Amazon, dalla scorsa estate il maggior retailer al mondo, è una presenza importante nel mercato italiano, anche a seguito dei notevoli investimenti che hanno portato allo sviluppo dei propri Centri di Distribuzione a Castel San Giovanni nel novembre 2011, il proprio Customer Service a Cagliari nel 2013, oltre ad essere presente con i propri uffici anche a Milano dall’ottobre 2012, con un totale di oltre 700 persone in tutta Italia. Una presenza sempre più diffusa quindi, che ha portato l’azienda americana, fondata da Jeff Bezos nel 1995, ad ingaggiare il suo primo responsabile per i rapporti istituzionali in Italia.
Spicciariello, manager classe 1972, si è laureato in Giurisprudenza e in Scienze della Comunicazione presso l’università LUMSA di Roma – dove oggi è docente di “Teorie e tecniche del lobbying istituzionale” alla facoltà di Giurisprudenza – specializzandosi poi presso Harvard e University of Massachusetts di Boston, e iniziando lì la propria carriera quale assistente parlamentare presso la State House del Massachusetts.
Tornato in Italia, ha seguito le relazioni istituzionali di Confcooperative, a riporto del Segretario Generale, per poi andare ad occupare il ruolo di Head of Lobbying della società di consulenza di public affairs Reti Spa. Successivamente è stato ingaggiato da Microsoft Italia nel ruolo di Government Affairs Manager, posizione nella quale ha seguito le relazioni istituzionali locali e supportato il business verso il Public Sector.
Nel 2008 fonda Open Gate Italia – di cui ora lascia il CdA – con altri due soci: l’ex capo delle strategie di Wind, Laura Rovizzi, e all’ex direttore della comunicazione di Sky, Tullio Camiglieri. Prima società italiana focalizzata sull’integrazione fra public & regulatory affairs e comunicazione strategica, la portano in pochi anni sul podio delle società di lobbying italiane, anche grazie ad alleanze internazionali con gruppi quali Grayling e Instinctif. In OGI Spicciariello ha seguito principalmente le practices ICT, sistema delle accise, food e sports business, con focus sulle attività di public affairs, PR e digital lobbying.
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Esplode il caso Vatileaks e il giorno dopo sui giornali spuntano questi titoloni: «Francesca Chaoqui, la lobbista protetta tra feste con i vip e sfide ai potenti» (il Messaggero). E ancora: «Il prete e la lobbista, la strana coppia» (Il Fatto Quotidiano). A Roma i lobbisti, quelli veri, saltano sulle sedie.
«Mia nonna, classe 1925, che ancora legge i giornali mi ha detto preoccupata: ma tu fai quel lavoro lì? Allora è pericoloso. Si può essere arrestati?», ci dice al telefono Franco Spicciariello, fra i soci fondatori di Open Gate Italia, società romana specializzata in attività di public affairs, regolamentazione e comunicazione strategica. «Noi lobbisti di professione passiamo ore a esaminare testi di legge, bozze, emendamenti e tabelle per valutarne l’impatto economico, industriale e sociale per poi spiegarlo a chi rappresentiamo prima e alle istituzioni poi, cercando di evitare o risolvere problemi, di contribuire alla qualità della legislazione. E siamo professionisti che devono presentare le informazioni sempre in maniera reale e veritiera, altrimenti perdiamo credibilità e accesso, senza cui non potremmo più lavorare». I principali interlocutori? «Politici a tutti i livelli, assistenti parlamentari, capi di Gabinetto, eccetera. Inoltre, siamo i primi a chiedere di avere regole chiare affinché il nostro ruolo, legittimo e operato nell’assoluta trasparenza, non venga più confuso con quello ambiguo dei faccendieri».
Spiegare il lavoro di un lobbista, del resto, non è semplice. «Sono tecnici esperti, capaci di spiegare questioni complesse in maniera chiara e interessante», scrisse J. F. Kennedy sul NY Times nel 1956. Stando alla definizione che ne dà il mondo anglosassone, il lobbista è chi cura gli interessi di terzi nei confronti del decisore pubblico. Si definisce invece public affairs l’insieme di attività – dal monitoraggio alle relazioni pubbliche – che possono anche essere supporto all’attività di lobbying. Le PR invece rispondono ad un’esigenza più generale di far conoscere un servizio, un prodotto o un personaggio attraverso i media o diverse attività di relazione e comunicazione.
Ma qui siamo in Italia, mica in America dove la lobby è legittima, regolamentata e radicata nella cultura nazionale. Nel nostro Paese invece le regole ancora mancano e le revolving doors fra grandi aziende e politica continuano a girare pericolosamente: un funzionario del ministero o di un’Autorità può finire a fare il manager o il consulente in una grande azienda il cui mercato di interesse ha contribuito a regolare e viceversa. Mentre all’estero devono passare anche anni prima di fare il salto da una barricata all’altra.
Da noi è ancora tutto fermo: ad aprile la commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama ha infatti adottato il ddl degli ex Movimento 5 Stelle Luis Alberto Orellana e Lorenzo Battista come testo base per disciplinare il fenomeno. Una proposta che prevede, fra le altre cose, l’istituzione di un “Comitato per il monitoraggio della rappresentanza di interessi” presso il segretariato generale della presidenza del Consiglio, più quella di un «Registro pubblico» al quale non potranno iscriversi i condannati in via definitiva per reati contro lo Stato e la pubblica amministrazione. Nulla si è poi mosso, anche perché il Governo non sembra interessato, nonostante gli annunci del passato.
Ma chi sono i lobbisti italiani più influenti oggi? Facendo un rapido sondaggio nei palazzi romani salta subito fuori un elenco di nomi. Da Francesco Delzio di Autostrade, a Franco Brescia per Telecom (di nota osservanza dalemiana, venne portato in Telecom dall’avvocato Guido Rossi, che lo aveva già chiamato a sé durante il commissariamento FIGC post Calciopoli) e Massimo Angelini direttore Public Relations di Wind, da Pasquale Salzano in quota Eni all’ex deputato di Forza Italia Chiara Moroni in Bristol-Myers Squibb nel farmaceutico, passando per Stefano Lucchini, responsabile della direzione centrale International and Regulatory Affairs di Intesa Sanpaolo.
Altre fonti «quotano» Paolo Bruschi per Poste Italiane, Stefano Genovese per Unipol e sempre sul fronte delle compagnie assicurative Simone Bemporad, direttore comunicazione e relazioni esterne del gruppo Generali. Poi ci sono le società di consulenza come Open Gate Italia, molto presente sul tema banda larga e ICT con l’ex capo delle strategie di Wind Laura Rovizzi, o la più “comunicativa” Reti dell’ex consigliere di D’Alema, Claudio Velardi, fino a Comin & Partners di Gianluca Comin. Altri nomi storici sono quelli di Giuliano Frosini per Lottomatica (ora Gtech) o Fabio Bistoncini di FB & Associati che ha pure scritto un libro («Vent’anni da sporco lobbista») ed è stato il primo in Italia a fondare una società di lobbying occupandosi soprattutto di diritto d’autore.
E le multinazionali? C’è Microsoft, dove Pier Luigi Dal Pino, scuola Procter & Gamble, da 15 anni naviga l’industria dell’ICT per conto di Bill Gates ed è diventato un riferimento per tutte le new entry del settore, mentre nel tabacco si scontrano Alessandro Poggiali di Philip Morris, Valerio Forconi di Imperial Tobacco e ultimo arrivato il rutelliano ed ex Finmeccanica Gianluca Ansalone a BAT. Quanto alle quote rosa, ci sono Veronica Pamio di JTI e Maria Laura Cantarelli di Nexive (ex TNT Post), entrambe ex Presidenza del Consiglio e di frequentazioni lettiane, con quest’ultima da anni al fronte «contro» Poste.
Tutti chiedono chiarezza. E trasparenza. Perchè le lobby all’italiana non diventino un paravento o un alibi della politica e la parola lobbista non sia più una parolaccia da mettere in un titolo di giornale.
]]>Regolamentare il settore, in maniera semplice e chiara per ottenere risultati concreti e non solo per aumentare la burocrazia. È un quadro articolato quello sulle lobby che esce dal ciclo di audizioni in commissione Affari costituzionali al Senato sul ddl “Disciplina dell’attività di rappresentanza di interessi particolari nelle relazioni istituzionali” in cui, però, abbondano i punti in comune. Sul registro obbligatorio tutti sono d’accordo (anche se con qualche sfumatura diversa), mentre emerge qualche distanza sulla gestione delle cosiddette ‘revolving door’, cioè il passaggio tra pubblica amministrazione e società di rappresentazione di interessi.
REGISTRO OBBLIGATORIO: OK QUASI UNANIME
Ferpi, Sec, il Chiostro, FB & Associati e Open Gate Italia, concordano sull’obbligatorietà del Registro a cui i portatori di interesse devono iscriversi, così come stabilito dal ddl. L’unica sfumatura è quella di Reti, per cui il Registro dovrebbe essere volontario e prevedere meccanismi di premialità. Secondo Sec, invece, per le società di consulenza il Registro dovrebbe essere ancora più ‘stringente’ perchè queste dovrebbero pubblicare anche i nominativi dei clienti per i quali svolgono l’attività e dei relativi compensi. Per il Chiostro, l’iscrizione dovrebbe essere consentita solo a chi rispetta determinati requisiti di onorabilità, mentre per FB dovrebbe essere accompagnato da un codice deontologico da sottoscrivere.
Anche per Open Gate gli iscritti al Registro dovrebbero essere tenuti al rispetto di un codice deontologico di condotta che possa rappresentare una codificazione di quelle best practices che i rappresentanti, ma anche i decisori pubblici, dovranno seguire. Molti rappresentanti hanno poi espresso la necessità che anche le associazioni di categoria, come sindacati, Confindustria o l’Anci, siano comprese, e quindi regolati, come portatori di interessi. Quasi unanime anche la necessità che il Registro sia unico e non diviso per amministrazioni.
INTERVENTO NORMATIVO NECESSARIO
Su un punto tutte le società di lobbying si sono espresse all’unanimità: un intervento normativo è ormai necessario. L’opportunità fornita dal ddl all’esame della commissione è quella di superare un vuoto normativo, si legge nel documento depositato da Reti. “È importante raggiungere una regolamentazione completa ed esaustiva del settore perché una legislazione chiara permette di favorire la trasparenza e ridurre comportamenti opachi che danneggiano la classe politica e i cittadini”, è il punto di vista di Sec. “È opportuno che il disegno di legge valorizzi il ruolo delle società di consulenza come ‘rappresentanti di interessi particolari’ che spesso permettono anche a soggetti che non sono in grado di agire singolarmente, ad esempio perché di piccole dimensioni, di poter presentare direttamente le proprie proposte. Ai fini del ddl è rilevante – spiega ancora il documento – che vengano considerati decisori pubblici non solo parlamentari e relativi staff, ministri e uffici di diretta collaborazione, dirigenti generali dei ministeri, ma anche le Autorità indipendenti e i rappresentanti delle Amministrazioni locali“. Regolare per raggiungere una maggiore trasparenza è un concetto sottolineato da tutte le società. Ferpi e Sec, per esempio, sottolineano il ruolo delle consultazioni per un maggior coinvolgimento trasparente dei portatori di interesse.
REVOLVING DOOR: PROBLEMA RISOLVIBILE
Il tema del passaggio da ruoli di decisori pubblici a quello di portatori di interessi, non è un tema trattato dal ddl 281, ma è comunque uno degli argomenti sensibili per regolare il settore delle lobby. Per Ferpi è “necessario limitare il fenomeno delle ‘revolving doors’ per garantire trasparenza e parità di accesso e limitare viceversa i casi di concorrenza sleale”. Il Chiostro propone una finestra di 2-4 anni prima del passaggio da un ruolo pubblico a quello di lobby, mentre per Ogi sono sufficienti due anni. C’è poi chi, come Reti, non ritiene quello delle ‘revolving door’ un problema, ma un tema da affrontare, e risolvere, in chiave di conflitto di interessi.
È LA VOLTA BUONA?
I senatori hanno dimostrato molti interesse ai rilievi mossi dalle associazioni e dalle società, riferiscono alcuni partecipanti all’audizione. “Servono norme semplici, efficaci e durature”, sottolinea Patrizia Rutigliano, presidente Ferpi. “Abbiamo espresso questi concetti e i senatori li hanno fatti propri dimostrando la volontà di proseguire il lavoro intrapreso”, aggiunge.
]]>Ogni giorno il Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, accusa le lobby di fermare lo sviluppo del paese. Prima di lui, l’accusa era stata mossa dai suoi predecessori: Enrico Letta, Mario Monti, Silvio Berlusconi, per limitarci agli ultimi. E con loro anche i Presidenti di Camera e Senato, periodicamente, “urlano” contro le lobby che invadono i palazzi. Eppure non si hanno notizie né di interventi governativi né di interventi parlamentari finalizzati a regolamentare i gruppi di pressione.
Ogni giorno si scopre, così, che dietro ai “gufi” che vogliono lasciare immobile il Paese ed impediscono le riforme necessarie, ci sono le lobby, ogni sorta di lobby, con l’effetto che tutto è lobby, perfino i funzionari pubblici: si pensi alle “lobby” dei magistrati (“no alla riduzione delle ferie”), a quella dei dirigenti pubblici (“no alla riduzione degli stipendi”) o perfino a quella dei senatori (“no alla riduzione del Senato”).
In questo quadro le lobby continuano ad essere il paravento della politica: basta dire che è colpa delle lobby per scrollarsi di dosso ogni responsabilità. E appare ovvio che se le lobby fossero regolamentate e la loro azione fosse pubblica, ecco che i cittadini scoprirebbero il gioco dello scarica barile: il paravento d’incanto cadrebbe e si scoprirebbe che la colpa di certo immobilismo non sono le lobby ma la politica.
LE ULTIME TAPPE DI UN TIMIDO TENTATIVO DI FARE SUL SERIO
Rispetto a vent’anni fa, tuttavia, qualche barlume di speranza comincia a vedersi. Nel 2007, durante il secondo governo Prodi, l’allora Ministro per l’attuazione del programma di governo, Giulio Santagata, spronato dal suo capo di gabinetto, il Consigliere di Stato Michele Corradino (ora componente dell’ANAC), fece approvare dal Consiglio dei Ministri il primo e unico disegno di legge in materia d’iniziativa governativa. Qualche mese dopo il governo fu sfiduciato e il testo dimenticato.
Nel 2012, sotto il governo Monti, ci riprovò Mario Catania, allora Ministro dell’Agricoltura, istituendo l’obbligo per i lobbisti “agricoli” di iscriversi in un elenco pubblico. La netta contrarietà delle principali organizzazioni di categoria (Coldiretti, Cia, Confagricoltura) fece naufragare l’esperimento.
Nel 2013 è il premier Enrico Letta, in prima persona, a farsi promotore di una coerente regolamentazione del lobbying, chiedendo al segretario generale di Palazzo Chigi, Roberto Garofoli, e al sottoscritto, di predisporre una bozza di disegno di legge. Ma il Consiglio dei Ministri, dopo avere approvato i principi della regolamentazione nel maggio 2013, decise di bocciare il testo predisposto, considerandolo troppo stringente.
E siamo arrivati al governo Renzi: entro giugno 2014, aveva dichiarato il Premier nel Documento di Economia e Finanza 2014 (DEF), avremo una regolamentazione dei gruppi di pressione. Sono passati 3 mesi da quella scadenza ma non c’è traccia nemmeno di una qualche bozza. Eppur si muove: nel silenzio generale, il Vice Ministro alle Infrastrutture, Riccardo Nencini (forse l’unico a credere davvero all’importanza di questa questione), è riuscito ad inserire nel disegno di legge delega di riforma del codice degli appalti, un principio legato alla trasparenza dei gruppi di pressione; anni luce lontani dalla regolamentazione delle lobby ma almeno è un segnale.
E’ ripartito da qui Giovanni Grasso, il giornalista dell‘Avvenire che, venerdì e sabato scorso, ha dedicato sul suo giornale un’inchiesta al rapporto tra politica e gruppi di pressione, invitando il Ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, a prendere la palla in mano, trattandosi, anzitutto, di una questione di trasparenza della Pubblica Amministrazione (centrale e periferica).
MA PER FARE (DAVVERO) SUL SERIO, DA DOVE RIPARTIRE?
Ripartiamo dall’inchiesta di Grasso; rileggiamo gli stimoli recenti pervenuti da lobbisti d’eccezione come Gianluca Comin, per anni direttore delle relazioni istituzionali in Enel, o Stefano Lucchini, per anni a capo dell’Eni e ora in Intesa, o le proposte avanzate da Claudio Velardi, Massimo Micucci e l’ottimo gruppo del “Rottamatore”, da Fabio Bistoncini (“vent’anni da sporco lobbista”), da Franco Spicciariello e il suo sito lobbyingitalia.com, da Gianluca Sgueo su Formiche.net, da esperti come Giovanni Galgano e Giuseppe Mazzei de “Il Chiostro”, da studiosi come Maria Cristina Antonucci e Marco Mazzoni, dal collega Alberto Alemanno della New York University, dal gruppo #lobby (purtroppo non più attivo) degli ultimi 7 anni di #VeDrò, da riviste come Percorsi Costituzionali e AGE-Analisi Giuridica dell’Economia e proviamo ad offrire al Legislatore qualche idea su come e per cosa fare sul serio.
]]>Per info e prenotazioni: lobbyingedemocrazia@gmail.com
Dress code: giacca per gli uomini
In Italia, solo nel mondo dell’agricoltura si è tentato di regolamentare e rendere trasparente questa attività che evoca realtà sinistre che si muovono nell’ombra, capaci di curare solo gli interessi particolari a scapito di quelli della collettività. Un business che è impossibile quantificare e che gira attorno alla politica e alle grandi burocrazie. Ci sono i benefici che si ricavano dalle leggi e dagli assalti alla diligenza. E poi ci sono i contributi a partiti e parlamentari.
Per quale motivo un’azienda dovrebbe finanziare un deputato o un senatore? I settori più invadenti sono questi: assicurazioni, banche, energia, tabacchi, sanità, editoria, gioco d’azzardo. E il governo Letta, come già con Monti, rappresenta il terreno ideale per le lobby. Massimo Micucci, socio dell’ex dalemiano Claudio Velardi in Reti, società di lobbying, ha descritto in una lettera aperta al Movimento 5 Stelle (che vuole cacciare i lobbisti dal Parlamento) la giungla attuale:
“Anche questo governo aveva in programma una regolamentazione della rappresentanza di interessi e non se ne è fatto nulla perché quella ‘lobby del caos’ che è la tecnocrazia dominante, ha sbarrato il passo al tentativo di rendere davvero obbligatorie interazione e trasparenza”.
L’ACCUSA è rivolta a quelli che preferiscono mantenere il loro potere di mediazione, come capi di gabinetto e funzionari ministeriali, e che bloccano ogni tentativo riformista. Micucci si chiede anche che fine abbia fatto l’Unità per la trasparenza del ministero delle Politiche Agricole [per saperlo, leggere qui], incaricata di redigere l’elenco dei lobbisti “agricoli”. L’organismo, infatti, non è stato aggiornato dai tempi del ministro tecnico Catania e sul sito del Mipaaf è possibile leggere tra i componenti il nome di Ernesto Carbone, oggi parlamentare renziano. Dice: “È una sciatteria del ministero di cui non so nulla. Da vicecapo di gabinetto di Catania ne facevo parte, ma ora non più. Se non funziona più è un’occasione persa”.
Nell’elenco c’è di tutto: associazioni di cavalli, allevatori, frantoi, energie agroforestali, industriali di carni, salumi e vino, consorzi della pesca.
OLTRE ALLA FILIERA ministeriale, c’è poi quella parlamentare. Micucci riassume altro caos: “I presidenti di commissione favoriscono gli emendamenti che gli piacciono, i gruppi fanno spesso da passacarte. La presenza del governo in aula, nonostante tutta l’attività sia di origine governativa, è scarsa o concertata sulla base dei provvedimenti che interessa seguire. Se un provvedimento interessa i commercialisti ci va un sottosegretario che si occupa o ha rappresentato i commercialisti”.
PER GLI EX POLITICI, e non solo, il lobbismo è una grande occasione per riconvertirsi e mettere a frutto le loro relazioni nel Palazzo. Da qui nascono società come Reti, ma non solo. In Italia ci sono altre quattro società di spessore, che vantano clienti importanti, bisognosi di curare i loro affari presso i “decisori politici”: Cattaneo Zanetto (quest’ultimo è stato un forzista molto inserito), Fb e associati (Fb sta per Fabio Bistoncini), UtopiaLab di Giampiero Zurlo, Open Gate Italia di Franco Spicciariello. Cattaneo Zanetto, sul suo sito, si rifiuta di pubblicare l’elenco dei clienti per una questione di riservatezza, Open Gate invece lo fa e c’è persino l’Uefa-Europa League. Nel suo advisory board c’è Giorgio Mulè, direttore di Panorama , caso ufficiale di giornalista-lobbista.
Altro esempio è il sito centrista di Formiche , dove informazione e relazioni si legano a doppio filo. Gli incroci di interessi e nomi sono ampi e fittissimi. Da Open Gate (dove siede anche Tullio Camiglieri, ex uomo Sky) c’è un link che rimanda ad Arel, il centro studi di Enrico Letta. Alcuni numeri della pensosa rivista che produce sono aperti da saggi di Giulio Napolitano, docente universitario di diritto e figlio di Re Giorgio.
Questo è il lobbismo italico, bellezza. E questi i servizi che offre. Da una sito già citato: “Mappatura dei principali decision maker e influencer; programma di accreditamento con i decisori politici di Governo e Parlamento; attività diretta di rappresentanza degli interessi del cliente; presentazione di emendamenti e position paper presso le istituzioni; monitoraggio dell’attività legislativa; reporting periodico sull’iter dei provvedimenti legislativi; intelligence sullo scenario politico italiano”. Sì anche l’intelligence. Del resto come auspica Micucci, con una regolamentazione “noi faremmo i consulenti politici e non i peripatetici nei corridoi”.
Fonte: Fabrizio D’Esposito – Il Fatto Quotidiano
]]>L’ultima proposta (?) arriva da sinistra, da SEL, che con un’interrogazione dell’onorevole Gennaro Migliore, chiede al Governo l’approvazione di un disegno di legge che disciplini, per l’appunto, l’attività di lobbying “tenuto conto, come dichiarato dal Presidente del Consiglio dei ministri, delle modalità di regolamentazione del fenomeno da parte delle legislazioni di altri Paesi europei”.
Una discussione tanto più importante – secondo Migliore – se si tiene conto del fatto che, stando all’analisi riportata nel testo, “il finanziamento della politica e la regolamentazione dell’attività di lobbying costituiscono garanzia innanzitutto di indipendenza e democrazia, permettendo che ad accedere alla gestione della cosa pubblica siano tutti i cittadini, a prescindere dalle condizioni reddituali, così come stabilito dalla Costituzione”.
Il tema per SEL, come si ricava dall’interrogazione, ruota intorno principalmente alla questione del finanziamento della politica, sempre caldissimo, anche se Migliore sembra fare confusione tra la necessità di cambiare modello di finanziamento e i controlli stringenti necessari ad evitare l’utilizzo illecito di risorse statali previste per il finanziamento pubblico oggi esistente.
Un possibile cambiamento del sistema che come noto SEL sembra voler scongiurare in ogni modo, puntando il dito sulle fondazioni politiche che, spesso, diventano il fulcro di importanti approfondimenti, progetti e studi finanziati da rilevanti aziende pubbliche e private e da istituzioni finanziarie “nonché alla volontà di chiarire le modalità con le quali le lobby e i gruppi di pressione intervengono sui rappresentanti politici e sulle formazioni partitiche al fine di condizionarne le scelte”. il Parlamento europeo a settembre 2013 approverà un regolamento sul finanziamento dei partiti e delle fondazioni politiche europee, rispetto al quale la I Commissione (Affari costituzionali) della Camera dei deputati, nella XVI legislatura, ha espresso parere favorevole.
In sintesi SEL fa capire di avere poche idee ed abbastanza confuse sul tema. E lo conferma quando richiede che in attesa del completamento dell’iter legislativo delle proposte di revisione normativa, si ipotizzano provvedimenti temporanei a carattere parziale. Un Decreto Legge? Un DPCM? (magari!)
In conclusione, i deputati di Sel impegnano il Governo, nell’attesa dell’approvazione definitiva di nuove norme sul tema del finanziamento delle attività politiche, nonchè in vista della proposta governativa sul tema delle lobby “ad istituire una commissione di studio che approfondisca la materia del finanziamento della politica, del funzionamento e del finanziamento delle fondazioni legate alla politica, nonché dell’attività dei gruppi di pressione, con particolare riguardo a quanto previsto dalla legislazione degli altri Paesi europei, e che presenti una relazione finale al Parlamento entro tre mesi dalla sua istituzione”.
Si vede che SEL conosce poco la tematica, altrimenti si sarebbe ricordata che gli insegnamenti di alcuni vecchi lobbisti dicono che il modo migliore per affossare un provvedimento sia proprio quello di “istituire una commissione di studio”…
PS: qualcuno informi l’on. Migliore che solo negli ultimi 12 mesi sono state già due le commissioni speciali che si sono occupate di regolamentazione dell’attività di lobbying. Quella dei Saggi nominata dal presidente Napolitano, e in precedenza una presideuta dal prof. Tommaso Edoardo Frosini che ha elaborato un lavoro approfondito sul tema per conto della Presidenza del Consiglio.
]]>Il working group Lobby di VeDrò, avviato nel 2011, haanalizzato come le lobby operino in Italia e quali siano le norme vigenti in questa materia, concludendo che oggi in Italia esistono ben 88 norme sulle lobby e sulla trasparenza della politica ma sono del tutto disapplicate o violate dallo stesso legislatore.
“La normativa italiana sulle lobby” – evidenzia il prof. Pier Luigi Petrillo, professore di Tecniche di Lobbying alla Luiss Guido Carli e coordinatore del working group Lobby di VeDrò – “è di tipo strisciante con un andamento schizofrenico. Strisciante perché ci sono tante norme frammentate e sparse in numerose leggi, regolamenti, decreti, nessuna delle quali, però, affronta il tema in modo organico. Ad andamento schizofrenico perché lo stesso legislatore che le ha introdotte, le ha, successivamente, aggirate, violate, disapplicate”.
Per questo VeDrò chiede ai partiti e alle coalizioni di inserire nei loro programmi l’impegno ad approvare, nei primi 100 giorni di governo, una legge sulle lobby che si basi sui seguenti principi:
1. Trasparenza dei processi decisionali, anche attraverso l’istituzione di un Elenco dei lobbisti cui sono tenuti ad iscriversi tutti coloro che vogliono influenzare tale processo;
2. Regole uguali per tutti: prevedere un accesso ai decisori pubblici uguale per tutte le lobbies, evitando così fenomeni di clientelismo
3. Obbligo, per le lobbies e i decisori pubblici, di relazionare periodicamente sull’attività svolta
4. Divieto di “revolving door” (“porta girevole”) ovvero prevedere che chi ha ricoperto incarichi pubblici (non solo politici) non possa diventare un lobbista, e viceversa, se non dopo un certo periodo di “raffreddamento” (3-5 anni)
5. Conoscibilità dei finanziamenti privati alla politica, attraverso la pubblicazione sul sito web del Governo dell’elenco, aggiornato in tempo reale, di tutti i contributi ricevuti dai partiti, superiori ai 50 euro complessivi
6. Attuazione, anche a livello nazionale, delle norme sulla c.d. “anagrafe patrimoniale degli eletti” ovvero rendere effettivo l’obbligo per gli eletti di dichiarare tutti gli interessi economici e non economici di cui sono portatori, con contestuale pubblicazione di tali dichiarazioni sul sito web della Camera e del Senato.1)
Come ha evidenziato l’analisi condotta dal wg Lobby di VeDrò, l’Unione Europea da oltre 15 anni ha introdotto regole finalizzate a disciplinare il rapporto tra le lobbies e i decisori pubblici. Negli Stati Uniti d’America tale relazione è regolata da 66 anni; in Canada dal 1995; in Israele dal 1998; in Gran Bretagna dalla fine dell’800. La Francia ha introdotto delle regole precise nel 2011. Germania e Austria a partire dagli anni ’70 del Novecento. L’OCSE, in un rapporto del 2010, sottolinea come l’assenza di regole in materia di lobby produca una perdita di competitività per il Paese, specialmente perché, l’assenza di norme organiche e uguali per tutte, comprime fortemente la concorrenza tra i diversi portatori di interessi privati.
“In Italia le lobby operano nella più totale oscurità” – prosegue lo studio del wg Lobby di VeDrò – “ E’ tempo di togliere questo velo impenetrabile che impedisce ai cittadini di conoscere quali soggetti influiscono sull’azione politica. E’ tempo che la politica si assuma pienamente la responsabilità delle proprie scelte e che tutti sappiano le ragioni e gli interessi che hanno determinato quelle scelte. E’ una questione di democrazia, di competitività, di giustizia sociale. Per questo chiediamo a tutti i partiti e a tutte le coalizioni di inserire nei loro programmi una legge sulle lobby: poche regole ma chiare e uguali per tutti”.
Il wg LOBBY di VeDrò, coordinato dal prof. Pier Luigi Petrillo (Professore di Teoria e Tecniche del Lobbying alla Luiss Guido Carli e all’Università Unitelma Sapienza), è composto da alti magistrati come Michele Corradino (Consigliere di Stato e capo di gabinetto di diversi Ministri), da manager come Pier Paolo Bucalo (Vice president UniCredit), Francesco Giorgianni (direttore relazioni istituzionali ENEL), Maura Satta Flores (responsabile relazioni istituzionali Vodafone), Riccardo Capecchi (Poste Italiane), studiosi come Ruben Razzante (docente di diritto dell’informazione alla Cattolica di Milano e animatore dell’Associazione Il Chiostro) e Alberto Castelvecchi, da lobbisti come Fabio Bistoncini (ad di FB&Associati e autore del volume “Vent’anni da sporco lobbista”), Franco Spicciariello (Open Gate Italia), Luigi Ferrata (Sec), Giampiero Zurlo (Utopia).
Fonte: VeDrò
]]>Ti danno subito del «tu», fa parte del mestiere. E poi qui sono quasi tutti all’inizio della carriera, il lavoro vero si fa lontano dai riflettori. Un tempo avevano sempre un pezzetto di stoffa in tasca per asciugarsi il palmo fra una stretta di mano e l’altra, racconta Gianluca Sgueo nel suo libro Lobbying e lobbismi. E se la bella presenza non guasta, l’argomento è off limits. «Ho capito cosa intendi ma guarda che le “gnocche” sono altrove» dice una ragazza, effettivamente carina, che è qui per Confindustria e arriva subito al nocciolo della questione: «E problema non è metterci fuori dal Senato ma come metterci dentro». Regolare le lobby, insomma, portarle alla luce del sole.
Dal 1948 ad oggi le proposte di legge sono state 27, tutte evaporate dopo un paio di titoli sui giornali. Non abbiamo numeri certi ma si stima che in Italia siano in 1.500 a lavorare nel ramo. L’Unione Europea ha un registro di lobbisti con 1.793 persone accreditate. E per una volta siamo primi in Europa perché gli italiani sono il 43%. Negli ultimi anni il fenomeno è esploso. Come mai? «Nella Prima Repubblica — racconta Giuseppe Mazzei, presidente dell’associazione Il Chiostro che raggruppa 140 professionisti del settore — il lobbismo era una cosa per pochi. Le piccole imprese nemmeno ci provavano, erano gli amministratori delegati delle grandi aziende che prendevano l’aereo da Milano a Roma, parlavano con Craxi e De Mita e pensavano di aver risolto tutto». Oppure erano direttamente le associazioni di categoria a piazzare i loro uomini in Parlamento, come i 22 dirigenti della Coldiretti eletti alla Camera era negli anni 8o e per questo chiamati gli agroparlamentari. Adesso invece il lobbismo lo fanno tutti, «è più democratico» dice Mazzei. Un esempio? Franco Spicciariello lavora per Open Gate Italia, società di public affairs: «Tra gli ultimi clienti che abbiamo preso ci sono i produttori di sacchetti di plastica. Abbiamo organizzato un’audizione in Parlamento sul decreto ambiente che li danneggerebbe. Tutto trasparente, ma di solito non avviene. Sono imprenditori, hanno la fabbrichetta, cosa ne sanno di quello che avviene a Roma?». E di fabbrichetta in fabbrichetta il mercato cresce come pochi altri.
La Lumsa è un’università romana molto vicina alla Chiesa, un tempo era aperta solo alle religiose. Adesso offre una Master in «Public affairs, lobbying e diritto parlamentare», il 98% dei ragazzi che prendono il titolo trova lavoro entro sei mesi, qualcuno è anche qui al terzo piano del Senato a farsi le ossa. Studiano diritto ed economia, ma la materia più importante si chiama «mappatura degli influenti». E cioè individuare le persone che stanno dietro le decisioni per agganciarle e sostenere le ragioni del committente.
Ma attenzione: «Il bravo lobbista — spiega Giancarlo Di Nunzio, nel ramo da tanti anni — prospetta sempre una soluzione vantaggiosa per tutti. Se batti solo sul tuo tasto rimani isolato, se invece crei una coalizione di interessi hai più possibilità. E spesso una chiacchierata a cena vale più di un giorno di posta al Senato». Come dicono gli addetti ai lavori «pr» non sta per public relations. Ma per pranzi e ricevimenti.
Lorenzo Salvia – Corriere della Sera
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Di seguito la lettera inviata da Franco Spicciariello al Corriere della Sera a seguito della pubblicazione dell’articolo in questione.
Caro Direttore.
Dispiace dover leggere ancora una volta sul Corriere il “solito” articolo su lobby e lobbisti, pieno di argomenti triti e ritriti, con un tono sprezzante e in parte sbeffeggiante. Lobbisti in buona parte fatti passare per maneggioni e intrallazzoni, come semplici fabbricanti di emendamenti o gnocche che fanno cose e vedono gente. La chiusura su PR pranzi e ricevimenti poi è la fotocopia sbiadita del vecchio bribes, boozes and babes riferito alle lobbies americane. Come il detto (con citazione errata) di JFK.
Quello delle lobbies sembra un argomento di moda in questi mesi, ma purtroppo sembra che nessuno abbia voglia di comprendere che di cosa si parli. Nessuno che voglia andare a vedere l’enorme lavoro, l’analisi, l’approfondimento, il coinvolgimento delle università, per aiutare la politica a prendere decisioni quantomeno informate. Niente, o quasi, di tutto questo.
Peccato, perché si scoprirebbe che la maggior parte dei lobbisti sono fior di professionisti, persone che sanno tutto sul settore che rappresentano, in grado di spiegarsi sia in maniera semplice e concreta che di intervenire davanti ad un uditorio di professori universitari. Che il lavoro “vero” non è (solo) quello di pascolare davanti alle Commissioni, ma tutto quello di preparazione che c’è alle spalle. E perché poi non si spiega mai come sia chi fa lobbying per salvare a volte intere filiere di PMI che potrebbero essere cancellate proprio da un’azione di lobby posta in essere da qualche grande industria non troppo competitiva sul mercato, o che sia pieno di lobbisti che cercano di supportare la liberalizzazione e l’apertura dei vari settori.
Chiudo con un paradosso. Friedrich August von Hayek scriveva nel suo “La via della schiavitù” di come in Unione Sovietica si fabbricasse poca carta igienica o troppa, in quanto lo Stato aveva la presunzione di sapere tutto, e quindi anche quanti rotoli servissero alla popolazione.Ma l’URSS però non era una democrazia, e quindi i lobbisti non trovavano spazio. L’attività di lobbying infatti, è un elemento fondamentale del processo democratico, e in Italia è garantita dalla Costituzione (art. 50 su Diritto di petizione, art. 21 Libertà di manifestazione del pensiero, Art. 18 Libertà di associazione, ecc.). Se poi non è trasparente non è certo colpa dei lobbisti, che le regole le chiedono da anni.
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Sorpresa e accoglienza positiva da parte dei lobbisti
Per il presidente di Open Gate Italia, società di servizi iscritta al Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea, Tullio Camiglieri, il “decreto lobby del Ministero delle Politiche agricole “è un ottimo esempio che potrebbe portare presto alla creazione un albo nazionale dei lobbisti, come succede già in molti Paesi nel mondo. Trasparenza e regole precise non possono che aiutare il mercato e il Paese – aggiunge Camiglieri – in modo da rendere chiaro il rapporto tra le società di lobby e il potere politico. Per fare questo servono anche delle professionalità specifiche – aggiunge – il ricorso agli studi legali non basta più, ma sono necessarie figure professionali ben precise che rappresentino gli interessi legittimi dei soggetti coinvolti e che si occupino in maniera specifica di dialogare con il potere”.
Fabio Bistoncini, titolare della società di lobbying Fb&Associati, definisce "singolare" l’iniziativa del Ministro Catania di lanciare un registro dei lobbisti nel settore agricolo, sottolineando però come la stessa sia "lodevole se non rimane isolata", e che "urge, a questo punto, una norma quadro".
Via libera anche dal mondo universitario
Apprezzamento per la decisione del Ministero arriva anche dal mondo universitario. Franco Spicciariello, docente di “Teorie e tecniche del Lobbying”, coordinatore del Master in Public and Parliamentary Affairs presso la facoltà di Giurispriudenza dell’Università LUMSA di Roma: "Con questo decreto l’Italia compie un primo passo verso un quadro normativo già presente da tempo in Paesi quali gli USA, il Canada e l’Australia, adottato anche dalle istituzioni europee e più recentemente da altri Paesi come Francia, Germania, Austria, Polonia, Georgia, Slovenia, Lituania, Macedonia, Messico, Taiwan, Perù e Colombia. In Italia, negli ultimi 40 anni si sono avute oltre 30 proposte di regolamentazione dell’attività di lobbying ma, ad oggi, il Parlamento italiano non ha ancora approvato nessuna norma di legge specifica sulla materia. In tre Regioni, Toscana, Abruzzo e Molise, si è istituito un albo dei portatori di interesse, tuttavia i risultati sono stati poco incisivi. Sicuramente è un porimo – importante – passo verso la trasparenza. Sicuramente un buon inizio per offrire regole chiare nel rapporto tra chi decide e chi influenza le decisioni e per legittimare una professione sempre più in ascesa nel nostro Paese".
Il parere delle associazioni di professionisti
I lobbisti riuniti nell’associazione “Il Chiostro-per la trasparenza delle lobby” hanno espresso grande soddisfazione e apprezzamento per la decisione del ministro delle Politiche Agricole Mario Catania che ha istituito il primo registro dei lobbisti nella storia dei governi italiani.“E’ un precedente importante che segna una svolta irreversibile nella battaglia che da anni Il Chiostro conduce per riconoscere e regolamentare l’attività di rappresentanza di interessi – ha dichiarato Giuseppe Mazzei presidente del Chiostro”.“Auspichiamo che la Presidenza del Consiglio emani una direttiva affinchè tutti i Ministeri istituiscano registri obbligatori per i lobbisti che intendono interloquire con i loro uffici. Chiediamo anche che venga prevista l’adozione di un codice etico, corredato da sanzioni per chi non lo rispetta-ha aggiunto Mazzei “Ora tocca al Parlamento. Proponiamo che venga istituito subito presso la Camera e il Senato un registro obbligatorio per i lobbisti che devono dialogare con senatori e deputati, con obbligo di rispetto di un codice etico. Si potrebbe inserire un emendamento in questo senso nel disegno di legge anticorruzione in corso di approvazione”- ha concluso Giuseppe Mazzei.
“Il decreto ministeriale presentato oggi da Mario Catania, Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali per regolamentare la partecipazione dei gruppi di interessi ai processi decisionali del Ministero è certamente innovativo e utile – ha detto Patrizia Rutigliano, Presidente Ferpi-Federazione Relazioni Pubbliche Italiana. La proposta del Ministro garantisce maggiore accesso trasparenza del processo di formazione delle norme, avvicinandoci così alla normativa europea. Confidiamo che l’attuazione di questo decreto che per ora riguarda solo un Ministero – ha concluso Patrizia Rutigliano – sia propedeutica per avviare una più ampia riflessione normativa, comune a tutto il Governo e, perché no, anche al Parlamento. Come Federazione dei professionisti delle relazioni pubbliche (e quindianche di coloro che si occupano di rapporti con le Istituzioni) siamo disponibili a confrontarci con Governo e Parlamento per condividere la nostra proposta di regolamentazione del settore per contribuire così alla trasparenza del processo decisionale, nel rispetto delleIstituzioni, dell’opinione pubblica e dei nostri colleghi"
Focus – Il “decreto lobby” in sintesi
1) Unità per la Trasparenza
Il Decreto sulle lobby istituisce, presso il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, l’Unità per la Trasparenza. L’Unità sarà composta da 5 persone che svolgeranno tale incarico a titolo gratuito e sotto lo stretto coordinamento del Capo di Gabinetto.
2) La consultazione trasparente
Compito primario dell’Unità è curare le procedure di consultazione, obbligatorie per legge, dei lobbisti del settore agroalimentare nelle fasi di elaborazione dei disegni di legge e dei regolamenti ministeriali di competenza. A tal fine, i lobbisti del settore che desiderino partecipare a tali consultazioni sono tenuti ad iscriversi in un Elenco pubblico (“Elenco dei portatori di interessi particolari”). L’Elenco, al pari di tutti i documenti prodotti dalle lobbies, saranno consultabili da chiunque sul sito internet del Ministero (www.politicheagricole.it).
3) L’Elenco dei lobbisti
In tale Elenco i portatori di interessi particolari dovranno indicare: a) i dati anagrafici e il domicilio professionale del portatore o dei portatori di interessi particolari, nonché le eventuali ulteriori attività professionali comunque svolte; b) i dati identificativi del datore di lavoro, ovvero i dati identificativi del soggetto committente; c) l’interesse o gli interessi particolari che si intendono rappresentare; e) le risorse economiche e umane di cui si dispone per lo svolgimento dell’attività di rappresentanza.
4) Le relazioni annuali: un altro strumento di trasparenza
I soggetti iscritti potranno, inoltre, trasmettere ulteriori proposte, studi, documenti, ricerche all’Unità per la Trasparenza al fine di rappresentare i propri interessi. Vi è l’obbligo per i soggetti iscritti di presentare, ogni anno, una relazione sintetica dell’attività svolta. In caso di mancata presentazione della relazione, il soggetto sarà cancellato e non potrà più partecipare alle consultazioni. Il Ministro delle Politiche Agricole riferirà annualmente al Parlamento, nell’ambito della più generale relazione sullo stato di attuazione dell’analisi di impatto della regolamentazione (Air), sullo stato di attuazione del Decreto e sull’attività di lobbying posta in essere al Ministero.
Rassegna stampa "Decreto Lobby"
Melanie J. Nicholls – LI.Info
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