la serie tv Cuccioli. Alcuni srl ha un lobbista alla Comunità europea con capacità di spesa stimata in 2 milioni di euro l’anno, poco in confronto ai 7,75 milioni della banca francese Bpce, ma molti rispetto alle grandi società italiane, tutte con spese stimate dal mezzo milione in giù.

Tutti i dati sono pubblicati su www.lobbyfacts.eu, il nuovo registro in rete da oggi e che per la prima volta tenta di raggruppare informazioni sull’attività lobbistica di aziende, organizzazioni, consulenti e studi legali in Europa.

Ai vertici dell’attività di relazioni istituzionali censita dal nuovo sito stanno alcune multinazionali e altri nomi meno noti. Dopo le banche popolari francesi che primeggiano che la Cemafroid, sempre francese e operante nel raffreddamento (5,25 milioni). Poi la Philip Morris (5,25 milioni), Exxon (5 milioni), Microsoft (4,75 milioni), Shell (4,5 milioni), la tedesca Siemens (4,35 milioni), Gdf Suez (4 milioni), l’americana General Electric (3,5 milioni) e la spagnola Astramatic (3,25 milioni), attiva nel trattamento delle acque. All’undicesimo posto la prima cinese, la telefonica Huawei con 3 milioni.

Il primo gruppo italiano è quasi ignoto ai più. Si tratta del gruppo Alcuni, una srl con un solo lobbista ma con capacità di spesa stimata in 2 milioni di euro l’anno, che la pone al 26° posto tra i gruppi più attivi nel lobbying continentale. Seguono, tra le aziende domestiche, Enel con sette lobbisti e una spesa stimata in 500mila euro, Unicredit (7 operatori, 450mila euro), Fiat e Cnh (3 operatori, 450mila euro), Eni (5 operatori, 400mila euro), Ferrovie dello Stato (3 operatori, 400mila euro), Mediaset (5 lobbisti, 350mila euro), Edison (3 lobbisti, 350mila euro), Barilla (6 lobbisti, 300mila euro).

Circa il 60% dei lobbisti europei rappresenta gli interessi delle aziende mondiali, e quelle statunitensi sono prevalenti. Ma il nuovo contenitore di dati, e tutti gli altri del genere, sono necessariamente parziali e incompleti. Molte grandi società, infatti, non lasciano tracce né sono iscritte nei registri di categoria, perché l’attività di questi facilitatori del business e delle normative correlate è scarsamente trasparente. E’ opaca, ma è ricca: le 10 maggiori multinazionali spendono circa 39 milioni di euro l’anno in attività di lobby. Ci sono cinque società di consulenza forti di 130 operatori accreditati presso il parlamento europeo.

Fonte: Andrea Greco – Repubblica.it, 4 ottobre 2014

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Philip Morris numero uno per investimenti in lobbying nell’UE http://www.lobbyingitalia.com/2014/10/il-gigante-del-tabacco-philip-morris-e-stata-la-compagnia-che-nellultimo-anno-ha-investito-maggiormente-in-lobbying-a-livello-europeo/ Thu, 02 Oct 2014 13:45:44 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2574 Il gigante del tabacco Philip Morris è stata la compagnia che nell’ultimo anno ha investito maggiormente in lobbying a livello europeo.

La Philip Morris ha speso circa 5.25 milioni di euro, superando la compagnia petrolifera ExxonMobil, la quale ha investito 5 milioni di euro.

La Philip Morris ha aumentato le proprie spese nelle attività di lobbying di 1,25 milioni di euro nel 2012 durante il periodo di discussione della nuova Direttiva Europea sui prodotti del tabacco.

Parlamentari europei e attivisti per la trasparenza hanno criticato la Commissione Europea per aver implementato le regole di trasparenza riguardo i contatti tra i decisori pubblici e l’industria del tabacco.
Il Difensore Civico europeo ha avviato un’investigazione riservata, secondo quanto riportato, riguardo gli incontri tra i funzionari europei e l’industria del tabacco. Questo ha portato, nell’ottobre del 2012, il Commissario europeo per la salute John Dalli ad essere invitato a rassegnare le dimissioni in seguito ad un “trattativa” illecita con la Swedish Match, per cui avrebbe dovuto influenzare le revisioni della direttiva sul tabacco.

Dati assunti dal Registro europeo per la trasparenza

I dati sono desunti dal Registro europeo per la trasparenza che però, come sostiene LobbyFacts si tratta di un registro inaffidabile poiché i dati vengono inseriti volontariamente dagli iscritti. Basti pensare che colossi come Goldman Sachs e Time Warner non sono iscritti a registro. “Quello che si vede è solo la punta dell’iceberg”, sostiene Natacha Cingotti di Friends of the Earth Europe.

L’attuale registro riguarda la Commissione europea e il Parlamento Europeo, ma non il Consiglio europeo. Il neo eletto Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha fissato come priorità del nuovo esecutivo l’istituzione di un registro obbligatorio riguardante tutte e tre le Istituzioni europee.

 

Avvocati, lobbisti e associazioni di imprenditori

LobbyFacts ha pubblicato online un database che per rendere note le spese sostenute in attività di lobbying a Bruxelles.

Queste cinque società di consulenza hanno un volume di affari maggiore di 60 milioni di euro all’anno, e 130 lobbisti accreditati.

D’altra parte vi sono anche le associazioni di categoria che, solo considerando le prime dieci per dimensioni, spendono circa 52 milioni di euro all’anno in lobbying.

Oltre questi attori vi sono anche alcuni importanti studi legali che svolgono attività di rappresentanza a Bruxelles, dove i cinque principali hanno un giro di affari di 25,5 milioni di euro.

Fonte: http://www.euractiv.com/sections/public-affairs/philip-morris-tops-ngos-lobbying-spending-table-308820

 

 

 

 

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Il lobbying e le istituzioni dell’Unione Europea (Caffé Geopolitico) http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/il-lobbying-e-le-istituzioni-dellunione-europea-caffe-geopolitico/ Tue, 09 Sep 2014 21:54:33 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2338 (Giulia Tilenni) Conosciute soprattutto per il coinvolgimento nel sistema americano, le lobby (o gruppi di pressione) rivestono un ruolo importante anche nel contesto dell’Unione europea. Ma chi sono i lobbisti? E come si relazionano con il Parlamento e la Commissione?  

DEFINIZIONE E BASE GIURIDICA – La definizione “ufficiale” delle attività di lobbying nel contesto dell’Unione europea – proposta dall’articolo 8 dell’accordo interistituzionale che nel 2011 ha introdotto il Registro europeo per la trasparenza – le descrive come «svolte al fine di influenzare, direttamente o indirettamente, l’elaborazione o l’attuazione di politiche e il processo decisionale delle Istituzioni europee».

Nelle loro diverse formulazioni i Trattati dell’Unione hanno sempre previsto la possibilità di un dialogo diretto tra i cittadini e le Istituzioni secondo il principio della democrazia rappresentativa, come sottolineato dagli articoli 10 e 11 del Trattato sull’Unione europea attualmente in vigore. Se però il coinvolgimento dei gruppi di pressione nel sistema decisionale europeo è vecchio quasi quanto l’Unione, non si può dire lo stesso quanto a definizione e regolamentazione, sulle quali si è iniziato a lavorare dal 2006.

IL LOBBYING NELL’UE – Le lobby che agiscono a livello europeo sono portatrici di interessi transnazionali (legati a tematiche di svariato tipo), che vengono da esse rappresentati nel sistema dell’Unione: per questo loro “ruolo” vengono spesso definite «antenne del sistema democratico».
Non facendo parte della più classica competizione tra maggioranza e opposizione – ed essendo proseguite per lungo tempo in assenza di regolamentazione – il lobbying sulle Istituzioni dell’Unione europea ha posto e pone a tutt’oggi diversi interrogativi. Tra le questioni più rilevanti si ha senza dubbio la presunta “contrapposizione” tra chi ritiene che tale processo abbia incrementato la partecipazione democratica al processo legislativo dell’Unione europea e chi sostiene che questo meccanismo – spesso appannaggio di soggetti o industrie particolarmente influenti – leda gli interessi dei cittadini, mostrandosi come una vera e propria ingerenza esterna sui decisori europei, e, indirettamente, sulle leggi da essi emanate.

I LOBBISTI E L’UNIONE EUROPEA – Si stima che i lobbisti operanti intorno al sistema Unione europea – considerando sia i singoli sia quelli facenti parte di lobby – siano circa 30mila, quasi un migliaio in meno del personale della Commissione europea. Nella pratica la loro attività consiste nell’esercitare pressione su europarlamentari e commissari, cercando di influenzare le loro posizioni con il fine ultimo di avvicinare la legislazione europea alle proprie esigenze (è vero anche il contrario, ovvero l’Unione europea trae da questo processo preziose informazioni sulle necessità del proprio tessuto economico). Il lobbying si esercita più o meno direttamente e con i metodi più disparati – dall’organizzazione di incontri, eventi, forum e campagne alla divulgazione o presentazione di rapporti su uno specifico argomento, passando per la partecipazione a consultazioni pubbliche indette dalle Istituzioni dell’Unione. Tra i caratteri più controversi del processo di lobbying si ha l’utilizzo, ai fini del “reclutamento”, del meccanismo della “revolving door”, la porta girevole: poiché per essere un buon lobbista è necessaria, tra le altre, una buona conoscenza delle politiche, dei processi e dei soggetti che operano in un determinato ambito, i professionisti del settore sono spesso scelti tra le fila di ex parlamentari, burocrati e consulenti o dirigenti di società rilevanti nel settore in questione. Va da sé che la presenza di un meccanismo del genere sollevi dubbi su possibili conflitti di interessi derivati da queste strette interconnessioni tra pubblico e privato.

LA REGOLAMENTAZIONE EUROPEA DEL LOBBYING – Con l’ampliamento del campo di azione delle lobby, che hanno iniziato a esercitare la loro influenza sui parlamentari, oltre che sui commissari, ci si è interrogati sulla necessità di disciplinare meglio le loro attività, intervenendo principalmente sulla loro trasparenza. Le prime azioni concrete in questa direzione hanno avuto luogo dal 2006, anno di diffusione del Libro verde sull’iniziativa europea per la trasparenza redatto dalla Commissione. Il testo, oltre ad abbozzare una prima definizione di lobbying specificamente collegata al contesto europeo, sottolinea sia l’importanza dei gruppi di pressione nel coadiuvare i decisori europei, sia la necessità dell’adozione di misure che possano rendere più trasparente questa pratica. Come riaffermato in una comunicazione quadro del 2008 – emanata sempre dalla Commissione, – la soluzione individuata per risolvere il problema della trasparenza è l’introduzione di un apposito registro corredato da un codice di condotta comune e da meccanismi di controllo e sanzione da applicare in caso di violazioni.
L’accordo interistituzionale tra il Parlamento e la Commissione del luglio 2011 ha decretato l’istituzione del Registro per la trasparenza, al quale coloro che conducono attività di lobbying possono registrarsi per via telematica, aderendo anche al relativo codice di condotta.

IL REGISTRO EUROPEO PER LA TRASPARENZA – Il Registro, oltre a definire che cosa è l’attività di lobbying, identifica le sei categorie (con relative sottocategorie) nelle quali le «organizzazioni, persone giuridiche e lavoratori autonomi impegnati nell’elaborazione e nell’attuazione di politiche dell’Unione» possono registrarsi. Seguendo l’ordine previsto dallo stesso Registro si hanno: società di consulenza specializzate, studi legali e consulenti indipendenti; lobbisti interni e associazioni di categoria professionali; organizzazioni non governative; centri di studio, istituti accademici e di ricerca; organizzazioni rappresentative di chiese e comunità religiose; organizzazioni rappresentative di amministrazioni locali, regionali e comunali, altri enti pubblici o misti.
Si possono identificare almeno due criticità legate al Registro e al suo funzionamento. La prima riguarda i soggetti che dovrebbero effettuare la registrazione – che è attualmente prevista su base volontaria. In particolare, la questione è connessa ai soggetti che non sono tenuti alla registrazione: chiese e partiti politici, così come Autorità locali, regionali e municipali sono escluse dalla registrazione, esattamente come i Governi degli Stati membri, i Governi terzi, le organizzazioni intergovernative e i membri delle rappresentanze diplomatiche. La seconda riguarda gli effetti della volontarietà della registrazione. A parere della Commissione la sola presenza di un registro, anche se questo non include la totalità dei soggetti e degli organismi che esercitano lobbying sulle Istituzioni europee, rappresenta di per sé una garanzia della trasparenza del processo. I critici, però, rilevano come molti attori – anche influenti – abbiano deliberatamente scelto di rimanere fuori dal Registro (che comprenderebbe i due terzi dei soggetti e delle società che esercitano lobbying), non sottoscrivendo così il codice di condotta a questo collegato.

L’IMPATTO SULLE ATTIVITÀ DELL’UNIONE – Secondo alcune stime, il lavoro delle lobby influenza circa il 75% delle decisioni prese dalla Commissione e dal Parlamento. Basta consultare l’elenco dei soggetti iscritti al Registro per la trasparenza per comprendere quanto sia ampio lo spettro di attività in cui le lobby sono impegnate a livello dell’Unione. Si va infatti da settori come energia e tecnologia, tabacco (con la presenza di gruppi di pressione pro e contro l’approvazione di una legislazione orientata a diminuirne il consumo), protezione dei consumatori, cooperazione con i Paesi terzi, istruzione e immigrazione, solo per citarne alcuni.
Per completare il quadro riguardante l’impatto del lobbying sulle politiche dell’Unione occorre infine precisare che parti del processo, in aggiunta alle lobby di cui si è fin qui parlato, sono gli attori statali: i Governi dei Paesi membri e terzi, le organizzazioni non governative e il personale delle missioni diplomatiche, pur senza obbligo di adesione al Registro, cercano infatti di preservare i propri interessi attraverso una stretta collaborazione che coinvolge soprattutto i membri del Parlamento europeo.

Un chicco in più L’utilizzo del termine lobbying per indicare il lavoro dei gruppi di pressione deriva dal fatto che i parlamentari inglesi incontravano il pubblico all’ingresso – la lobby per l’appunto – della House of Commons. Uno dei luoghi di Bruxelles attualmente più gettonati per gli incontri tra lobbisti e assistenti degli europarlamentari è il bar del Parlamento europeo (ribattezzato Mickey Mouse bar per via della forma delle sedie, tra l’altro molto colorate). Pare che i diversi appuntamenti si susseguano in modo simile agli speed dating.

Fonte: Caffé Geopolitico

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Lobby UE: gli advisory group danno la linea http://www.lobbyingitalia.com/2014/03/lobby-ue-gli-advisory-group-danno-la-linea/ Mon, 24 Mar 2014 17:57:53 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2232 Mille gruppi di ‘saggi’ aiutano la Commissione Ue a decidere la linea. Ma il 90% dei consulenti esterni arriva dalle industrie.

Cosa succede quando le aziende, anziché influenzare il processo legislativo delle istituzioni europee, decidono quale esso debba essere prima ancora che sia iniziato?
Se a Bruxelles la battaglia per la trasparenza del registro delle lobby ha iniziato a dare qualche risultato, quella sulla selezione degli advisory group – i gruppi di esperti che si occupano di suggerire proposte legislative alla Commissione – è ancora tutta da combattere.

1.000 GRUPPI DI SAGGI. Sapere quanti e quali sono questi ‘saggi’ non è difficile: esiste infatti un registro istituito dalla Commissione che certifica le entità che contribuiscono «alla preparazione degli atti delegati, delle proposte legislative e iniziative politiche (diritto di iniziativa della Commissione)», nonché «all’attuazione della legislazione», come è scritto nei documenti ufficiali. In tutto ci sono circa 1.000 gruppi (tra formali, informali, temporanei e permanenti), formati da oltre 30 mila esperti, che si riuniscono almeno 85 volte all’anno per formulare pareri, consigli, segnalazioni.

Il 90% dei gruppi esterni alla Commissione è rappresentato dalle industrie

Nell’elenco si trovano sia i gruppi di esperti interni alla Commissione sia quelli consultivi che non sono stati istituiti dalla Commissione, ma che hanno un ruolo simile o addirittura identico.
Tutti, infatti, possono «proporre che l’esecutivo si occupi di una determinata questione», come si legge nel sito della Ue. E sebbene la Commissione «non sia vincolata da pareri del gruppo», è specificato, «li prende molto sul serio».

TUTTI I GRUPPI SONO SCHEDATI. Per ogni gruppo, il registro fornisce informazioni standard su come è stato scelto: qual è la sua missione, quali le sue attività e l’appartenenza. Ed è su quest’ultimo dato che Alter Eu (Alliance for lobbying transparency and ethics regulation), l’associazione che lotta per una maggiore trasparenza del registro delle lobby e vigila sul conflitto di interessi dei politici europei, ha iniziato la propria battaglia.
Su 1.000  gruppi, «500 sono formati da stakeholder esterni, e tra questi il 90% è rappresentato dalle industrie», spiega a Lettera43.it Paul De Clerck, membro del direttivo Alter Eu.«Ciò vuol dire che c’è una voce dominante che influenza la Commissione ancora prima che questa scriva le leggi».

GLI INTERESSI PRIVATI DELLE INDUSTRIE. Per quanto infatti l’esecutivo eruropeo sostenga che i gruppi riuniscono i rappresentanti dei vari interessi sociali ed economici, e che cerchi «per quanto possibile, di garantire una rappresentanza equilibrata delle parti interessate», nel gruppo di “esperti indipendenti” «più della metà rappresentano solo grandi interessi economici», continua Olivier Hoedeman, membro Alter Eu e coordinatore di Corporate Europe observatory.
Non quindi società, associazioni, Ong, sindacati, università, istituti di ricerca, organismi dell’Ue e organizzazioni internazionali, ma imprese. «Ciò vuol dire che nel momento in cui questi gruppi fanno una proposta legislativa tuteleranno più gli interessi degli industriali», dice Hoedeman. Che, peraltro, alla Commissione ha più volte chiesto di inserire anche la propria associazione di cani da guardia del potere in uno degli advisory group, ma senza risultati.

Tra gli esperti soltanto l’1% appartiene al mondo dei sindacati

Anche in questo caso, poi, come nel registro delle lobby, fornire i propri dati è solo un’iniziativa volontaria. Così per esempio, ancora nel 2013, «i gruppi di esperti della Commissione Mercato interno non risultano iscritti», denuncia l’associazione.

SI FA POCO L’INTERESSE PUBBLICO. Non solo. «Nella direzione generale fiscalità e unione doganale (Taxud), responsabile della lotta contro i paradisi fiscali, quasi l’80% di tutte le parti interessate rappresentano grandi interessi economici, solo il 3% le piccole e medie imprese e appena l’1% i sindacati. Nel segretariato generale gli interessi corporativi sono rappresentati per il 64% e nella direzione generale le imprese per il 62%».
Nell’analisi fatta dal Alter Eu spicca un altro esempio: «Il gruppo di esperti sull’Iva, che lavora sotto la direzione generale competente in materia fiscale, non solo conta numerosi rappresentanti di grandi aziende, ma anche esperti ‘indipendenti’, che in realtà lavorano per le stesse imprese già presenti». Tra queste Alter Eu cita: Deloitte (due dipendenti presenti però a titolo personale ), Ernst & Young e Kpmg (uno ciascuno).

NESSUN MIGLIORAMENTO DAL 2012. In pratica in tutti i gruppi recentemente creati dalla Commissione «vi sono più rappresentanti delle grandi imprese di tutti gli altri soggetti interessati uniti», conclude Alter Eu, che nel suo rapporto 2013 non ha rilevato nessun miglioramento rispetto al 2012. Anno in cui, esaminando la sola composizione del gruppi di esperti della direzione generale Imprese e industria aveva contato 482 lobbisti contro solo 11 rappresentanti sindacali. Ma allora come oggi, oltre alla denuncia, i watchdog (cani da guardia) possono solo continuare a ringhiare.

Leggi la prima e la seconda parte dell’inchiesta

Fonte: Antonietta Demurtas, Lettera43.it

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Unione europea, lobby e porte girevoli http://www.lobbyingitalia.com/2014/03/unione-europea-lobby-e-porte-girevoli/ Wed, 19 Mar 2014 18:26:54 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2235 I funzionari a fine mandato passano ai gruppi di pressione. Le revolving door del conflitto d’interesse. In vista del voto.

A Bruxelles le lobby non crescono solo all’interno delle istituzioni ma anche nelle aiuole. In rue Wiertz, appena fuori dal parlamento europeo, c’è un albero. A piantarlo nel 2001 è stata la Society of european affairs professionals (Seap), l’organizzazione che riunisce i lobbisti europei. Alla sua base una targa celebra l’importanza della discussione nel processo decisionale.
E per raggiungere l’obiettivo, si legge, sono necessarie «determinazione, pazienza e dedizione». Le stesse qualità che gli attivisti di Alter Eu (Alliance for lobbying transparency and ethics regulation) usano per ricordare ogni giorno ai politici europei il pericolo di essere comandati dalle lobby. E, soprattutto, di farne parte.

LA REVOLVING DOOR. Un rischio quanto mai reale soprattutto in questo periodo. Con le elezioni europee di maggio, infatti, il turnover al parlamento e alla commissione innesca l’attivazione di quello che i watchdog chiamano revolving door (le porte girevoli).
Un meccanismo ormai noto che vede il passaggio diretto di alcuni politici dalle poltrone delle istituzioni europee a quelle di multinazionali, società di consulenza e studi legali. Organizzazioni che spesso reclutano ex deputati, alti funzionari e commissari proprio per sfruttarne il know how e la loro influenza nei palazzi del potere.

Da commissari a lobbisti: la finestra dei 18 mesi

Il 18 dicembre 2013 Michel Petite, responsabile del servizio legale della Commissione e presidente del comitato etico dell’Unione europea si è dovuto dimettere  a causa di un conflitto di interessi.Il 18 dicembre 2013 Michel Petite, responsabile del servizio legale della Commissione e presidente del comitato etico dell’Unione europea si è dovuto dimettere a causa di un conflitto di interessi.

Il network, infatti, è fondamentale per riuscire a fare lobbying e incidere efficacemente sulle decisioni che vengono prese in sede europea.
«Oggi, degli ultimi 28 ex commissari, sei lavorano per le lobby», dice a Lettera43.it Paul De Clerck coordinatore della Ong Friend of the Earth e membro del direttivo Alter Eu, l’associazione che non solo lotta per una maggiore trasparenza del Registro delle lobby, ma vigila sul conflitto di interessi dei politici europei.
In questi giorni Alter Eu sta inviando una lettera-memorandum a tutti e 28 i commissari per ricordare loro che, una volta lasciato l’incarico istituzionale, devono aspettare almeno 18 mesi prima di impegnarsi in un campo simile a quello in cui lavoravano a Palazzo. Così almeno stabilisce il codice di condotta, che Alter Eu chiede però di modificare estendendo il periodo a tre anni.
L’INDENNITÀ DI TRE ANNI. «La Commissione», ricorda De Clerk, «mette a disposizione un fondo per gli ex commissari che possono usufruire di una indennità transitoria per tre anni nel caso non trovassero un’altra occupazione». Una sorta di ammortizzatore che potrebbero utilizzare anziché decidere di lavorare per le lobby dopo appena 18 mesi.
I numeri spiegano meglio il fenomeno. In quattro anni ci sono stati almeno 343 casi in cui la Commissione ha esaminato i possibili conflitti di interesse. Nel solo 2011, ben 105 funzionari hanno richiesto l’autorizzazione per lavorare in un campo simile a quello in cui erano impegnati in Commissione. Ottanta casi hanno avuto il via libera, 24 sono stati autorizzati con restrizioni e condizioni, e solo uno è stato rifiutato. Nel 2012 su 108 richieste una è stata respinta; nel 2013, davanti a 133 possibili casi di conflitti di interessi, la Commissione ha imposto delle limitazioni solo a 30.
IL CASO DI MCCREEVY. Uno dei casi più noti è quello dell’ex commissario europeo per la regolamentazione del mercato finanziario Charlie McCreevy: fu assunto dalla Bank of New York Mellon (BNY Mellon) nell’aprile 2011, appena 12 mesi dopo aver lasciato la sua poltrona in Commissione. Poco prima era stata respinta la sua richiesta per un incarico presso il gruppo di investimenti Nbnk a causa di un conflitto di interessi.

I più corteggiati sono assistenti e funzionari

Alter Eu ha chiesto al presidente Barroso di mettere in atto nuove regole per impedire ai commissari europei di passare dopo le elezioni del 2014 attraverso la porta girevole.(© Alter Eu) Alter Eu ha chiesto al presidente Barroso di mettere in atto nuove regole per impedire ai commissari europei di passare dopo le elezioni del 2014 attraverso la porta girevole.

Il caso più recente, invece, è stato quello di Michel Petite, responsabile del servizio legale della Commissione e presidente del comitato etico dell’Unione europea. Incaricato di limitare l’influenza dei lobbisti e vigilare proprio sui casi di revolving door, il 18 dicembre 2013 Petite si è dovuto dimettere a causa di un conflitto di interessi. Durante il suo incarico come avvocato per lo studio Clifford Chance, aveva difeso davanti alla Commissione europea gli interessi della Philip Morris (cliente dello studio legale).
ABOU E LA CHIAMATA CINESE. A passare dall’altra parte della barricata è stato anche il francese Serge Abou, che dopo una lunga carriera nelle istituzioni europee, prima come direttore generale alle relazioni esterne poi come ambasciatore della Commissione in Cina, nel 2011 anziché godersi la pensione, ha iniziato a lavorare per la compagnia cinese della telefonia Huawei.
Infine, della prima commissione presieduta da Josè Manuel Barroso è passato attraverso la ‘porta girevole’ anche Günter Verheugen, ex commissario per l’Industria e l’impresa, che ha fondato assieme al suo ex capo di gabinetto (Petra Erler) la European experience company, una società di consulenza e lobbying.

FUNZIONARI E ASSISTENTI SALTANO IL FOSSO. Secondo Alter Eu non bisogna però preoccuparsi solo del futuro del presidente Barroso, una volta lasciata Bruxelles. Il passaggio attraverso le porte girevoli di commissari e deputati è infatti frequente, ma almeno viene monitorato con più attenzione. A sfuggire al controllo è invece quello di funzionari e assistenti.
Le lobby fanno un vero e proprio scouting tra gli assistenti dei politici, che spesso conoscono anche meglio dei deputati il funzionamento del sistema parlamentare, scrivono gli emendamenti, interagiscono con i gruppi di pressione. Alla porta dei quali vanno a bussare quando finiscono il mandato, passando da una busta paga da 1.800 euro al mese a stipendi che spesso sono anche il triplo.

IL REGOLAMENTO DISATTESO. Eppure nel codice etico è stabilito che al fine di evitare possibili conflitti di interesse le lobby devono ottenere il consenso preliminare del deputato prima di assumerne l’assistente e, successivamente, dichiararlo nel Registro per la trasparenza.
Richiesta, finora, disattesa. «Anche su questo ci siamo lamentati, ma nessuno ci ha preso in considerazione», conclude De Clerck.

Leggi la prima parte dell’inchiesta:

Fonte: Antonietta Demurtas, Lettera43.it

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UE, l’Ombudsman chiede più trasparenza http://www.lobbyingitalia.com/2013/07/ue-lombudsman-chiede-piu-trasparenza/ Tue, 16 Jul 2013 13:26:29 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1646 L’Ombudsman europeo ha ufficialmente richiesto alla Commissione UE di “seguire i princìpi indicati dall’OCSE in relazione alla trasparenza ed all’integrità del lobbying“, con riferimento alla gestione del registro dei lobbisti di Bruxelles.

P. Nikiforos Diamandouros, Ombudsman dal 2003, ha presentato la sua richiesta a seguito di un esposto dell’ONG “Amici della Terra”, che ha protestato per le informazioni poco accurate inserite nel registro da parte di due multinazionali. L’ONG ha aggiunto che la Commissione non ha risposto adeguatamente alle sue richieste, impedendo anche l’accesso a documenti rilevanti.

La Commissione ha affermato che “le proteste relative le dichiarazioni delle società in questione erano prive di basi e che è stato dato il massimo accesso ai documenti“.

L’Ombudsman ha concordato con la risposta, ma ha aggiunto che la Commissione non ha spiegato in maniera adeguata le ragioni per le quali ha riettato l’esposto e che, secondo le linee guida OCSE, dovrebbe offrire “migliori indicazioni indirizzate a società e asssociazioni per quanto riguarda la registrazionbe, e nello stesso tempo andrebbe migliorata l’attività di monitoraggio e verifica dei dat presenti nelr registro“.

Diamandouros ha inoltre raccomandato alla Commissione di informare sistematicamente i lobbisti e gli altri rappresentanti di interessi dell’intensione di rendere pubblici nomi e docuemtni a seguito di richieste di accesso agli atti relativi alle attività di lobbying condotte da soggetti di ogni genere.

Sul tema Diamandouros era già interventuto a febbraio, quando ha aperto un’inchiesta per far luce sul conflitto d’interessi per il continuo passaggio di funzionari tra Commissione europea e lobby e viceversa, il cosiddetto fenomeno delle “revolving doors” denunciato nell’ottobre 2012 da quattro Ong difensori della trasparenza istituzionale tra cui Greenpeace, Corporate Europe Observatory, Lobbycontrol e Spinwatch.

Nel loro esposto le Ong avevano documentato una serie di casi in cui sono state violate le regole per il passaggio di personale tra l’esecutivo europeo e le lobby. Secondo le norme fissate dalla stessa Commissione europea dovrebbero passare due anni dal momento in cui un funzionario lascia l’esecutivo e quello in cui entra in carica un nuovo lavoro. Ed il passaggio potrebbe essere vietato se si ravvisasse un potenziale conflitto d’interessi.

Secondo quanto reso noto dalle Ong che hanno presentato il ricorso, nel corso dell’inchiesta del difensore civico verra’ chiesta alla Commissione europea la lista di tutti i trasferimenti di personale degli ultimi tre anni. Lista che, sottolineano, è stata negata alla richiesta delle Ong.

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Lobby influenti nel Parlamento ma a Bruxelles non facciamo squadra http://www.lobbyingitalia.com/2013/05/lobby-influenti-nel-parlamento-ma-a-bruxelles-non-facciamo-squadra/ Mon, 27 May 2013 19:52:26 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1512 (Edoardo Segantini) L’ennesimo colpo alla già compromessa reputazione dei politici l’ha assestato una trasmissione televisiva in cui si denunciava il fenomeno dei parlamentari «a libro paga» delle lobby: soldi versati mensilmente per far passare emendamenti favorevoli alle aziende paganti. Comportamenti gravissimi, se provati: purtroppo la natura dello scoop, anonima nella fonte e nei destinatari, rende difficile al momento accertare la verità.

Ma al di là del singolo caso, su cui si attende un’eventuale denuncia alla Procura, il tema lobby fa risaltare una profonda contraddizione italiana: da un lato se ne fa troppa, dall’altro troppo poca. Forte è l’azione di lobbying operata dalle grandi aziende all’interno del Paese; debole, al contrario, è l’azione di lobbying pro sistema Italia, cioè il sostegno dato agli interessi nazionali nelle sedi internazionali, a cominciare dall’Unione Europea.

Quante volte lo abbiamo visto: dalle telecomunicazioni all’energia, dall’automobile alle banche. A Bruxelles la «lobby tedesca» e la «lobby francese» si presentano schierate a testuggine per difendere con una sola voce gli interessi di Berlino e di Parigi. Noi no, ed è un guaio. Se fossimo più compatti e solidali, la nostra schiena sarebbe diritta anche nei fatti, oltre che nelle giuste intenzioni del governo.

Due esempi, tra i tanti, aiutano a capire quanto sarebbe utile una «buona lobby» nazionale. Il primo è quello dei fondi europei per lo sviluppo del digitale, di cospicua entità, a cui l’Italia arriva in ritardo (come dimostra il faticoso avvio dell’Agenzia digitale) e dove un’azione più decisa e concorde potrebbe portarci benefici e risorse per la ripresa e per l’occupazione. Il secondo esempio riguarda il marketing territoriale, in cui la nostra attitudine all’individualismo più sfrenato raggiunge vette quasi sublimi nella riluttanza degli enti locali ad accettare qualsiasi forma di coordinamento centrale. Eppure basterebbe studiare attentamente le strategie dei Paesi più virtuosi: o ancor meglio replicare, adattandole, le migliori esperienze italiane.

Fonte: Corriere della Sera

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Lezioni d’Europa: Perissich svela i giochi dei lobbisti http://www.lobbyingitalia.com/2013/02/lezioni-deuropa-perissich-svela-i-giochi-dei-lobbisti/ Tue, 19 Feb 2013 14:43:58 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1505 Al via l’edizione 2013 delle ‘Lezioni d’Europa’, iniziativa promossa da presidenza del Consiglio dei Ministri e Parlamento e Commissione europei. ‘La rappresentanza delle imprese in Europa’, questo il titolo della lezione tenuta dal vicepresidente del Consiglio Italia-Usa Riccardo Perissich, centrata sulla figura, a tratti opaca per gran parte dell’opinione pubblica, del lobbista che opera in Italia e in Europa.

Una figura che, ammette Perissich, viene spesso confusa con quella del faccendiere o del corruttore. In realtà, il ruolo del lobbista è quello di rappresentare gli interessi di un comparto industriale, di un’associazione di imprese o del terzo settore, con l’obiettivo di influenzare i decisori istituzionali. E convincere questi ultimi a rendere un tema prioritario nell’agenda delle istituzioni stesse.

Una figura che si rivela spesso decisiva per chi opera nelle amministrazioni, poiché permette di comprendere meglio problematiche e opportunità connesse a una certa tematica. Peccato che, spiega Perissich, ”il lavoro dei lobbisti e l’atteggiamento collettivo nei confronti di questo lavoro cambi da paese a paese, e sia ancora diverso a Bruxelles’‘.

Dove ad avere maggior contatto con i rappresentanti degli interessi delle imprese – e non solo – sono soprattutto Commissione e Parlamento europeo. Da un lato, la Commissione, che dialoga con i lobbisti ”perché le facilitino i compiti”, e privilegia soprattutto ‘‘il dialogo con le associazioni di livello europeo”. Dunque, preferisce avere a che fare non con la Confindustria italiana, o con l’omologia francese, ma con i rappresentanti europei degli industriali. Discorso che, ovviamente, vale per tutte le categorie. Peccato che, nota Perissich, ‘‘tale sistema funziona solo parzialmente: è perfetto se si ha a che fare con settori tradizionalmente oligopolistici, come le industrie farmaceutiche o automobilistiche, perché si assiste a un’effettiva semplificazione degli scambi. Ma non funziona quando si ha a che fare con settori frammentati, come quello delle imprese agroalimentari: in questo caso, infatti, parlare con un lobbista equivale quasi a discutere con un burocrate”.

Nel caso del Parlamento europeo, i lobbisti si stanno avvicinando solo di recente a questa istituzione, che non a caso sta assumendo un peso sempre maggiore. E in questo caso, sottolinea Perissich, ”i primi a avvicinare gli europarlamentari sono stati i rappresentanti del terzo settore, soprattutto le associazioni ambientaliste”.

Di certo, esiste una differenza fra l’Ue e l’Italia per quanto riguarda il fare lobby. Lo fa notare il giornalista e moderatore dell’evento Gianluca Sgueo: ”in Italia le regole del lobbismo ci sono, ma sono poche e sparpagliate nel corpus normativo”. Mentre a Bruxelles la regolamentazione ha ripreso il modello statunitense, in cui le lobby hanno un ruolo molto importante, e si è sviluppata nel segno della trasparenza e dei registri. C’è da dire, comunque, che un primo passo in tal senso è stato fatto anche dal ministero delle Politiche agricole, che di recente ha istituito un registro dei lobbisti ispirato ai modelli Usa e Ue.

Le regole dunque ci sono, e ‘‘stanno diventando sempre più stringenti”. Sopratutto per evitare episodi di corruzione: ”anche a livello europeo si sta inasprendo la regolamentazione circa ciò che i politici possono accettare dai lobbisti e sui rapporti che gli è consentito intrattenere con questi ultimi”. Ma, conclude Perissich, ‘‘la buona regolamentazione non solo non c’è, ma è impossibile: siamo infatti di fronte a un sistema estremamente fluido, in cui molto dipende dall’etica collettiva del paese o del luogo in cui si opera’‘.

Fonte: EurActiv

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Dall’Agenzia del farmaco alla “lobby farmaceutica”: “sospetti” tra i dirigenti Ue http://www.lobbyingitalia.com/2012/06/dallagenzia-del-farmaco-alla-lobby-farmaceutica-sospetti-tra-i-dirigenti-ue/ Thu, 28 Jun 2012 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2012/06/dallagenzia-del-farmaco-alla-lobby-farmaceutica-sospetti-tra-i-dirigenti-ue/ Nelle istituzioni comunitarie sono decine gli esempi di "revolving doors", funzionari che prestano servizio nel pubblico e in seguito vengono arruolati nel settore privato, che accede così a rapporti privilegiati con la politica. L’ultimo è quello di Vincenzo Salvatore, passato dalla European Medicines Agency a un mega studio di avvocati dove offre consulenza "sulle procedure che regolano tutti gli aspetti del settore"

Da un organismo di controllo della Comunità europea a uno studio legale che fa lobbying per l’industria farmaceutica. In sostanza il controllore passa dall’altra parte della barricata e presta servizio al controllato, a cui porta la sua esperienza tra le fila di chi faceva le regole. Accade all’Agenzia europea per i medicinali (European Medicines Agency EMA), organismo finanziato dall’Unione europea che autorizza, garantisce e certifica la qualità e la sicurezza dei medicinali, dove Vincenzo Salvatore, ex capo dell’ufficio legale e docente di diritto commerciale internazionale ed europeo presso l’Università dell’Insubria, è diventato “senior counsel” presso il mega studio da 1700 avvocati Sidley Austin LLP. Ovvero consulente “sulle procedure che regolano tutti gli aspetti dell’industria farmaceutica”. Cosa significa? Nel comunicato della Sidley vengono specificate le sue mansioni, tra cui quella di dispensare “consigli legali sulle procedure giuridiche dell’Unione riguardanti tutti gli aspetti dell’industria farmaceutica tra cui l’applicazione delle sanzioni e questioni attinenti alla protezione dei dati personali”. Inoltre Salvatore fornirà anche “assistenza alle società commerciali che lavorano in campo biomedico e delle scienze della vita nel comprendere e applicare la legislazione in fase di preparazione sui dispositivi medici”.

Un caso di “revolving door” (“porta girevole”, ndr), la pratica che vede professionisti passare dal settore pubblico al privato e viceversa e solleva il dibattito sul conflitto di interessi e l’accesso dei privati a informazioni riservate tramite un ex insider governativo. Che potrebbe anche garantire regolamentazioni di favore grazie a rapporti privilegiati con il mondo politico. In sostanza, “la via privilegiata attraverso cui i lobbisti possono influenzare l’agenda politica a Bruxelles”, come scrive il Corporate Europe Observatory (CEO), un gruppo di ricerca per sollecitare le istituzioni all’introduzione di regole più severe in grado di bloccare questo meccanismo. “Contatteremo l’Ema – spiega Vicky Cann del Ceo – per capire se ci sia stata una violazione delle regole da parte di Salvatore e se ci sia conflitto di interesse tra il suo passaggio dal pubblico al privato”.

Per parte sua Salvatore, contattato dal fattoquotidiano.it, rivendica il “rispetto della deontologia” nella sua nuova attività di consulenza e ricorda che è “soltanto l’ordine degli avvocati” a cui è iscritto quello “titolato a intraprendere eventuali azioni disciplinari”. Eppure, secondo l’articolo 16 del “Regolamento relativo alla statuto dei funzionari della Comunità Europea” al termine della cessazione dal servizio, “il funzionario è tenuto ad osservare i doveri di onestà e delicatezza nell’accettare determinate funzioni o determinati vantaggi”. In più chi intende “esercitare un’attività professionale, lucrativa o meno, nei due anni successivi alla cessazione delle funzioni è tenuto a dichiararlo alla sua istituzione”. Procedura che Salvatore ha rispettato. “Ho comunicato al mio ex datore di lavoro la professione che sarei andato a svolgere”. E l’Ema non si è pronunciata in nessun senso? “Anche se riscontrasse un conflitto di interesse, non potrebbe sanzionarmi. In più non sono assunto, ma svolgo attività di consulenza. Infatti il mio lavoro è quello di docente universitario”.
E i casi simili al suo sono numerosi in Europa. Dall”inglese Derek Taylor, prima direttore generale per l’energia e i trasporti nela Commissione europea poi consulente in ambito energetico presso la società di lobby Burson-Marsteller, fino a Thomas Lönngren, per dieci anni direttore esecutivo dell’Ema poi passato alla Pharma Executive Consulting Ltd, la sua agenzia di consulenza per le industrie farmaceutiche.

Nello statuto dei funzionari c’è l’obbligo alla riservatezza nel corso dell’attività – puntualizza Salvatore, che si difende dalle accuse di essere un nuovo caso di “revolving doors”. E chi vigila sul rispetto di questa regola? “Le istituzioni e l’Ordine professionale – conclude – ma devono essere in grado di dimostrarne la violazione”. Un’impresa difficile per le istituzioni che, anche in caso di rispetto delle regole, si trovano a dirimere un problema politico. “Nei casi di revolving door, i lobbisti che hanno un passato nel settore pubblico consentono alle aziende di accedere ad opportunità e network privilegiati – prosegue Cann-. Il cittadino quindi può ritrovarsi intrappolato in leggi formulate per favorire le corporation e gli interessi del settore privato”. E le istituzioni europee, come i cittadini, osservano il travaso dal pubblico al privato di personale e business. Col rischio reale che l’interesse pubblico finisca subordinato alle consulenze delle grandi aziende.

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Eleonora Bianchini – Il Fatto Quotidiano

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