transparency international – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Influenza (ir)responsabile: il 96% dei lobbisti britannici sono non regolati http://www.lobbyingitalia.com/2015/10/influenza-irresponsabile-il-96-dei-lobbisti-britannici-sono-non-regolati/ Fri, 02 Oct 2015 16:19:19 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2967 I lobbisti in-house che rappresentano gli interessi delle grandi imprese sono esclusi da una regolamentazione del lobbying lassista in Gran Bretagna, e questo fa aumentare il rischio di corruzione nella terra d’Albione, come testimonia un nuovo report di Transparency International UK. Analizzando dati provenienti da Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord, infatti, secondo la ONG sulla trasparenza il nuovo registro sarebbe inadatto allo scopo.

Il think tank, che cerca di combattere la corruzione in tutte le sue forme, dice che il pubblico britannico è “lasciato all’oscuro” da architetti inspiegabili che danneggiano il panorama politico della Gran Bretagna.

Il nuovo rapporto di TI UK, dal titolo “Accountable Influence“, indica che meno del 4% della sfera del lobbying britannico è regolata nonostante gli interessi corporativi abbiano un forte ruolo nel policy making britannico. La ricerca, pubblicata negli scorsi giochi, segna il lancio della campagna del think tank per sottolineare l’importanza della trasparenza nella lotta contro la corruzione.

I lobbisti cercano di influenzare la spesa di gran parte dei soldi pubblici del governo della Corona, ma spesso non sono responsabili delle loro azioni nei confronti dell’opinione pubblica. L’80% dei lobbisti del Regno Unito, secondo il rapporto, rappresenta gli interessi delle aziende top 100 registrate alla borsa di Londra.

TI UK ha scoperto anche potenziali conflitti di interesse dei parlamentari che svolgono anche attività di consulenza. Nel 2014, 73 parlamentari hanno ricevuto 3,4 milioni di sterline come compenso per le consulenze da loro svolte al di fuori del loro ufficio pubblico. Ciò è legale per la Camera dei Comuni, mentre rimane illegale per la Camera dei Lord e i parlamenti di Scozia e Galles. Un rapporto del Britain’s Committee on Standards in Public Life nel 2013 aveva raccomandato agli “MPs” di essere campioni di altruismo, integrità, obiettività, responsabilità, apertura, onestà e leadership nel proprio lavoro.

Nonostante il settore sia stato da poco regolamentato, ci sono molte carenze del nuovo registro dei lobbisti e degli interessi dei parlamentari britannico: TI UK ha rivelato 39 esempi di “falle nel sistema” nel rapporto tra legislatori e lobby britanniche.

Il capo delle ricerche della ONG Nick Maxwell ha quindi chiesto al Parlamento di introdurre l’obbligatorietà della registrazione per tutti i tipi di lobbisti, siano essi consulenti o aziendali, in modo da fornire al pubblico “informazioni accurate, significative, accessibili” sugli incontri tra rappresentanti di interessi e decisori. Ovviamente monitorati da un’agenzia totalmente indipendente per garantire i principi di trasparenza e partecipazione democratica.

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Bruxelles corrotta, Europa infetta | L’Espresso http://www.lobbyingitalia.com/2015/10/bruxelles-corrotta-europa-infetta-lespresso/ Fri, 02 Oct 2015 13:42:28 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2957 Nuova inchiesta de L’Espresso, molto negativa sul mondo del lobbying comunitario.

Tangenti. Sprechi. Inefficienza. Istituzioni al servizio di lobby potenti e occulte. Ecco tutti i pubblici vizi della capitale. Che affossano la fiducia nell’Unione.

È UN TOUR TRA GLI EDIFICI più importanti della città: dalla residenza reale al museo di belle arti, dagli uffci ministeriali alle carceri, dall’osservatorio astronomico al palazzo di giustizia. Sono maestosi, coperti di marmi e statue a testimoniare la solidità della virtù pubblica. Eppure per dieci anni a gestirli è stata una cricca: ogni appalto una mazzetta, altrimenti non si lavorava. Tutti sapevano, nessuno ha mai denunciato la rete criminale che ha trasformato il cuore del Paese in una vera Tangentopoli. Non stiamo parlando della gang romana di Mafia Capitale, questa è Bruxelles: due volte capitale, del Belgio e dell’Europa. E due volte corrotta, nell’intreccio d’affari tra poteri locali e autorità continentali. Qui non si decide soltanto la vita di una nazione lacerata dalle tensioni tra valloni e fiamminghi, ma il destino di mezzo miliardo di persone, cittadini di un’Unione che mai come in questo momento si mostra debole e inconcludente. Dall’inizio del millennio la fiducia degli italiani, come evidenzia il sondaggio Demopolis, è crollata e solo uno su quattro crede ancora nell’Europa. Bruxelles però è anche il laboratorio in cui la corruzione si sta evolvendo. La mutazione genetica delle vecchie bustarelle in un virus capace di intaccare in profondità la reputazione delle istituzioni europee, diffuso silenziosamente da quei soggetti chiamati lobby. Realtà estranee alla tradizione democratica dei nostri Stati nazionali e molto diverse dai modelli statunitensi, perché qui non ci sono leggi che le regolino, né sanzioni che le spaventino: le lobby sono invisibili e allo stesso tempo appaiono onnipotenti.

LA GIUSTIZIA IMPRIGIONATA Il simbolo è Place Poelaert, la grande piazza panoramica affacciata sul centro storico di Bruxelles. Da un lato c’è il palazzo di giustizia, con la cupola dorata che svetta sull’intera città: una muraglia di impalcature lo imprigiona da cima a fondo, soffocando le colonne dietro un gigantesco castello di assi che marcisco no tristemente. Il cantiere dei restauri è abbandonato da otto anni, da quando i titolari sono stati arrestati, assieme ad altri 33 tra imprenditori e funzionari accusati di avere depredato l’intero patrimonio immobiliare statale. Proprio di fronte al palazzo della giustizia impacchettato c’è uno splendido complesso rinascimentale, con un giardino impeccabile. È la sede del Cercle de Lorraine, “the business club”, come recita la targa: l’associazione che raccoglie gli industriali più prestigiosi del Paese, baroni e visconti da sempre padroni del vapore assieme ai manager rampanti della new economy. Lì, tra sale affrescate e camerieri in livrea, promuovono i loro interessi. Insomma, sono una lobby. Una delle oltre seimila che presidiano la capitale europea, con più di 15 mila dipendenti censiti mentre altrettanti si muovono nell’oscurità. A Bruxelles il colore degli affari rispecchia il cielo perennemente coperto: si va dal grigio al nero. Non a caso, la frase magica della cricca degli appalti era «bisogna che il sole splenda per tutti».

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IL CANTIERE INFINITO Oggi la città è tutta un cantiere. Sono centinaia. Dall’aeroporto al quartiere generale della Nato, dalla periferia al centro storico si vedono ovunque gru e ruspe all’opera. Per non essere da meno, anche il Parlamento europeo vuole abbattere l’edificio dedicato a Paul-Henri Spaak, completato nel 1993 con un miliardo di spesa: il progetto prevede altri 750 uffici per i deputati del presente e del futuro, rappresentanti delle nazioni che aderiranno all’Unione negli anni a venire. Se però dal Palazzo di Giustizia si va verso il Parlamento percorrendo la chaussée d’Ixelles, la frenesia cementizia si mostra in una luce diversa. La lunga arteria è stata completamente rifatta nel 2013, solo che al momento dell’inaugurazione c’è stata una sorpresa: i marciapiedi erano troppo larghi e gli autobus finivano per incastrarsi l’un contro l’altro. Hanno ricominciato da capo, di corsa. Appena riaperta al traffico, però, la pavimentazione allargata non ha retto al peso dei pulmann e si è riempita di buche, manco fosse Roma. E giù con la terza ondata di lavori: ora la strada sembra una chilometrica sciarpa rattoppata. Ixelles è un comune autonomo, perché Bruxelles in realtà è un insieme di diciannove piccoli municipi indipendenti, ciascuno con il suo borgomastro. In questo periodo il meno sereno è il sindaco di Uccle, che per undici anni è stato pure presidente del Senato belga. Come avvocato ha difeso una masnada di magnati kazaki, ottenendone l’assoluzione. In cambio ha ricevuto 800 mila euro. «Compensi professionali», ha spiegato Armand De Decker. Il sospetto invece è che la scarcerazione degli oligarchi sia il tassello di un intrigo internazionale: una clausola del patto segreto tra il presidente kazako Nazarbayev e l’allora collega francese Sarkozy per la vendita di elicotteri, in cui era previsto anche «di fare pressione sul senato di Bruxelles». Un’accusa formulata dagli inquirenti parigini, perché le procure locali si guardano bene dall’indagare. Gli investigatori belgi non hanno fama di efficienza né di indipendenza. La storia recente del Paese è costellata di scandali che si perdono nel nulla, tra trame occulte e massoneria: i parallelismi con l’Italia sono forti e anche qui prospera una cultura del sospetto, che porta i cittadini a diffidare della giustizia. L’inchiesta sulla tangentopoli capitale è partita nel 2005, le sentenze di primo grado ci sono state solo quattro mesi fa. I dieci dirigenti della Régie des Batiments, che per un decennio hanno intascato almeno un milione e 700 mila euro, se la sono cavata con condanne irrisorie. «I fatti sono gravi, ma ormai antichi», ha riconosciuto la corte.

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IL BAROMETRO DELL’ONESTA’ Questa giustizia lenta e spesso inefficace è anche arbitro di parecchi dei misfatti che avvengono nei palazzi della Ue. Sono le magistrature nazionali a procedere penalmente contro i corrotti, perché le agenzie europee possono minacciare soltanto sanzioni amministrative: la punizione massima è il licenziamento, una rarità, mentre più frequenti sono le retrocessioni di grado e soprattutto le lettere di richiamo. Di certo, non un grande deterrente per rinsaldare la moralità dei commissari, dei 751 deputati e dei 43 mila funzionari che gestiscono ogni anno oltre 140 miliardi di euro e scrivono leggi vincolanti per 28 Paesi. Mentre anche dalla loro onestà dipende la credibilità di un organismo sempre meno rispettato. L’istituto statistico più autorevole, Eurobarometro, due anni fa ha lanciato l’allarme: il 70 per cento dei cittadini ritiene che la corruzione sia entrata nelle istituzioni europee. Lo credono 27.786 persone, selezionate scientificamente per rappresentare l’intera popolazione dell’Unione. È un dato choc. La Commissione ha reagito annunciato una crociata contro le tangenti in tutto il Continente. Ovunque, tranne che nei suoi uffici: nel 2014 il primo rapporto anti-corruzione nella storia della Ue ha sezionato i vizi di ogni Paese, senza però fare cenno ai peccati dentro casa: quella che la Corte dei Conti europea ha definito nero su bianco «un’infelice e inspiegabile omissione». D’altronde la presidenza di Jean-Claude Juncker è cominciata nel peggiore dei modi. Le rivelazioni di LuxLeaks – pubblicate in Italia da “l’Espresso” – hanno messo a nudo il suo ruolo nel trasformare il Lussemburgo nel Bengodi delle aziende in cerca di tasse irrisorie. Per riscattarsi, Juncker ha promesso una sterzata contro l’iniquità fiscale legalizzata. «Ma finora la Commissione è stata passiva su questa materia», sottolinea Eva Joly, per anni il giudice istruttore più famoso di Francia, che ha portato alla sbarra i crimini delle grandi aziende, ed ora è eurodeputato verde: «La follia è che abbiamo al vertice dell’Europa l’uomo che ha arricchito il Lussemburgo grazie alle tasse rubate agli altri, con guadagni che continuano a crescere. Nel Parlamento i verdi hanno imposto la creazione di un comitato speciale: il primo rapporto sarà pronto tra un mese e sarà molto duro. Anche i conservatori ora hanno capito e c’è la volontà di piegare i paradisi fiscali: sono convinta che il Lussemburgo dovrà adeguarsi o uscire dall’Unione».

Espresso Bruxelles 4IL GRANDE CIRCO Quello che Juncker costruito in Lussemburgo, a Malta lo ha realizzato John Dalli, il ministro che ha fatto dell’isoletta una piazzaforte finanziaria, graditissima agli investitori italiani più spregiudicati e ai miliardi rapidi delle scommesse. Poi nel 2010 Dalli è entrato nel governo dell’Unione: come commissario per la salute ha avuto in mano dossier fondamentali, incluso il via libera alle coltivazioni ogm. Finché la sua carriera non si è trasformata in circo. Letteralmente. Il suo vecchio amico Silvio Zammit, pizzaiolo e impresario circense part-time, è andato in giro chiedendo soldi per conto del «boss». Ha prospettato a una holding svedese la possibilità di spalancare il mercato eu ropeo a un prodotto che piace molto agli scandinavi: lo snus, il tabacco da masticare. Una passione da pirati e cowboy, fnora proibita nel resto della Ue, con potenzialità miliardarie: rimpiazza le sigarette anche dove il fumo è vietato. In cambio Zammit ha chiesto una somma niente male: 60 milioni di euro, poco meno della storica tangentona Enimont. La questione è arrivata sul tavolo dei detective dell’Olaf, l’unità antifrode eu ropea guidata dall’italiano Giovanni Kessler. Con investigatori provenienti dalla Guardia di Finanza, perquisendo di notte l’uffcio del commissario, sono stati trovati «indizi plurimi» del coin volgimento personale di Dalli. Nell’ottobre 2012 l’allora presidente Barroso ha obbligato il maltese alle dimissioni, frmate molto controvoglia. Tant’è che quando, dopo la sostituzione del capo della polizia, l’indagine penale nell’isola è stata archiviata, Dalli ha cominciato a sparare denunce dichiarandosi vittima di un’ingiustizia. E il parlamento ha criticato l’azione dell’Olaf: «Dal rapporto dei supervisori emergono molti dubbi sui metodi del nostro istituto antifrode più importante, che nei resoconti manipola le statistiche per presentare risultati migliori del reale», sancisce l’eurodeputato verde Bart Staes, membro di spicco del comitato che vigila sul budget, altro ca posaldo del sistema di controllo. L’Olaf si è trovata ai ferri corti pure con la Corte dei conti, a cui ha contestato appalti oscuri. Che a sua volta ha rimandato le accuse al mittente. Insomma, un tutti contro tutti, con esiti abbastanza deprimenti per l’affidabilità dei custodi di Bruxelles. Oggi l’Europa sembra avere tanti cani da guardia litigiosi. E tutti con la museruola: abbaiano, ma non mordono. Il loro compito infatti si limita a suggerire provvedimenti. Fuori dai palazzi della Commissione, non hanno poteri e devono invocare l’aiuto delle polizie nazionali. Che – tra interessi patrona li e differenze normative – non sempre collaborano. I detective europei hanno bisogno di un’autorizzazione pure per ascoltare i testimoni. All’Olaf ogni indagine è affidata a una coppia di ispettori, senza assistenti: si fanno da soli pure le fotocopie e passano più tempo a difendersi da tiro incrociato delle altre autorità che non a investi gare. Il feeling che si respira è negativo, come se la lotta alla corruzione interna non fosse una priorità, anzi, dei primi eletti del movimento anti-europeo inglese: nei comizi urlava contro il malaffare di Bruxelles, poi falsificava le note spese. Janice Atkinson, sempre dell’Ukip, a marzo si è fatta triplicare la ricevuta dopo il cocktail con la moglie del leader Nigel Farage – 4350 euro invece di 1350 – mentre la sua assistente si vantava: «È un modo di riportare a casa i nostri soldi». E quando nel 2011 un reporter del “Sunday Times” si è finto lobbista, offrendo denaro in cambio di emendamenti a sostegno della sua società, tre deputati hanno abbocca to subito. Due – un austriaco e uno sloveno – si sono dimessi e sono stati condannati in patria. Il terzo, l’ex ministro degli Esteri romeno Severin, è ancora al suo posto mentre l’istruttoria a Bucarest langue. Distinguere tra lobbisti veri e falsi non è facile. A Bruxelles è stato istituito un registro per queste figure, senza vincoli né sanzioni: chi vuole si accredita. L’attivissima sezione europea di Transparency International un mese fa ha dimostrato che metà delle 7821 dichiarazioni ufficiali delle lobby era no «incomplete o addirittura insensate». E in tanti si sottraggono al censimento, a partire dagli studi legali: un’armata che esercita un’influenza nascosta. La soluzione? «Rendere obbligatoria l’iscrizione al registro», spiega Carl Dolan di Transparency. «E bisogna vietare ogni contatto con chi non è iscritto», aggiunge Staes: «Devo ammettere però che in Parlamento non esiste una maggioranza favorevole al registro obbligatorio. Noi verdi, come i 5 stelle italiani e alcuni esponenti socialdemocratici, ci stiamo battendo, molti invece sono contrari».

PORTE GIREVOLI Tra i palazzi delle istituzioni e quelli dei potentati economici ci sono tante porte girevoli. Si passa dagli uffici della Commissione a quelli delle corporation e viceversa. Figure come Lord Jonathan Hill, con trascorsi in società di lobby della City, imposto dal governo Cameron al vertice della strut tura Ue che si occupa di mercati finanziari. O il caso sensazionale di Michele Petite, il direttore europeo degli affari legali che si tramuta in consigliere della Philip Morris e poi rientra come presidente del comitato etico che dirime i confitti d’interesse nella Ue. Ma queste sono le pedine sullo scacchiere di una partita più complessa. Le manovre dei lobbisti intrecciano network che possono seguire la geopolitica dei governi, dei Partiti o semplici reti di conoscenze trasversali adeguatamente retribuite. Il terreno di caccia favorito è la zona grigia in cui i grandi propositi dei legislatori europei si trasformano in regolamenti, spesso modesti. Uno dei passaggi più opachi avviene nei “gruppi di esperti” che studiano i dossier caldi. Una ong ha appena svelato che il 70 per cento degli esperti incaricati di valutare la questione del fracking, la discussa tecnica di estrazione petrolifera, hanno relazioni con le compagnie del settore. Non si tratta di un’eccezione, ma di un andazzo molto diffuso. L’Ombudsman europeo, l’autorità etica più piccola e dinamica, apre un’istruttoria dietro l’altra. Senza spezzare la cortina di ferro che protegge gli intrallazzi. «Bisogna incrementare al massimo la trasparenza, deve esserci sempre una traccia scritta di chi interviene nelle discussioni interne», sintetizza Carl Dolan. I confitti di interessi pullulano: nel 2012 sono stati segnalati 1078 dipendenti europei con incarichi extra. Quelli sanzionati sono una ventina, quasi sempre con reprimende scritte o verbali. L’impunità è pressoché certa. Per anni il funzionario Karel Brus ha fatto sapere in anticipo agli emissari di due colossi dei cereali, l’olandese Glencore e la francese Univivo, i prezzi stabiliti dall’Europa per gli aiuti agricoli: notizie d’oro, che permettevano di investire a colpo sicuro. In cambio si ipotizza che abbia incassato almeno 700 mila euro. Prima della condanna penale però sono passati dieci anni e il travet è sparito in Sudamerica. E per le due società c’è stata solo una multa: mezzo milione, inezie rispetto ai profitti.

LA NUOVA CORRUZIONE La Commissione ha in mano un’arma micidiale: può bandire le aziende corruttrici da tutti i contratti europei. Misura applicata solo due volte negli ultimi anni. Perché la volontà di fare pulizia sembra labile. Prendiamo il dieselgate di Volskwagen: gli uffici tecnici dell’Unione avevano segnalato i trucchi della casa tedesca da parecchi mesi, ma la denuncia è rimasta lettera morta fino all’intervento delle autorità statunitensi. «Questa è la nuova corruzione. Ed è il nuovo mondo, in cui si agisce tramite logaritmi che falsifcano i dati dei computer: la realtà si riduce a schermate digitali, mentre Volskwagen otteneva fondi per produrre auto ecologiche e contribuiva ad aumentare l’inquinamento che uccide migliaia di persone», tuona Eva Joly: «Ma la portata dello scandalo è ancora più grave, perché dimostra che il rispetto delle regole non è più un valore. La Germania, il Paese della legge e dell’ordine, ha ingannato tutti; la loro azienda simbolo ha mentito per anni. Le nazioni che hanno costruito questa Unione stanno perdendo credibilità e non capiscono quanto ciò peserà sul futuro delle nostre istituzioni». In quello choccante 70 per cento di cittadini che percepisce un’Europa corrotta si proietta una sfiducia più vasta. «È un dato che nasce dallo sconcerto per la debolezza della reazione davanti ai problemi: la crisi economica, il tracollo greco e adesso l’esodo dei migranti», commenta Bart Staes: «La gente sente i racconti sulle pressioni delle lobby, si diffonde il sospetto che l’Unione serva più per tutelare gli interessi economici che i cittadini. C’è la necessità di riforme profonde, che non sono nell’agenda di Juncker. Ma soprattutto bisogna dare risposte concrete: fatti, non storytelling. Partiamo dalla Volskwagen: quasi tutti i produttori di auto sfruttano i buchi nella legislazione per alterare i test, noi verdi abbiamo proposto di cambiare le regole e punire chi mente. Se agisci e la gente vede che i guasti vengono risolti, allora avrà di nuovo fiducia».

CORSI E RICORSI STORICI Un professore dal cognome altisonante, David Engels, in un saggio ha paragonato il declino dell’Unione al crollo della repubblica nella Roma antica. Oggi come allora, l’allargamento troppo rapido dei confini, il confronto con un’economia globalizzata, la crisi dei modelli religiosi – all’epoca i nuovi culti importati nell’Urbe, adesso l’Europa cristiana alle prese con l’Islam – e il contrasto tra i privilegi dei patrizi e l’impoverimento dei ceti popolari, logorano le istituzioni democratiche. Un’analisi che riecheggia le parole scritte da Altiero Spinelli nel 1941, in quel manifesto di Ventotene che ha partorito l’idea di Europa unita. «La formazione di giganteschi complessi industriali e bancari… che premevano sul governo per ottenere la politica più rispondente ai loro particolari interessi, minacciava di dissolvere lo Stato stesso. Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si valevano per meglio sfruttare l’intera collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione che solamen te lo stato totalitario, potesse in qualche modo risolvere i confitti di interessi». Era la situazione che ha fatto trionfare le dittature e spinto il continente nel baratro della guerra. L’Europa unita è nata da questa lezione, che ora sta dimenticando.

Espresso Bruxelles 5Eravamo i più convinti di tutti. Quindici anni fa, l’alba del nuovo millennio vedeva l’Italia piena di euro-entusiasti: oltre il 53 per cento di cittadini. Ci credevamo più dei tedeschi e molto più dei francesi. Da allora la fiducia nella Ue si è sgretolata. E i dati Demopolis dimostrano che non è colpa della moneta unica. La picchiata del consenso è cominciata con la recessione economica internazionale e si è intensificata con la crisi greca, toccando il minimo a giugno: soltanto il 27 per cento degli italiani dava ancora credito al sogno europeo. Adesso il sondaggio, condotto dall’istituto diretto da Pietro Vento su un campione di mille persone, mostra una minuscola ripresa del consenso, ma solo di un punto. Nota informativa L’indagine è stata condotta nel settembre 2015 dall’Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento, su un campione stratifcato di 1.000 intervistati, rappresentativo dell’universo della popolazione italiana maggiorenne. Metodologia ed approfondimenti su: www.demopolis.it

soru lobby ue

Gianluca Di Feo, L’Espresso

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I veri lobbisti vogliono un registro. Intervista a Mazzei [L’Indro] http://www.lobbyingitalia.com/2015/08/i-veri-lobbisti-vogliono-un-registro-intervista-a-mazzei-lindro/ Fri, 28 Aug 2015 06:19:13 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2915 In un momento in cui le parole “lobby”, “lobbisti”, “lobbying” sono ingiustamente utilizzate come elementi di malaffare, dopo le dichiarazioni del pentastellato Fantinati al meeting di Comunione e Liberazione di Rimini, riportiamo un’intervista sempre attuale de L’Indro a Giuseppe Mazzei, lobbista e presidente de Il Chiostro (associazione che vuol promuovere la cultura, la pratica e la regolamentazione della trasparenza nella rappresentanza degli interessi) in merito al processo di regolamentazione dell’attività di lobbying in Italia.

«L’Italia e l’Europa hanno urgentemente bisogno di una riforma del sistema del lobbying. E’ quanto emerge dal report “Lobbying in Europe: Hidden Influence, Privileged Access”, pubblicato oggi (15 aprile), prima ricerca comparata europea sulla trasparenza del fenomeno del lobbying. L’analisi mostra che su 16 Paesi europei, solo 7 possiedono delle forme di regolamentazione del lobbying, e l’Italia non è tra questi».

Questo è l’incipit di Transparency International Italia. Giusta visione, perché la trasparenza, soprattutto quando si parla di decisioni collettive è necessaria e indispensabile. Eppure in Italia un registro per i lobbisti esisteva. Dove? Presso il Ministero dell’Agricoltura. L’unico in Italia. Voluto dall’ex ministro Catania. Ma improvvisamente, quasi per magia, questo registro è sparito. E’ una voce che circolava, ma da bravi giornalisti non ci siamo fermati ai “rumors”, siamo andati in fondo alla questione, decisamente grave. Ci siamo rivolti a Giuseppe Mazzei, lobbista e presidente dell’associazione Il Chiostro , non solo per chiedere della sparizione del registro, ma per avere delucidazioni sulla situazione (lavorativa/legislativa) in cui vivono i lobbisti trasparenti. Giudicate voi perché tardiamo tanto per regolamentare un mestiere che da sempre è considerato “in ombra”.

Ma è vero che è “sparito” il registro dei Lobbisti al Ministero dell’Agricoltura (l’unico in Italia)? E’ Possibile?

Si. E’ sconcertante. Il registro, purtroppo, non ha mai funzionato. E’ stato istituito dal ministro Catania. Quando arrivò la De Girolamo coloro che erano presenti nell’unità per la trasparenza – l’ ufficio che doveva presiedere alle attività di questo registro – furono dislocati in altre funzioni. Bisogna sottolineare che ci eravamo iscritti circa in un centinaio: era un primo passo. Ma non si erano iscritti i principali grandi gruppi di interesse. Smantellata di fatto  l’Unità per la Trasparenza  con il ministro Martina ci siamo accorti che il registro fisicamente è stato cancellato!

Cosa avete fatto?

Ho scritto una lettera al ministro Martina (in data 9 febbraio) chiedendo delle spiegazioni, e naturalmente non ho avuto una risposta. Tramite fonti personali ho ricostruito  la faccenda in questa maniera: sembra che il Ministro si sia meravigliato, leggendo la mia lettera, in cui facevo presente che un registro istituito con un Decreto Ministeriale non potesse essere  cancellato dalla sera alla mattina senza un atto normativo. Qualcuno ha spiegato al Ministro che il registro dei lobbisti in realtà era stato cancellato con un Decreto Ministeriale in cui era contenuta, stranamente, anche l’eliminazione di quest’ultimo. Il registro è stato cancellato all’insaputa del Ministro. Sembra, però, che il ministro Martina lo voglia ripristinare.

Ma come è potuta avvenire questa cancellazione? Si sono sbagliati?

Sempre secondo fonti interne al Ministero, un collaboratore del Ministro, incaricato di predisporre un Decreto Ministeriale per l’implementazione delle misure anticorruzione, ha previsto, bontà sua, anche la cancellazione del registro. A questo punto ho scritto una seconda lettera, alla quale il Ministro non ha ancora risposto. Aspettiamo ancora da parte del Ministero due azioni: il ripristino del  registro e una severa punizione per chi, per combattere la corruzione, ha introdotto la norma che ha cancellato l’unico  registro dei lobbisti della storia italiana. All’insaputa del Ministro. Al posto dell’Unità per la trasparenza è stata istituita una nuova struttura che avrebbe dovuto ereditare, sempre in nome della trasparenza, le competenze della precedente, tra cui il registro. Ma non si vede niente. Non si trattano in questa maniera dei professionisti che si iscrivono ad un registro, e questo viene cancellato così.

Chi sono i nemici della legge sulla regolamentazione dell’attività lobbistica?

Alcuni lobbisti non la vogliono, e sono divisi in varie categorie. Quelli vecchio stile, che non vedono il motivo per cambiare la situazione, mantengono un atteggiamento conservatore. Abbiamo i lobbisti in malafede, che vogliono mantenere lo status quo per continuare a lavorare “sotto banco”, al limite della legalità. Gli abusivi, coloro che non dovrebbero, nemmeno lontanamente, potersi avvicinare a questa professione. Poi ci sono quelli in “mala fede”e illegali : coloro che utilizzano modi scorretti, illegittimi ed illegali, un crescendo di azioni contra legem. Infine ci sono quelli che sono in conflitto di interessi, hanno un doppio cappello pubblico e privato , senza commettere reato svolgono l’attività da lobbista. Per esempio coloro che sono consulenti di un Ministro e al tempo stesso rappresentanti di una categoria: assistenti parlamentari, giornalisti parlamentari, membri della pubblica amministrazione e così via.

Ci sono molti disegni di legge al chiodo…

I Disegni di legge sull’argomento non sono mai mancati. Nel corso degli anni c’è stata un’evoluzione, nel senso che sono migliorati. L’intensa attività dell’associazione “Il Chiostro”, ha puntato allo sdoganamento del dibattito. Noi abbiamo spiegato a varie personalità (alti magistrati, docenti unviersitari, grand commis d’état, parlamentari, ministri,direttori di giornali etc.) che cos’è il Lobbismo. Tutto questo ha portato dei risultati: oggi si dibatte del lobbismo in termini più sereni rispetto al passato, anche se non mancano ogni tanto su certi giornali inutili generalizzazioni che incolpano le lobby di tutto e del contrario di tutto, senza mai indicare quali lobby e in che modo si siano rese responsabili di pressioni indebite sui decisori pubblici. La trasparenza su questo argomento farebbe elevare maggiormente il livello di democrazia nel Paese.

Finalmente però è stato adottato un testo base, questo è un buon punto di partenza, dopo tanto…

Si, finalmente un momento positivo. Il Governo Renzi nel DEF del 2014 aveva preso l’impegno formale di presentare entro giugno (del 2014), contestualmente alla Riforma della Giustizia, un disegno di legge organico sulla regolamentazione dell’attività di lobbying a tutti i livelli. Abbiamo insistito perchè il Governo rispettasse questo impegno; ma il Governo tarda. Ma l’impegno è agli atti, non è stato sconfessato, diciamo che è stata un’inadempienza. Nel frattempo ci sono stati molti parlamentari che hanno presentato proposte di legge. Al Senato circa una decina, che hanno presentato disegni di legge che  la commissione affari costituzionali sta esaminando dopo aver nominato un relatore, il Senatore Campanella (ex M5S), che ha scelto tra i tanti disegni di Legge quello del Senatore Alberto Orellana, come testo base. Questo significa che si è avviata la procedura. Entro il 23 aprile bisogna presentare gli emendamenti. Si spera che nel giro di un mese e mezzo la Commissione riesca a licenziare il testo. Noi prenderemo delle iniziative presso la presidenza del Senato e della Commissione perché si evitino ritardi e si arrivi, entro fine luglio all’approvazione ,della legge in Senato. Alla Camera l’iter potrebbe essere leggermente più spedito, quindi potremmo avere il voto definitivo sulla legge entro dicembre, massimo febbraio (2016).

Perché Nunzia di Girolamo (nel 2013) si oppose con tanta tenacia ad una regolamentazione dell’attività lobbistica, definendola addirittura «proposta sovietica»?

Per quanto riguarda il disegno di legge del governo Letta, avevamo chiesto norme generali e non di dettaglio. Poi ci fu qualcuno che, ad arte, volle inserire norme più specifiche  sui regali ai politici, I pranzi offerti dai lobbisti, le rendicontazioni ultra dettagliate degli incontri tra rappresentanti di interessi e pubblici decisori. La De Girolamo eccepì, insieme ad altri, che la legge voleva sindacare sul fatto che il parlamentare dovesse rendere conto di quel che faceva. Cosa ci sia di sovietico in tutto questo non riesco a capire. “Sovietico” è il contrario di trasparenza. Nessuno si deve vergognare di incontrare il lobbista, siamo persone che fanno un lavoro trasparente. La realtà è che non volevano procedere. Purtroppo Letta, che  avrebbe potuto e dovuto impuntarsi e costringere il Consiglio dei ministri ad approvare il testo, non lo fece.

Come mai non parla nessuno della “sparizione” del registro? Non è uscito sui giornali…

Io ne avevo parlato con qualche altra grande testata, ma non ho avuto grandi riscontri. Sono gli stessi giornali che tuonano contro le lobby a tacere quando c’è da scriverne in modo serio. Quando i lobbisti trasparenti segnalano un abuso  ti dicono che non è notiziabile.

Ma che fine hanno fatto i Disegni di legge di Quagliariello e D’Alia, incaricati proprio da Letta?

Non sono andati avanti. Se vogliamo essere più precisi, i disegni di legge che sono più organici, che a nostro parere individuano meglio l’impostazione del problema, sono quelli presentati alla Camera dall’On. Antonio Misiani e quello presentato al Senato da Francesco Verducci. Partono da un’impostazione, fondamentale: il primo articolo definisce l’attività di lobbiyng come attività concorrente alla formazione delle decisioni pubbliche ispirata ai principi di trasparenza e correttezza. Se si tratta di  un’attività concorrente alle decisioni pubbliche, allora c’è  l’ esigenza di fare una legge severissima nei confronti dei lobbisti e dei decisori pubblici. Noi chiediamo, come associazione Il Chiostro, che la vigilanza sul registro futuro e sull’intera attività dei lobbisti sia affidata all’Autorità Nazionale anti-corruzione. Non perché il lobbismo abbia a che fare con la corruzione, ma perchè I lobbisti seri non hanno nulla da temere e perchè controlli più severi servono, spesso, non tanto sui lobbisti quanto su alcuni loto interlocutori pubblici. E quindi è bene che sia l’Anac a vigilare.

Sembra quasi che sia lo Stato a non ascoltare le vostre richieste di trasparenza…

Nella mancanza di trasparenza prospera di tutto. Ci sono tanti che ne traggono vantaggio: c’è chi non vuole far sapere cosa fa, non per nascondere atti illegali, ma perché in questo modo si possono fare giochi di potere (non parlo di tangenti o simili). Con la trasparenza tutto questo deve venir fuori. Noi abbiamo chiesto di essere interpellati, abbiamo avuto un’audizione al Senato, ed è stato molto utile. Ora dobbiamo stringere i tempi. Non chiediamo una legge perfetta: ci sarà modo di migliorarla. Intanto però che si voti una buona legge. Per esempio gli Usa hanno iniziato a legiferare nel 1936, poi nel 1946, poi nel 1995, infine sotto Obama, e aggiornano continuamente. E’ una materia complicatissima, perché andiamo a toccare il cuore della vita democratica, dove gli interessi si legano al tema dell’interesse generale, e dobbiamo affrontare anche il  problema del finanziamento  alla politica.

Adesso che il finanziamento pubblico è stato abolito, saranno i privati che finanzieranno i partiti…

Si. La legge è questa, bisogna prenderne atto e regolarsi di conseguenza. In realtà dalla fondazione della nostra associazione, circa otto anni fa, tutti coloro che si iscrivono al Chiostro firmano l’impegno di rispettare un codice etico. In questo codice c’è una norma (art.10) che dichiara che i lobbisti si astengono da qualsiasi attività di finanziamento della politica. Noi vorremmo che questo divieto fosse previsto per legge,. Personalmente sono contrario a questa formula di finanziamento privato alla politica, ero per il finanziamento pubblico attraverso regole molte severe e con dei tetti molto rigidi. Ritengo che rappresentare interessi particolari sia un atto indispensabile, non solo per l’azienda ma anche per la democrazia. Se non si conoscono gli interessi particolari, come si fa a decidere in nome dell’interesse generale? Anche alla luce dell’esperienza americana, un’eccessiva presenza di finanziamento privato può pesare. Gli Usa sono nati così e vanno avanti così. Però hanno un sistema rigoroso di vigilanza. In Italia, siccome sappiamo che la certezza della pena non c’è, abbiamo chiesto sanzioni pecuniarie elevatissime. Secondo il disegno di legge di Misiani e Verducci, il  lobbista che pratica l’attività senza essere iscritto al registro obbligatorio dovrebbe pagare una multa da 50mila a 250mila euro. Non solo sanzioni pecuniarie, se non nascono fattispecie di reato, ma anche procedimenti disciplinari che possono arrivare alla radiazione dal registro. In quel caso abbiamo chiesto che la notizia della radiazione venga pubblicata su due quotidiani nazionali a spese di colui che viene radiato.

Fonte: L’Indro

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Spagna, Governo e Parlamento tratteranno la regolamentazione del lobbying in questa legislatura. In Catalogna già c’è http://www.lobbyingitalia.com/2015/08/spagna-governo-e-parlamento-tratteranno-la-regolamentazione-del-lobbying-in-questa-legislatura-in-catalogna-gia-ce/ Wed, 26 Aug 2015 11:03:27 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2912 Secondo uno studio, la Spagna occupa le ultime posizioni in termini di trasparenza in questo settore. Artur Mas ha scelto di regolare il lobbying in Catalogna

È pervenuta la risposta all’interrogazione parlamentare a risposta scritta presentata al Governo dalla deputata del UPyD (Unione Progresso e Democrazia) Rosa Diéz, sul motivo per il quale il Governo di Madrid non fosse ancora riuscito a regolamentare l’attività delle lobby in Spagna.

Dopo aver fatto riferimento a due risoluzioni del Congresso, l’Esecutivo ha detto che la regolamentazione del lobbying è parte della riforma del Regolamento del Congresso e che questo processo “non è una questione di competenza del Governo”. Conclusione: l’aggiornamento delle norme interne del Parlamento può essere considerato decaduto e quindi non sarà approvata alcuna legge sull’azione delle lobby.

L’iniziativa, presentata da Rosa Díez nel mese di aprile e alla quale il Governo ha risposto a maggio, è stata motivata da un rapporto Transparency International intitolato “Le lobby in Europa: influenza occulta e accesso privilegiato”, in cui la Spagna è il quinto peggior Paese del 19 oggetto dello studio in termini di trasparenza dei lobbisti (che chiedono a loro volta di essere oggetto di una normativa organica) e delle loro prestazioni. Lo studio ha anche messo in guardia sul rapporto e i collegamenti “tra le pratiche dei lobbisti e il settore pubblico e finanziario”, secondo la Diéz.

La regolamentazione delle lobby, i gruppi con interessi specifici che agiscono con l’obiettivo di influenzare la pubblica amministrazione, è oggetto di dibattito da tutta la legislatura, soprattutto da parte di alcuni gruppi di opposizione nel Congresso e nella società civile.

Quando sembrava imminente che fossero regolate le attività dei lobbisti, diverse organizzazioni hanno fatto le proprie raccomandazioni affinché la futura legislazione ai lobbisti fosse completa. Tuttavia, tale regolamentazione non è mai arrivata e non c’è tempo prima delle elezioni nazionali per apportare le necessarie modifiche al Regolamento del Congresso.

Le lobby agiscono nei confronti del Legislatore e anche dell’Esecutivo, soprattutto in Spagna, dove quasi il 95% delle leggi sono presentati per iniziativa del governo. Pertanto la regolamentazione è necessaria per la trasparenza del processo decisionale e per la garanzia che le decisioni del pubblico realmente perseguano l’interesse generale.
Tra i suggerimenti per regolare gruppi di pressione: la creazione di una registrazione obbligatoria dei lobbisti; il controllo del meccanismo delle “revolving doors” (con la previsione di un periodo di “raffreddamento” minimo per chi cessa di avere una carica pubblica e gestisce le questioni relative alla precedente responsabilità) e un codice di condotta per i lobbisti.

Ma in Catalogna il lobbying è regolamentato

Dove sono stati presi provvedimenti nei confronti delle attività dei lobbisti è in Catalogna, regione le cui istituzioni (Generalitat) hanno approvato un decreto che inserisce un registro delle parti interessate negli ambiti di competenza e la trasmissione in Parlamento di una riforma del regolamento che comprendeva un registro a livello parlamentare, come riporta il Forum per la trasparenza.

Così il portale della trasparenza del Parlamento catalano pubblicherà le attività dei gruppi di interesse a livello parlamentare:

  • Elenco dei contatti di gruppi di interesse, i membri del Parlamento, i loro consiglieri e funzionari.
  • Informazioni su eventi ai quali i parlamentari sono invitati a partecipare.
  • Partecipazione dei soggetti interessati al processo di audizione per i disegni di legge.
  • Contributi effettuati su iniziative legislative al Parlamento e ai gruppi.

Da parte sua, il Governo catalano attuerà la registrazione dei gruppi di interesse il 1° ottobre. Dovranno iscriversi individui e gruppi di interesse e partecipare allo sviluppo e all’attuazione delle politiche pubbliche in difesa degli interessi di terzi o di organizzazioni.

Fonte: ZoomNews.es

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Ungheria, il Consiglio d’Europa chiede passi decisi contro la corruzione http://www.lobbyingitalia.com/2015/07/ungheria-il-consiglio-deuropa-chiede-passi-decisi-contro-la-corruzione/ Sun, 26 Jul 2015 20:16:19 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2891 Il Gruppo di Stati contro la Corruzione (GRECO), composto da membri del Consiglio d’Europa, ha chiesto all’Ungheria di rafforzare la legislazione anti-corruzione, in particolare regolamentando i rapporti tra lobbisti e decisori e limitando le immunità dei pubblici ufficiali. Sono richieste anche misure giudiziarie nei confronti dei soggetti governativi protagonisti negli ultimi anni di caso di corruzione.

Il report pubblicato dal GRECO il 22 luglio scorso richiede alle autorità ungheresi misure su tre macro aree: un codice etico per i parlamentari, misure legate alla corruzione per i decisori pubblici e una nuova modalità di azione per giudici e pm nei confronti delle immunità degli eletti. E il Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Thorbjorn Jagland, ha dichiarato la lotta alla corruzione “essenziale per tutti gli Stati membri del Consiglio”.

La richiesta di una maggiore trasparenza nel processo legislativo ungherese coincide con le critiche da parte dei sostenitori anti-corruzione locali, che hanno evidenziato alcuni esempi recenti sospetti, come ad esempio la distribuzione di contratti a lungo termine per l’utilizzo di terreni agricoli di proprietà dello Stato e l’assegnazione di licenze esclusive di vendita di tabacchi, secondo l’Associated Press.

Negli ultimi tempi l’Ungheria è stata scossa da un pesante caso di corruzione. La Presidente dell’Autorità fiscale magiara (NAV) Ildikó Vida, alla quale stato proibito di entrare negli Stati Uniti a causa di accuse di corruzione, si è dimessa nel maggio scorso. Era una dei sei ungheresi a cui è stato proibito di entrare negli Stati Uniti a causa di presunti collegamenti alla corruzione. Sotto la pressione del primo ministro Viktor Orban, la Vida è stata coinvolta in un giudizio da un inviato degli Stati Uniti, M. André Goodfriend, ma la causa per diffamazione che chiede il risarcimento di 5 milioni di fiorini è stata abbandonata a causa della sua immunità diplomatica. Il governo ungherese non ha condotto un’investigazione su Vida o il resto delle accuse di corruzione, dicendo che non aveva ricevuto alcuna evidenza da Washington circa i presunti misfatti.

Per quanto riguarda il ramo legislativo, il gruppo chiede una maggiore trasparenza. Il coinvolgimento di terze parti non è percepito come sufficientemente trasparente dal momento che non esiste una regolamentazione sul lobbying a livello parlamentare.

La relazione sottolinea la necessità di elaborare codici di etica o condotta per i membri del parlamento per integrare i regolamenti esistenti, in particolare nelle situazioni in cui i parlamentari si trovano ad affrontare interessi contrastanti.

Entro la fine del mese di settembre 2016 le autorità ungheresi dovranno riferire sulle misure adottate per attuare 18 raccomandazioni contenute nella relazione. Il GRECO poi dovrà valutare l’attuazione delle raccomandazioni in un “rapporto di conformità”, nella prima metà del 2017.

Tra le raccomandazioni del GRECO, quelle riferite ai parlamentari riguardano:

  • l’apertura del processo decisionale ai soggetti interessati e la trasparenza delle informazioni riguardanti l’iter legislativo, in particolare dei rapporti con i lobbisti o le associazioni o chiunque altro influenzasse il processo decisionale;
  • l’attuazione di un codice di condotta per parlamentari e staff, con norme sui regali, le donazioni, le revolving doors di fine mandato;
  • norme previste per l’eventuale emersione di conflitti di interesse, per evitare che ci siano giuste procedure per la verifica e la sanzione di comportamenti illeciti;
  • la trasparenza dei redditi e degli interessi di ogni parlamentare, e la pubblicità dei loro dati;
  • il monitoraggio e l’effettiva attuazione delle normative anti-corruzione.

L’opacità del sistema ungherese è da sempre segnalata come un problema endemico. Nel rapporto di Transparency International su 19 ordinamenti europei “Lifting the Lid on Lobbying”, l’Ungheria era stata segnalata come Paese a bassa competitività interna tra diversi interessi. Il Governo, infatti, tendeva a sviluppare rapporti stretti con poche, potenti associazioni di imprese creando un danno alla competitività dell’intero sistema e, conseguentemente, dando largo impulso alla corruzione e alla lottizzazione delle cariche pubbliche e delle grandi poltrone private.

Secondo Jozsef Peter Martin, managing director di Transparency International Hungary, la legge sulle lobby non solo aiuterebbe a limitare la corruzione nei pubblici uffici, ma soprattutto sarebbe la condizione necessaria per migliorare la competitività dell’intera economia danubiana.

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L’Europa governata dalle lobby (Internazionale) http://www.lobbyingitalia.com/2015/07/leuropa-governata-dalle-lobby-internazionale/ Thu, 23 Jul 2015 15:42:25 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2864 (Antonio Pollio Salimbeni) Tre parlamentari europei – tra cui l’ex ministro dell’interno austriaco Ernst Strasser, del Partito popolare, poi condannato – pizzicati a chiedere centomila euro a dei giornalisti che si spacciavano per lobbisti in cambio della presentazione di alcuni emendamenti a una direttiva europea. Poi, nel 2012, il caso del commissario europeo alla salute e consumatori, il maltese John Dalli, accusato di aver tenuto all’oscuro la Commissione della sua partecipazione a riunioni informali con rappresentanti dell’industria del tabacco nei giorni in cui stava elaborando una direttiva sul settore. Il maltese ha dovuto dimettersi quasi subito. Poi gli emendamenti “copia e incolla” alla direttiva sulla protezione dei dati: un eurodeputato ne ha presentati 158 per difendere una posizione contraria al diritto alla privacy e arrivavano direttamente dai documenti delle imprese interessate. Infine la pratica durata fino al 2009: gli esperti mandati dalle aziende alla Commissione, la sola istituzione che può elaborare e proporre una legge.

La storia dell’Unione europea è piena di episodi del genere, ma sono casi estremi. Il problema riguarda la normalità dei rapporti tra il business e le istituzioni europee, che non hanno mai ispirato così poca fiducia ai cittadini. Un rapporto di Trasparency international rimette il dito sulla piaga: anche se la Commissione di Jean Claude Juncker ha fatto dei passi avanti, deve fare ancora molta strada per assicurare una trasparenza effettiva e una completa eguaglianza di accesso alle istituzioni europee.

Bisogna precisare che l’attività di lobbying e l’influenza indebita non sono necessariamente sinonimi. La prima è certamente volta a influenzare le decisioni pubbliche per conto di un cliente o di un gruppo d’interesse, ma se è svolta alla luce del sole e rappresenta interessi legittimi in modo trasparente non pone alcun problema etico o politico. La seconda invece è un’attività opaca, subdola, volta esplicitamente a condurre un gioco sleale. È un processo discriminatorio perché favorisce solo determinati interessi a scapito di altri, e può portare a varie forme di corruzione.

Il lobbismo va considerato parte del funzionamento di una democrazia, e così la pensa anche Trasparency international. Ma spesso una parte dei processi attraverso cui vengono influenzate le decisioni pubbliche resta nascosto e passa attraverso canali informali. E qui cominciano i rischi e aumenta la vulnerabilità delle istituzioni. Capita che emergano conflitti di interesse o che certi gruppi godano di un accesso privilegiato a chi prepara e prende le decisioni.

Dopo Washington, Bruxelles è la città al mondo con la maggiore concentrazione di lobbisti. Non stupisce: nella capitale belga si prendono decisioni che condizionano più del 60 per cento della produzione legislativa degli stati dell’Unione. I lobbisti sono tra 15mila e 30mila, ovvero da 1,3 a 2,6 per ciascun funzionario europeo. Tenendo conto che a preparare, redigere e approvare le proposte di legge e le normative sono poche migliaia di funzionari, la sproporzione è ancora più forte.

Nel registro europeo della trasparenza sono attualmente iscritte 7.821 organizzazioni, di cui 4.879 dichiarano di avere come obiettivo influenzare le decisioni politiche delle istituzioni per conto delle aziende. Exxon Mobil, Shell, Microsoft e Deutsche Bank sono in cima alla lista delle imprese che spendono di più nell’attività di lobbying: le prime tre 4 milioni e mezzo di euro, la banca tedesca 3,9 milioni. Dominano i settori della farmaceutica, della finanza, delle telecomunicazioni e dell’energia.

Il peso di un cartellino

La spesa annuale in attività di lobbying è un indicatore fondamentale, come lo è anche il numero di badge, i cartellini che permettono di entrare nel parlamento europeo e avere accesso ai deputati, agli assistenti, e agli esperti dei gruppi politici. In genere i lobbisti delle imprese ne hanno pochi (Microsoft ne ha quattro, Shell ne ha sette, ExxonMobil cinque, Google otto, Siemens dieci), mentre le organizzazioni di categoria hanno accesso più facile: BusinessEurope ha a disposizione 23 badge, il Wwf 10, Eurocommerce 13, l’European Chemical Industry Council 24, Greenpeace 13, Oxfam 12, il Bureau européen des unions de consommateurs 24.

Nell’Unione europea l’iscrizione al registro è volontaria e questo getta un’ombra pesante sul livello di trasparenza: 14 dei 20 studi legali più grandi del mondo che hanno una sede nella capitale belga (tra cui Clifford Chance, Whitye&Case, Sidley Austin) non sono nella lista ma undici di queste sono registrati come lobby organisations a Washington, dove la registrazione è obbligatoria. In Europa solo 88 studi legali sono registrati.

A dominare la scena a Bruxelles sono i lobbisti che rappresentano associazioni di imprese e del commercio. I settori a più alta intensità lobbistica sono l’energia, il clima, l’economia digitale, i mercati finanziari e i trasporti. In fondo alla lista troviamo politiche regionali, bilancio, affari interni, aiuti umanitari e le politiche per la periferia dell’Unione europea. Più del 75 per cento dei 4.318 incontri con esterni della Commissione europea tra il dicembre del 2014 e il giugno del 2015 ha riguardato lobbisti di imprese, gli incontri con le organizzazioni non governative sono stati il 18 per cento, quelli con istituti di ricerca e vari think tank il 4 per cento, quelli con autorità locali il 2 per cento.

Vigilare in casa propria

Bisogna preoccuparsi oppure no? Certamente bisogna vigilare, perché il rischio di alterare il processo decisionale è elevato. Ma non bisogna esagerare. Trasparency international pubblica una graduatoria sul grado di trasparenza, sulle salvaguardie contro l’influenza indebita e sulle regole etiche nei sistemi politici di 22 paesi europei, da cui risulta che la Commissione europea è in seconda posizione con una quotazione del 53 per cento dopo la Slovenia (55 per cento). Il parlamento europeo ha il 37 per cento, il consiglio il 19 per cento. L’Italia si trova al 20 per cento, la Germania al 23 per cento, la Francia al 27 per cento, la Spagna al 21 per cento.

Ciò dimostra che l’influenza delle lobby non è solo un problema europeo, ma pervade i sistemi politici nazionali. Un caso recente è stata la difficilissima trattativa sulla vigilanza bancaria unica sotto l’egida della Banca centrale europea. Sull’estensione dei poteri della Bce ci sono state aspre contese sia nel Consiglio sia nel parlamento, e la Germania ha gettato tutto il suo peso nel negoziato. L’obiettivo era difendere le Sparkassen (casse di risparmio) e le Landesbanken (banche regionali di proprietà pubblica). Nella repubblica federale le banche sono “la cinghia di trasmissione tra la politica e l’economia”. Due anni fa Die Zeit ha fatto i conti concludendo che su 620 parlamentari tedeschi 126 facevano parte del consiglio di sorveglianza di almeno una società. La maglia degli interessi è intricatissima, sia a Bruxelles sia nelle capitali europee, e spesso i fili sono gli stessi.

Fonte: Internazionale

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Regolamentare le lobbies: benefici per la democrazia [AgoraVox] http://www.lobbyingitalia.com/2015/07/regolamentare-le-lobbies-benefici-per-la-democrazia-agoravox/ Wed, 22 Jul 2015 08:00:02 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2858

Esistono, lo sanno tutti, eppure fanno paura come se fossero sette eversive. Perché non regolamentare le lobbies, come già si fa in molti paesi del mondo, e renderle preziose portatrici di interesse nella logica democratica italiana?

Nei sistemi politici contemporanei, hanno acquisito un notevole peso, nell’influenzare i processi decisionali pubblici, i gruppi di pressione, che si pongono come organizzazioni intermediarie tra società e politica. Lo sviluppo dei gruppi di interesse procede parallelo con lo sviluppo della società, sia per una ormai consolidata diversificazione dei bisogni e degli interessi nelle società stesse, sia per l’ampliamento dei diritti di espressione e di associazione che costruiscono una società sempre più multi-plurale.

L’aumento della complessità e il diversificarsi delle articolazioni della società producono lo sviluppo di forme associative che dal sistema sociale cercano, a fianco della rappresentanza politica, di articolare richieste alle autorità politiche, intervenendo, direttamente o indirettamente nelle varie fasi del processo decisionale. Un recente rapporto dell’Agenzia internazionale Trasparency International, identifica tre macro-indicatori per la valutazione dell’impatto dei gruppi di interesse sui processi politici.

Questi sono la trasparenza al pubblico delle relazioni tra politici e lobbisti; la regolamentazione sulla condotta etica degli stessi (in sostanza, la loro integrità morale) e l’apertura del potere pubblico al pluralismo di voci e interessi, quindi una sorta di pari opportunità di accesso, che garantisce la possibilità di esercitare controllo e bilanciamento in un sistema di verifica e valutazione delle decisioni. In base allo stesso rapporto, l’Italia risulta uno dei paesi meno virtuosi d’Europa.

I risultati confermano l’assoluta mancanza dei tre elementi fondamentali (trasparenza, integrità e parità di accesso) generata da una assenza di normative di settore e di un registro nazionale dei lobbisti, che ha favorito uno sviluppo informale e chiuso del fenomeno. Anche il contesto socio-politico e culturale ha sicuramente contribuito a creare un sistema di lobbying ad personam, basato, più che su procedure, contenuti validi e comunicazione persuasiva, su relazioni sociali e personali.

L’opinione pubblica italiana pare oggi insistere più sui rischi che sulle opportunità derivanti dall’emergere di questi gruppi di pressione, non intravedendo nel pluralismo di voci un’autentica conquista della democrazia, ma ritenendolo invece un pericoloso vulnus che porta a deviare, nell’esclusivo interesse privato, strategie e iniziative politiche da un obiettivo che dovrebbe garantire invece, in quanto “pubblico”, positive ricadute per il maggior numero possibile di persone.

Non ritengo che questa semplificazione, che spesso porta a una banalizzazione di un nuovo fattore che concorre alla qualità della democrazia (ma il nostro è il paese che ha un attaccamento morboso per la ricerca delle trame oscure e dei complotti), sia adeguata a esprimere invece uno slancio e una prospettiva di crescita anche dell’efficacia della governance degli apparati pubblici. I gruppi di interesse, infatti, rappresentano anche, come ben evidenziato da molteplici studi, degli elementi imprescindibili per la qualità dei provvedimenti normativi e legislativi che riguardano settori specifici ad alto contenuto tecnico.

Occorre però che anche in Italia l’azione dei gruppi di interesse, come nei paesi più avanzati in cui è ormai prassi consolidata e accettata, venga inquadrata in un sistema di regolamentazione moderno e chiaro. In molti ordinamenti (Stati Uniti, Canada, Israele, Francia, Gran Bretagna ad esempio) si è avvertita, con sfumature profondamente diverse tra loro, la medesima esigenza di rendere conoscibili a tutti chi sono e quali sono i gruppi di pressione, definendo un assetto di regole volte ad assicurare la trasparenza delle decisioni. La trasparenza, quindi, è uno dei cardini per un corretto funzionamento del rapporto tra politica e gruppi di interesse, e ritengo sia auspicabile, in toto, il recepimento delle proposte di Transparency International Italia che raccomandano l’istituzione da parte del Governo di un registro pubblico dei lobbisti, garantito da un’autorità super partes. Il registro dovrà essere obbligatorio, pubblico e rispettare i più elevati standard internazionali di trasparenza e rendicontazione.

Decisi passi avanti vanno fatti anche in ambito di trasparenza del processo legislativo, che garantisca la piena chiarezza e controllabilità delle varie fasi dell’iter delle proposte di legge, specie nei passaggi in Commissione. Sarebbe poi auspicabile che politici e parlamentari rendessero pubblici i dettagli di incontri con lobbisti e gruppi di interesse, così come pubblici dovrebbero essere gli accessi di questi ultimi al parlamento e ai ministeri. A ogni cittadino dovrebbe essere inoltre garantito il libero accesso a ogni informazione pubblica o documento prodotto dalla pubblica amministrazione. Una norma specifica, infine, dovrebbe riguardare l’introduzione di norme specifiche per combattere il conflitto di interessi. Infatti, una tendenza eccessiva al riciclarsi, dopo l’esperienza pubblica, ha portato molti politici a operare come lobbisti.

Solo con l’obbligatoria introduzione di periodi di attesa, e di una specifica regolamentazione, si potrà fare in modo che il rapporto tra politica e gruppi di interesse sia un rapporto virtuoso ed eviti di generare invece un circolo vizioso e un appiattimento su mere logiche particolaristiche votate più a profitti e difesa di interessi che a una qualità e al progresso dei processi e della capacità di governo.

Leonardo Raito
Docente di Storia Contemporanea – UniPD

Fonte: Agora Vox

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Repubblica Ceca: legge sulle lobby per limitare la corruzione http://www.lobbyingitalia.com/2015/06/repubblica-ceca-legge-sulle-lobby-per-limitare-la-corruzione/ Tue, 30 Jun 2015 15:42:45 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2840 Corruzione, opacità, scarsa efficacia del processo decisionale. Per la sezione ceca di Transparency International, sono questi i principali motivi per cui è necessaria una legge sul lobbying anche nel Paese danubiano.

La Commissione del Governo per il Coordinamento della lotta alla corruzione ha stilato una bozza di provvedimento sulle lobby, come ha affermato il responsabile di TI Repubblica Ceca Radim Bures. Il modello di regolamentazione è quello comunitario, che consente un primo passaggio verso una regolamentazione trasparente, se correttamente implementato. Questi i punti-cardine del progetto di legge:

  • Registrazione per i lobbisti;
  • Obbligo per i lobbisti, i politici e i dirigenti pubblici di pubblicare i loro contatti reciproci;
  • Sanzioni per eventuali contatti non autorizzati con lobbisti non registrati;
  • Mappatura del processo decisionale per comprendere chi è intervenuto durante la gestazione di provvedimenti normativi

Queste norme, secondo Bures, potrebbero servire da filtro per gli incontri tra lobbisti e decisori pubblici, che spesso sono fonti di ambiguità. Secondo l’ultimo rapporto di Transparency International “Lobbying Europe. Hidden influence, priviledged access”, la Repubblica Ceca si situa a metà tra i 19 Paesi europei oggetto dello studio in termini di trasparenza, partecipazione e efficacia del lobbying comunitario. Il risultato ceco, sicuramente molto più positivo di quello di altri ordinamenti occidentali come Italia, Spagna e Francia, è stato influenzato, secondo il politologo Petr Vymetal, dalla legge sul libero accesso all’informazione degli atti legislativi e, soprattutto, dal sistema di valutazione degli impatti legislativi (una sorta di AIR – Analisi di Impatto della Regolamentazione – che in Italia è praticamente irrilevante). Tra gli aspetti da migliorare, invece, come in quasi tutti i Paesi europei, il basso livello di trasparenza delle consulenze lobbistiche al momento della redazione di schemi legislativi o proposte emendative. Oltre a questi problemi di tipo tecnico, il diffuso fenomeno delle revolving doors alimenta il pericolo di corruzione.

Il lobbying attualmente non è regolato in Repubblica Ceca. Nel febbraio scorso, il Senato ha approvato un emendamento al regolamento della Camera dei Deputati per migliorare la trasparenza del processo legislativo. L’emendamento prevedeva:

  • Trasparenza delle informazioni su chi ha influenzato il processo decisionale, inclusi i deputati;
  • Tempi precisi per i politici, i media e il pubblico per conoscere e approfondire la tematica del processo decisionale in corso di svolgimento;
  • Necessità di un parere ufficiale su ogni proposta legislativa da parte delle commissioni parlamentari competenti per materia.

I precedenti tentativi di rendere il processo legislativo più trasparente erano state respinte dalla Camera dei Deputati in diversi casi dal 2004. Al momento a Praga è favorevole alla regolamentazione anche l’associazione delle società di Public Affairs (Association of Public Affairs Agencies – APAA), nata nel 2012, che raggruppa 6 società: CEC Government Relations, Eurooffice Praha-Brusel, Fleishman-Hillards, Grayling Czech Republic, Merit Government Relations and PAN Solutions.

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L’esercito delle lobby a Bruxelles: chi sono e quanto spendono i gruppi di interesse Ue [Sole 24 Ore] http://www.lobbyingitalia.com/2015/06/lesercito-delle-lobby-a-bruxelles-chi-sono-e-quanto-spendono-i-gruppi-di-interesse-ue-sole-24-ore/ Wed, 24 Jun 2015 08:56:31 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2831 Bruxelles città delle istituzioni Ue e delle lobby. Quasi tutte le grandi multinazionali, le industrie, le organizzazioni , i gruppi di interesse e anche e le Ong hanno almeno un ufficio nella capitale europea. Tra i corridoi e i bar dei grandi palazzi decisionali non è difficile notare i rappresentanti di varie organizzazioni intenti nel lavoro di lobbista. A influenzare maggiormente le decisioni delle istituzioni europee sarebbero le industrie che tra dicembre 2014 e giugno 2015, registrano già circa 4.318 incontri con rappresentanti e funzionari della Commissione Ue: è quanto riporta un’analisi della organizzazione anticorruzione Transparency International.

Le organizzazioni attualmente iscritte nel registro Ue per la Trasparenza sono 7.821: il 75% di queste, circa 4.879, cerca di favorire gli interessi delle aziende. Mentre il 18 % è rappresentato dalle Ong e il 4% dai think tank e solo il 2% dalle autorità locali. Nella top list delle imprese che spendono di più per fare lobby figurano la Microsoft, Exxon Mobil e la Shell con una spesa che varia tra i 4,5 e i 5 milioni di euro, dedicato a questo scopo. Seguite subito dopo dalla Deutsche Bank AG, la Dow Europe GmbH e Google: quest’ultima ha già avuto 29 incontri con le istituzioni europee in questi mesi. Ma anche Ong come Greenpeace e il Wwf si sono incontrate diverse volte con l’esecutivo comunitario e tra le lobby presenti a Bruxelles BusinessEurope, la General Electric Company (GE) , Eurocommerce e Airbus group.

«Le organizzazioni con un più alto budget per fare lobby hanno un grande accesso , in particolare nel settore finanziario, digitale ed energetico» osserva Daniel Freund di Transparency International. Le imprese che hanno dichiarato almeno 900mila euro di spese per lobby sono quelle che hanno ottenuto più di dieci colloqui ad alto livello con la Commissione Europea, in base al report. Tra i paesi che hanno ottenuto più incontri in questo periodo, al primo posto spicca il Belgio, poi la Germania, l’Inghilterra, la Francia e l’Italia. Le organizzazioni italiane registrate sarebbero 597. Per ora, tra le italiane, la Confindustria avrebbe ottenuto più appuntamenti con rappresentanti istituzionali Ue, poi l’Enel e l’Eni. In generale le organizzazioni italiane sembrano spendere meno per le attività di lobby rispetto ad altri paesi e si focalizzano in particolare sul settore energetico.

Il clima e l’energia, il lavoro e la crescita, l’economia digitale, i mercati finanziari e i trasporti sono i settori che attraggono di più i lobbisti di Bruxelles. Mentre i commissari Katainen, Hill e Oettinger hanno finora avuto pochi confronti con la società civile, tra il 4% e l’8 per cento. In particolare gli ambiti dei mercati finanziari e dell’economia digitale sono presi più di mira dalle imprese. Le nuove misure di trasparenza Ue sono però secondo l’analisi di Transparency International ancora poco seguite: l’80% delle organizzazioni presenti nel registro per la Trasparenza non ha riportato pubblicamente un solo incontro con commissari Ue o funzionari. Inoltre su 30mila funzionari che lavorano alla Commissione Europea neppure 300 sono soggetti alle nuove misure di trasparenza. Le nuove regole di trasparenza della Commissione riguardano solo l’1% dei funzionari e il 20% delle organizzazioni lobbistiche. Su questo punto Carl Dolan, direttore di Transparency International ha le idee chiare «Le istituzioni europee dovrebbero pubblicare “un’impronta legislativa” un documento pubblico con tutti gli incontri con le lobby e altri contributi che abbiano in qualche modo influenzato le politiche e le legislazioni».

Tra i problemi principali riscontrati dall’organizzazione anticorruzione vi è anche la carenza nella qualità dei dati raccolti dal registro per le lobby che rimane per ora su base volontaria: molte organizzazioni rimangono ancora fuori da questo database, tra queste quattordici su venti dei più grandi studi legali mondiali tutti con un ufficio a Bruxelles, come Clifford Chance, White&Case o Sidley Austin. Mente undici di queste sono registrate ad esempio a Washington DC dove vige l’obbligo di iscriversi. «La maggior parte delle informazioni che i lobbisti volontariamente compilano nei file del registro risultano incomplete, poco accurate o totalmente insignificanti» ha affermato Freund. Secondo l’organizzazione oltre il 60% delle organizzazioni che hanno fatto pressione sulla Commissione Ue per l’accordo commerciale tra Ue ed USA non ha dichiarato queste attività in maniera adeguata. Per Transparency International si rendono indispensabili alcuni passi in avanti che riguardino l’obbligatorietà del registro delle lobby e l’introduzione di “un’impronta legislativa” , ossia una testimonianza dell’influenza dei lobbisti su una parte di legislazione.

 

Fonte: Irene Giuntella – Il Sole 24 Ore

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Guida al lobbismo tedesco http://www.lobbyingitalia.com/2015/05/guida-al-lobbismo-tedesco/ Mon, 04 May 2015 14:55:47 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2793 Concentrato nella capitale, attorno ai palazzi della politica, il mondo delle lobby cerca di influenzare le decisioni di governo e Bundestag.

Cominciarono a sbarcare all’aeroporto di Tegel a metà degli anni ’90: uomini tutti vestiti di scuro, giacca, cravatta e ventiquattr’ore d’ordinanza, come extraterrestri arrivati da mondi sconosciuti. Non passavano inosservati nella folla scapigliata che a quei tempi frequentava l’aeroporto berlinese, anche se il loro dogma è quello di muoversi nella maniera più discreta possibile. Anticipavano i tempi nuovi di una città che, di lì a poco, sarebbe tornata ad essere la capitale della Germania.

Lobbisti da ogni angolo del Paese e soprattutto da Bonn, la piccola cittadina di provincia che aveva certificato per 40 anni il ritorno della Germania Ovest alla democrazia. Ma anche dai capoluoghi occidentali dell’industria tedesca, Monaco, Stoccarda, Mannheim, Francoforte, Düsseldorf, Wolfsburg, Amburgo, dove hanno sede le imprese che contano e che hanno bisogno della politica per contare sempre di più. Lentamente si sono sparsi per Berlino, conquistando gli avamposti attorno ai nuovi palazzi del potere, in quel quartiere politico che negli anni ha visto sorgere la sede della cancelleria a forma di lavatrice, gli edifici che ospitano i parlamentari, nuovi e vecchi palazzi ministeriali e la cupola trasparente che l’archistar Norman Foster ha piazzato in cima al Reichstag: vetro e acciaio, simbolo di una politica senza macchia. Nei giorni di seduta parlamentare, i cittadini possono sbirciare nell’aula dal tetto. Ma forse non riescono a vedere tutto quel che vi accade.

I 690 mila euro donati dalla famiglia Quandt, maggiore azionista della Bmw, alla Cdu di Angela Merkel mentre il suo governo battagliava con metodi insolitamente spregiudicati in Lussemburgo per preservare la produzione delle auto di grossa cilindrata ha tempo fa riaperto le polemiche sul rapporto fra industria e politica. E su quanto quelle lobby insediatesi a Berlino influenzino le scelte del governo tedesco.

La geografia del lobbismo cittadino è stampata su una guida edita da Lobbycontrol, l’associazione tedesca più agguerrita nel contrastare il potere dei gruppi di interesse sui parlamentari. Si chiama Lobby Planet, è piena di puntini nel triangolo adiacente al Regierungsviertel (il quartiere governativo) che va dalla Unter den Linden alla Potsdamer Platz fino al Gendarmenmarkt, ed è più accurata e precisa della lista volontaria predisposta dal Bundestag, dove si sono registrate ufficialmente poco più di 2000 associazioni. Ad esse vanno aggiunte le agenzie di pubbliche relazioni, gli studi di avvocati, i think tank ma anche i sindacati, le associazioni ambientaliste, le organizzazioni non governative. I settori più battuti: automobili, energia, finanza, sanità, armamenti, chimica, tabacco, tutte branche in cui le aziende devono difendersi dalle leggi a tutela dei consumatori.

Nessuno conosce il numero preciso di quanti si muovono attorno ai palazzi della politica: «Un calcolo approssimativo ma abbastanza realistico stima 5000 persone», ha detto Timo Lang, uno dei responsabili di Lobbycontrol. Un mondo di portatori sani di interessi particolari che, attraverso i contatti con ministri e parlamentari, devono essere spacciati per interessi generali.

«Il problema è appunto la maglia di controllo», ha aggiunto Lang, «perché il lobbismo è parte integrante delle procedure decisionali di una democrazia: il conflitto fra interessi contrapposti può portare a soluzioni equilibrate». Ma la zona grigia in cui i lobbisti possono muoversi, specie se corroborati da ingenti somme di denaro o da favori e privilegi personali da elargire, può produrre un veleno esiziale. «Le aziende non donano, investono», ha sostenuto un esperto del settore come il professore di diritto Martin Morlok. E infatti, appena arrivati al governo del Baden-Württemberg, anche i Grünen si sono visti moltiplicare il finanziamento dalla Südwestmetall, l’associazione che riunisce le industrie metallurgiche ed elettriche della regione: dai 12 mila euro degli anni passati ai 120 mila euro tra il 2011 e il 2012.

Dal punto di vista della trasparenza, la legge tedesca fa acqua da molte parti. Nel 2004 il governo rosso-verde di Gerhard Schröder inaugurò un programma di scambio fra politica e industria: per un tempo limitato, rappresentanti dei ministeri e delle aziende private si sarebbero scambiati le scrivanie per conoscere meglio le rispettive strutture e procedure di lavoro. Tempo qualche mese e venne fuori il primo scandalo: si scoprì che una giurista di una banca di investimenti privata prestata al ministero delle Finanze (a quei tempi guidato dal socialdemocratico Hans Eichel) aveva collaborato alla redazione della legge che legalizzò in Germania i fondi speculativi, fino a quel momento vietati sul mercato tedesco. Nello stesso anno un collaboratore della Daimler, ancora a busta paga dell’azienda, copiò documenti e rapporti interni al ministero dei Trasporti nel momento in cui veniva introdotto il bollo autostradale per i camion.

Da allora le abitudini non sono molto cambiate, nonostante nel 2008 il governo di Grosse Koalition abbia introdotto per lo scambio un limite di 6 mesi e la legge vieti che i collaboratori esterni siano impiegati in ministeri che trattano argomenti in conflitto di interesse con l’azienda di provenienza. Ma i politici non sono degli esperti e i lobbisti rappresentano merce preziosa per la consulenza. Quanto più forti sono le strutture di consulenza dei ministeri o del parlamento, tanto meno c’è bisogno di ricorrere a forze da fuori. Ma nella prima metà del 2013 erano ancora 39 collaboratori esterni a frequentare le stanze dei dicasteri tedeschi. Una riduzione sensibile rispetto ai 70 del 2011 e ai 300 dei primi anni. Ma il numero di coloro che provenivano da aziende private è passato nello stesso lasso di tempo da 5 a 10. In questi conteggi mancano peraltro i collaboratori provenienti da aziende pubbliche, anch’esse a rischio di conflitto d’interessi. E non tutti rispettano il limite di 6 mesi imposto dal regolamento.

La Corte dei conti ha tirato le orecchie ai ministri, imponendo di ridurre il numero degli apporti esterni e di valutare criticamente l’impiego di quanti provengono da imprese pubbliche. Ma la diminuzione dei collaboratori esterni non implica automaticamente una perdita di influenza delle lobby. Alcuni ministri impiegano lobbisti di lunga esperienza in posti chiave dei loro dicasteri: è stato il caso del liberale Philipp Rösler che quando era alla Sanità ha piazzato al vertice il numero 2 dell’associazione delle assicurazioni sanitarie private.

Il salto dal mondo delle lobby alla politica è controbilanciato da un movimento migratorio contrario. Non si contano più gli ex politici passati in breve tempo al servizio delle imprese. Daniel Bahr, ex ministro liberale alla Sanità, è finito sotto contratto del gruppo Allianz, che offre anche assicurazioni sanitarie. Katherina Reiche, Cdu, attualmente sottosegretario ai Trasporti, passerà a guidare dal settembre 2015 l’Associazione degli imprenditori comunali. Kurt Beck, presidente della fondazione dell’Spd Friedrich Ebert e fino a dicembre 2012 ministro-presidente Spd della Renania-Palatinato, da giugno 2013 è stato ingaggiato dalla casa farmaceutica Boehringer Ingelheim che ha sede nella stessa regione. Eckart von Klaeden, nello scorso governo ministro di Stato della cancelliera (l’equivalente del nostro sottosegretario alla presidenza del Consiglio) è emigrato alla Daimler appena partita la Grosse Koalition. Ma la lista è lunga: Roland Koch (Cdu) è passato dalla guida dell’Assia al gruppo edile Bilfinger, Friedrich Merz, ex capogruppo Cdu poi emarginato dalla Merkel, ha costantemente saltellato fra politica e avvocatura, trovandosi al centro dell’acquisizione di parti della banca pubblica WestLB, Wolfgang Clement (Spd) transitò dal ministero che si occupava di energia al consiglio di amministrazione di una società del gruppo energetico Rwe. Per finire ai casi più clamorosi: Gerhard Schröder, passato in poche settimane alle dipendenze di Nord Stream, la società partecipata da Gazprom che ha costruito la pipeline sotto il Mar Baltico approvata proprio dal suo governo e Joschka Fischer, l’ex ribelle dei verdi che una volta lasciata la politica ha prestato la sua opera di lobbista a Siemens, Bmw e ai due consorzi energetici Rwe e Omv. Per loro conto ha sponsorizzato il fallimentare progetto della pipeline Nabucco e per un certo periodo si è trovato a duellare con il suo vecchio cancelliere Schröder, il cui gruppo appoggiava il progetto alternativo di South Stream.

«C’è bisogno di regole nuove per adeguare la legislazione sulle lobby ai cambiamenti intervenuti negli ultimi anni», ha detto Christina Deckwirth di Lobbycontrol. Una proposta, appoggiata anche da Trasparency International, riguarda l’introduzione di un intervallo di 3 anni fra l’attività politica e quella lobbistica. Un periodo sufficiente per evitare che il politico porti con sé informazioni riservate, contatti e conoscenze maturate negli anni della sua attività pubblica. Un’altra proposta riguarda l’introduzione di un registro obbligatorio per associazioni e lobbisti, che sostituisca l’inutile lista del Bundestag e fornisca a parlamentari e opinione pubblica la mappa di chi opera attorno ai centri di potere. Il governo invece lavora a un progetto tutto suo che vorrebbe portare nei prossimi mesi in parlamento: prevede obblighi di denuncia e valutazioni del governo stesso. I tempi però si stanno allungando.

Fonti: Rassegna Est e Limes

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