sgueo – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Lobbisti “confinati” a Palazzo Madama ogni giorno 1.200 permessi d’accesso [Il Messaggero] http://www.lobbyingitalia.com/2015/11/lobbisti-confinati-a-palazzo-madama-ogni-giorno-1-200-permessi-accesso-messaggero/ Mon, 09 Nov 2015 12:41:12 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3030 Intanto è boom per i corsi di formazione della professione, e alcune università assicurano il Master

Anche quest’anno il Senato ha preso le sue contromisure per difendersi da una delle specie professionali più temute: i lobbisti. Da fine ottobre i “portatori di interessi particolari”, già “schedati” dal loro tesserino rosso entrato in vigore nel 2014, sono ospitati nell’aula della Commissione Sanità di Palazzo Madama, rigorosamente a trenta metri da quella della Commissione Bilancio quando è impegnata nell’esame della Legge di Stabilità. Quei 30 metri non impediscono di certo né ai politici e né ai lobbisti l’uso dei telefonini per rapide consultazioni o per sventare colpi di mano dell’ultimo minuto ma la dicono lunga sul rapporto schizofrenico, fatto di timori e al tempo stesso di poche regole, di politica e lobbismo made in Italy. A partire da un banale dato di fatto: l’accesso al parlamento italiano è relativamente facile. Risultano in media circa 1.200 i cartellini giornalieri concessi a vario titolo a ex parlamentari, funzionari, dirigenti ministeriali, giornalisti (in attività o pensionati) e rappresentanti delle categorie che possono entrare in Parlamento per chiedere informazioni, discutere con i parlamentari, informarsi dei processi legislativi.

A VUOTO «Il fatto è che nonostante se ne parli da anni in Italia non esiste una legge che regoli questo settore così come accade in altri Paesi europei o in America», spiega Gianluca Sgueo, esperto del settore e autore del libro Lobbying e lobbismo, edito da Egea, forse il più completo sull’argomento. «Al di là di quello che accade a Montecitorio e Palazzo Madama – aggiunge Sgueo – oggi uomini di governo e funzionari italiani possano incontrarsi ovunque con i lobbisti italiani e stranieri senza che nessuno lo sappia. Sono rarissimi i casi di uomini politici italiani che per propria scelta tengono un diario web sui lobbisti che ricevono. Altrove invece è obbligatorio tenere un registro degli incontri, che poi oltre ad essere una “banale” norma di trasparenza è anche una tutela per tutti. Perché deve essere chiaro che un lobbista non è l’equivalente di difensore di poteri oscuri o peggio».

Un esempio di come si potrebbe procedere? Almeno in parte, Bruxelles. Qui Commissione Ue conta la presenza di 8.396 lobbisti che lavorano quotidianamente nelle istituzioni europee. Sono tutti regolarmente registrati in un apposito Libro Mastro e tutti sanno tutto di loro. Questo “Registro per la trasparenza” (anche se non vincolante): contiene informazioni «su chi svolge attività tese a influenzare il processo decisionale dell’Ue», come specifica il suo sito. Vi sono iscritte anche 5.800 organizzazioni e aziende, di cui 503 italiane. Anche a Bruxelles tuttavia non mancano i tira e molla su questo settore. 11 Parlamento Europeo infatti ha chiesto misure più stringenti come quella dell’obbligatorietà della registrazione degli incontri, ma finora la Commissione ha cincischiato. E’ accaduto così che il Parlamento Europeo abbia lanciato un comitato speciale in materia fiscale (il Taxe), che però è stato boicottato dalle multinazionali che non si sono presentate alle audizioni.

IL MASTER Il Taxe ha allora chiesto alla Commissione di vietare l’ingresso in Parlamento dei rappresentanti delle multinazionali e finalmente il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Junker, ha detto che è ora di raggiungere un accordo comune sulla registrazione obbligatoria dei lobbisti (e dei loro incontri) in tutte le istituzioni europee. In Italia, invece, nonostante la presentazione di almeno una dozzina di disegni di leggi, che con modalità differenti propongono tutti la nascita di un albo dei lob-bisti e del registro obbligatorio dei loro incontri (con tanto di sanzioni), tutto è ancora fermo a livello legislativo. Diverso il discorso invece a livello di mercato. Negli ultimi anni la figura del lobbi-sta non ha sofferto la crisi. Anzi. I corsi di formazione destinati a preparare queste particolari figure professionali si contano ormai a decine e sono organizzati anche da società prestigiose. Con alcune università che rilasciano uno specifico master.

Fonte: Diodato Pirone – Il Messaggero – Download .pdf

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Le lobby (opache) d’Ungheria (Formiche.net) http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/le-lobby-opache-dungheria-formiche-net/ Wed, 24 Sep 2014 19:51:14 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2497 Parliamo spesso – e giustamente – dell’opportunità e dei rischi di regolare l’attività lobbistica in Italia. Altrettanto spesso, ci invitiamo vicendevolmente a guardare i casi stranieri, che generalmente citiamo come esempi virtuosi.

Questo binomio virtuoso (loro)-vizioso (noi) vale soprattutto per il confronto tra Italia e democrazie di matrice anglosassone. Perde di spessore quando mettiamo l’Italia a confronto con i propri vicini europei. Qui la situazione si fa molto più complessa e, in genere, molto meno virtuosa.

Parliamo dell’Ungheria, ad esempio. Il problema dell’opacità delle lobby – ma si potrebbe dire dell’intero sistema politico – ha radici recenti. Nasce nel 1989, subito dopo la transizione dal regime socialista, verso un regime politicamente più variegato. é in questi sistema di confine, scarsamente regolamentato e attento più alla segretezza del dato pubblico rispetto alla sua divulgabilità, che sono cresciute le attuali oligarchie politiche. Per crescere, e finanziarsi, il sistema ha dovuto fare della segretezza dei rapporti tra politica ed economia un requisito essenziale.

E difatti oggi in Ungheria non è disponibile praticamente alcuna informazione (di rilievo, almeno) sui finanziamenti che la politica riceve dai privati. Esistono iniziative private che monitorano e riportano i casi più eclatanti, ma le risorse con cui operano sono limitate e al massimo possono aprire uno spiraglio su una realtà sconosciuta al grande pubblico. Una tra queste iniziative è K-Monitor (QUI). Un’altra iniziativa è promossa dal capitolato locale di Transparency International e si chiama Kepmutatas (QUI).

Gli analisti politici ci dicono che le cause del sistema attuale, non solo opaco, ma a tratti apertamente anti-democratico (nel senso che respinge le istanze di partecipazione promosse dai cittadini comuni) dipendono per gran parte dal lavoro di Fidesz, oggi primo partito, che ha agito mosso dalla necessità di recuperare il terreno sui socialisti, tornati a vincere nel 2008 e nel 2010.

Come spiega bene la SunLight Foundation (QUI) il partito di Orban non ha oggi alcuna intenzione di migliorare, né dal punto di vista della trasparenza istituzionale, né da quello della partecipazione delle istanze provenienti dalla società civile. Perché dovrebbe? L’opposizione alla disclosure ha consentito di riorganizzare le finanze del partito in tempi brevi e di contenere in modo sostanzialmente indolore le pressioni degli attivisti. Un paradiso, o un inferno, a seconda di come vogliate vederla, per i lobbisti. Una situazione dalla quale avremmo comunque da imparare. Non nel senso di prendere l’esempio su come intervenire per disciplinare la materia. Ma un ottimo esempio per capire quanto sia rischioso non intervenire.

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M5S, incontro su “Le Lobby, sentinelle del potere, sostituiscono il parlamento?” il 25 settembre http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/m5s-incontro-su-le-lobby-sentinelle-del-potere-sostituiscono-il-parlamento-il-25-settembre/ Wed, 17 Sep 2014 07:38:03 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2393 Che relazione c’è tra i detentori del potere economico e la politica? Quanto i cosiddetti gruppi di pressione riescono ad influenzare le Istituzioni a scapito degli interessi dei cittadini?

A queste domani si cercherà di dare risposta giovedì 25 settembre 2014 nel corso di un incontro-confronto intitolato “Le Lobby, sentinelle del potere, sostituiscono il parlamento?“. L’appuntamento, organizzato dal deputato portavoce del Movimento 5 Stelle, Carlo Sibilia, si terrà a partire dalle ore 17, presso la Nuova Aula del Palazzo dei Gruppi parlamentari in Via di Campo Marzio 74 a Roma.

Durante l’evento, cui prenderanno parte Matthieu Lietaert (regista e comunicatore), Olivier Hoedeman (ricercatore presso il Corporate Europe Observatory di Bruxelles) e Gianluca Sgueo (giornalista e docente universitario), sarà proiettato il film “The Brussels Business… Who Runs the European Union?” e verranno illustrate le linee guida del M5S per arginare il potere lobbistico in Italia e in Europa.

“Esiste un sistema che si sta consolidando nel mondo – dichiara Sibilia – ed è quello di fare pressione per influenzare la scrittura delle leggi o peggio ancora per condizionare bandi di gara destinati a distribuire soldi pubblici. E’ un fenomeno che riguarda anche i finanziamenti europei. Questo sistema viene portato avanti abilmente dalle lobby e dai lobbisti. Organizzazioni e professionisti che agiscono per l’affermazione di un interesse. La domanda è: l’interesse di chi? Chi c’è dietro e foraggia queste organizzazioni? Come influenzano la formazione delle leggi? A danno di chi? A vantaggio di chi? A volte si parla pure di sottobraccisti. Personaggi ambigui che spesso abbiamo incontrato anche noi in parlamento mentre si aggiravano per le Commissioni. Molti Paesi hanno adottato tutta una serie di norme per regolamentare e gestire questo fenomeno. L’Italia no. Perché? Abbiamo più pudore? Non vogliamo? O, peggio ancora, non possiamo disciplinare il lobbying? Il 25 settembre proveremo ad informare e discutere di questo fenomeno. Tirando fuori anche le proposte del Movimento 5 Stelle“.

Per partecipare occorre iscriversi compilando il seguente form: http://goo.gl/Jp288z

Fonte: BeppeGrillo.it

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A chi conviene non regolamentare le lobby? (Formiche.net) http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/a-chi-conviene-non-regolamentare-le-lobby/ Tue, 16 Sep 2014 14:47:46 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2296 Il primo di una serie di approfondimenti su lobby e regolamentazione a cura di Pier Luigi Petrillo, professore associato di Diritto pubblico e docente di Teorie e tecniche di Lobbying

Ogni giorno il Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, accusa le lobby di fermare lo sviluppo del paese. Prima di lui, l’accusa era stata mossa dai suoi predecessori: Enrico Letta, Mario Monti, Silvio Berlusconi, per limitarci agli ultimi. E con loro anche i Presidenti di Camera e Senato, periodicamente, “urlano” contro le lobby che invadono i palazzi. Eppure non si hanno notizie né di interventi governativi né di interventi parlamentari finalizzati a regolamentare i gruppi di pressione.

Ogni giorno si scopre, così, che dietro ai “gufi” che vogliono lasciare immobile il Paese ed impediscono le riforme necessarie, ci sono le lobby, ogni sorta di lobby, con l’effetto che tutto è lobby, perfino i funzionari pubblici: si pensi alle “lobby” dei magistrati (“no alla riduzione delle ferie”), a quella dei dirigenti pubblici (“no alla riduzione degli stipendi”) o perfino a quella dei senatori (“no alla riduzione del Senato”).

In questo quadro le lobby continuano ad essere il paravento della politica: basta dire che è colpa delle lobby per scrollarsi di dosso ogni responsabilità. E appare ovvio che se le lobby fossero regolamentate e la loro azione fosse pubblica, ecco che i cittadini scoprirebbero il gioco dello scarica barile: il paravento d’incanto cadrebbe e si scoprirebbe che la colpa di certo immobilismo non sono le lobby ma la politica.

LE ULTIME TAPPE DI UN TIMIDO TENTATIVO DI FARE SUL SERIO

Rispetto a vent’anni fa, tuttavia, qualche barlume di speranza comincia a vedersi. Nel 2007, durante il secondo governo Prodi, l’allora Ministro per l’attuazione del programma di governo, Giulio Santagata, spronato dal suo capo di gabinetto, il Consigliere di Stato Michele Corradino (ora componente dell’ANAC), fece approvare dal Consiglio dei Ministri il primo e unico disegno di legge in materia d’iniziativa governativa. Qualche mese dopo il governo fu sfiduciato e il testo dimenticato.

Nel 2012, sotto il governo Monti, ci riprovò Mario Catania, allora Ministro dell’Agricoltura, istituendo l’obbligo per i lobbisti “agricoli” di iscriversi in un elenco pubblico. La netta contrarietà delle principali organizzazioni di categoria (Coldiretti, Cia, Confagricoltura) fece naufragare l’esperimento.

Nel 2013 è il premier Enrico Letta, in prima persona, a farsi promotore di una coerente regolamentazione del lobbying, chiedendo al segretario generale di Palazzo Chigi, Roberto Garofoli, e al sottoscritto, di predisporre una bozza di disegno di legge. Ma il Consiglio dei Ministri, dopo avere approvato i principi della regolamentazione nel maggio 2013, decise di bocciare il testo predisposto, considerandolo troppo stringente.

E siamo arrivati al governo Renzi: entro giugno 2014, aveva dichiarato il Premier nel Documento di Economia e Finanza 2014 (DEF), avremo una regolamentazione dei gruppi di pressione. Sono passati 3 mesi da quella scadenza ma non c’è traccia nemmeno di una qualche bozza. Eppur si muove: nel silenzio generale, il Vice Ministro alle Infrastrutture, Riccardo Nencini (forse l’unico a credere davvero all’importanza di questa questione), è riuscito ad inserire nel disegno di legge delega di riforma del codice degli appalti, un principio legato alla trasparenza dei gruppi di pressione; anni luce lontani dalla regolamentazione delle lobby ma almeno è un segnale.

E’ ripartito da qui Giovanni Grasso, il giornalista dell‘Avvenire che, venerdì e sabato scorso, ha dedicato sul suo giornale un’inchiesta al rapporto tra politica e gruppi di pressione, invitando il Ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, a prendere la palla in mano, trattandosi, anzitutto, di una questione di trasparenza della Pubblica Amministrazione (centrale e periferica).

MA PER FARE (DAVVERO) SUL SERIO, DA DOVE RIPARTIRE?

Ripartiamo dall’inchiesta di Grasso; rileggiamo gli stimoli recenti pervenuti da lobbisti d’eccezione come Gianluca Comin, per anni direttore delle relazioni istituzionali in Enel, o Stefano Lucchini, per anni a capo dell’Eni e ora in Intesa, o le proposte avanzate da Claudio Velardi, Massimo Micucci e l’ottimo gruppo del “Rottamatore”, da Fabio Bistoncini (“vent’anni da sporco lobbista”), da Franco Spicciariello e il suo sito lobbyingitalia.com, da Gianluca Sgueo su Formiche.net, da esperti come Giovanni Galgano e Giuseppe Mazzei de “Il Chiostro”, da studiosi come Maria Cristina Antonucci e Marco Mazzoni, dal collega Alberto Alemanno della New York University, dal gruppo #lobby (purtroppo non più attivo) degli ultimi 7 anni di #VeDrò, da riviste come Percorsi Costituzionali e AGE-Analisi Giuridica dell’Economia e proviamo ad offrire al Legislatore qualche idea su come e per cosa fare sul serio.

Fonte: Formiche.net

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Troppi casi di “porte girevoli” fra Stato e privati (Avvenire) http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/troppi-casi-di-porte-girevoli-fra-stato-e-privati-avvenire/ Fri, 12 Sep 2014 20:02:28 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2305 (Giovanni Grasso) Il fenomeno delle “porte girevoli” (sliding doors) è ben conosciuto negli Usa e anche in Francia dove lo chiamano pantouflage. In sostanza si tratta di un passaggio rapidissimo (e molte volte sospetto) tra una onorata carriera di alto livello nelle istituzioni o nella pubblica amministrazione e i vertici di aziende e società nello stesso settore nel quale si operava. I casi in Italia non mancano: capi di Stato maggiore o generali a quattro stelle appena pensionati che sono finiti a lavorare per industrie di armamenti; ex ambasciatori che svolgono compiti di relazioni istituzionali per multinazionali; persino parlamentari che, non più rieletti, si dedicano a tempo pieno all’attività di lobbying tra gli ex colleghi di Camera e Senato, sfruttando anche il libero accesso ai palazzi di cui gli ex onorevoli godono. Si tratta, in sostanza, di un conflitto di interessi che continua anche dopo aver lasciato il settore pubblico.

Gianluca Sgueo, giovane giurista, autore tra l’altro di Lobbying & lobbismi. Le regole del gioco in una democrazia reale (Egea, 2012), spiega: «Inserire delle regole per regolamentare e limitare il fenomeno delle sliding doors dovrebbe essere uno dei capisaldi di una legge che intenda occuparsi seriamente della disciplina dell’attività di lobbying». Spiega ancora Sgueo: «Il primo obiettivo è quello di impedire che eventuali conflitti di interesse distorcano la concorrenza tra imprese nel momento in cui l’ex titolare di incarico pubblico si avvale del proprio bagaglio di conoscenze e informazioni (talora riservate) per il beneficio dell’azienda per cui lavora.

Il secondo risponde alla necessità di evitare il rischio che la fuga di cervelli dal pubblico al privato possa influire sull’efficienza delle amministrazioni, che si vedrebbero private di figure chiave senza la possibilità di trovare sostituzioni adeguate in tempi brevi. Certo, introdurre dei divieti totali, previsti in alcuni ordinamenti pe i vertici statali, rischia di limitare il diritto alla mobilità del lavoro. In molti Stati, come l’America o la Francia, sono stati introdotti dei periodi cosiddetti di raffreddamento, uno stop alla possibilità di assumere incarichi privati, che possono andare da sei mesi a due anni. In altri casi si è previsto una sorta di registro in cui vengono pubblicate tutte le informazioni riguardanti i possibili e pregressi conflitti di interesse».

Fonte: Avvenire

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Open + Data + Lobby = Democrazia (Formiche.net) http://www.lobbyingitalia.com/2014/07/open-data-lobby-democrazia-formiche-net/ Fri, 25 Jul 2014 20:51:50 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2512 Ultimamente si è tornato a parlare in Italia di trasparenza e accesso agli atti. Con l’evento veneziano sull’Italia digitale sono tornati alla ribalta (ma non l’avevano mai davvero abbandonata) i promotori di #FOIA4ITALY, gruppo ben nutrito di attivisti di varia estrazione che propone l’adozione di un FOIA italiano. Cos’è il FOIA? Si tratta di un acronimo. Freedom of Information Act. Ossia una legge che disciplina la trasparenza dell’attività delle istituzioni, prevedendo obblighi per i decisori pubblici e attribuendo diritti ai cittadini. L’Italia, sostengono quelli di Foia4Italy, ha una legge sull’accesso agli atti inadeguata per una democrazia moderna. Serve l’approccio americano che, almeno in teoria, pone un obbligo generalizzato di diffusione delle informazioni a carico delle amministrazioni.

Appunto, la questione è tutta li, nel “a meno che”. E infatti le eccezioni sono molto numerose. Legate prevalentemente alla sicurezza nazionale, ma non solo. I limiti possono arrivare anche indirettamente, ad esempio dal tempo che le amministrazioni si prendono per rendere note le informazioni. Il caso dei finanziamenti alla politica, e quindi in senso lato del lobbying, è emblematico. Un articolo apparso sul New York Times il 17 luglio titolava in modo significativo: “Data Delayed, Democracy Denied” (QUI l’articolo). Ossia, il ritardo nel rilascio dei dati pubblici è una negazione di fatto della democrazia.

In questo caso la responsabilità ricade sulla Federal Election Commission, o FEC, organo deputato alla raccolta (e successivo rilascio) dei dati sulle donazioni ai candidati alle elezioni federali. La FEC dichiara di rendere pubblici il 95% dei dati in suo possesso entro 30 giorni dalla ricezione. Il fatto è che quando OpenSecrets, la no profit di Washington che monitora l’attività politica e lobbistica statunitense, è andata a fare un controllo sui dati messi a disposizione dalla FEC, si è accorta che mancavano all’appello le informazioni di 347 candidati su 703. Praticamente il 50% delle informazioni assenti! Alla richiesta di chiarimenti inoltrata da OpenSecrets nei confronti della FEC, quest’ultima ha risposto laconicamente “non abbiamo ancora terminato di processare le informazioni mancanti”.

Il bello – si fa per dire – è che non c’è nulla che possa fare se non denunciare pubblicamente l’accaduto. é qualcosa, ma ovviamente non equivale a una sanzione per i funzionari della FEC, né tanto meno alla certezza che non verranno ripetuti i ritardi.

Tutto questo per dire che l’entusiasmo con il quale si assume acriticamente la bontà del FOIA, o più in generale del suo approccio idealistico alla trasparenza, rivela una certa ingenuità. C’è sicuramente molto da migliorare nella legislazione italiana sulla trasparenza. Ma quando le informazioni si fanno sensibili, la reticenza delle amministrazioni alla diffusione è una condizione diffusa, FOIA o non FOIA. E questo, del resto, ce lo conferma l’intera ultima serie di House of Cards, che si regge sul medesimo equivoco. C’è una questione di finanziamenti poco chiari al Presidente degli Stati Uniti, e una partita  tra il protagonista, Frank Underwood, e il suo avversario, giocata sui tempi entro i quali quelle informazioni potrebbero divenire di dominio pubblico. Come va a finire non lo scrivo, casomai non l’abbiate ancora vista.

Fonte: Formiche.net

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Professione lobbista: un nuovo libro sulle lobby (Formiche.net) http://www.lobbyingitalia.com/2014/03/professione-lobbista-un-nuovo-libro-sulle-lobby-formiche-net/ Sun, 09 Mar 2014 12:22:11 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2526 Si chiama Professione lobbista. E poi sottotitola “portatori d’interessi o faccendieri?”. Bella domanda. Non la più originale di tutte, forse. Ma proprio per questo importante. Se nel 2014 abbiamo ancora bisogno di chiederci chi sia il lobbista, e in cosa consista la sua professione, evidentemente il dibattito non è esaurito. Bene, allora, un nuovo contributo sul tema (Qui il link al libro)

Le nostre cronache giornalistiche e giudiziarie degli ultimi cinquant’anni quelle internazionali non sono da meno – sono ricche di misteri, di fatti e (più spesso) misfatti imputati al lobbismo ma che con le lobby nulla hanno a spartire. Nell’uso comune dei media e nella percezione dell’opinione pubblica la parola “lobby” è sinonimo di gruppo di pressione che, complottando da “dietro la siepe”, mira a sostenere con la corruzione oscuri interessi a favore di potentati vari: aziende, banche, gruppi finanziari, istituzioni e politici. Le varie P2, P3, P4; o certi club, come ad esempio la Commissione Trilaterale, il Gruppo Bilderberg, Aspen Institute; faccendieri alla Bisignani & c; corruttori di politici operanti all’interno delle istituzioni in Italia e in Europa vengono correntemente definiti lobbisti e lobby la loro attività su cui i media esercitano scarso controllo. Questo libro sostiene invece che, in un contesto pluralista, la lobby, in quanto legittima trasparente rappresentanza di interessi di aziende, associazioni, enti o gruppi presso le istituzioni centrali e periferiche (Stato e regioni), sia l’alternativa democratica al malcostume e alla corruzione dilaganti. Il libro passa in rassegna il lobbismo com’è conosciuto nel mondo occidentale; illustra le tecniche per fare lobby; prende in considerazione il “caso Italia” e gli eventi collegati a questo fenomeno. In appendice la descrizione dei provvedimenti legislativi e normativi per “agire” nei confronti delle lobby.

Nel libro c’è anche una breve postfazione che ho scritto, proprio per raccontare le sfide della professione. Eccola qui:

Ma siamo sicuri che sia una professione? Non è facile dare una risposta. Anzi è difficile, quanto lo è sintetizzare in poche battute i tanti spunti di riflessione che offre un libro che deve fare tante cose in una: fotografare l’attualità politica, raccontare i dilemmi che vive una “professione” complessa, tratteggiare la giungla della formazione e la palude che ha generato, oltre – naturalmente – a soffermarsi sul funzionamento di una democrazia. 

Alla condanna che subisce chi sceglie di scrivere sul lobbying in Italia – una non-professione che riesce a essere tante altre cose assieme – si aggiungono i contorni drammatici che ci consegna un momento storico complesso e imprevedibile come quello attuale. Raccontare il lobbying diventa così un esercizio faticoso, per almeno due ragioni. Anzitutto perché si scrive con il rischio di perdere il treno. O di fare il passo più lungo della gamba. Sarà per questo che fino ad oggi la responsabilità di raccontarne le vicende al di fuori del più rigoroso (e, diciamolo pure, noioso) contesto accademico sia ricaduta sulle spalle dei giornalisti, con le conseguenze che conosciamo tutti. Salvo poche e rarefatte eccezioni il lobbying, o meglio: la lobby, è vissuta grazie alle parole stampate sui quotidiani. Così, vivacchiando, ha proliferato, anche se lo ha fatto alla giornata, vittima e carnefice dello scandal(ett)o dell’ultima ora: quello che dimentichi poche pagine dopo.

Il secondo rischio per chi oggi si cimenta nella scrittura di questo tema è quello di cedere alla tentazione di suggerire soluzioni banali ai problemi. Succede perché chi scrive impara a conoscere, si convince che i problemi non sono poi tali, o sono addirittura semplici, con soluzioni a portata di mano. La verità è che non c’è il coniglio nel cilindro e non esiste un modo per raccontare meglio il lobbismo. Né mi pare ci siano soluzioni o risposte praticabili senza tempi e costi considerevoli. Al massimo si può fare di tutto per non cadere in trappola, regalando a chi legge una prospettiva che da solo non avrebbe avuto.

Questo libro non cede a nessuno dei due rischi, è questo il suo pregio. La narrazione scorre fluidamente tra eventi, dilatandosi a volte, comprendendo episodi che, letti nell’insieme, trovano un senso compiuto. Capitolo dopo capitolo non si affanna a rincorrere l’attualità (del resto, nel momento in cui il volume è in stampa ci sono almeno tre incognite aperte: la riforma elettorale, il passaggio del testimone a Palazzo Chigi e l’applicazione concreta delle norme sulla corruzione). E, soprattutto, non contiene ricette salvifiche per la lobby. Offre invece spunti di riflessione, almeno quattro, tutti di “lungo periodo”, come si dice tra gli economisti, e tutti di grande interesse.

Il primo sul quale riflettere è certamente il più importante. Da anche il titolo al libro. Si tratta del professionista-lobbista. È il più importante e anche il più complesso, al punto da diventare l’ultimo dei problemi che si può risolvere. Prima ci sono, in ordine: la questione etica, quella della formazione e quella delle regole.

L’etica, lo abbiamo visto, non paga. L’Italia ha una tradizione povera in materia. I codici etici non hanno mai funzionato perché, si è detto, non si adattano allo spirito nazionale. Il nostro è un popolo che ha imparato ad adeguarsi e sopravvivere, a “tirare a campare”, basandosi sul genio e l’inventiva. Nelle pubbliche amministrazioni, ma anche nelle aziende private e nella vita di tutti i giorni, fuori dagli uffici, il nostro è un popolo scarsamente propenso all’etica. Non che gli italiani siano immorali. Ma è l’essenza stessa del saper contrattare, del trarre un vantaggio dal compromesso, del difendere le rendite acquisite piuttosto che rischiare il capitale, che fa del nostro un Paese eticamente deficitario. Pure volendo negare questa ricostruzione molto generalista, resta il fatto che le norme dei codici di condotta hanno sempre avuto un’importanza marginale. Vuoi perché prive del principale deterrente alla violazione di qualsiasi regola: la sanzione, vuoi perché poco incentivate. Sta di fatto che l’etica resta uno dei problemi centrali, e irrisolti, del lobbismo in Italia.

Alla (poca) etica si aggiunge la cattiva formazione. Cattiva non perché sia di scarsa qualità. Cattiva perché frammentata, dispersa tra mille possibili varianti che confondono lo studente e sconsolano lo studioso. Non c’è un percorso universitario accreditato, non esiste un parametro accertato post-universitario, né una qualifica che possa indicare cosa contribuisce a fare di un lobbista un “buon lobbista”. Ci si affida di più all’esperienza, che per definizione è priva di standard certi di riferimento. Prevale il concetto di bottega rinascimentale, con il giovane lobbista preso per mano e condotto passo passo dal vecchio lobbista. Per cui se il maestro è bravo avremo un buon allievo, altrimenti…

Resta comunque molto difficile farsi un’idea chiara della scala dei valori. Vale di più un lobbista che si è formato nella grande azienda, dov’era poco più di un numero su un badge, o quello che ha lavorato nel piccolo studio, dove faceva tutto, o quasi, da solo? È più rassicurante quello che viene da un’esperienza di assistente parlamentare o quello che ha due master e tanti tirocini?

Basterebbero delle regole, direte. Certamente sì. Non fosse che le regole non ci sono, e questo è il terzo spunto di riflessione (e problema) che pesa sul giudizio della categoria. Mancano le regole date dal Parlamento, e questo è un fatto noto. Ma sono assenti anche le regole date dalle piccole amministrazioni locali. Bene le sperimentazioni di alcune regioni. Ma sappiamo tutti che sono rimaste lettera morta, materiale buono per una pubblicazione scientifica, e basta. Francamente, tra le due assenze, pesa più la seconda.

Le conseguenze le conosciamo. Senza regole previse non ci sono lobbisti formati, centri di formazione adeguati, partiti responsabili e diritti e doveri. C’è invece una giungla fitta fatta di “vorrei e posso”, “potrei ma non voglio”, “posso?”, “voglio!” e via avanti con il vocabolario che descrive rapporti opachi e pericolosamente fragili: quelli tra chi rappresenta un interesse e chi lo difende. 

Eccoci al punto di partenza: ma siamo davvero sicuri che lobbying sia una professione? Nei numeri certamente sì. Che tanti svolgano questo lavoro è un dato che non ha bisogno di conferme. Nella qualità anche. Con qualche certezza di meno forse, ma, tutto sommato, chi lavora nel settore delle pubbliche relazioni (o degli affari istituzionali) ha una professionalità da spendere.

Ma tutto questo non è inquadramento professionale. Non, almeno, alle condizioni che regolano (a volte anche troppo) professioni più note: gli avvocati, i commercialisti, gli ingegneri. Fin qui potremmo anche starci. Difficilmente un ordine professionale potrebbe mettere assieme e comporre a unità competenze così diverse. Il che spiega il proliferare di associazioni che riuniscono, a vario titolo e sotto bandiere diverse, i professionisti della comunicazione e delle pubbliche relazioni. Funzionano quelle, l’ordine professionale non serve. Servono semmai criteri snelli di inquadramento e trasparenza. L’inquadramento per dire chi è lobbista e chi non lo è. La trasparenza – una parola molto rischiosa perché può voler dire tutto e niente, e il più delle volte è usata per non dire niente – per far capire alle istituzioni, all’opinione pubblica e agli stessi lobbisti chi fa cosa e per quanto.

Tutte queste cose assieme contribuirebbero a rendere i lobbisti professionisti. La loro mancanza è invece la più grande condanna di questa categoria: quella – mediatica prima ancora che giuridica – del trafficante di influenze, illecite, in una democrazia malata.

Fonte: Formiche.net

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Quattro opinioni sulle lobby in Europa http://www.lobbyingitalia.com/2014/02/quattro-opinioni-sulle-lobby-in-europa/ Thu, 20 Feb 2014 11:24:28 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2192 EUObserver è un quotidiano online con sede a Bruxelles e respiro giornalistico esteso a tutta l’Europa. Si occupa di tutti i temi che contano nell’agenda europea: affari interni ed esterni, economia, affari sociali e giustizia. Lo potete leggere QUI.

Qualche giorno fa la redazione ha chiesto a 4 voci di spessore cosa ne pensano del lobbying in Europa. In particolare cosa ne pensano del registro attuale, e se credono che debba essere riformato. Ecco il risultato:

1) Il buono – il ruolo del buono spetta a EPACA, l’associazione degli studi di consulenza dei public affairs europei. In pratica l’associazione ufficiale delle agenzie di lobby. L’opinione di Epaca è tutta tesa al futuro: il lobbying trasparente porterà regole più chiare. Ci vorranno più codici etici (l’EPACA ne ha uno tutto suo). Ma soprattutto ci vuole il registro dei lobbisti a iscrizione obbligatoria. Non è la soluzione finale, ma è importante per garantire trasparenza (e il giusto profitto degli studi di lobbying). Potete leggere tutto il commento QUI.

2) il brutto – la parte del brutto (nel senso che svela una verità poco piacevole) spetta ad Access Info, organizzazione che si batte per la trasparenza e l’accesso alle informazioni dei cittadini europei. Il punto di Access Info è sacrosanto: se vogliamo un’Europa completamente trasparente non possiamo non avere un registro a iscrizione obbligatoria, e pieno di informazioni. Altrimenti neghiamo ai cittadini un principio fondamentale dei Trattati: la conoscenza e l’accessibilità (QUI il commento completo).

3) Il cattivo – il ruolo meno piacevole (ma dipende dai punti di vista) va ovviamente ai lobbisti. Almeno quelli europei – a differenza della gran parte dei colleghi italiani – dice apertamente di volere il registro facoltativo, senza tanti giri di parole. Secondo la SEAP – associazione che riunisce i lobbisti europei – bisogna proseguire sulla strada dell’iscrizione facoltativa al registro, dando però più incentivi (leggi “premi”) a chi si iscrive. Modello bello in teoria, che però non ha mai funzionato. QUI c’è il commento completo.

4) Lo scoraggiato – si fa per dire – è il ruolo che spetta all’ultimo degli intervistati: Transparency International. Scoraggiata non perché ha perso la fiducia nella lotta alla trasparenza del lobbying in Europa. Al contrario, è molto agguerrita. Ma è ben consapevole che siamo lontani dall’ottenere quello che molti si auspicano. E cioè un regime di regole in cui chi rappresenta gli interessi privati sia costretto a comunicare in dettaglio la propria attività con chi riveste incarichi politici (e QUI trovate tutta l’opinione).

è quasi meglio di un western.

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Transparency International fa ricerca sul lobbying: ecco il team italiano http://www.lobbyingitalia.com/2014/01/transparency-international-fa-ricerca-sul-lobbying-ecco-il-team-italiano/ Tue, 28 Jan 2014 15:29:22 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2557 A dicembre 2014 Transparency International ha dato il via ad un nuovo progetto di ricerca dedicato al lobbying. Il progetto si chiama Lifting the Lid on Lobbying: Taking secrecy out of politics in Europe, un progetto di monitoraggio dei gruppi di pressione in tutta Europa che coinvolgerà accademici, lobbisti, giornalisti e rappresentanti della PA.

Obiettivi dell’iniziativa sono la riforma il registro UE della Trasparenza (poca) dei lobbisti che si trova in Europa, rivedere l’elenco degli esperti che dovranno lavorare alla definizione delle nuove regole del lobbying, e soprattutto spingere gli stati dell’Unione a rivedere leggi inadeguate (ad esempio la Germania e la Francia, che hanno norme limitate) e ad intordurle dove non sono mai state approvate (con l’Italia in prima fila), come anche da indicazioni dell’OCSE.

Il progetto di Transparency prevede un’organizzazione ramificata per Stati, con un gruppo di lavoro che riunisce TI e gruppi di esperti locali. Nel panel italiano sono stati chiamati:

  • Iole Anna Savini – Transparency International Italia e AODVs) – Coordinatrice del Gruppo
  • AmCham –Camera di Commercio Americana
  • Ermanno Cappa – Presidente del Centro Studi Giorgio Ambrosoli
  • Francesco Macchia – Nomos – Centro Studi Parlamentari, società di monitoraggio legislativo e lobbying
  • Benedetto Proia – Dipartimento della Funzione Pubblica, relazioni internazionali
  • Guido Romeo – giornalista  di “Wired Italia”
  • Gianluca Sgueo – professore di “Diritto dell’Ue” all’ Università di Viterbo
  • Sergio Valentini – Direttore Area Promozione e Sviluppo del Territorio di UNIONCAMERE Lombardia
  • Paolo Zanetto – Cattaneo Zanetto & Co.,società di lobbying

A lavorare sul progetto per TI:

  • Maria Teresa Brassiolo – Supervisione
  • Davide Del Monte – Coordinamento, Ricerca, Advocacy
  • Chiara Putaturo e Susanna Ferro – Ricernca, Advocacy, Amminsitrazione

La presentazione del progetto in Italia dovrebbe arrivare entro l’autunno prossimo.

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L’interesse tedesco per le lobby http://www.lobbyingitalia.com/2013/11/linteresse-tedesco-per-le-lobby/ Mon, 18 Nov 2013 16:50:54 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=1858 Tre giorni dedicati a capire come funziona il lobbying, come potrebbe migliorare, in che direzione sta andando, e che regole servirebbero per migliorarlo, dall’Europa agli Stati membri. Lo ha organizzato la Fondazione Adenauer, una fondazione politica tedesca impegnata nella promozione di temi legati alle istituzioni, la società civile, la democrazia e, ovviamente, la politica.

Durante la tre giorni (Qui il programma completo) si sono alternati tanti esperti, di varia provenienza. Lobbisti d’azienda, lobbisti di associazione, e lobbisti freelance. Nella prima economia d’Europa la professione del rappresentante di interessi va molto bene. C’è un sistema istituzionale ideale: al tempo stesso complesso (perché stratificato, con tanti centri di potere che contribuiscono alla formazione delle politiche pubbliche) ed efficiente. L’industria è in crescita, soprattutto in alcuni Lander. Per questo è ben radicata sul territorio, oltre che a Bruxelles.

Eppure anche la Germania ha i suoi problemi. La legge sul lobbying c’è, ma è sostanzialmente disapplicata, essendo oramai residuato di un’epoca lontana. Andrebbe rivista. Alcune associazioni della società civile spingono in questa direzione. Tra le più attive ci sono Transparency International e LobbyControl. Le imprese fanno muro. L’incontro dibattito tra un rappresentante della Volkswagen e alcuni attivisti di TI e LobbyControl ha assunto toni surreali. Il primo impegnato a negare che lo scambio di documenti tra loro e i decisori pubblici locali avesse un qualsiasi valore, e dunque non richiedesse alcuna pubblicazione. I secondi a insistere che un processo decisionale trasparente avrebbe bisogno comunque della piena accessibilità delle informazioni e dei documenti. E che, comunque, un registro dei lobbisti sarebbe un buon punto di partenza.

Il dato più interessante è però un altro. E cioè che una fondazione di matrice politica si impegni su un tema “scomodo”, per quanto attuale, e lo faccia senza finalità particolari. O meglio, lo faccia solo allo scopo di movimentare il dibattito, ascoltare chi ha opinioni da esprimere, mettere in contatto esperti, praticanti della politica, studiosi e tecnici. é così che dovrebbe funzionare, sempre. Per le lobby, e non solo.

 

Fonte: Gianluca Sgueo – Formiche.net

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