Forse sarà “l’ennesimo tentativo non riuscito” di mettere le mani su un aspetto molto delicato e importante della nostra macchina legislativa. Eppure il dato inconfutabile è che questa volta esiste un testo base condiviso – si dice – tra le diverse proposte emerse nei mesi scorsi (una decina i DDL già presentati solo in questa legislatura).
E c’è una data, il 23 aprile, per presentare emendamenti e oltrepassare almeno il primo scoglio, ovvero il voto in Commissione Affari costituzionali al Senato. Il Disegno di legge Disposizioni in materia di rappresentanza di interessi presso i decisori pubblici, del quale sono autori i senatori Orellana e Battista (ex M5S, ora rispettivamente Gruppo Misto e Autonomie), sembra davvero imprimere un’accelerata all’annoso tema della regolamentazione della rappresentanza di interessi.
Si tratterebbe, ove approvato, della creazione di un quadro regolatorio sui rapporti fra le Istituzioni e i gruppi di pressione, togliendoli dal cono d’ombra nel quale ora si trovano. Riconoscere innanzitutto istituzionalmente il lobbying e i lobbisti, e il loro ruolo, per fare sì che questi soggetti diventino formali interlocutori della politica sui temi che rappresentano.
Una legge importante, di cui l’Italia ancora non si è dotata, a differenza di altri Paesi dove il rapporto politica-lobby è pienamente compresa e regolamentata come parte del gioco democratico.
La proposta: un Registro dei lobbisti e un Comitato di controllo
Innanzitutto, il disegno di legge in questione istituisce un Comitato per il monitoraggio della rappresentanza di interessi presso Palazzo Chigi. Ruolo del Comitato, composto da quattro funzionari e che opportunamente prevede un ricambio dei componenti ogni quattro anni, è di gestire il Registro obbligatorio dei portatori di interesse. Ciascun portatore di interesse presenterà un proprio Codice di Condotta, posto al vaglio del Comitato (ma qui ci permettiamo di suggerire: perché non un Codice analogo per tutti?).
I soggetti iscritti al Registro avranno accesso a una Banca dati con le informazioni di interesse sui vari dossier normativi, ma soprattutto vedranno finalmente riconosciuta la prerogativa di poter partecipare ufficialmente all’attività legislativa con proposte di modifica, invio di note e analisi, richieste di incontro. Spunto interessante, la possibilità di partecipare alle attività di analisi e verifica dell’impatto della regolamentazione.
Le incompatibilità
Il disegno di legge affronta il tema delle incompatibilità, cercando di regolamentare innanzitutto il “revolving door”, fenomeno per cui dirigenti della Pubblica Amministrazione ed esponenti politici passano a ruoli decisionali in soggetti privati, portando con sé un prezioso e sensibile bagaglio di relazioni e informazioni.
Per loro, si istituirebbe un divieto di iscrizione al Registro per i due anni dalla data di cessazione dell’incarico pubblico. Troppo poco? Forse, ma il minimo accettabile è comunque garantito. Ciò che desta perplessità è invece il divieto di svolgere attività di rappresentanza di interessi imposto a giornalisti, pubblicisti o professionisti, iscritti all’Ordine.
Non si coglie in questa circostanza quale elemento debba precludere a chi scrive (o magari è solo iscritto all’ordine) di tutelare interessi particolari. Una modesta critica, che scaturisce anche dalla riflessione sulla complessità del mondo dell’informazione di oggi e sugli elastici confini ormai assunti dal giornalismo ai tempi del Web 2.0.
Gli articoli che riguardano le Sanzioni e l’Attività di vigilanza chiudono il Disegno di Legge che, per quanto migliorabile, ha l’indubbio merito di non approcciare la materia in termini punitivi (a differenza di alcune proposte che ad esempio attribuivano il coordinamento all’Autorità Nazionale Anticorruzione, tradendo una certa diffidenza aprioristica nei confronti del lobbying).
Fonte: Giovanni Galgano, Public Affairs Advisors – Formiche.net
]]>Influenze nascoste. Accessi privilegiati e opachi ai decisori pubblici. Un terreno dove la trasparenza è solo una pia illusione. Lobby, siamo ancora al punto zero. Perché il quadro che emerge da “Lobbying in Europe”, l’ultimo rapporto di Transparency International, mostra che in Europa solo sette paesi possiedono forme di regolamentazione dei fenomeni lobbistici. E l’Italia è al terz’ultimo posto tra le diciannove nazioni analizzate. Una primato negativo. Superabile solo con la messa in essere di norme che prevedano – e sono queste le richieste della sezione italiana di Ti – un registro pubblico e obbligatorio dei lobbisti, chiarezza negli incontri tra i lobbisti e i membri del Parlamento o i pubblici ufficiali, e la “regolamentazione del fenomeno delle porte girevoli”. Norme necessarie anche per combattere la corruzione.
Un freno per le riforme. Peggio di noi, solo Cipro e l’Ungheria. Nel rapporto si legge: “L’Italia, insieme a Portogallo e Spagna, è tra i cinque Paesi con i punteggi peggiori e dove le pratiche di lobbying e i rapporti tra il settore pubblico e finanziario sono particolarmente a rischio”. Pratiche che possono mettere a rischio l’intero impianto delle riforme istituzionali ed economiche. Per Transparency International, infatti, esse sono state “significativamente ridimensionate anche a causa dell’azione e delle pressioni dei maggiori attori del settore”. Pressioni che “creano terreno fertile per una cerchia ristretta di poteri in grado di far valere in maniera indebita i propri interessi particolari”, dice Virginio Carnevali, presidente di TI.
I casi negativi. Tra le cattive pratiche di lobbying segnalate in Italia, quella dell’industria del gioco d’azzardo, “nelle cui file dirigenziali non è difficile trovare ex-politici”. Che grazie alla loro influenza sugli attuali membri del Parlamento hanno fatto sì che “le riforme del settore che andavano a favore dell’interesse pubblico” venissero ritirate. Altro caso, quello dei trasporti. Ancora dal rapporto di TI: “La totale assenza di regole sul lobbying ha impedito negli anni una liberalizzare del settore dei taxi”. E, anche in questo caso, “regole chiare e maggior trasparenza avrebbero potuto garantire a tutti i portatori di interesse pari opportunità di partecipazione al processo decisionale”.
Porte girevoli. Nota dolente, il passaggio dal sistema pubblico a quello privato e viceversa. Una dinamica non regolata che consente da un lato di sfruttare “informazioni pubbliche” per favorire interessi privati e dall’altro di “incidere grazie alle conoscenze acquisite” sulle decisioni pubbliche anche se oramai non si è più dirigenti dello Stato. Dinamica così spiegata nel rapporto: “In Italia in particolare è abbastanza facile passare dal settore pubblico al privato e viceversa, consentendo in questo modo a ex-pubblici ufficiali di andare ad esercitare attività di lobbying nei confronti dei loro passati datori di lavoro”.
La questione del finanziamento ai partiti. E una legislazione sul lobbying diventa sempre più necessaria anche in relazione alla migrazione da un sistema pubblico di finanziamento alla politica a uno prevalentemente privato. “A fronte di moltissime proposte di legge, in questi anni è stato invece fatto pochissimo nel concreto: sono i diritti e gli interessi basilari dei cittadini che vengono chiamati in causa e che necessitano di essere protetti con una norma ben scritta”, dice Davide Del Monte, direttore di Transparency International Italia.
La petizione. Infine, le raccomandazioni. Cinque passi verso una maggiore trasparenza. Cinque regole necessarie anche per impedire l’aumento di fenomeni legati alla corruzione. Si va dall’adozione di “un ampio e completo sistema di regolamentazione del lobbying” fino all’introduzione di “registri obbligatori dei lobbisti”. Passando dalla “tracciabilità e la pubblicizzazione di tutti gli interessi che hanno influenzato una legge”, dallo stabilire “periodi di attesa minimi durante i quali non sia consentito ai pubblici ufficiali e agli ufficiali eletti esercitare attività di lobbying” e dalla pubblicazione dei loro “legami politici”. Raccomandazioni sostenute anche dai cittadini italiani. Transparency International ha infatti lanciato la petizione Trasparenza nel lobbying, disponibile su Change.org.
]]>Gianluca Sgueo, giovane giurista, autore tra l’altro di Lobbying & lobbismi. Le regole del gioco in una democrazia reale (Egea, 2012), spiega: «Inserire delle regole per regolamentare e limitare il fenomeno delle sliding doors dovrebbe essere uno dei capisaldi di una legge che intenda occuparsi seriamente della disciplina dell’attività di lobbying». Spiega ancora Sgueo: «Il primo obiettivo è quello di impedire che eventuali conflitti di interesse distorcano la concorrenza tra imprese nel momento in cui l’ex titolare di incarico pubblico si avvale del proprio bagaglio di conoscenze e informazioni (talora riservate) per il beneficio dell’azienda per cui lavora.
Il secondo risponde alla necessità di evitare il rischio che la fuga di cervelli dal pubblico al privato possa influire sull’efficienza delle amministrazioni, che si vedrebbero private di figure chiave senza la possibilità di trovare sostituzioni adeguate in tempi brevi. Certo, introdurre dei divieti totali, previsti in alcuni ordinamenti pe i vertici statali, rischia di limitare il diritto alla mobilità del lavoro. In molti Stati, come l’America o la Francia, sono stati introdotti dei periodi cosiddetti di raffreddamento, uno stop alla possibilità di assumere incarichi privati, che possono andare da sei mesi a due anni. In altri casi si è previsto una sorta di registro in cui vengono pubblicate tutte le informazioni riguardanti i possibili e pregressi conflitti di interesse».
Fonte: Avvenire
]]>A Bruxelles le lobby non crescono solo all’interno delle istituzioni ma anche nelle aiuole. In rue Wiertz, appena fuori dal parlamento europeo, c’è un albero. A piantarlo nel 2001 è stata la Society of european affairs professionals (Seap), l’organizzazione che riunisce i lobbisti europei. Alla sua base una targa celebra l’importanza della discussione nel processo decisionale.
E per raggiungere l’obiettivo, si legge, sono necessarie «determinazione, pazienza e dedizione». Le stesse qualità che gli attivisti di Alter Eu (Alliance for lobbying transparency and ethics regulation) usano per ricordare ogni giorno ai politici europei il pericolo di essere comandati dalle lobby. E, soprattutto, di farne parte.
LA REVOLVING DOOR. Un rischio quanto mai reale soprattutto in questo periodo. Con le elezioni europee di maggio, infatti, il turnover al parlamento e alla commissione innesca l’attivazione di quello che i watchdog chiamano revolving door (le porte girevoli).
Un meccanismo ormai noto che vede il passaggio diretto di alcuni politici dalle poltrone delle istituzioni europee a quelle di multinazionali, società di consulenza e studi legali. Organizzazioni che spesso reclutano ex deputati, alti funzionari e commissari proprio per sfruttarne il know how e la loro influenza nei palazzi del potere.
Il 18 dicembre 2013 Michel Petite, responsabile del servizio legale della Commissione e presidente del comitato etico dell’Unione europea si è dovuto dimettere a causa di un conflitto di interessi.
Il network, infatti, è fondamentale per riuscire a fare lobbying e incidere efficacemente sulle decisioni che vengono prese in sede europea.
«Oggi, degli ultimi 28 ex commissari, sei lavorano per le lobby», dice a Lettera43.it Paul De Clerck coordinatore della Ong Friend of the Earth e membro del direttivo Alter Eu, l’associazione che non solo lotta per una maggiore trasparenza del Registro delle lobby, ma vigila sul conflitto di interessi dei politici europei.
In questi giorni Alter Eu sta inviando una lettera-memorandum a tutti e 28 i commissari per ricordare loro che, una volta lasciato l’incarico istituzionale, devono aspettare almeno 18 mesi prima di impegnarsi in un campo simile a quello in cui lavoravano a Palazzo. Così almeno stabilisce il codice di condotta, che Alter Eu chiede però di modificare estendendo il periodo a tre anni.
L’INDENNITÀ DI TRE ANNI. «La Commissione», ricorda De Clerk, «mette a disposizione un fondo per gli ex commissari che possono usufruire di una indennità transitoria per tre anni nel caso non trovassero un’altra occupazione». Una sorta di ammortizzatore che potrebbero utilizzare anziché decidere di lavorare per le lobby dopo appena 18 mesi.
I numeri spiegano meglio il fenomeno. In quattro anni ci sono stati almeno 343 casi in cui la Commissione ha esaminato i possibili conflitti di interesse. Nel solo 2011, ben 105 funzionari hanno richiesto l’autorizzazione per lavorare in un campo simile a quello in cui erano impegnati in Commissione. Ottanta casi hanno avuto il via libera, 24 sono stati autorizzati con restrizioni e condizioni, e solo uno è stato rifiutato. Nel 2012 su 108 richieste una è stata respinta; nel 2013, davanti a 133 possibili casi di conflitti di interessi, la Commissione ha imposto delle limitazioni solo a 30.
IL CASO DI MCCREEVY. Uno dei casi più noti è quello dell’ex commissario europeo per la regolamentazione del mercato finanziario Charlie McCreevy: fu assunto dalla Bank of New York Mellon (BNY Mellon) nell’aprile 2011, appena 12 mesi dopo aver lasciato la sua poltrona in Commissione. Poco prima era stata respinta la sua richiesta per un incarico presso il gruppo di investimenti Nbnk a causa di un conflitto di interessi.
(© Alter Eu) Alter Eu ha chiesto al presidente Barroso di mettere in atto nuove regole per impedire ai commissari europei di passare dopo le elezioni del 2014 attraverso la porta girevole.
Il caso più recente, invece, è stato quello di Michel Petite, responsabile del servizio legale della Commissione e presidente del comitato etico dell’Unione europea. Incaricato di limitare l’influenza dei lobbisti e vigilare proprio sui casi di revolving door, il 18 dicembre 2013 Petite si è dovuto dimettere a causa di un conflitto di interessi. Durante il suo incarico come avvocato per lo studio Clifford Chance, aveva difeso davanti alla Commissione europea gli interessi della Philip Morris (cliente dello studio legale).
ABOU E LA CHIAMATA CINESE. A passare dall’altra parte della barricata è stato anche il francese Serge Abou, che dopo una lunga carriera nelle istituzioni europee, prima come direttore generale alle relazioni esterne poi come ambasciatore della Commissione in Cina, nel 2011 anziché godersi la pensione, ha iniziato a lavorare per la compagnia cinese della telefonia Huawei.
Infine, della prima commissione presieduta da Josè Manuel Barroso è passato attraverso la ‘porta girevole’ anche Günter Verheugen, ex commissario per l’Industria e l’impresa, che ha fondato assieme al suo ex capo di gabinetto (Petra Erler) la European experience company, una società di consulenza e lobbying.
FUNZIONARI E ASSISTENTI SALTANO IL FOSSO. Secondo Alter Eu non bisogna però preoccuparsi solo del futuro del presidente Barroso, una volta lasciata Bruxelles. Il passaggio attraverso le porte girevoli di commissari e deputati è infatti frequente, ma almeno viene monitorato con più attenzione. A sfuggire al controllo è invece quello di funzionari e assistenti.
Le lobby fanno un vero e proprio scouting tra gli assistenti dei politici, che spesso conoscono anche meglio dei deputati il funzionamento del sistema parlamentare, scrivono gli emendamenti, interagiscono con i gruppi di pressione. Alla porta dei quali vanno a bussare quando finiscono il mandato, passando da una busta paga da 1.800 euro al mese a stipendi che spesso sono anche il triplo.
IL REGOLAMENTO DISATTESO. Eppure nel codice etico è stabilito che al fine di evitare possibili conflitti di interesse le lobby devono ottenere il consenso preliminare del deputato prima di assumerne l’assistente e, successivamente, dichiararlo nel Registro per la trasparenza.
Richiesta, finora, disattesa. «Anche su questo ci siamo lamentati, ma nessuno ci ha preso in considerazione», conclude De Clerck.
Leggi la prima parte dell’inchiesta:
]]>Timo Large, portavoce di LobbyControl, società impegnata per la regolamentazione del lobbying, in relazione ai fatti, ha ovviamente sollevato il problema del cooling off, quel periodo di inattività che i decisori pubblici dovrebbero rispettare prima di passare al settore privato e del lobbying.
Ma i casi sono molteplici, sempre in Germania, ad esempio, quando il socialdemocratico Gerard Schroder, perse le elezioni del 2005 contro la Merkel, non aspetto più di due settimane prima di diventare presidente del cda della Gazprom, azionista di maggioranza per la costruzione di North Stream, il progetto del gasdotto che, attraverso il Baltico, fa arrivare il gas direttamente dalla Russia in Germania.
Se ci volessimo spostare a livello europeo, come non citare il recente caso Thimann, che in questi giorni, da consigliere di Mario Draghi, presso la BCE, ha assunto il ruolo di capo dell’ufficio strategico e delle relazioni istituzionali per AXA, la grande compagnia assicurativa.
Le revolving door
E’ definita così:
il continuo movimento di individui fra attività politica (ad esempio come legislatori), attività come funzionari in enti di regolamentazione, attività economica nelle industrie coinvolte e lobbying per le stesse industrie. In alcuni casi, lo stesso individuo svolge più di un ruolo contemporaneamente. Molti politologi sostengono che questa pratica può causare lo sviluppo di rapporti tra settore privato e governo basati sul clientelismo (vedasi capitalismo clientelare) o sul conflitto di interessi. Tali rapporti indebiti vanno a discapito dell’interesse generale; inoltre, possono causare una generale soggezione dei supervisori alle industrie regolamentate, detta regulatory capture (vedy OpenSecrets.org).
La revolving door è una delle condizioni più favorevole con cui i lobbisti possono influenzare i decisori pubblici ed in particolare l’agenda politica europea.
La mancanza di una regolamentazione adeguata ha portato, nel 2012, alla vicenda di Gayale Kimberley che adesso è sottoposta al RevolvingDoorWatch. Infatti, Kimberley, avvocato per il Consiglio europeo, durante un anno sabbatico, si è impegnata nell’attività lobbistica con la Swedish Match, restando coinvolta in uno scandalo tra la società di tabacco e il Commissario europeo della sanità Dalli. Vincenzo Salvatore invece, prima di lavorare per Sidley Austin LLP come consulente sulle procedure europee che regolano l’industria farmaceutica, era capo dell’ufficio legale dell’Agenzia europea per i medicinali. Come Salvatore, anche Thomas Lonngren dall’EMA è passato alla Pharma Executive Consulting Ltd. Derek Taylor da direttore generale per energia e trasporti nella Commissione europea è andato a lavorare, sempre in campo energetico, per la società di lobbying Burson-Masteller.
In Canada e Gran Bretagna è previsto l’obbligo di far trascorrere un periodo di cooling off dai 2 ai 5 anni prima di passare dal settore pubblico a quello privato. Nonostante ciò, nel dicembre scorso, il capo della Canadian Security Intelligence Service, Chuck Strahl si è registrato con la sua società (Chuck Strahl Consulting) come lobbista provinciale. Tutto ciò perché l’agenda di governo prevedeva la Joint Review Panel del National Energy Board del progetto Enbridge Northern Gateway Pipeline, dove la società energetica di Engridge risulta essere cliente della C. Strahl Consulting.
Negli Stati Uniti, appena Obama salì alla presidenza, firmò due executive orders per limitare ulteriormente il fenomeno del revolving door rispetto a quanto stabilito dall’Honest Leadership and Open Governament Act del 2007: cooling off di un anno per i membri della Camera e di due per quelli del Senato, di otto anni per i capi di S.E.C. e F.D.I.C..
Da quest’anno 250 ex dipendenti del Congresso americano, possono intraprendere legalmente l’attività lobbistica. Il problema è che già collaboravano con le società di K Street. Questo perché non vi è l’obbligo di registrarsi come lobbisti se la propria consulenza non supera il 20 per cento di tempo lavorativo per ogni singolo cliente. Questo consentiva loro di fare lobbying e contemporaneamente avere i privilegi del passeggiare tranquillamente nei corridoi del Congresso. Così, Cliff Stearn, dalla Commissione per l’Energia e il Commercio si è messo a fare consulenza privata nel settore delle telecomunicazioni e tecnologia; Norm Dicks, membro della commissione Stanziamenti, figura addirittura come consulente anziano della Van Ness Feldman, e ci sono tanti altri esempi come loro.
E in Italia?
(segue)
]]>(The New York Times) E’ stata definita “corrotta”, “corrosiva” e “pericolosa per la nostra salute”. Ma la revolving door di Washington continua a girare.
Numerosi procuratori, regolatori, assistenti parlamentari, continuano ad entrare attraverso la metaforica porta che fa viaggiare rappresentanti dell’amministrazione avanti e indietro col settore privato. I funzionari in questione si mettono quindi alle spalle la loro vita al servizio del settore pubblico per un salario a sei zeri in studi legali e società di lobbying, facendone uno stile di vita a Washington e a Wall Street.
Il libero mercato idealmente indica questo scambio continuo come perfettamente legale, se non come desiderabile. Perché dei relativamente sottopogati impiegati pubblici non dovrebbero cedere le proprie competenze per una paga migliore, e forse anche ua vita migliore, nel settore privato?
Mentre è comunque possibile per loro farlo, rimane il timore che questa “revolving door” spinga alla creazione di quella sorta di cultura da club in cui regolatori e procuratori possano andarci leggeri ad esempio sulle banche in vista di lavori futuri. E una volta passati nel privato – affermano i critici – c’è la possibilità che possano esercitare un’influenza non adeguata sui propri ex colleghi ancora in carica.
Il problema sta da entrambe le parti. Il pubblico è allo stesso modo scettico in relazione agli interessi degli avvocati di Wall Street che vanno a fare i regolatori per la Securities and Exchange Commission (la CONSOB americana, NdT), essendoci il pensiero che questi non taglino mai realmente i ponti con l’industria di provenienza.
Per rispondere a queste questioni, alcuni gruppi per la trasparenza, ex funzionari pubblici e persino la Casa Bianca, stanno spingendo delle policies mirate a meglio proteggere l’interesse pubblico. L’amministrazioen Obama fatto i primi passi al riguardo, aumentando le restrizioni per i funzionari di nomina presidenziale.
Ora però, gruppi quali Public Citizen e Project on Government Oversight, puntano a qualcosa in più, a restringere ancor di più la revolving door, a partire da un aumento dello stipendio per alcuni funzionari pubblici sino a $400,000. Tra le policies proposte ci sono poi la richiesta alle agenzie di rendere pubbliche via web le riunioni con i lobbisti delle industrie e aumentare il periodo d- attualmente di un anno – di cooling off, il pempo cioè prima del quale un funzionario non può assumere un incarico in un’azienda privata precedentemente sottoposta al suo controllo.
La proposta più recente è di Sheila C. Bair: un bando a vita mirato ai regolatori, i quali non potrebbero andare a lavorare per le società sottoposte al loro controllo una volta cessati dalla carica. La Bair, che è un ex regolatore nel settore bancario che ha chiuso la revolving door, afferma che un divieto del genere potrebbe togliere ogni incentivo ai regolatori di fare favori a Wall Street. “Cambierebbe la mentalità dei regolatori“, ha affermato la Bair, ex capo del Federal Deposit Insurance Corporation e ora senior adviser del Pew Charitable Trusts.
Al momento gli avvocati dell’accusa già sono sottopostio ad un bando a vita sui casi su cui hanno lavorato. Ma un eccesso di regole – dicono i critici della proposta – potrebbe impedire alla pubblica amministrazione dall’attrarre i migliori talenti.
L’obiettivo di Sheila Bair non è quello di eliminare la revolving door. Ma in ogni caso la sua idea potrebbe bloccare il percorso di carriera di molti avvocati nella S.E.C. Gli ultimi sei capi della S.E.C. dopo aver lasciato l’incarico sono andati a lavorare per grandi società quali JPMorgan Chase e Bank of America. Robert S. Khuzami, ex pubblico ministero federale occupatosi spesso di casi di terrorismo ma che per la SEC ha seguito una serie di questioni durante la crisi finanziaria quale Direttore della Divisione Enforcement, recentemente è diventato un socio da Kirkland & Ellis (grande studio legale specializzato in corporate and tax, NdT).
In un’intervista, Khuzami ha sottolineato come molti funzionari della S.E.C. fossero impiegati di carriera. Secondo uno studio del Government Accountability Office, il periodo medio di servizio di un funzionario S.E.C. prima di lasciare l’incarico è passato recentemente a una media di 13,5 anni nell’anno fiscale 2010 dagli 8,3 del 2006.
Certmanete, c’è un’altra scuola di pensiero che afferma che la revolving door rende più efficavce l’azione dei regolatori su Wall Street. Questo perché chiunque voglia accendere i riflettori sugli angoli bui dell’industria finbanziaria deve sapere dove guardare.
Quando la S.E.C. non ha notato i segnali della crisi finanziaria, l’autorità ha riconosciuto di non aver abbastanza esperienza del settore privato per riuscire a fermarne i comportamenti sbagliati. Un argomento che ricorda una frase del presidente Franklin D. Roosevelt, che scelse il finanziere Joseph P. Kennedy quale primo chairman della S.E.C. perché Kennedy “sapeva dove fossero sepolti i corpi”.
Khuzami, già avvocato della Deutsche Bank prima di andare alla S.E.C., ha adottato una filosofia simile. Dice di comprendere le preoccupazioni sulla revolving door, ma questiona sulla possibilità che questa possa compromettere le indagini. Infatti, ogni caso gestito dalla enforcement unit dell’autorità passa sotto il controllo commissioners della S.E.C. e di altre divisioni della stessa, oltre a a quello di dozzine di investigatori. “Alla S.E.C., nessuno può mettere mano inappropriatamente“, dice Khuzami.
Al riguardo gli stdui esistenti fornisco opinioni divergenti. I funzionari della S.E.C. puntano uno studio dello scorso anno realizzato da un gruppo specializzato di commercialisti che ha messo in rislato come la revolving door abbia rafforzato il risultato dei controlli. Contrariamente al credo popolare, gli avvocati della S.E.C. tendono ad usare la linea dura proprio per mostrare le loro capaciotà a possibili futuri datori di lavoro. Il report inoltre non ha mostrato evidenze che studi legali con molti ex funzionari S.E.C. “potessero esercitare alcuna influenza sugli sforzi di enforcement in corso”.
Dall’altra parte però, uno studio del Project on Government Oversight afferma che ex funzionari della S.E.C. sono riusciti ad ottenere risultati favvorevoli da parte dell’autorità. A mettere in rilievo queste preoccupazioni, lo studio cita la regolamentazione sul mercato delle valute e la gestione delle istanze contro JPMorgan Chase e UBS.
Un rimedio sarebbe quello della trasparenza,. Secondo l’organizzazione la S.E.C. dovrebbe postare delle dirette web dei meeting con avvocati e lobbisti, o fornire almeno un dettagliato rapporto degli stessi. Il gruppo chiede inoltre alla S.E.C. di fornire – nei due anni successivi all’abbandono dell’incarico – l’accesso online ai registri personali degli ex funzionari che interagiscono con l’autorità. Al momento questi documenti sono disponibili, ma solo dopo una richiesta di accesso attraverso il Freedom of Information Act.
“Visto che la S.E.C. fa già il lavoro di raccolta dati, perché non renderli pubblici online?” dice Michael Smallberg, un investigatore per il gruppo. “La trasparenza è la base per eliminare i conflitti di interessi”. ma non l’unica. Smallberg e altri suggeriscono la restrizione delle regole che possono avere dei “buchi”.
I dodici mesi di “cooling off” previsti per la S.E.C., come per altre agenzie e per il Congresso, è un naturale punto di partenza. Una legge del 1989 previene gli assistenti parlamentari dal fare lobbying per un anno sui loro ex datori. La S.E.C. e altre agenzie hanno adottato simili divieti, e alcune li hanno anche rafforzati. Ma, tipicamente, sono divieti che si applicano solo ai livelli top. o a quelli che guadagnano più di $155.000 all’anno. Ma il bando, secondo i “watchdogs” americani, dovrebbe essere esteso a tutti i funzionari pubblici, e portato a due anni.
La Casa Bianca ha imposto delle sue restrizioni. Nel primo giorno in carica, il presidente Obama ha emanato un executive order che vieta a tutti i funzionari di nomina presidenziale dal fare lobbying sull’amministrazione dopo averla lasciata, in pratica imponendo un bando di otto anni sui capi di S.E.C., F.D.I.C. e altre autorità di regolamentazione. Inoltre, i nominati debbono ricusarsi per almeno due anni da questioni legate – “direttamente o sostanzialmente legate” – ai lori ex clienti o datori di lavoro.
Mentre gruppi quali Public Citizen hanno esultato per la decisione di Obama, il timore è che al termine del secondo mandato presidenziale – gennaio 2017 – terminerà anche la vigenza dell’executive order. E con davanti poco più di tre anni, Public Citizen sta premendo sul Congresso perché questo converta l’order in legge. “Ha avuto un effetto fenomenale sulla qualità e l’integrità dell’Amministrazione” ha dichiarato Craig Holman, lobbista di Public Citizen, il cui report “Una questione di fiducia” ha posto le basi per l’executive order di Obama.
I watchdog groups affermano inoltre che salri più alti per gli alti funzionari potrebbero scoraggiare il passaggio attraverso la revolving door. Alcuni suggeriscono che i circa $100.000 di stipendio attuali di un funzionario dovrebbero salire a mezzo milione. Sheila Bair afferma di aver supportato l’idea che molti funzionari di controllo delle banche guadagnassero $400.000. L’altra sua idea, il bando a vita sui funzionari, va persino oltre. E’ un piano senza precedenti, ispirato al programma del Foreign Service dello State Department per le carriere dei diplomatici. Una misura questa, secondo la Bair, che potrebbe eliminare l’idea che i regolatori sono al soldo delle banche, e rimuovere ogni incentivo ai regolatori stesi di “fare felice” Wall Street. “Vogliamo che entrino nelle bache con la testa libera“, afferma.
]]>
Questo punto è da anni al centro del dibattito pubblico americano, e in parte europeo (si pensi al caso dell’ex cancelliere Schroeder, finito a lavorare per Gazprom), mentre non òlo è ancora in Italia. Il presidente USA Obama eè arrivato al punto che una delle prime decisioni della sua amministrazione ha riguardato proprio questo, viste le polemiche post crisi finanziaria e per il disastro della piattaforma BP a largo di New Orleans, due casi in cui chi doveva controllare è sembrato troppo vicino al controllato.
Ma la sensibilità sul tema è forse eccessiva. Chi ha un incarico pubblico ha moltissime ragione per fare un ottimo lavoro, e in genere un’esperienza di succersso nel pubblico consente di avere ottime opportunità nel privato, se non una crescita proprio nel pubblico. La revolving door potrebbe inoltre spingere i cittadini ad impegnarsi in incarichi di servizio.
Un’analisi sui principali procuratori di Manhattan non lascia alcuno spazio a possibili favoritismi nei confronti di coloro per i quali poi questi sono andati a lavorare. Inoltre, da un punto di vista legale, eliminare la revolving door sollverebbe serie questioni anche dal punto di vista della legittimità costitituzionale.
Scarica il pdf (in inglese) con l‘analisi approfondita di David T. Zaring (University of Pennsylvania – Legal Studies Department), nel suo paper “Against Being Against the Revolving Door”.
]]>Gli americani parlano di “revolving door”, il fenomeno della porta girevole. Flusso costante, a volte di interscambio, tra il mondo dei controllati e quello dei controllori. Tutto legittimo, d’accordo, ma non per questo privo di conseguenze. Specialmente quando di mezzo ci sono la Securities and Exchange Commission (Sec), la vigilanza di Borsa americana, e il mondo di Wall Street, endemicamente allergico alle strette regolamentari o alle indagini troppo approfondite. Da anni, sottolinea uno studio del Project On Government Oversight (POGO, un’organizzazione indipendente di Washington), ex impiegati della Sec vengono arruolati nelle fila della grandi corporation finanziarie con l’obiettivo di favorirne gli interessi nei conflitti con la stessa autorità regolamentare. E il risultato, manco a dirlo, è un indebolimento dell’efficacia della stessa authority.
Una volta abbandonata la Sec, i funzionari che trovano impiego a Wall Street rappresentano una risorsa fondamentale per le società finanziarie. È grazie alla loro esperienza, infatti, che gli ex funzionari possono affiancare le major nel “tentare di influenzare le riforme regolamentari, contrastare le indagini sui presunti illeciti, attenuare i provvedimenti dell’authority, bloccare le proposte degli azionisti e ottenere esenzioni in deroga alla legge federale”. Il regolamento della Sec impone agli ex dipendenti di comunicare la loro intenzione di rappresentare un cliente privato: dal 2001 al 2010, sostengono i ricercatori, si sarebbero contate quasi duemila comunicazioni del genere. Un dato che non riesce da solo a identificare la dimensione del fenomeno, visto che l’obbligo di comunicazione, a norma di legge, vale solo per i primi due anni dopo le dimissioni dalla Sec.
Nell’agosto del 2012, la numero uno dell’agenzia Mary L. Schapiro si è vista costretta ad alzare bandiera bianca nel suo tentativo di regolamentare il settore dei money market funds, un segmento di mercato da 2.700 miliardi di dollari. A bloccare il piano di riforma è stata l’opposizione di 3 dei 5 commissari dell’authority, convinti dalla paziente opera di lobbismo di Wall Street. L’aspetto interessante, nota il rapporto, è che “molte delle persone che avevano esercitato pressioni a sostegno degli investitori avevano una caratteristica in comune: avevano lavorato in passato per la Sec per poi passare attraverso la porta girevole ed unirsi all’industria finanziaria”.
Già nel 2010, il Center for Responsive Politics (Crp), un’organizzazione indipendente di Washington che da oltre 25 anni monitora le attività dei gruppi di lobbying, aveva lanciato l’allarme. Osservando i dati disponibili, si scoprì infatti che su circa 500 dipendenti federali che si erano dimessi all’epoca dalle agenzie di controllo, 148 si erano registrati come lobbisti. L’analisi sul caso Sec presentata dal Pogo va però oltre, evidenziando nelle pagine della relazione la ricaduta del fenomeno sull’efficacia stessa del ruolo dell’agenzia di controllo. “Il movimento delle persone da e verso l’industria finanziaria (…) – sottolinea il rapporto – ha il potere di influenzare la cultura e i valori dell’agenzia. Un aspetto importante visto che la Sec ha il potere di incidere sugli investitori, i mercati finanziari e l’economia”.
Fonte: Il Fatto
]]>Da un organismo di controllo della Comunità europea a uno studio legale che fa lobbying per l’industria farmaceutica. In sostanza il controllore passa dall’altra parte della barricata e presta servizio al controllato, a cui porta la sua esperienza tra le fila di chi faceva le regole. Accade all’Agenzia europea per i medicinali (European Medicines Agency EMA), organismo finanziato dall’Unione europea che autorizza, garantisce e certifica la qualità e la sicurezza dei medicinali, dove Vincenzo Salvatore, ex capo dell’ufficio legale e docente di diritto commerciale internazionale ed europeo presso l’Università dell’Insubria, è diventato “senior counsel” presso il mega studio da 1700 avvocati Sidley Austin LLP. Ovvero consulente “sulle procedure che regolano tutti gli aspetti dell’industria farmaceutica”. Cosa significa? Nel comunicato della Sidley vengono specificate le sue mansioni, tra cui quella di dispensare “consigli legali sulle procedure giuridiche dell’Unione riguardanti tutti gli aspetti dell’industria farmaceutica tra cui l’applicazione delle sanzioni e questioni attinenti alla protezione dei dati personali”. Inoltre Salvatore fornirà anche “assistenza alle società commerciali che lavorano in campo biomedico e delle scienze della vita nel comprendere e applicare la legislazione in fase di preparazione sui dispositivi medici”.
Un caso di “revolving door” (“porta girevole”, ndr), la pratica che vede professionisti passare dal settore pubblico al privato e viceversa e solleva il dibattito sul conflitto di interessi e l’accesso dei privati a informazioni riservate tramite un ex insider governativo. Che potrebbe anche garantire regolamentazioni di favore grazie a rapporti privilegiati con il mondo politico. In sostanza, “la via privilegiata attraverso cui i lobbisti possono influenzare l’agenda politica a Bruxelles”, come scrive il Corporate Europe Observatory (CEO), un gruppo di ricerca per sollecitare le istituzioni all’introduzione di regole più severe in grado di bloccare questo meccanismo. “Contatteremo l’Ema – spiega Vicky Cann del Ceo – per capire se ci sia stata una violazione delle regole da parte di Salvatore e se ci sia conflitto di interesse tra il suo passaggio dal pubblico al privato”.
Per parte sua Salvatore, contattato dal fattoquotidiano.it, rivendica il “rispetto della deontologia” nella sua nuova attività di consulenza e ricorda che è “soltanto l’ordine degli avvocati” a cui è iscritto quello “titolato a intraprendere eventuali azioni disciplinari”. Eppure, secondo l’articolo 16 del “Regolamento relativo alla statuto dei funzionari della Comunità Europea” al termine della cessazione dal servizio, “il funzionario è tenuto ad osservare i doveri di onestà e delicatezza nell’accettare determinate funzioni o determinati vantaggi”. In più chi intende “esercitare un’attività professionale, lucrativa o meno, nei due anni successivi alla cessazione delle funzioni è tenuto a dichiararlo alla sua istituzione”. Procedura che Salvatore ha rispettato. “Ho comunicato al mio ex datore di lavoro la professione che sarei andato a svolgere”. E l’Ema non si è pronunciata in nessun senso? “Anche se riscontrasse un conflitto di interesse, non potrebbe sanzionarmi. In più non sono assunto, ma svolgo attività di consulenza. Infatti il mio lavoro è quello di docente universitario”.
E i casi simili al suo sono numerosi in Europa. Dall”inglese Derek Taylor, prima direttore generale per l’energia e i trasporti nela Commissione europea poi consulente in ambito energetico presso la società di lobby Burson-Marsteller, fino a Thomas Lönngren, per dieci anni direttore esecutivo dell’Ema poi passato alla Pharma Executive Consulting Ltd, la sua agenzia di consulenza per le industrie farmaceutiche.
“Nello statuto dei funzionari c’è l’obbligo alla riservatezza nel corso dell’attività – puntualizza Salvatore, che si difende dalle accuse di essere un nuovo caso di “revolving doors”. E chi vigila sul rispetto di questa regola? “Le istituzioni e l’Ordine professionale – conclude – ma devono essere in grado di dimostrarne la violazione”. Un’impresa difficile per le istituzioni che, anche in caso di rispetto delle regole, si trovano a dirimere un problema politico. “Nei casi di revolving door, i lobbisti che hanno un passato nel settore pubblico consentono alle aziende di accedere ad opportunità e network privilegiati – prosegue Cann-. Il cittadino quindi può ritrovarsi intrappolato in leggi formulate per favorire le corporation e gli interessi del settore privato”. E le istituzioni europee, come i cittadini, osservano il travaso dal pubblico al privato di personale e business. Col rischio reale che l’interesse pubblico finisca subordinato alle consulenze delle grandi aziende.
Link all’articolo originale
Eleonora Bianchini – Il Fatto Quotidiano
]]>Dagli “immobiliaristi senza re-more” alla “finanza spregiudicata”, passando per le “relazioni pericolose” rese note dall’inchiesta sulla cosiddetta P4: se parlare di lobby nel nostro paese equivale automaticamente a evocare una sorta di Spectre, la colpa è innanzitutto di un certo “moralismo” che pervade la dottrina giuridica. E che influenza il legislatore italiano, in ritardo rispetto ad altri paesi indvistrializzati quando si tratta di regolare i rapporti tra gruppi di interes-se e decisori pubblici.
Sono queste le conclusioni del volume “Democrazie sotto pressione”, di prossima uscita per Giuffrè editore e scritto dal giurista Pier Luigi Petrillo: “Sembra mancare il coraggio, in Italia, di guardare alla realtà – scrive il professore di Diritto comparato alla Unitelma Sapienza Università e di Tecniche di lobbying alla Luiss – ovvero al fatto che i gruppi di pressione partecipano già ai processi decisionali, e che il problema non è dato da questo fenome-no, ma dalla condizione di oscurità che li avvolge”.
In Italia anche “la dottrina più autorevole” ha scelto di chiudere gli occhi: tra un Gustavo Zagrebelsky (costituzionalista ed editorialista di Repubblica) che predica la “purezza” delle aule par-lamentari e un Carlo Esposito (già costituzionalista fascista e poi tra i padri nobili del costituzionalismo repubblicano) che paragonava le lobby a una “malattia dell’ordinamento rappresentativo, male da combattere e eliminare”, oggi ci troviamo costretti a guardarealle legislazioni straniere per regolare un fenomeno che comunque esiste.
Non a caso Petrillo, nella sua analisi comparata, si sofferma sui casi inglese, canadese, statunitense e comunitario. 11 paradosso è che proprio gli States – che sin dal Primo emendamento del 1791 al-la Costituzione difendono il “right te petition”, ovvero “il potere dei gruppi di pressione di esercitare la propria influenza sui decisori pubblici” e non la semplice possibilità di presentare petizioni – si sono dotati di un Federal Regu-lation of Lobbying Act già nel 1946. La legge prevedeva “per chiunque volesse influire sul processo legislativo, l’obbligo di registrarsi presso un apposito albo” presso le Camere, di indicare ‘gli interessi tutelati” e soprattutto “le somme di denaro ricevute o consegnate”, di rendicontare ufficialmente la propria attività. Il tutto con annesse sanzioni in caso di violazione delle regole.
Nel 1995 la legge è abrogata e sostituita da una norma con lo stesso spirito (Lobbying Disclosure Act), che amplia e dettaglia per esempio la definizione di “lobbista” e di “pubblico ufficiale dell’esecutivo”. E’ dagli anni 70, inoltre, che Washington (Obama inclu-so) legifera sul fenomeno delle “revolving doors”, “vietando agli ex funzionari pubblici di ‘ritornare’ nelle amministrazioni da loro in precedenza dirette, in veste di lobbisti”.
Stessa attenzione anche nel Regno Unito, dove sin dall’800 i parlamentari devono tra l’altro rendere conto dei loro interessi, anche non economici, in un ap-posito registro; una consuetudine secolare che il premier Tony Blair, negli anni 90, ha voluto fosse resa obbligatoria. Non solo: a Westminster, come in Italia, esistono da tempo i cosiddetti “intergruppi parlamentari” Cali party groups” in inglese), ovvero gruppi interpartitici composti da deputati di partiti differenti ma uniti da un comune interesse da sostenere. A Londra però, a differenza che nel nostro Parlamento, vige anche [‘obbligo di rendere pubbliche queste affiliazioni volontarie, in modo da rendere note agli elettori le finalità perseguite dai propri rappresentanti e, pure in questo caso, pubblicizzare l’identikit di eventuali fi-nanziatori di questi stessi intergruppi.
La schizofrenia dell’ordinamento italiano
E in Italia? Il problema, secondo Petrillo, non è soltanto che dal 1948 al 2010 “sono stati presentati quasi quaranta disegni di legge in materia di gruppi di pressione” e “nessuno è stato mai approvato”. Piuttosto anche la (poca) regola-mentazione .in vigore e afferente al tema è “strisciante” e “ad andamento schizofrenico”. Dal sostanziale fallimento del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) ai controlli previsti ma largamente disattesi sul finanziamento ai partiti, fino alle Analisi di impatto della regolazione (Air), obbligatorie. Per legge dal 2000 ma che non garantiscono agli “interessi” di essere ascoltati: è come se giuristi e politici non volessero ancora ammettere che “regolamentare l’accesso dei gruppi di pressione alle istituzioni non significa ‘legittimarli’, perché essi sono già legittima espressione di un ordinamento democratico e pluralista”.
Fonte: Il Foglio
]]>