tabacco – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Commissione UE sotto i fari dell’Ombudsman: più trasparenza con le big tobacco [L’Espresso] http://www.lobbyingitalia.com/2015/10/commissione-ue-sotto-i-fari-dellombudsman-piu-trasparenza-con-le-big-tobacco-lespresso/ Tue, 06 Oct 2015 07:31:14 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2970 La Commissione europea sotto accusa: omette di censire i colloqui con gli avvocati ingaggiati dai produttori di sigarette. E l’Ombudsman ora scrive: massima trasparenza sulla salute pubblica entro il 31 dicembre.

E’ difficile perdere il vizio del fumo. E nonostante le promesse, la Commissione Ue continua ad avere incontri nascosti con i lobbisti delle sigarette. Lo riconosce l’Ombudsman europeo, la più agguerrita e indipendente tra le autorità che vigilano sulla vita dell’Unione. Ieri il responsabile Emily O’Reilly ha pubblicato un rapporto preliminare sulle relazioni con Big Tobacco: un documento che evidenzia «debolezze intrinseche» nei metodi di lavoro della Commissione, con un approccio «inadeguato, inaffidabile e insoddisfacente».

Si tratta di un settore delicatissimo, sottoposto alle pressioni concentriche dei giganti delle sigarette che fanno di tutto per evitare norme restrittive in difesa della salute. Il più grave scandalo nella storia recente dell’Europa Unita è avvenuto proprio su questo fronte. Nel 2012 il responsabile della Sanità europea John Dalli è stato obbligato a dimettersi dopo che un’indagine dei detective antifrode lo aveva chiamato in causa per una mazzetta da 60 milioni di euro: una tangente destinata ad alleggerire la legislazione Ue in tema di tabacco.

Il dossier dell’Ombudsman ritiene che sia la vecchia Commissione guidata da Jose Manuel Barroso, sia l’attuale presieduta da Jean-Claude Juncker abbiano omesso di rendere noti gli incontri con gli avvocati ingaggiati da Big Tobacco. Vengono registrati solo i colloqui con i lobbisti ufficiali delle aziende e delle associazioni industriali ma non quelli con i loro legali, che formalmente fanno capo di studi professionali indipendenti. Ma per la O’Relly questo è solo un escamotage per violare la convenzione voluta dalle Nazioni Unite nel 2005, che impone la massima trasparenza nelle relazioni tra fabbricanti di nicotina e istituzioni internazionali.

La Commissione ha respinto l’accusa e replica che avere fornito all’Ombudsman i documenti richiesti dimostra come le regole di trasparenza siano state rispettate. Ma il Garante vuole che tutti i colloqui tra alti dirigenti europei ed emissari di Big Tobacco vengano censiti, anche quelli con gli avvocati. E ha dato tempo fino al 31 dicembre per spiegare come intendono risolvere il problema. «La Commissione europea ha una responsabilità particolare nel garantire che le decisioni per la salute pubblica siano quanto più trasparenti possibili», ha dichiarato Emily O’Relly», aggiungendo: «Si tratta di un’opportunità per la Commissione Juncker di diventare un leader globale nella difesa della salute pubblica».

«Questa decisione è una vittoria significativa nella lotta contro i modi di agire sinistri di questa industria letale», ha commentato Olivier Hoedeman, coordinatore delle campagne della ong Corporate Europe Observatory che mette in luce i conflitti di interesse tra grandi aziende e istituzioni europee.

Gianluca Di Feo – L’Espresso

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Philip Morris numero uno per investimenti in lobbying nell’UE http://www.lobbyingitalia.com/2014/10/il-gigante-del-tabacco-philip-morris-e-stata-la-compagnia-che-nellultimo-anno-ha-investito-maggiormente-in-lobbying-a-livello-europeo/ Thu, 02 Oct 2014 13:45:44 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2574 Il gigante del tabacco Philip Morris è stata la compagnia che nell’ultimo anno ha investito maggiormente in lobbying a livello europeo.

La Philip Morris ha speso circa 5.25 milioni di euro, superando la compagnia petrolifera ExxonMobil, la quale ha investito 5 milioni di euro.

La Philip Morris ha aumentato le proprie spese nelle attività di lobbying di 1,25 milioni di euro nel 2012 durante il periodo di discussione della nuova Direttiva Europea sui prodotti del tabacco.

Parlamentari europei e attivisti per la trasparenza hanno criticato la Commissione Europea per aver implementato le regole di trasparenza riguardo i contatti tra i decisori pubblici e l’industria del tabacco.
Il Difensore Civico europeo ha avviato un’investigazione riservata, secondo quanto riportato, riguardo gli incontri tra i funzionari europei e l’industria del tabacco. Questo ha portato, nell’ottobre del 2012, il Commissario europeo per la salute John Dalli ad essere invitato a rassegnare le dimissioni in seguito ad un “trattativa” illecita con la Swedish Match, per cui avrebbe dovuto influenzare le revisioni della direttiva sul tabacco.

Dati assunti dal Registro europeo per la trasparenza

I dati sono desunti dal Registro europeo per la trasparenza che però, come sostiene LobbyFacts si tratta di un registro inaffidabile poiché i dati vengono inseriti volontariamente dagli iscritti. Basti pensare che colossi come Goldman Sachs e Time Warner non sono iscritti a registro. “Quello che si vede è solo la punta dell’iceberg”, sostiene Natacha Cingotti di Friends of the Earth Europe.

L’attuale registro riguarda la Commissione europea e il Parlamento Europeo, ma non il Consiglio europeo. Il neo eletto Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha fissato come priorità del nuovo esecutivo l’istituzione di un registro obbligatorio riguardante tutte e tre le Istituzioni europee.

 

Avvocati, lobbisti e associazioni di imprenditori

LobbyFacts ha pubblicato online un database che per rendere note le spese sostenute in attività di lobbying a Bruxelles.

Queste cinque società di consulenza hanno un volume di affari maggiore di 60 milioni di euro all’anno, e 130 lobbisti accreditati.

D’altra parte vi sono anche le associazioni di categoria che, solo considerando le prime dieci per dimensioni, spendono circa 52 milioni di euro all’anno in lobbying.

Oltre questi attori vi sono anche alcuni importanti studi legali che svolgono attività di rappresentanza a Bruxelles, dove i cinque principali hanno un giro di affari di 25,5 milioni di euro.

Fonte: http://www.euractiv.com/sections/public-affairs/philip-morris-tops-ngos-lobbying-spending-table-308820

 

 

 

 

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IlVelino_Il lobbista e il suo mercato http://www.lobbyingitalia.com/2014/04/ilvelino_il-lobbista-e-il-suo-mercato/ Thu, 24 Apr 2014 18:57:54 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2268 Parole in libertà davanti a un bicchiere di vino: questo è stato lo spirito con il quale il gruppo di amici di Laboratorio Liberale, ex alunni della Scuola di Liberalismo della Fondazione Luigi Einaudi, si è ritrovato per confrontarsi sul quesito se “il lobbismo fosse fonte di libertà”, al quale hanno partecipato, tra gli altri Alfredo Borgia (Sky Italia), Francesco Delzio (Autostrade), Franco Spicciarello (Open Gate Italia) e Paolo Zanetto (Cattaneo&Zanetto). Un quesito di difficile soluzione perché, a seconda delle angolazioni e dei punti di vista, il ruolo delle lobby potrebbe vedersi come utile supporto per il decisore e la cittadinanza, ma anche come ostacolo all’innovazione e all’apertura dei mercati.

La positiva dinamica del lobbismo è data dal fatto che la rappresentazione di interessi non può essere inserita in caselle predefinite: la singola persona può essere contemporaneamente un consumatore che agisce come utente interessato, o un portatore di un interesse economico per l’azienda in cui lavora, un cittadino interessato a temi di carattere sociale/etico, che nulla hanno a che vedere con la sfera economica. Il portatore di interesse non è necessariamente il portatore di un interesse economico, questa galassia di interessi si confronta in un mercato della policy che deve essere il più possibile trasparente sia per gli attori che portano un interesse dichiarato, sia agli occhi di terzi che vogliono osservare il punto di ricaduta. Questa è la teoria della public policy di Olson, questo è il sistema di determinazione dei prezzi del mercato che trae beneficio in termini di efficienza economica dall’aumento della quantità di informazioni disponibili. In questo contesto le lobby cercano di rendere il soggetto decisore il più possibile informato e ciò dovrebbe portare benefici sia in termini economici che in termini di trasparenza. Il ruolo del lobbista dovrebbe essere quello di far emergere una posizione e di creare un dibattito tra le istanze divergenti.

Eppure in Europa, dove il capitalismo è contaminato dal familismo e il clientelismo, bisogna evitare (come sottolinea Luigi Zingales nel suo “manifesto Capitalista”) che le grandi aziende, in particolare le grandi banche, abbiano la tentazione di controllare il sistema politico , utilizzando come strumento il lobbismo. Ci sono infatti molti settori in cui oggi, in qualsiasi governo di qualsiasi parte del mondo, si può legiferare solo attraverso i lobbisti. Basti pensare al mercato dei derivati finanziari: non c’è nessun governo al mondo che ha le capacità tecniche adeguate per poterne regolamentare il mercato. Oggi i lobbisti sulla sofisticazione ingegneristica di molti mercati hanno un potere che non hanno mai avuto nella storia, è cosi persino in campi come quello aereonautico.

Il lobbista ha un’altra arma molto pericolosa e che non aveva in passato: oggi può condizionare qualsiasi mezzo di comunicazione di massa. Ed è cosi per la debolezza di gruppi editoriali, tra cui praticamente non esiste più un editore puro, salvo rari casi. Unite queste due caratteristiche del “male”, capacità tecniche esclusive del lobbista, del settore, dell’azienda e capacità di condizionamento assoluto dei media, oggi un bravo lobbista può chiudere il mercato, può fare ciò che vuole.

E rimanendo in tema di condizionamento dei lobbisti nei confronti dei decisori, non si può nascondere il problema del finanziamento della politica. Francesco Forte sostiene che in un sistema politico “liberale” ad economia di mercato, gli organismi sindacali, le cooperative, le associazioni religiose dovrebbero essere indipendenti dai partiti e il finanziamento dei partiti da parte di privati dovrebbe essere trasparente. Così come trasparenti dovrebbero essere le attività lobbistiche. Ma, per loro natura, il finanziamento di partito e il lobbismo che s’instaurano e rafforzano tramite la simbiosi fra partiti ed organismi collaterali, con annesse “porte girevoli”, per i dirigenti degli uni e degli altri, non sono trasparenti. E generano effetti perversi, tramite i finanziamenti extra bilancio dei partiti e il rafforzamento del neocorporativismo. Il primo problema dello Stato, quello italiano in particolare, è che ha troppi soldi da spendere e li usa in troppi modi diversi. La maggior parte di soggetti citati da Forte quali cooperative, associazioni, fondazioni, sono sovvenzionati da una serie di sistemi che consente loro di sopravvivere nonostante dovrebbero essere sul mercato. Questi gruppi associativi non camperebbero mai con le loro attività, ma non hanno neanche interesse a campare con le quote dei loro associati, perché vengono finanziati in mille modi diversi attraverso progetti creati ad hoc, tutti finanziati dalla macchina statale.

In pratica, in Italia i gruppi di interesse sono finanziati dalla politica, ma la politica non è finanziata dai gruppi di interesse. Gordon Tullock verso la fine degli anni 70 fece una famosa domanda provocatoria: “come mai ci sono cosi pochi soldi privati nella politica?” Posto che una decisione regolatoria del Governo vale miliardi per qualsiasi settore, come mai sono cosi relativamente pochi i soldi che vengono investiti in questo processo? E come mai in un modello come quello americano, dove il finanziamento della politica è a capitale esclusivamente privato, la maggior parte delle erogazioni provengono da singoli cittadini che mettono ciascuno poche decine di dollari, anziché dalle grandi corporazioni, che investono milioni di dollari per comprare il favore e l’amicizia del politico? La verità è che questo è un investimento inefficace non tanto per ragioni etiche quanto per ragioni pratiche. La prova sta nel misurare, ad esempio, l’efficacia in tal senso della lobby del tabacco, accusata dai più di aver comprato il senato americano nei modi più indegni. L’ultima volta che il senato americano ha dovuto decidere nel merito di un provvedimento che andava a regolamentare in senso negativo l’industria del tabacco, dei primi 10 senatori che avevano ricevuto i maggiori finanziamenti da tale industria, 8 su 10 hanno votato a favore dell’inasprimento. Il tema è più difficile, anche perché il politico è attento alle funzioni di controllo della stampa, dell’opinione pubblica e dei singoli elettori, che possono verificare lo scrutinio del singolo provvedimento e monitorare se la decisione è stata distorta contro l’interesse generale e a favore di qualcuno. Il denaro non automaticamente compra consenso in ambito politico, il denaro paradossalmente è speso meglio in attività di lobbying che punti sui contenuti.

Il sistema delle donazioni ai partiti è legale anche in Italia ma è poco diffuso per molte ragioni sociali. Se si guarda alle donazioni fatte per la campagna elettorale del 2013, si scopre che non esiste una sola donazione del valore superiore a 100 mila euro fatta da qualcuno che non fosse un candidato all’interno del partito politico. La singola donazione più alta fatta da un soggetto non candidato è stata erogata dall’ amministratore delegato di Prada a favore del partito per il quale provava un’idealità, ma in generale in Italia non accade nient’altro che una grande partecipazione popolare da parte di soggetti che hanno donato piccole somme come forma di partecipazione alla politica.

Il denaro può sicuramente alterare la percezione da parte del politico nel senso di rispondenza ad un interesse particolare piuttosto che un interesse generale, ma nell’esperienza americana la massa di denaro a disposizione del finanziamento elettorale senza una forma di finanziamento pubblico, dove la massa di denaro è stata enorme, non ha prodotto effetti empiricamente efficaci. L’efficacia dell’investimento è stata tutt’altro che dimostrata, al punto tale che alcuni dei maggior spender in attività di lobbying in America è completamente assente dal piano del finanziamento elettorale evidentemente non solo per ragioni etiche, ma perché lo riterranno poco efficace. Come nella cultura europea l’investimento della risorsa scarsa tempo nel partecipare al comizio, alla manifestazione di piazza è stata la forma di partecipazione alla vita politica per decine di anni, allo stesso modo nella cultura americana “autotassarsi” è un modo di partecipare ad un processo elettorale certamente meno territorializzato che in Europa.

Un’altra analisi interessante riguarda le spese trasparenti (quindi tutte tracciate) di lobby negli Usa degli ultimi 4 anni. Il dato curioso ma inquietante è che i due settori nei quali il governo Obama ha legiferato di più e su cui ha fatto le due riforme più incisive, ovvero sanità ed energie rinnovabili, sono i due settori nei quali le aziende hanno investito di più in spese di lobby. La loro capacità di influenza è stata misurata rispetto agli effetti delle riforme sul fatturato del settore di riferimento: gli investimenti in lobby di questi due settori rappresentavano solo 1% dell’aumento di fatturato dovuto alle conseguenze delle riforme Obama. Pagando 1 hanno ottenuto 100. Questo non dimostra e non vuol dimostrare che si possa comprare la decisione del governo Obama, ma è una spia importante del fatto che le spese di lobby negli Usa sono certamente l’investimento con il ritorno più alto.

Inoltre, uno studio del 2007 di UCLA spiega come, superata una certa cifra base, ogni aumento dell’1% in investimenti in lobbying consente una diminuzione della pressione fiscale su quell’azienda tra lo 0,6 e l’1%. Nel 2007 il 54% degli sgravi fiscali degli Stati Uniti è stato preso da 100 società soltanto. Non si compra dunque la politica ma l’investimento in conoscenza fornito alla politica, e questo avviene in molti settori cruciali, dalla finanzia alla R&S. Tali investimenti portano non solo a partecipare alla costruzione della norma, ma anche ad adattare la propria azienda a tali norme ed anticipare così i propri competitors. L’investimento in lobbying in Italia è arretrato, perché non si è ancora percepito quali siano i benefici diretti, ma anche quelli indiretti, intesi come regolamentazione del mercato.

Dunque la debolezza del modello lobbistico americano in Italia è forse dovuta anche dalla scarsa sensibilità e dalla scarsa percezione della forza dei contenuti dei lobbisti sui decisori. Anche perché in Italia sembra abbia preso più piede un lobbismo “ad personam”, si punta più sulle persone e le loro capacità relazionali che sui contenuti. Come diceva Michael Walzer, “l’efficacia del lobbismo dipende principalmente dalla capacità di allacciare strette relazioni personali ovvero dalle reti sociali e da amicizie individuali, un buon lobbista compensa la debolezza o la scarsità degli argomenti con il fascino, l’inserimento e la conoscenza diretta.”

Per riuscire a rappresentare le proprie istanze non dovrebbe servire la propria capacità relazionale, dovrebbero bastare le procedure di trasparenza previste dall’ordinamento, come avviene in Europa. Il problema è che in Italia le procedure non funzionano: sebbene sia prevista l’analisi d’impatto per ciascun provvedimento regolatorio, di fatto il Governo non la applica. D’altronde il potere governativo sta prevalendo nettamente rispetto alla funzione del Parlamento, e decreti legge, disegni di legge, decreti ministeriali, vengono scritti da oscuri funzionati che spesso non hanno competenze specifiche sulle materie in oggetto, cosicché i provvedimenti arrivano in Gazzetta Ufficiale senza che possano essere minimamente valutati. Una mancanza di trasparenza delle procedure che fortunatamente non troviamo nelle autorità regolatorie, dove ad ogni presentazione in bozza di una delibera si aprono le consultazioni pubbliche, dove vengono rispettate procedure e competenze e dove il decisore ha la possibilità (e il dovere) di informarsi, e poi decidere autonomamente.

 

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Il senso di Philip Morris per il lobbying a Bruxelles http://www.lobbyingitalia.com/2013/10/il-senso-di-philip-morris-per-il-lobbying-a-bruxelles/ Sun, 06 Oct 2013 21:28:47 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1754 Alcuni documenti della Philip Morris International (PMI) sono filtrati e giunti sino agli occhi di alcune ONG, che hanno deciso di rendere pubbliche strategie, cifre e impegno a livello di lobbying da parte della multinazionale del  tbacco in riferimento alla TPD 2, la revisione della cd Direttiva Tabacco attualmente in corso a Bruxelles.

La campagna ha avuto come obiettivo i membri del Parlamento UE, influenti membri della Commissione UE e anche i singoli governi del Consiglio Europeo.

La strategia di lobbying

Obiettivo Commissione

Per il primo semestre 2010, la stratgeia generale della campagna di lobbying di Philip Morris International era “Push” (ad esempio attraverso la presentazione di emendamenti), “Delay” (rinviare) la Direttiva, o anche “block” le proposte in arrivo dalla Direzione Generale salute, la DG Sanco, che ha incario la proposta di revisione.

A questo fine, PMI ha impiegato una strategia a due vie, politica e tecnica, assicurandosi di ottenere quanti più pareri negativi da parte di altre DG della Commissione, affiancati dalle posizioni e dall’impegno di altri Commissari UE “business-friendly” contro una legislazione etichettata come “eccessiva”.

PMI ha identificato alcuni messaggi chiave nella propria campagna, specialmente in relazione alla Inter-Service Consultation tra le varie direzioni, sollevando la necessità di “break” nel “silo” della Commissione UE. I principali messaggi lobbistici usati PMI erano relativi all’assenza di basi legali, evidenze scientifiche, logica e analisi di mercato.

Come già accaduto nella lotta contro le proposte sui punti vendita, il gigante del tabacco ha anche messo in evidenza il problema del contrabbando, e ciò nonostante il suo noto ruolo proprio in relazione ad un tema così scottante

La compagnia ha poi fatto in modo di avere Commissari o i loro consiglieri senior pronti a esprimersi con opinioni negative, coinvolgendo anche soggetti influenti ad alto livello per ingaggiare gli stessi Commissari.

Il ruolo delle terze parti

Le società del mondo del tabacco – ma non solo – hanno alle spalle una lunga esperienza nell’uso delle “third parties” nelle loro attività di lobbying, usando appunto organizzazioni terze o persone per influenzare il dibattito per conto dell’industria.

La strategia anti-TPD di PMI non ha fatto eccezione. I documenti rivelano come la campagna sui media social e tradizionali sia stata proprio guidata da terze parti.

Tra queste i “tobacco growers” (i coltivatori), i negozianti e le piccole e medie imprese coinvolte nella distribuzione, organizzazioni di rappresentanza, fornitori, organizzazioni per la difesa della proprietà intellettuale e persino associazioni di consumatori.

E come l’industria ha utilizzato i retailers su temi come punti vendita e Plain Packaging nel Regno Unito, gli stessi sono stati centrali nella campagna lobbistica di PMI sulla TPD. E’ infatti molto più persuasivo per i giornalisti sentire parlare il modno delle piccole e medie impresa di perdita di posti di lavoro che confrontarsi direttamente con Big Tobacco.

PMI ha evidenziato come i retailers avrebbero dovuto fare lobby su altre parti della Commissione “promuovendo eventi per guadagnare visibilità” per la campagna. E si parla sia di retailers con base a Bruxelles che quelli associati all’interno dei vari paesi membri.

Altri soggetti con ruolo chiave nella campagna sono stati i coltivatori e i trasformatori. PMI ha organizzato dei meeting tra le organizzazioni dei coltivatori, come ad esempio UNITAB, la European Association of  Tobacco Growers, Fetratab, e la European Federation of Tobacco Processors, con alcuni importanti funzionari della Commissione, incluso un incontro col Gabinetto del presidente della Commissione Manuel Barroso.

“Attivare” i parlamentari UE

La strategia di PMI sul Parlamento include proprio l’uso dei negozianti per “attivare i parlamentari”.

Ma molta dell’attività di lobbying è stata portata avanti direttamente da PMI o da suoi consulenti. Fino a metà 2012, quasi un terzo dei parlamentari UE (233 per la precisione) avevano avuto contatti con PMI. Da allora alcuni membri del Parlamento hanno incontrato in maniera regolare PMI fino a quattro o cinque volte. Il documento di PMI mostra come quasi la metà del PPE e e dei gruppi di centro-destra abbia incontrato la multinazionale del tabacco. 

“Spaccare ENVI”

Al Parlamento UE la società ha focalizzato i suoi sforzi su due commissioni influenti: ENVI e IMCO. L’ENVI committee – abbreviazione per Environment, Public Health and Food Safety – aveva il compito di sovrintendere la TPD lungo il suo iter parlamentare. PMI ha quindi messo un piedi una strategia per fare in modo di toglere all’ENVI il pieno controllo sul dossier.

Al riguardo è partita un’attività di lobbying nei confronti dei vari capi delle delgazioni nazionali e sui “pesi massimi” di ogni gruppo politico, cercando di trovare un accordo politico attraverso il supporto di contatti politici ai massimi livelli.

Il Consiglio Europeo

PMI ha poi fatto lobbying sul Consiglio per creare una maggioranza di blocco contro qualsiasi misura a protezione della salute pubblica considerata estrema. 

“Neutralizzare” la Germania

Una di queste misure è il divieto di utilizzo previsto dalla TPD di alcunia aromi, incluso il mentolo. Obiettivo di PMI era di escludere il mentolo dalla TPD, e per riuscirci ha cercato di coinvolgere i vari Stati membri din cui il mentolo è maggiormente diffuso per fare in modo che si opponessero al divieto. Per riuscirci voleva però neutralizzare alcuni paesi guida sul dibattito sul mentolo, quali ad es. la Germania.

Preoccupazioni

La campagna multimilionaria messa in piedi da PMI attraverso l’uso di una iriade di soggetti e organizzazioni a supporto delle sue attività per minare la TPD solleva tutta una serie di questioni:

Violazione dell’aricolo 5.3 della FCTC

Il fatto che PMI abbia avuto un così vasto accesso alla Commissione e a centinaia di parlamentari apre la questione del rispetto della Framework Convention on Tobacco Control.

L’articolo 5.3 della Convenzione richiede ai paesi firmatari di proteggere le proprie campagne sanitarie “da interessi commerciali” dell’industria del tabacco. Ma a seguito della pubblicazione di altri documenti PMI da parte dell’Observer, il capo dell’OMS ha accusato PMI – nel corso di una conferenza in India – di cercare di “sabotare” le misure di salute pubblica. 

PMI e la (poca) trasparenza

PMI ha sottoscritto la Transparency Initiative, e registra quanti lobbisti impiega e quanti soldi spende a Bruxelles. Ma i documenti giunti a TobaccoTactics.org rivelano come PMI abbia usato un notevole numero di lobbisti e consulenti. Una tabella parla di ben 161 persone coinvolte sulla TPD. Sempre per il primo semestre 2012, i documenti parlano di € 1.25 milioni spesi per consulenze e spese per combattere la proposta.

Il problema però è che PMI dichiara solo 9 lobbisti sul Transparency Register, e per tutto il 2012 la società ha stimato le sue spese in lobbying tra €1 milione e €1.25 milioni. Che considerando quest’ultima essere stata la spesa per un semestre e per una sola campagna, evidente è la distonia.

Ma dov’è il problema?

Una premessa: a PMI fanno semplicemente il proprio lavoro, in maniera presumibilmente, e per difendere un business legittimo e molte migliaia di posti di lavoro da una direttiva che da più parti appare assolutamente inadeguata per l’obiettivo di ridurre il numero di fumatori in Europa.

Certamente qualche problema di trasparenza risulta, ma il problema in realtà deriva proprio dalla natura volontaria e limitata del registro della trasparenza UE, incapace di dare un quadro reale dell’attività di lobbying a Bruxelles. Saremmo infatti curiosi di conoscere anche tutte le attività, il numero di persone impiegate e i soldi spesi dalle stesse in attività lobbistiche in favore della TPD e di contrasto alle multinazionali. E magari aiuterebbe sapere anche da dove arrivano i loro finanziamenti. Ma non è dato.

In ogni caso martedì 8 ottobre si capirà se il lavoro di PMI (e di altre società) sulla TPD oltre che ben pianificato riuscirà anche ad ottenere risultati.

 

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Cene e viaggi pro tabacco, il lobbismo Marlboro style http://www.lobbyingitalia.com/2000/08/cene-e-viaggi-pro-tabacco-il-lobbismo-marlboro-style/ Sat, 12 Aug 2000 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2000/08/cene-e-viaggi-pro-tabacco-il-lobbismo-marlboro-style/ Come fa una multinazionale delle sigarette a familiarizzare con la società civile in cui opera, a conquistarsi visibilità presso l’ establishment, a creare, insomma, un clima “positivo” intorno alle sue attività e ai suoi prodotti? Un documento “strettamente confidenziale” della Philip Morris, targato 1992, cioè vecchio di otto anni fa, ci regala una fotografia interessante delle attività di “pubbliche relazioni” intraprese allora dalla major americana.

Il rapporto di 13 pagine è stato trovato su un sito della Philip Morris, diffuso dal Codacons e ripreso a grandi linee dal “Manifesto“. Penetrare il tessuto sociale italiano: questo l’ obiettivo di allora, così com’ è descritto da Aurelio Giardina, autore dell’ analisi, inclusiva di costi e ricavi della campagna gradimento, e attuale direttore delle Relazione Esterne di PM. Prima di tutto ci vogliono i consulenti. Philip Morris ne ha una d’ eccezione di cui decanta le entrature nel giro politico e massmediatico che conta: è Vittoria Gervaso, “moglie di un noto giornalista e scrittore“. La signora, si legge nel documento del ‘ 92, è sotto contratto per un budget complessivo di 210 milioni l’ anno, rimborsi spese compresi. Cosa debba fare è presto detto: “Organizzare cene, incontri e viaggi con personalità politiche e il nostro management”. Di lei la Philip Morris è soddisfatta: “Vittoria è estremamente capace ed efficiente, se seguita giornalmente e fornita di obiettivi specifici“. Cose di otto anni fa.

Ora la signora si arrabbia e dice: “Non sono una lobbista. E’ vero che ho un contratto con la Set Up, la società che cura le pubbliche relazioni della Philip Morris, ma a casa mia non si è mai parlato di sigarette e il mio contratto è di un importo ben inferiore ai 210 milioni di lire“. Il mondo è cambiato, i membri del governo di allora sembrano appartenere ad un’ altra era geologica. Carlo Vizzini, allora ministro delle Poste e Telecomunicazioni, gode delle simpatie della multinazionale per le sue scelte in fatto di pubblicità televisiva: “Con il ministro e il suo staff, abbiamo avuto contatti positivi“, si legge nel rapporto. Al contrario Rino Formica, ministro delle Finanze, viene definito irrimediabilmente “ostile”. Tanto che quando gli subentra Goria la multinazionale fa un salto di gioia perché, dopo soli quattro giorni dall’ insediamento, il suo management è già riuscito a prendere contatto con i consiglieri economici del nuovo ministro.

Viaggi e inviti offerti alla stampa che conta, la sponsorizzazione di iniziative culturali e scientifiche, monitoraggio legislativo (la Philip Morris si pone come obiettivo anche di “evitare” che parta una discussione al Senato sulle leggi che regolamentano il fumo nei luoghi pubblici e la pubblicità delle sigarette). E’ questo il lavoro di tessitura della multinazionale. Paziente, capillare, miratissimo. “Il documento del ‘ 92 è la descrizione della tipica attività di un ufficio di pubbliche relazioni e non descrive alcuna attività illegale“, tiene a precisare la Philip Morris.

Nel ‘ 92 a dare una mano, come consulente, c’ era anche Toni Muzi Falconi, oggi presidente della Federazione delle pubbliche relazioni. Nel Duemila, c’ è ancora lei, Vittoria Gervaso, con “un contratto di pubbliche relazioni per eventi legati alla Philip Morris“. Nel Duemila, c’ è soprattutto un altro linguaggio, un altro approccio con i consumatori e la società italiana. Lo fa notare l’ Ufficio Philip Morris Corporate Services di Roma: “I tempi sono cambiati, certi errori del passato sono alle spalle. Per noi vale molto più la ricerca di un dialogo costruttivo che non quell’ atteggiamento di contrapposizione, di conflittualità, che in passato ha aumentato l’ ostilità nei confronti del prodotto e dei suoi consumatori“.

a.lo. – La Repubblica

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