revolving doors – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Regolamentazione del lobbying, ecco i nuovi standard internazionali http://www.lobbyingitalia.com/2015/11/standard-internazionali-sul-lobbying/ Thu, 19 Nov 2015 16:02:50 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3051 Le ong Transparency International, Sunlight Foundation, Open Knowledge, Access Info con il supporto del Programma dell’Unione Europea per la Prevenzione e la lotta al crimine hanno predisposto una nuova lista di 38 standard basati sulle più avanzate regolamentazioni del lobbying a livello internazionale. L’obiettivo è orientare i governi dei Paesi in cui è più diffuso il fenomeno a implementare la loro regolamentazione, e i Paesi in cui le relazioni istituzionali si svolgono sotto una cappa di opacità a rispettare tre requisiti essenziali della regolamentazione dell’attività dei gruppi di pressione: trasparenza, integrità, partecipazione.

Al maggio 2015, almeno 20 Paesi in tutto il mondo hanno una regolamentazione del lobbying, la cui portata ed efficacia varia da caso a caso, a livello nazionale: Australia, Austria, Brasile, Canada, Cile, Francia, Georgia, Germania, Ungheria, Irlanda, Israele, Lituania, Macedonia, Montenegro, Perù, Polonia, Slovenia, Taiwan, Regno Unito, Stati Uniti (aggiungiamo anche i progressi in Messico, Colombia, Nigeria, Ucraina).  Sebbene la maggior parte di questi Paesi siano ad alto livello di industrializzazione, ogni regolamentazione presenta aspetti che i 38 standard mirano a mitigare: tra tutti, gli scandali relativi alla corruzione che portano le ong e i centri di ricerca ad interrogarsi e interessarsi sempre più sulle normative nazionali in tal senso.

È ben specificato che la regolamentazione non è che uno strumento per raggiungere l’obiettivo del maggior livello di eticità delle attività di public affairs; è infatti necessaria anche la disponibilità da parte di decisori e gruppi di pressione a rispettare nel concreto le norme, in modo tale da creare un ambiente di decisione pubblica etico e “fair”.

Princìpi guida

  • Il lobbying è un’attività legittima e una parte fondamentale del processo decisionale. la società democratica è basata su un pluralismo degli interessi tra i quali i decisori pubblici devono muoversi per prendere decisioni ragionate in favore dell’interesse generale.
  • C’è un particolare interesse pubblico ad assicurare la trasparenza e l’integrità del lobbying, così come la diversificazione della partecipazione e il contributo alla decisione normativa.
  • Ogni misura normativa per assicurare i primi due principi deve essere proporzionale, adeguata allo scopo e non impedire il diritto individuare di associazione, libertà di opinione e rappresentazione dell’interesse al decisore pubblico.

I primi standard riguardano le definizioni di lobbying, decisore pubblico e lobbista. Ne vengono escluse le interazioni tra cittadini e pubblici ufficiali riguardo i loro interessi privati, e tra pubblici ufficiali stessi (decisori pubblici, agenti diplomatici o rappresentanti di Stati stranieri) nell’attuazione delle proprie funzioni pubbliche.

Altra sezione riguarda le norme sulla trasparenza. La registrazione deve essere obbligatoria, periodica, prevedere un’attività di reporting delle attività e degli incontri; devono essere pubblicate una serie di informazioni da parte dei lobbisti, tra le quali i documenti presentati e i finanziamenti alla politica; i dati devono essere accessibili, aperti e comparabili; il carico burocratico deve essere minimo, sia per il pubblico che per il privato. È consigliato che i decisori pubblici e gli enti decisionali pubblichino le proprie informazioni, che devono essere chiare, libere ed esaustive.

Ulteriori norme dovranno essere previste per raggiungere il maggior livello possibile di integrità. Ai decisori pubblici è raccomandata la sottoscrizione di un codice di condotta di cui sono definiti nello specifico i punti (tra questi, le norme di prevenzione di conflitto di interessi); di rispettare un periodo di cooling-off di almeno due anni prima di lavorare come rappresentante di interessi privati, per prevenire il fenomeno delle revolving doors; di dichiarare, nel caso inverso di provenienza dal settore privato, di non difendere interessi di parte una volta nominati/eletti come decisori pubblici. Norme sull’integrità sono previste anche per i lobbisti o rappresentanti di interesse: anche qui un codice di condotta, standard comportamentali e auto-regolazione.

Partecipazione ed accesso: anche qui sono previste norme che puntano alla totale disclosure del settore e che già in alcune democrazie sono attuate, seppur non con l’efficacia richiesta da TI. Sono auspicati il diritto alla partecipazione per ogni tipo di gruppo interessato a un processo decisionale pubblico (anche non organizzato con strutture di lobby), un processo di consultazione pubblico precedente a qualsiasi iniziativa decisionale, la par condicio sia nell’accesso che nella partecipazione alla formazione della decisione, la giustificazione di eventuali rifiuti a richieste portate avanti da gruppi di interesse. Riguardo gruppi di esperti, il legislatore deve prevedere una composizione interna bilanciata includendo tutti i diversi interessi.

Riguardo il sistema di controllo, sono raccomandati precisione e tempismo nelle attività di monitoraggio delle attività di relazioni istituzionali; un meccanismo di ricorsi aperto a tutti; una serie di sanzioni, efficaci proporzionate e dissuasive, per la violazione di norme sul registro. Non è però previsto che tipo di ente debba assumere il controllo sulle attività di lobbying: un ente già esistente, o un organo ad hoc?

Infine, relativamente al quadro regolatorio generale, è sottolineato l’interesse per il contesto locale sia dal punto di vista territoriale (se si è in presenza di accentramento o decentramento governativo, o se c’è un alto tasso di corporativismo) che sociale (tasso di professionalità dell’attività di lobbying, gruppi sociali presenti e attivi). La revisione annuale dei risultati della regolamentazione dal punto di vista del tasso di eticità e concorrenza dell’intero mercato nazionale è l’ultimo step per garantire un quadro regolamentare completo per la disciplina del lobbying.

Link allo studio di Transparency International e alle opinioni in merito della Sunlight Foundation.

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Quando gli ex commissari europei fanno i lobbisti – 2 http://www.lobbyingitalia.com/2015/07/quando-gli-ex-commissari-europei-fanno-i-lobbisti-2/ Thu, 30 Jul 2015 13:30:19 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2906 Non solo gli ex commissari sono a libro paga delle multinazionali, per conto delle quali fanno pressioni nei confronti degli attuali rappresentanti della Commissione per modificare proposte di legge e regolamenti, ma a volte infrangono le regole che la stessa Commissione ha scritto.

Per l’ex commissario estone  le porte del Berlaymont, il palazzo della Commissione Ue, non esistono neppure. Terminato il suo mandato da commissario, Kallas è stato nominato consigliere speciale dell’attuale commissario lettone Valdis Dombrovskis.

In aprile, l’esecutivo che ogni mese paga a Kallas un cospicuo stipendio ha detto a Kallas che stava facendo qualcosa di illegale: lobbying per la società di software Nortal per la quale Kallas lavora. Naturalmente, chi lavora in Commissione non può lobbare la Commissione e deve attendere 18 mesi dalla scadenza del suo contratto per cominciare a farlo.
Eppure l’ex commissario ai Trasporti Kallas, il 29 gennaio, ha incontrato l’attuale commissario ai Trasporti Violeta Bulc. Ma per dirgli cosa? La Bulc ha parlato di “visita di cortesia a titolo personale”.
In Commissione sembra che si vogliano davvero tutti bene, perché le visite di cortesia tra ex commissari sono all’ordine del giorno. Anche l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini, commissario tra il 2004 e il 2008, ha definito “visita di cortesia” l’incontro con l’attuale commissario Frans Timmermans.
Il soggetto dell’incontro scritto da Frattini, secondo il registro di trasparenza, è quello di “legiferare meglio”, ma gli uomini vicini all’ex ministro giurano che quello con Timmermans sia stato solo l’incontro tra due vecchi amici. Quanto sono intensi e profondi i rapporti nati all’interno della Commissione.
Gianluca De Falco – Il Fatto 24 Ore
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Quando gli ex commissari europei fanno i lobbisti http://www.lobbyingitalia.com/2015/07/quando-gli-ex-commissari-europei-fanno-i-lobbisti/ Mon, 27 Jul 2015 20:50:47 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2894 Ottenere un incontro con un commissario europeo non è affatto facile. Ma esiste una corsia preferenziale: essere un ex commissario europeo. E se poi questo ex commissario è un lobbista, rappresenta cioè gli interessi di un gruppo di potere, una grande società o un’associazione di categoria europea, poco importa, il conflitto di interessi non sembra essere un problema.
D’altronde un ex commissario può sempre sostenere di incontrare un commissario in carica per dargli consigli sull’incarico o per mantenere rapporti di amicizia, non certo per sostenere i clienti per cui lavora.
Le famose regole sulla trasparenza degli incontri tra funzionari Ue e lobbisti, in realtà, non vengono in aiuto della trasparenza. L’oggetto degli incontri con i lobbisti, recitano le regole, deve risultare specificato, ma la specifica può essere piuttosto vaga, tipo “cena di lavoro” o “questioni europee”.
Facciamo alcuni esempi concreti. Per diversi anni l’inglese Peter Mandelson è stato l’uomo di Tony Blair a Bruxelles. Ha ricoperto l’incarico di commissario europeo al Commercio dal 2004 al 2008 e nel 2010 ha fondato la società di lobby Global Counsel. Il registro di trasparenza dell’Ue dice che Mandelson, il 16 giugno scorso, ha incontrato a cena Martin Selmayr, capo di gabinetto del Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Selmayr era accompagnato da altri tre membri “senior” del gabinetto. Tra questi c’era Ann Mettler che, come capo del Centro europeo strategico politico, è uno dei più influenti consiglieri politici di Juncker.
Le regole di trasparenza impongono ai “senior”, ossia agli alti funzionari della Commissione, di specificare l’esatto argomento in discussione nei loro incontri di carattere economico. Possono ad esempio scrivere Unione energetica, Fondi Horizon 2020, Situazione Grecia, ecc. In questo caso, il soggetto indicato è stato “cena di lavoro”.
Un altro ex commissario, il belga Etienne Davignon, vanta un elenco impressionante di incontri con alti funzionari. Davignon ha lavorato in Commissione Europea dal 1977 al 1985 e oggi è uno dei businessman più immanicati a Bruxelles. Tra le altre cose, è presidente del think-tank pro europeo Friends of Europe e siede nei Cda di diverse grandi società. Davignon è anche consigliere speciale di Gérard Mestrallet, amministratore delegato della multinazionale francese dell’energia Engie, meglio conosciuta con il suo vecchio nome, GDF Suez. L’ex commissario appare per due volte sul registro di trasparenza della Commissione: 17 aprile e 8 maggio, come rappresentante di Engie in incontri con Juncker e il suo capo di gabinetto Selmayr.
Un fatto degno di nota, perché Juncker ha dichiarato di aver fatto riunioni solo con altre due aziende: Deutsche Bank (rappresentata dall’ex ministro delle finanze a Lussemburgo sotto il governo Juncker, vale a dire Luc Frieden) e Atos (guidata da Thierry Breton, che è stato ministro delle Finanze francese, quando Juncker ha assunto la presidenza dell’Eurogruppo a 2003).
Gianluca De Falco – Il Fatto 24 Ore
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Lobby & Stato: Pistelli-Eni, revolving doors inappropriate? http://www.lobbyingitalia.com/2015/07/lobby-e-stato-pistelli-eni-revolving-doors-inappropriate/ Sat, 04 Jul 2015 14:05:40 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2843 In molti hanno criticato la scelta di Lapo Pistelli, passato da un seggio parlamentare a una scrivania dei piani alti di Eni. Per ovviare alle critiche, basterebbe una norma sulle revolving doors in una legge sulle lobby: che però rischia di essere accantonata dopo le dichiarazioni della senatrice Finocchiaro.

Lapo Pistelli, viceministro degli Affari Esteri del governo Renzi, lo scorso 15 giugno ha annunciato di voler lasciare il PD e la politica per diventare senior Vice President dell’Eni. A 51 anni, l’ex candidato sindaco di Firenze (sconfitto proprio da Renzi, suo ex collaboratore negli incarichi da assessore al Comune di Firenze, alle primarie per la candidatura comunale del 2009) passa dal pubblico al privato diventando un lobbista, a tutti gli effetti, della società del cane a sei zampe. “Mi occuperòspiegadi promuovere il business internazionale e di tenere i rapporti con gli stakeholders, in Africa e in Medio Oriente, e dei progetti sulla sostenibilità”.

Sin dai tempi di Enrico Mattei, Eni è uno dei maggiori strumenti di “diplomazia economica” dello Stato italiano (sebbene l’azienda sia una società per azioni dal 1992), in particolare nei principali poli petroliferi mondiali (Baltico, Nordafrica, Asia-Pacifico). Eni, a partire dagli anni Sessanta, ha contribuito a molte scelte di policy estera dei governi italiani, che molto spesso hanno creato imbarazzi con le diplomazie occidentali nell’ottica del conflitto bipolare (basti pensare all’avvicinamento ai “Paesi non allineati” nel secondo dopo guerra, o alla Libia negli anni Ottanta fino alla fine del regime di Gheddafi), con logiche tipiche del realismo politico e della diplomazia parallela a quella statale, che hanno portato anche a spiacevoli dubbi sulla trasparenza (si veda, ad esempio, l’inchiesta di Report del 2012). Ciononostante, la compagnia petrolifera rimane uno dei fiori all’occhiello dell’industria italiana, e le nomine dei vertici spesso sono fotografia della situazione politica nazionale.

La scelta di Pistelli ha destato interesse all’interno del settore delle relazioni istituzionali, in particolare in merito al pericolo del cosiddetto fenomeno delle “revolving doors”, ovvero del passaggio (spesso immediato, se non a volte addirittura solo formale ad attestazione di una evidente commistione tra interessi pubblici e privati) dall’attività politica a quella privata, o viceversa. Il dibattito sulle revolving doors e sulla trasparenza dei rapporti tra gruppi di pressione e decisori politici è attuale in tutto il mondo (uno dei più recenti articoli di Politico ne parla in merito all’Unione Europea, ma se ne discute anche negli USA, nel Regno Unito, in Germania).

Al momento dell’annuncio di Pistelli, che segue l’altro “non-renziano” Enrico Letta nella scelta di lasciare la politica per lavorare nel settore privato (l’ex premier ha detto sì alla prestigiosa università parigina della Sorbona), molte forze politiche hanno espresso la preoccupazione di una sovrapposizione tra gli interessi statali e quelli petroliferi. Il deputato di Sel Giulio Marcon ha presentato una interrogazione parlamentare con i deputati di Sel Scotto, Airaudo e Palazzotto, per chiarire quali rapporti intercorressero tra l’ad di Eni Descalzi e Pistelli quando deteneva la carica di viceministro. Il MoVimento 5 Stelle ha votato “no” alle dimissioni di Pistelli dalla carica di deputato, definendo il suo nuovo incarico “immorale” e proponendo un emendamento alla delega sulla Pubblica Amministrazione proprio per inserire l’incompatibilità di incarico negli enti pubblici o controllati a chi nei 5 anni precedenti ha ricoperto incarichi di governo o è stato parlamentare. A tutti gli effetti un periodo di “cooling-off”, a dire il vero molto lungo rispetto a quanto previsto nelle normative più avanzate in materia di conflitto di interessi. Maurizio Gasparri, di Forza Italia, ha definito la nomina di Pistelli ad Eni un “contentino” da parte del premier per non aver assegnato al concittadino la poltrona di Ministro degli Esteri (non senza indiscrezioni polemiche).

Il costituzionalista Andrea Pertici ha invece segnalato che la legge Frattini del 2004 sul conflitto di interessi prevede un periodo di “raffreddamento” di 12 mesi, che però spesso viene aggirato a causa di interpretazioni molto estensive della norma (legge che secondo  secondo l’Ocse è scritta male e viene applicata peggio). Ma l’autorità Antitrust “non ha ravvisato problemi nel passaggio diretto da viceministro degli Esteri a manager del gruppo petrolifero”, in quanto non esisterebbero legami sostanziali tra l’incarico precedente e quello successivo di Pistelli. La nuova nomina è invece stata ben accolta dalla maggioranza di governo: Pistelli, un’ottima carriera nei principali ministeri dello Stato, diventa quindi un asso della manica nella società delle cui azioni lo Stato detiene ancora la maggioranza, in un momento in cui è in atto un rimescolamento degli incarichi delle principali partecipate e, in particolare, anche interno ad Eni (è notizia recentissima l’uscita dal management della petrolifera dell’economista Zingales, scelto proprio da Renzi).

Facendo una prima riflessione, l’ex viceministro Pistelli non è censurabile giuridicamente (come del resto riconosciuto dall’AGCM) per aver accettato un incarico prestigiosissimo in un settore economico strategico per l’Italia, nella società leader nazionale. Ha la giusta esperienza a livello politico, un background accademico di tutto rispetto, una reputazione ed un bagaglio tecnico su cui non possono essere mosse obiezioni. Ci si chiede, però, se un passaggio diretto di questo genere sia eticamente appropriato, senza un periodo di “raffreddamento” e con una carica politica ancora in corso. Un esempio virtuoso, uno dei pochi che si ricordi, è ad esempio quello del deputato di Forza Italia Alberto Giorgetti, sottosegretario all’Economia in tre governi (Berlusconi, Monti e Letta), con affidata la delega ai Monopoli (incluso quindi il gioco d’azzardo). Anche in quel caso, un gigante del settore (Lottomatica) pare avesse promesso una poltrona al sottosegretario nel giugno 2014, rifiutata da Giorgetti, anche per evitare polemiche che erano subito montate . Una mossa eticamente encomiabile.

Un’altra possibile riflessione può essere fatta sulla possibilità di prevedere una norma efficace sulle revolving doors nell’ordinamento nazionale, magari all’interno del provvedimento sulle lobby. Che però ieri ha visto l’ennesima battuta d’arresto, stanti le dichiarazioni della presidente della 1° commissione Affari Costituzionali del Senato Anna Finocchiaro sull’attuale ddl in discussione, con il testo-base del senatore ex M5S Orellana. Dopo settimane di rinvio della discussione, infatti, è stato annunciato che “per l’esame nel merito del disegno di legge di regolazione delle lobby bisognerà aspettare settembre, nonostante il ddl lobby non sia un tema divisivo”. L’ennesimo passo indietro per una regolamentazione richiesta a gran voce dai professionisti del settore, che sembrava arrivata ad una svolta dopo l’indiscrezione della virata su un testo governativo (il ddl Verducci), che sarebbe stato discusso dopo l’approvazione della riforma del terzo settore. Anch’essa, però, rinviata a settembre. La normativa renderebbe il passaggio tra incarichi trasparente e motivato, e favorirebbe lo spostamento del focus della discussione politica dal pericolo dello spettro della corruzione al premio del principio di meritocrazia.

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Guida al lobbismo tedesco http://www.lobbyingitalia.com/2015/05/guida-al-lobbismo-tedesco/ Mon, 04 May 2015 14:55:47 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2793 Concentrato nella capitale, attorno ai palazzi della politica, il mondo delle lobby cerca di influenzare le decisioni di governo e Bundestag.

Cominciarono a sbarcare all’aeroporto di Tegel a metà degli anni ’90: uomini tutti vestiti di scuro, giacca, cravatta e ventiquattr’ore d’ordinanza, come extraterrestri arrivati da mondi sconosciuti. Non passavano inosservati nella folla scapigliata che a quei tempi frequentava l’aeroporto berlinese, anche se il loro dogma è quello di muoversi nella maniera più discreta possibile. Anticipavano i tempi nuovi di una città che, di lì a poco, sarebbe tornata ad essere la capitale della Germania.

Lobbisti da ogni angolo del Paese e soprattutto da Bonn, la piccola cittadina di provincia che aveva certificato per 40 anni il ritorno della Germania Ovest alla democrazia. Ma anche dai capoluoghi occidentali dell’industria tedesca, Monaco, Stoccarda, Mannheim, Francoforte, Düsseldorf, Wolfsburg, Amburgo, dove hanno sede le imprese che contano e che hanno bisogno della politica per contare sempre di più. Lentamente si sono sparsi per Berlino, conquistando gli avamposti attorno ai nuovi palazzi del potere, in quel quartiere politico che negli anni ha visto sorgere la sede della cancelleria a forma di lavatrice, gli edifici che ospitano i parlamentari, nuovi e vecchi palazzi ministeriali e la cupola trasparente che l’archistar Norman Foster ha piazzato in cima al Reichstag: vetro e acciaio, simbolo di una politica senza macchia. Nei giorni di seduta parlamentare, i cittadini possono sbirciare nell’aula dal tetto. Ma forse non riescono a vedere tutto quel che vi accade.

I 690 mila euro donati dalla famiglia Quandt, maggiore azionista della Bmw, alla Cdu di Angela Merkel mentre il suo governo battagliava con metodi insolitamente spregiudicati in Lussemburgo per preservare la produzione delle auto di grossa cilindrata ha tempo fa riaperto le polemiche sul rapporto fra industria e politica. E su quanto quelle lobby insediatesi a Berlino influenzino le scelte del governo tedesco.

La geografia del lobbismo cittadino è stampata su una guida edita da Lobbycontrol, l’associazione tedesca più agguerrita nel contrastare il potere dei gruppi di interesse sui parlamentari. Si chiama Lobby Planet, è piena di puntini nel triangolo adiacente al Regierungsviertel (il quartiere governativo) che va dalla Unter den Linden alla Potsdamer Platz fino al Gendarmenmarkt, ed è più accurata e precisa della lista volontaria predisposta dal Bundestag, dove si sono registrate ufficialmente poco più di 2000 associazioni. Ad esse vanno aggiunte le agenzie di pubbliche relazioni, gli studi di avvocati, i think tank ma anche i sindacati, le associazioni ambientaliste, le organizzazioni non governative. I settori più battuti: automobili, energia, finanza, sanità, armamenti, chimica, tabacco, tutte branche in cui le aziende devono difendersi dalle leggi a tutela dei consumatori.

Nessuno conosce il numero preciso di quanti si muovono attorno ai palazzi della politica: «Un calcolo approssimativo ma abbastanza realistico stima 5000 persone», ha detto Timo Lang, uno dei responsabili di Lobbycontrol. Un mondo di portatori sani di interessi particolari che, attraverso i contatti con ministri e parlamentari, devono essere spacciati per interessi generali.

«Il problema è appunto la maglia di controllo», ha aggiunto Lang, «perché il lobbismo è parte integrante delle procedure decisionali di una democrazia: il conflitto fra interessi contrapposti può portare a soluzioni equilibrate». Ma la zona grigia in cui i lobbisti possono muoversi, specie se corroborati da ingenti somme di denaro o da favori e privilegi personali da elargire, può produrre un veleno esiziale. «Le aziende non donano, investono», ha sostenuto un esperto del settore come il professore di diritto Martin Morlok. E infatti, appena arrivati al governo del Baden-Württemberg, anche i Grünen si sono visti moltiplicare il finanziamento dalla Südwestmetall, l’associazione che riunisce le industrie metallurgiche ed elettriche della regione: dai 12 mila euro degli anni passati ai 120 mila euro tra il 2011 e il 2012.

Dal punto di vista della trasparenza, la legge tedesca fa acqua da molte parti. Nel 2004 il governo rosso-verde di Gerhard Schröder inaugurò un programma di scambio fra politica e industria: per un tempo limitato, rappresentanti dei ministeri e delle aziende private si sarebbero scambiati le scrivanie per conoscere meglio le rispettive strutture e procedure di lavoro. Tempo qualche mese e venne fuori il primo scandalo: si scoprì che una giurista di una banca di investimenti privata prestata al ministero delle Finanze (a quei tempi guidato dal socialdemocratico Hans Eichel) aveva collaborato alla redazione della legge che legalizzò in Germania i fondi speculativi, fino a quel momento vietati sul mercato tedesco. Nello stesso anno un collaboratore della Daimler, ancora a busta paga dell’azienda, copiò documenti e rapporti interni al ministero dei Trasporti nel momento in cui veniva introdotto il bollo autostradale per i camion.

Da allora le abitudini non sono molto cambiate, nonostante nel 2008 il governo di Grosse Koalition abbia introdotto per lo scambio un limite di 6 mesi e la legge vieti che i collaboratori esterni siano impiegati in ministeri che trattano argomenti in conflitto di interesse con l’azienda di provenienza. Ma i politici non sono degli esperti e i lobbisti rappresentano merce preziosa per la consulenza. Quanto più forti sono le strutture di consulenza dei ministeri o del parlamento, tanto meno c’è bisogno di ricorrere a forze da fuori. Ma nella prima metà del 2013 erano ancora 39 collaboratori esterni a frequentare le stanze dei dicasteri tedeschi. Una riduzione sensibile rispetto ai 70 del 2011 e ai 300 dei primi anni. Ma il numero di coloro che provenivano da aziende private è passato nello stesso lasso di tempo da 5 a 10. In questi conteggi mancano peraltro i collaboratori provenienti da aziende pubbliche, anch’esse a rischio di conflitto d’interessi. E non tutti rispettano il limite di 6 mesi imposto dal regolamento.

La Corte dei conti ha tirato le orecchie ai ministri, imponendo di ridurre il numero degli apporti esterni e di valutare criticamente l’impiego di quanti provengono da imprese pubbliche. Ma la diminuzione dei collaboratori esterni non implica automaticamente una perdita di influenza delle lobby. Alcuni ministri impiegano lobbisti di lunga esperienza in posti chiave dei loro dicasteri: è stato il caso del liberale Philipp Rösler che quando era alla Sanità ha piazzato al vertice il numero 2 dell’associazione delle assicurazioni sanitarie private.

Il salto dal mondo delle lobby alla politica è controbilanciato da un movimento migratorio contrario. Non si contano più gli ex politici passati in breve tempo al servizio delle imprese. Daniel Bahr, ex ministro liberale alla Sanità, è finito sotto contratto del gruppo Allianz, che offre anche assicurazioni sanitarie. Katherina Reiche, Cdu, attualmente sottosegretario ai Trasporti, passerà a guidare dal settembre 2015 l’Associazione degli imprenditori comunali. Kurt Beck, presidente della fondazione dell’Spd Friedrich Ebert e fino a dicembre 2012 ministro-presidente Spd della Renania-Palatinato, da giugno 2013 è stato ingaggiato dalla casa farmaceutica Boehringer Ingelheim che ha sede nella stessa regione. Eckart von Klaeden, nello scorso governo ministro di Stato della cancelliera (l’equivalente del nostro sottosegretario alla presidenza del Consiglio) è emigrato alla Daimler appena partita la Grosse Koalition. Ma la lista è lunga: Roland Koch (Cdu) è passato dalla guida dell’Assia al gruppo edile Bilfinger, Friedrich Merz, ex capogruppo Cdu poi emarginato dalla Merkel, ha costantemente saltellato fra politica e avvocatura, trovandosi al centro dell’acquisizione di parti della banca pubblica WestLB, Wolfgang Clement (Spd) transitò dal ministero che si occupava di energia al consiglio di amministrazione di una società del gruppo energetico Rwe. Per finire ai casi più clamorosi: Gerhard Schröder, passato in poche settimane alle dipendenze di Nord Stream, la società partecipata da Gazprom che ha costruito la pipeline sotto il Mar Baltico approvata proprio dal suo governo e Joschka Fischer, l’ex ribelle dei verdi che una volta lasciata la politica ha prestato la sua opera di lobbista a Siemens, Bmw e ai due consorzi energetici Rwe e Omv. Per loro conto ha sponsorizzato il fallimentare progetto della pipeline Nabucco e per un certo periodo si è trovato a duellare con il suo vecchio cancelliere Schröder, il cui gruppo appoggiava il progetto alternativo di South Stream.

«C’è bisogno di regole nuove per adeguare la legislazione sulle lobby ai cambiamenti intervenuti negli ultimi anni», ha detto Christina Deckwirth di Lobbycontrol. Una proposta, appoggiata anche da Trasparency International, riguarda l’introduzione di un intervallo di 3 anni fra l’attività politica e quella lobbistica. Un periodo sufficiente per evitare che il politico porti con sé informazioni riservate, contatti e conoscenze maturate negli anni della sua attività pubblica. Un’altra proposta riguarda l’introduzione di un registro obbligatorio per associazioni e lobbisti, che sostituisca l’inutile lista del Bundestag e fornisca a parlamentari e opinione pubblica la mappa di chi opera attorno ai centri di potere. Il governo invece lavora a un progetto tutto suo che vorrebbe portare nei prossimi mesi in parlamento: prevede obblighi di denuncia e valutazioni del governo stesso. I tempi però si stanno allungando.

Fonti: Rassegna Est e Limes

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Lobbying: anche la Spagna tra le meno trasparenti d’Europa http://www.lobbyingitalia.com/2015/04/lobbying-anche-la-spagna-tra-le-meno-trasparenti-deuropa/ Thu, 30 Apr 2015 07:56:41 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2787 Le lobby spagnole sono appena al di sopra di Cipro, Italia e Ungheria per quanto riguarda la trasparenza, l’integrità e la parità di accesso dei gruppi di interesse a funzionari pubblici; tre aree in cui la Spagna ha ottenuto solo 21 punti su 100, contro i 55 della Slovenia, il Paese con il punteggio più alto. 

Il quadro emerge dal rapporto “La lobby in Europa – influenza occulta e accesso privilegiato”, realizzato dall’organizzazione internazionale Transparency International in Spagna.

L’aspetto peggiore rilevato nel Paese iberico è quello relativo alla trasparenza, che ottiene solo dieci punti su 100, sia da parte delle autorità pubbliche (per quanto riguarda l’accesso alle informazioni, alla registrazione obbligatoria dei lobbisti e sanzioni), sia per i soggetti che esercitano attività di lobbying. Jesus Lizcano Alvarez, presidente di Transparency International Spagna, suggerisce che questa sezione della trasparenza riguarda “l’agenda pubblica e il procedimento legislativo”, vale a dire, i passi che attraversa una proposta per diventare legge o, nelle parole di Lizcano, “sapere come vengono prese le decisioni in Spagna” nell’attuale “mancanza di informazioni”.

Nella sezione sull’integrità, la Spagna ottiene 35 punti, perché ci sono norme relative all’attività dei dipendenti pubblici prima e dopo l’esercizio del loro ufficio, anche se la relazione rileva che non sono attuate in ogni caso. Manuel Villoria, membro di Transparency International in Spagna, afferma che è necessario che si regolassero le “incompatibilità dei deputati, senatori o parlamentari” e il “conflitto di interessi”, dopo che è stato noto che Vicente Martínez-Pujalte e Federico Trillo possedessero un’impresa di costruzioni mentre dichiaravano rispettivamente 75.000 e 354.000 €. “Sono stati poco regolamentati i conflitti di interesse. Tutti i parlamentari dovrebbero pubblicare i loro redditi durante il loro periodo nel Congresso o al Senato”, dice.

Inoltre, Lizcano afferma che Transparency International Bruxelles ha fatto uno studio che analizza le attività degli eurodeputati, da cui si evince che “hanno un sacco di attività complementari aggiunte alla loro carica istituzionale”.

Il livello di parità di accesso ai rappresentanti pubblici da parte dei cittadini e dei gruppi di interesse in Spagna si attesta al 17%. Una sconfitta clamorosa se si pensa all’importanza della consultazione e della partecipazione del pubblico ai processi decisionali, e alla composizione dei gruppi di esperti e di consulenza.

Il contesto europeo

In questo senso, l’analisi affronta anche il fenomeno delle revolving doors e invita tutti i Paesi a stabilire un minimo di “periodo di cooling-off” che sia necessario prima che i funzionari pubblici e rappresentanti eletti siano in grado di giocare un ruolo di lobbisti, per evitare che possano creare conflitti di interessi. Lo studio ha utilizzato 65 indicatori, sono state analizzate le regolamentazioni dei diversi Paesi e interviste sono state condotte per completare il report.

Lo studio afferma che “la mancanza di regolamentazione del lobbying in Europa promuove la corruzione” e sollecita a “intraprendere riforme urgenti” in relazione a questi gruppi, dato che solo sette paesi su 19 tra i membri dell’Unione europea hanno regolamentato questo aspetto.

“Le istituzioni europee sono novità abbiamo inserito nello studio”, ha detto alla presentazione del rapporto Ana Revuelta, coordinatore del progetto per Transparency International Spagna insieme a Jesus Sanchez Lambas. Delle tre principali istituzioni europee, la Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione Europea, è promosso solo il primo con 53 punti. “È una sorpresa che la Commissione sia a un livello superiore rispetto al Consiglio (19 punti) e al Parlamento europeo (37).

Fonte: El Mundo

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Lobbying in Ue, Slovenia campione di trasparenza (Lettera43) http://www.lobbyingitalia.com/2015/04/lobbying-in-ue-slovenia-campione-di-trasparenza-lettera43/ Wed, 22 Apr 2015 17:49:30 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2772 È il primo Paese del report: 55 punti su 100. Male l’Italia, nelle ultime cinque posizioni.

(Gianluca Comin) Ho scritto sulla differenza tra il modo di fare lobby in Europa e negli Stati Uniti e ho lanciato più volte un appello per istituire una regolamentazione chiara ed efficace della “rappresentanza di interessi” nel nostro Paese. A tentare di fare luce sullo stato dell’arte delle politiche in materia di lobbying in Europa ci ha pensato Transparency International, think tank che fa della «lotta alla corruzione in un’ottica internazionale» la sua missione.

TRE ISTITUZIONI E 19 PAESI

Il 15 aprile 2015 Transparency ha presentato a Bruxelles il primo report sul lobbying in Europa, dal titolo ‘Lobbying in Europe: Hidden Influence, Privileged Access’, che analizza e confronta i sistemi di regolamentazione del lobbying di 19 Paesi dell’Unione europea, più le tre principali istituzioni politiche a livello comunitario: il parlamento, la Commissione e il Consiglio dell’Unione europea.

TRASPARENZA PRIMO CRITERIO

Sono tre gli assi principali sui quali si basa l’analisi dei livelli di regolamentazione e apertura di un Paese nei confronti del lobbying. La trasparenza: cittadini e gruppi d’interesse hanno la possibilità di sapere chi sta influenzando le decisioni pubbliche, su quali questioni, in che modo e con quali risorse. Integrità: lobbisti e funzionari pubblici sono soggetti a norme chiare ed effettive in materia di lobbying. Parità di accesso: il processo decisionale è aperto a una pluralità di voci che rappresentano un’ampia gamma d’interessi.

L’ITALIA ARRANCA SEMPRE

L’indagine presentata a inizio novembre 2014 da Transparency Int. sulla situazione del lobbying in Italia mostrava come il nostro Paese non andasse oltre un punteggio totale di 20 su 100, dovuto in parte a un risultato molto basso nella trasparenza (11%). Le conclusioni del nuovo rapporto comunitario non sono più rassicuranti. I due terzi dei Paesi non possiede una regolamentazione in materia, e i sette Paesi che ne hanno attuata una (Austria, Francia, Irlanda, Lituania, Polonia, Slovenia e Regno Unito) si dimostrano in gran parte inadeguati, dal momento che non raggiungono gli standard richiesti dallo studio.

LA MEDIA È SOLO DEL 31%

Basta pensare che la media overall dei 19 Paesi più le tre istituzioni è solo del 31%. Se ci addentriamo nel report ci accorgiamo come un solo Paese – la Slovenia – assieme alla Commissione europea, raggiunga un punteggio superiore al 50%. Nelle ultime cinque posizioni si trovano invece la maggior parte degli Stati al centro della crisi finanziaria (Cipro 14%, Italia 20%, Spagna 21% e Portogallo 23%), accompagnati dall’Ungheria (14%).

MALE IL CONSIGLIO DELL’UE

Sorprendente, in negativo, anche la performance del Consiglio dell’Ue, tra le più potenti istituzioni d’Europa, che si classifica terzultima con un media di 19 punti su 100. Uno degli aspetti più critici riguarda proprio la trasparenza, con il 50% dei Paesi coinvolti che registra un punteggio inferiore al 20%, tra i quali Cipro (7%), Ungheria (8%), Spagna (8%), Italia (11%), Portogallo (13%), Germania (13%), Bulgaria (13%), Repubblica Ceca (19%), a cui si aggiunge appunto il Consiglio dell’Ue con un misero 17%.

IN 10 HANNO IL REGISTRO PUBBLICO

Una classifica impietosa dovuta anche al fatto che solo 10 su 19 possiedono un registro pubblico dei portatori di interesse (o lobbisti), fattore che influenza non poco le variabili che determinano il livello di trasparenza dei Paesi considerati. I politici si muovono liberamente tra pubblico e privato. Come emerge dall’indagine le attività di advocacy e influenza si svolgono ancora oggi per la maggior parte a porte chiuse, lontane da occhi indiscreti e senza la possibilità di un controllo pubblico. Inoltre in tutta Europa i politici sono in grado di muoversi liberamente dal settore pubblico a quello privato.

REVOLVING DOORS

È il cosiddetto fenomeno delle “Revolving doors”, che dovrebbe prevedere “periodi di attesa” al termine del mandato per politici e alti funzionari pubblici, durante il quale non può essere loro consentito effettuare attività di lobbying nei confronti dell’istituzione in cui hanno svolto le proprie funzioni. Il rapporto rivela che nessuno degli Stati valutati ha un controllo adeguato su questa pratica, e in quattro Paesi non è addirittura presente un minimo di regolamentazione in materia. Naturalmente il fatto di sentirci meno “soli” nella mancanza di una seria regolamentazione in materia di lobbying non ci deve consolare affatto.

PETIZIONE PER UNA LEGGE

I professionisti del mestiere devono continuare a esigere una legge chiara e certa in grado di tutelare non solo la trasparenza, ma anche la professionalità di tutta la categoria. Proprio per questo è bene segnalare che tra le iniziative promosse da Transparency International Italia, il think tank ha da poco lanciato una petizione online attraverso la piattaforma Change.org, per regolamentare la lobby in Italia, che ha raggiunto già 232 sostenitori.

Twitter @gcomin

Fonte: Lettera43

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