LO STRANIERO E IL LOBBISTA
Cinque milioni di dollari dalla Norvegia per ottenere il raddoppio degli aiuti al paese, ad esempio. I think tank non rivelano il rapporto che sussiste con i loro finanziatori, né gli accordi che stringono con chi tira fuori i soldi. E questo, secondo il NYT, non basta: in realtà molti tendono a non essere registrati come finanziatori, sfuggendo così ad ogni controllo di massima. L’inchiesta parla dei maggiori think tank in azione a Washington, dal Brookings Institute all’Atlantic Council. Ognuno di essi prende denari per organizzare convegni, forum, incontri privati o lavorare a dati, presentazioni, tesi che interessano al committente. La maggior parte del denaro proviene da paesi orientali od asiatici, oppure da produttori di petrolio. Gli Emirati Arabi, uno dei maggiori finanziatori del Centro per gli studi strategici e internazionale, ha tirato fuori dalle saccocce la bella cifra di un milione di euro per costruire la nuova sede del think tank. Evidentemente devono essere soddisfatti del servizio. Il Qatar è arrivato a quattro milioni con Brookings, di cui ha finanziato la sede appena aperta nel paese. E c’è chi fa notare che tutto questo si riverbera sull’attendibilità dei lavori promossi dai vari think tank, nonostante in base a loro studi e dati si prendano decisioni che valgono poi per i cittadini americani. In questa infografica pubblicata dal NYT si possono ammirare i vari contributi dei governi stranieri a nove think tank “indipendenti”:
La versione originale si trova qui.
COSA C’È SCRITTO NEI CONTRATTI
Scrive il New York Times che spesso i governi sono piuttosto espliciti su quello che vogliono. «Per i rappresentanti diplomatici di piccoli paesi spesso è difficile anche soltanto riuscire ad arrivare a discutere con i rappresentanti delle istituzioni americane. I think tank organizzano anche questo», afferma un rapporto interno del governo norvegese. E in effetti, un’occasione di socializzazione con il nemico è imperdibile. Si lavora in due modi: o si pagano i think tank per spingere l’agenda del paese di riferimento, oppure li si sfrutta per ottenere dati, informazioni, studi e lavori che possano influenzare il dibattito politico. Dal 2011 almeno 64 tra governi stranieri o istituzioni estere ha pagato una tra le 28 entità che si occupano di lobbying a Washington, per un esborso complessivo di 92 miliardi di dollari in quattro anni: ma il conto, avverte il quotidiano, è necessariamente al ribasso visto che la maggior parte di questi finanziamenti non è registrabile o è registrata attraverso prestanome. Uno dei documenti sui finanziamenti ai think thank pubblicati dal Nyt:
La tabella completa dei finanziamenti è qui. Secondo il quotidiano gli accordi stretti tra i lobbisti e i governi stranieri potrebbero violare il Foreign Agent Registration Act del 1938, la legge federale che combatteva la propaganda nazista negli Stati Uniti. La legge obbliga chi paga per influenzare la politica Usa a registrarsi come “agente straniero”. E in effetti c’è chi lo ammette candidamente.
LA QUESTIONE COMPLETA
Massimo Gaggi sul Corriere della Sera ha commentato ieri i risultati delle analisi del NYT:
Con tanti miliardi di dollari e tanti personaggi di prestigio in circolazione, non c’è da stupirsi che a volte i confini tra le società di questi professionisti e centri di ricerca spesso guidati da economisti, ex diplomatici o personaggi di elevato rango politico, possano in qualche punto confondersi. Lo spettroagitato dal giornale americano è quello del«denaro straniero» ma Washington è pursempre la capitale di un impero, anche se indeclino, ed è abbastanza normale che Paesiche vogliono far sentire laloro voce al di là di quelloche possono fare le loro ambasciate,puntino anche suithink tank.
Serve agli arabi per premere sulla politicaenergetica Usa?
La Norvegia,come scrive il Times cerca difar cambiare idea al governosulle politiche per l’Articoattraverso la Brookings? Forse è così. Ma difficilmente il paper di qualche esperto farà cambiare rotta alla Casa bianca o al Congresso su questioni cruciali. Spesso quei soldi servono arisolvere problemi molto più terra-terra: trovareuna sede di prestigio nella quale il ministrostraniero in visita nella capitale dell’imperopossa lasciare un segno, parlandoin istituto davanti a un pubblico sussiegoso.
Fonte: Next Quotidiano
]]>Siamo alla fine di ottobre del 2013 e il Terzo Plenum è quasi alle porte. Un rapporto, il “piano 383” delle riforme, nato da un think tank ministeriale, ha raggiunto l’apice della notorietà, attirando rapidamente, l’attenzione di tutti.
La ragione per la quale il piano ha suscitato un notevole interesse non è solo la ricchezza dei dettagli. Ossia argomenti come la decentralizzazione amministrativa, il contrasto ai monopoli, la riforma del sistema della terra. Praticamente segue la strada delle riforme provenienti, negli ultimi anni, dalle sfere governative, delineando, comunque, l’itinerario delle riforme per i prossimi dieci anni. Ma ha attirato l’attenzione di molti grazie anche ai due suoi promotori: Li Wei, direttore del Centro per la ricerca e lo sviluppo del Consiglio di Stato, e Liu He, vice direttore della Commissione nazionale per le riforme e lo sviluppo.
Il primo è stato segretario del premier Zhu Rongji, il secondo, invece, è stato considerato dai media, il fiore all’occhiello dell’economia del nuovo governo.
Il piano 383 non è stato l’unico tentativo di influenzare le politiche del governo. Il Nanfang zhoumo ha scoperto l’esistenza di dieci piani, così definiti tali, che sono stati inviati alle sfere decisionali del governo cinese.
Oltre ai think tank governativi, ci sono i think tank non-governativi, le banche d’investimento e altri numerosi organismi. Tutti utilizzano diversi canali e mezzi a loro disposizione per presentare i report alle sfere decisionali o per promuovere al pubblico il proprio piano per le riforme.
In Cina, molti operatori all’interno dei think tank hanno percepito un evidente cambiamento e un approccio molto più di serio nei loro confronti, da parte del nuovo governo.
Zheng Xinli, vice direttore del Centro cinese per gli scambi economici internazionali, in passato vice direttore del Laboratorio di ricerca per le politiche centrali, ha dichiarato al Nanfang Zhoumo, che il Segretario generale Xi Jinping ha redatto, in merito al tema, una comunicazione scritta, in cui viene espressa la volontà di sfruttare al meglio le funzioni dei think tank.
“Questa volta, l’ambito delle idee a cui si è dato ascolto è stato più ampio, anche perché è più ampio il progetto completo di tutte le riforme”. “Dobbiamo sfruttare al meglio le loro funzioni, dobbiamo essere capaci di trasformare il risultato della ricerca e applicarlo alle proposte politiche del processo macro decisionale. Dobbiamo offrire al governo delle idee costruttive. Bisogna proporre argomenti fattibili, se non sono applicabili è meglio lasciar perdere”.
L’interlocutore più importante per la promozione di questi report è la sfera decisionale del Paese. La chiave del problema sussiste nel trovare il canale giusto per arrivare ai livelli più alti.
Per il sistema interno dei think tank governativi, come il Centro per la ricerca e lo sviluppo del Consiglio di Stato o l’Accademia delle scienza sociali, il passaggio dei report non è ovviamente un grande problema. Ma per i think tank non governativi, è essenziale e allo stesso tempo complesso.
Anche all’interno del sistema dei think tank non governativi è interessante notare l’esistenza di diverse realtà: quelle più popolari e quelle più intellettuali.
Ad esempio, il sopracitato Centro cinese per gli scambi economici internazionali di Zheng Xinli, appartiene ad un think tank autofinanziato non governativo, ma fa parte della sfera “intellettuale”.
All’inizio nel 2009 quando è stato istituito, era formato da centoventidue persone. Uno schieramento di leader extra lusso tra gli alti esponenti del governo, c’erano poi diplomatici, accademici ed economisti. E’ stato definito dai mezzi di informazione “il think tank cinese di più alto livello”.
Secondo la spiegazione di Zheng Xinli, il piano di riforme che ha presentato il suo centro di ricerca ha come punto centrale la creazione di un meccanismo sistematico per promuovere la trasformazione e dare un nuovo approccio allo sviluppo. Nel concreto, le sue proposte riguardano la creazione di un sistema di indicatori che valutino questa trasformazione: la riforma del sistema di redistribuzione, la riforma delle imprese statali, la promozione dell’innovazione, un allentamento delle restrizioni per l’accesso al settore finanziario, la riforma del sistema della terra e altro ancora.
“Dobbiamo trarre una lezione dell’esperienza della riforma dell’economia statale in Polonia. La loro è stata una trasformazione partita dall’amministrazione degli asset esistenti e giunta poi sul capitale: hanno dato l’amministrazione delle imprese statali in mano a società di gestione di capitali finanziari. Sotto queste società di gestione sono state fondate un certo numero di società per azioni, che garantiscono una competizione equa. Promuovendo l’innovazione proponiamo anche l’utilizzo e la messa in pratica del risultato della ricerca universitaria, con la possibilità per le università di accedere agli introiti derivati dagli investimenti”
Questa serie di proposte provengono proprio da Zeng Peiyan, il direttore del Centro cinese per gli scambi economici internazionali, in passato vice direttore del consiglio di Stato, ed oggi, al comando di una schiera di ricercatori di tutto rispetto.
Zheng Xinli afferma che il loro report è arrivato alle più alte sfere della politica.
Il think tank di alto livello formato dall’esponente governativo e direttore in pensione, è stato ovviamente visto con una luce nuova. Secondo le rivelazioni di Zheng Xinli il CCSEI è rappresentato al governo, “può partecipare, come delegato senza diritto al voto, alle riunioni esecutive del Consiglio di Stato” e il governo potrebbe affidargli alcuni argomenti di ricerca da approfondire.
[…]
Sebbene il rapporto con la sfera decisionale del paese sia consolidato, se si pensa di influenzare la politica bisogna condurre una attività di lobbying intensa.
Nei due anni passati, il CCSEI ha esercitato pressioni per due importanti politiche. Per le fusioni e le acquisizioni da parte di imprese cinesi in ambito internazionale, nel 2012, ha suggerito al Governo centrale che le banche commerciali utilizzassero una percentuale fissa di riserva obbligatoria come garanzia, ottenendo il sostegno della Banca centrale per la valuta estera. In precedenza le banche commerciali potevano fare credito in valuta estera solo avendola acquistata.
“Per tre volte abbiamo spedito un report sull’argomento e alla fine si è arrivati ad un accordo” afferma Zheng Xinli.
Nel 2013 il CCSEI ha proposto di istituire una banca d’investimento per le infrastrutture in Asia e agli inizi di ottobre è stata resa nota al pubblico la scelta del Governo centrale di istituirla.
[…]
In Cina il ruolo dei think tank si è definito negli anni Ottanta, quando la politica di apertura era ancora agli inizi. L’Accademia delle scienze sociali, l’Ufficio e la Commissione per la riforma del sistema economico ed altri organismi, avevano riunito un gruppo numeroso di giovani talenti, tra cui Zhou Xiaochuan e Lou Jiwei. (oggi ancora molto attivi nell’ambiente accademico e in quello governativo).
Sono sotto la guida della vecchia generazione di economisti, come Du Runsheng, Wu Jinglian e Li Yining, hanno elaborato e poi consegnato, alle sfere decisionali, l’interno piano di riforme di apertura.
Dopo gli anni novanta, questi think tank sono tornati al silenzio, oppure si sono trasformarti in organismi di ricerca all’interno delle commissioni e dei ministeri del Governo centrale. Non sono indipendenti finanziariamente, né per l’organizzazione delle risorse umane e né per i compiti che portano avanti.
Da cinque o sei anni a questa parte, la sfera decisionale si sta rendendo conto che il potere dei think tank governativi non è sufficiente, così si rivolge ad economisti pro-mercato.
Vi ricordate Teng Tai? (Amministratore delegato della West Brothers e direttore dell’istituto di ricerche economiche dell’omonima società). Dal 2006 è stato invitato a partecipare, come capo economista dell’ente finanziario, al Laboratorio di ricerca sulle politiche del Governo centrale, al Laboratorio di ricerca del Consiglio di Stato e ad altre conferenze consultive di esperti in materia.
“Perché gli esperti in materia di mercato possono avvicinarsi ai margini del circolo decisionale? Perché alle politiche economiche non basta più appoggiarsi solo agli organismi di ricerca governativi o semi-governativi, devono essere supportate dalle risorse di mercato” afferma Teng Tai.
“Invitare un economista di un ente finanziario ha dei vantaggi, intanto, oggi, sono solo questi enti che spendono annualmente quasi cento milioni di yuan, si avvalgono di un team di cento o duecento analisti, per portare avanti ricerche in qualsiasi settore. Sono i più sensibili riguardo a temi economici.”
Fonte: Caratteri Cinesi
]]>Si prenda la fondazione Farefuturo, presieduta dal numero uno di Montecitorio, Gianfranco Fini. L’anno scorso ha costituito la Farefuturo Editore, una srl che ha come oggetto sociale, tra le altre, l’attività editoriale. E infatti la società, controllata al 100% dalla fondazione finiana, edita Ffweb magazine, il periodico dell’ente. Da segnalare, però, che l’oggetto della Farefuturo Editore comprende tante altre possibilità: «l’organizzazione di manifestazioni; l’organizzazione e la gestione di mostre, fiere, ed esposizioni; l’allestimento e la cura di uffici stampa».
Anche la fondazione Magna Carta si è attrezzata. L’ente, il cui presidente onorario è Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori del Pdl, controlla il 100% della Magna Carta servizi. Si tratta di una srl che ha per oggetto «l’attività di pubblicazione e distribuzione di libri, dispense e di qualsivoglia altro prodotto editoriale, con esclusione di giornali quotidiani». Ma il perimetro si può estendere «al settore della didattica, curando l’ideazione e la realizzazione di corsi e seminari di carattere formativo, anche di alta specializzazione». La srl, il cui amministratore è Sergio Corbello, direttore generale della fondazione, ha chiuso il 2008 con un fatturato di 57.927 , ma un perdita di valore quasi identico (57.472 ).
Una macchina da soldi sembra essere l’Arel Servizi, srl controllata al 95% dall’Arel, ente di cui è segretario generale Enrico Letta (Pd). Come al solito l’oggetto sociale è molto ampio e va dall’editoria all’acquisto e permuta dei diritti d’autore, dall’elaborazione di dati all’effettuazione di studi e ricerche. Ebbene, nel 2008 l’Arel Servizi ha messo a segno un fatturato di ben 820.371 euro (con un utile di 3.336). E dall’ultimo bilancio spuntano, al 31/12/2008, anche disponibilità liquide per 104.559 e investimenti obbligazionari (in titoli Intesa Sanpaolo e Kbc Ifima) per un totale di 322.440 ).
Infine anche la Free Foundation, vicina al ministro della funzione pubblica Renato Brunetta, sembra essere collegata a una srl che si chiama Full Contract. Si tratta di una società di consulenza aziendale, il cui numero di codice fiscale, fino a ieri sera, coincideva esattamente con quello di partita Iva della fondazione riportato sul sito internet. Così come coincidente è l’indirizzo dei due organismi e identico il vertice, impersonato in entrambi i casi da Canio Zampaglione. Quest’ultimo, contattato da ItaliaOggi, ha però tenuto a precisare che, al di là delle coincidenze, la società non ha nulla a che vedere con la fondazione. E ha spiegato che il numero di partita Iva della fondazione, riportato sul sito e coincidente con quello della società, non era quello giusto. E infatti nella serata di ieri il numero è stato prontamente cambiato.
Stefano Sansonetti – Italia Oggi
]]>Secondo la prima relazione annuale della Commissione sul regime di trasparenza, abbastanza lobbisti hanno firmato il Registro della Commissione europea sul lobbying da permettere che il sistema, attualmente su base volontaria, non debba essere reso obbligatorio.
Il registro dei rappresentanti di interessi della Commissione, più comunemente conosciuto come il Registro del lobbying, è stato ideato per tenere traccia di tutti coloro che cercano di influenzare il processo decisionale dell’UE. È stato ampiamente criticato dagli attivisti per la trasparenza a causa della mancanza di standard di reporting rigorosi e per la scarsa sorveglianza.
Ma secondo il Report della Commissione pubblicato il 27 ottobre, il processo “è un successo" visto che il numero dei registrati "ha già superato i 2.000. "
"La commissione ha visto un afflusso costante di iscrizioni nel corso degli ultimi 16 mesi, e il numero continua a crescere", recita la relazione.
"Un grande e sempre crescente numero di associazioni di categoria attive nel lobbying si sono registrate, come pure lobbisti ‘in-house’ nelle società, e questa tendenza non mostra segni di saturazione per il momento".
"La Commissione ritiene che il registro nel suo primo anno pilota ha percorso una lunga strada sia in termini quantitativi che qualitativi”, conclude la relazione. "Nel complesso, l’approccio volontario sta funzionando e deve pertanto essere mantenuto".
L’approccio volontario è stato oggetto di critiche da parte dei gruppi sulla trasparenza già prima del lancio del Registro.
Nel suo esamedel Registro a giugno, l’ Alliance for Lobbying Transparency and Ethics Regulation (Alter-EU) ha scoperto che dei 2.600 soggetti che operano nel lobbying a Bruxelles, secondo una stima del Parlamento europeo del 2003, solo il 22,8 % si è registrato.
Il numero dei dichiaranti è gonfiato, sostiene Alter-UE, in quanto il Registro del lobbying è pieno di "spam", ad esempio organizzazioni che hanno poco a che fare con il lobbying delle istituzioni dell’UE, ma che hanno firmato il Registro credendo che accrescerà il loro profilo o perché pensano che li aiuterà ad accedere a finanziamenti europei o ad altri fondi.
“Financial disclosure”
Tuttavia, la Commissione ha ammesso che le norme in materia di divulgazione finanziaria devono essere effettivamente inasprite – una delle richieste principali degli attivisti per la trasparenza.
Al momento, coloro che si registrano hanno la possibilità di dichiarare quanto si spende sia all’interno di bande di € 50.000 sia di esprimere la stessa cifra come percentuale del fatturato. Se scelgono di registrare la spesa in termini percentuali, possono farlo in termini di quote del 10 %, che secondo la Commissione permette ai lobbisti di nascondere ciò che stanno effettivamente spendendo per conto di un cliente.
"Questo significa che coloro che scelgono di usare le percentuali non vengono trattati allo stesso modo", ammette la Commissione nella sua relazione.
"A chi ha un fatturato molto grande e molti clienti, che sceglie l’opzione percentuale, è di fatto permesso essere molto meno trasparente di coloro che hanno un fatturato inferiore e solo pochi clienti. I primi possono offrire ai loro clienti un livello molto più elevato di riservatezza sulla dimensione dei loro contratti rispetto alle piccole imprese".
Due delle maggiori società di lobbying, Burson-Marsteller e Hill and Knowlton, semplicemente elencano i loro clienti come rientranti ciascuno sotto la soglia del 10 % del loro fatturato. Ma per queste due grandi società, il 10 per cento del loro fatturato potrebbe significare rispettivamente fino a 690.000 e 810.000 euro.
Per eliminare questo problema, la Commissione intende abolire l’opzione percentuale e introdurre tre scale di riferimento.
Le imprese con un fatturato annuo inferiore a € 500.000 – le cosiddette boutique di pubbliche relazioni – devono segnalare la loro spesa per conto dei clienti in tranches di € 50.000; per società di medie dimensioni con fatturato compreso tra 500.000 e 1 milione di euro, tranches di 100.000 euro; le imprese più grandi, con fatturati di oltre un milione, tranches di € 250.000.
Cosa conta come lobbying?
Attivisti e lobbisti l’anno scorso si sono lamentati del fatto che la Commissione non avesse fornito una definizione chiara e ampia di ciò che costituisce attività di lobbying.
Anche l’esecutivo Ue ha detto che ciò che conta come attività di lobbying "deve essere reso più specifico."
Coloro che si registrano dovrebbero d’ora in poi "dichiarare tutte le spese riguardanti azioni avviate con l’obiettivo di influenzare la formulazione delle politiche europee e i processi decisionali, a prescindere dal canale di comunicazione o supporto utilizzato."
Come sottolinea la relazione, ciò include eventi sociali o conferenze.
Sono comprese anche le attività dirette a diplomatici di Stati membri dell’UE, considerate fino ad ora come una zona grigia.
"[Il lobbying] include anche attività dirette alle rappresentanze permanenti degli Stati membri, inclusa la Presidenza del Consiglio dell’Ue", avverte la Commissione, pur facendo un’eccezione per le attività in cui lobbista cerca di influenzare le proprie capitali nazionali o regionali o i governi delle città.
Studi legali e think-tank giocano sporco
La relazione della Commissione punisce anche studi legali e think-tank per aver rifiutato di registrarsi; in particolare i think-tank sostengono fermamente di non esercitare alcuna attività di lobbying.
La Commissione cita alcuni passi della letteratura dei think-tank stessi che pubblicizzano le "impareggiabili" opportunità di lobbying che essi offrono.
Ma l’esecutivo UE resta fermo nel rifiutare di chiedere a coloro che si registrano di elencare i nomi dei lobbisti, dicendo che i nomi delle organizzazioni sono sufficienti. Gli attivisti dicono che senza i nomi il Registro è "utile come una rubrica senza numeri."
La relazione inoltre non si pronuncia su un ulteriore controllo da parte dei funzionari del Registro o un’applicazione più severa delle regole.
All’inizio di quest’anno, quando emerse che la Federazione di Cheerleading irlandesi aveva erroneamente firmato il Registro e che un imprenditore italiano lo aveva bombardato con una serie di organizzazioni apparentemente false, la Commissione aveva ammesso di non avere il personale per esaminare la veridicità delle informazioni di ciascuno.
"Noi non controlliamo tutte le voci, ovviamente," ha detto un funzionario della Commissione all’EUobserver. Le informazioni provengono da chi si registra e noi abbiamo posto su di loro gli oneri per la registrazione. E ‘ sotto la loro responsabilità. La Commissione europea non approva o verifica ciò che succede".
Valentina Tonti
]]>Valentina Tonti – LI.Info
]]>Kallas ha detto il registro non è stato ideato solo per le società di pubbliche relazioni che lavorano a Bruxelles, ma per tutte le organizzazioni che desiderano influenzare la formulazione delle politiche e dei processi decisionali in seno alle istituzioni europee.
"Abbiamo esplicitamente e deliberatamente incluso i think-tank in questo target", ha detto.
Finora l’European Policy Centre è stato l’unico tra i principali think-tank basato a Bruxelles ad iscriversi al registro ed è stato anche la sede della riunione in cui Kallas ha scelto di fare il suo discorso.
Molti think-tanks europei acquisiscono una parte delle loro entrate mediante le quote di adesione provenienti dalle imprese, che in cambio sperano di ottenere un migliore accesso ai funzionari dell’UE, frequentando gli stessi evnti.
Kallas ha preso come esempio Friends of Europe, il think-tank che sta organizzando un evento questo mese dal titolo "Investire nella crescita e nella salute dell’ Africa."
"Questo è ovviamente un evento molto serio, ma con due alti rappresentanti dei panels, è anche una opportunità di lobbying per la società Total, l’azienda co-organizzatrice della manifestazione, mettendola in contatto con il commissario UE per lo sviluppo, alti funzionari UE e membri del Parlamento europeo, " ha detto Kallas.
Nessuno da Friends of Europe ha commentato tale affermazione.
Uno dei motivi per cui i think tanks con sede a Bruxelles sono stati lenti a firmare il registro è la preoccupazione che ciò darebbe l’impressione che il loro ruolo principale sia in effetti il lobbying. La maggior parte di loro vede il proprio lavoro come promozione di un dibattito costruttivo su argomenti legati all’UE.
"La nostra versione della storia è davvero molto semplice, abbiamo contestato l’equiparazione dei think-tanks ai lobbisti, che è il principale problema che abbiamo con il registro", ha detto all’EUobserver Marco Incerti del Centre for European Policy Studies. "Se chiedete ad un think-tank di aderire come lobbista, si forniscono ulteriori argomenti a coloro che sostengono che i think-tanks sono lobbisti". Invece l’organizzazione ha deciso di elencare i dettagli dei suoi membri e le fonti di finanziamento sul suo sito web. Incerti ha sottolineato che molti think-tank dei lavoratori sono già etichettati come gruppi di pressione dal Parlamento europeo nel suo sistema di categorizzazione dei gruppi che entrano negli edifici del parlamento.
Attualmente, diversi gruppi che accedono agli edifici, come membri della stampa, assistenti dei parlamentari e lobbisti, si distinguono per il colore dei loro security badges.
Valentina Tonti – LI.Info
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