repubblica – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Lobby, negli USA scandali a raffica ma è nel Dna del paese (Repubblica.it) http://www.lobbyingitalia.com/2015/03/lobby-negli-usa-scandali-a-raffica-ma-e-nel-dna-del-paese/ Mon, 16 Mar 2015 14:12:31 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2732 “Ero coinvolto profondamente in un sistema di corruzione. Corruzione quasi sempre legale”. Quando alla fine del 2010 – dopo aver scontato quattro anni di carcere e aver lavorato per sei mesi a 7,5 dollari l’ora in una pizzeria – Jack Abramoff chiuse i suoi conti con la giustizia, affidò a quelle poche parole il riassunto di cosa fosse il lobbyism negli Stati Uniti. Il pentimento (con relativo libro di denuncia) del più famoso lobbista americano degli ultimi venti anni – al centro di un altrettanto famoso scandalo che avrebbe coinvolto 21 potenti uomini della Washington politica (compresi un paio di funzionari della Casa Bianca di George W. Bush) – diede il via a feroci polemiche, accuse e contraccuse, editoriali indignati e (spesso) ipocriti, su una delle attività che più condizionano (nel bene e nel male) la vita politica e finanziaria del più potente paese del pianeta. Attività del tutto legittima e legale ma che ha offerto spazio, nei dettagli di regole complicate, anche ad azioni che hanno sfiorato la soglia della criminalità.

Negli Stati Uniti il lobbismo nasce insieme alla Costituzione e al free speech (protetto dal Primo Emendamento che tutela in generale la libertà di espressione e che vieta al Congresso di approvare leggi che limitino “il diritto che hanno i cittadini di inoltrare petizioni al governo”) ed è un lavoro (ben remunerato) a tempo pieno grazie al quale i cosiddetti ‘gruppi d’interesse’ (politici, religiosi, morali e soprattutto commerciali) fanno pressione sul Congresso per approvare questa o quella legge, per difendere posizioni acquisite, per condizionare una scelta piuttosto che un’altra. Dagli anni Settanta è un fenomeno in costante crescita e oggi a Washington ci sono oltre 13mila lobbisti registrati come tali, più diverse altre migliaia che lavorano sotto-traccia e fanno spesso il lavoro ‘sporco’ e più rischioso. Con un volume di affari che, nel corso degli ultimi decenni, è cresciuto in modo esponenziale e che nel 2010 ha raggiunto la cifra record di 3,5 miliardi di dollari. Un’attività, quella di lobbying, che è talmente connaturata al sistema politico-costituzionale degli Stati Uniti da essere scherzosamente definita  (con una tipica espressione slang) as American as apple pie, americana come la torta di mele.

Ma chi sono i lobbisti? In gran parte avvocati (o comunque persone uscite dalle Law School e dalle Business School dei migliori college degli Usa), assoldati da famose corporation (JP Morgan ha un team che costa oltre tre milioni di dollari all’anno), da grandi studi legali, sindacati e organizzazioni varie, ma soprattutto da società che nascono ed operano con l’unico scopo di fare lobbismo. La loro attività è riconosciuta da una legge bipartisan del 1995 (Lobbying Disclosure Act) – varata dopo una serie di scandali e azioni che vennero definite “poco chiare” – e i lobbisti (sulla carta tutti) devono registrarsi presso la Rules Committee, la commissione delle regole del Congresso, hanno un badge permanente che gli permette di girare tranquillamente negli uffici di deputati e senatori a Capitol Hill (può essere revocato in caso di violazioni di legge) e sono identificati come “gruppi portatori di interesse da tutelare”, un giro di parole che rende bene l’idea.

Un lavoro che ha come interlocutori membri del governo, parlamentari ed amministratori pubblici (a livello federale, statale e locale) e che è, o meglio dovrebbe essere, ben distinto da chi lavora in una campo contiguo come quello delle public relations. Ed è qui, quando questi due mondi si intersecano, che si trovano i confini tra il lobbismo ‘buono’ (e assolutamente legale) e il mondo ‘grigio’ del sottobosco politico-affaristico che, ogni tanto, sfocia in un grande scandalo come quello di Abramoff. Un sottobosco che (stando ad alcuni studi recenti) arriva ad impiegare una manodopera di quasi centomila persone e dove il cosiddetto metodo delle ‘tre B’ (booze, broads, bribes, ovvero alcol, donne e bustarelle) non è stato mai del tutto abbandonato.

Un mondo che è stato combattuto in epiche battaglie da uomini come Ralph Nader, lo scrittore-avvocato-attivista (e cinque volte candidato senza speranza alla Casa Bianca) diventato un simbolo della difesa dei consumatori e una decennale spina nel fianco delle lobby anche più potenti. Un mondo (e i critici non mancano mai di ricordarlo) che deve il suo nome all’atrio degli alberghi: un posto visibile a tutti ma che nasconde qualche inconfessabile segreto.

Fonte: Alberto Flores D’Arcais – Repubblica.it

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Il sociologo Diamanti: “Trasparenza significa democrazia” (Repubblica.it) http://www.lobbyingitalia.com/2015/03/il-sociologo-diamanti-trasparenza-significa-democrazia-repubblica-it/ Mon, 16 Mar 2015 14:11:03 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2729 Dalle cause storiche che possono spiegare l’assenza in Italia di una cultura delle lobby alle classi in cui possono essere divisi i gruppi di influenza. Metodi di pressione, impatto sull’opinione pubblica, il ruolo del governo. La zona d’ombra tra scena e retroscena delle decisioni pubbliche. Ne abbiamo parlato con Ilvo Diamanti, professore di Scienza Politica all’Università di Urbino e di Régimes Politiques Comparés a Paris 2, Panthéon Assas. Partendo da come incide, in questo contesto, l’assenza di norme sulla qualità della democrazia italiana.

Professor Diamanti, regolamentare le lobby innalzerebbe il grado di democraticità del nostro sistema?
“Assolutamente sì. La democrazia ha diverse facce ma tutte prevedono forme di controllo sulle decisioni della politica. E’ evidente che quando esistono ambiti di discrezionalità sottratti al controllo dei cittadini viene indebolita la possibilità di controllo sui decisori. Viene indebolita la rappresentanza”.

Nell’opinione pubblica, lobbista è sinonimo di faccendiere…
“E’ una questione di tradizione politica e culturale. E mi riferisco sia a quella cattolica che a quella comunista che condividono un’idea negativa della ricchezza. Quasi fosse necessariamente un peccato. Peraltro, scontiamo un approccio fariseo: il denaro lo si fa ma non ci importa come. Così il lobbista è un peccatore e fare lobby significa raggiungere risultati con ogni mezzo. Più o meno lecito”.

Un governo non dovrebbe porre tra i suoi obiettivi primari una legge sui gruppi di pressione?
“Dovrebbe. Se non avviene è perché le lobby all’italiana sono molto forti”.

Lobby all’italiana, appunto. Abbiamo provato a dare i voti…
Possiamo indicare due classi diverse. Esistono grandi sistemi di interessi che riguardano prodotti e servizi di largo interesse pubblico. Come quelli che gestiscono le fonti energetiche: risorse che dipendono da regole e concessioni della politica. E nella percezione generale questi gruppi sono sicuramente quelli in grado di influenzare maggiormente il potere politico”.

L’altra classe?
“Le professioni: dispongono di altri mezzi, possono mettere in campo altre forme di lotta. Forme ‘materiali’ che però riguardano beni immateriali. Pensiamo ai tassisti: gestiscono la mia ‘mobilità’. Possono interromperla. E con questo possono bloccare la mia possibilità di comunicare. Anzi, possono bloccare i movimenti e la mobilità del Paese. Come, peraltro, i camionisti”.

Cosa accomuna queste due classi?
“Entrambi le classi hanno lo stesso bersaglio. Intervengono sugli stessi attori politici. Tendono a esercitare pressione sulle decisioni e i decisori politici”.

Ma, a oggi, la maggior parte di questi interventi resta nell’opacità…
“Naturalmente c’è differenza fra chi esercita una pressione esplicita attraverso scioperi e forme di lotta aperte e chi, invece, agisce esercitando pressioni e influenza sul ceto politico, nel retroscena. Il problema italiano è qui. E dipende dall’assenza di una cultura delle lobby. E quindi dall’esistenza di lobby implicite. Che non sono regolate ma sono contigue con il potere politico. Contiguità che è difficile da modificare: rendere pubbliche determinate procedure – pensiamo agli appalti – farebbe saltare la procedura stessa. E metterebbe in discussione gli interessi e le posizioni di potere esistenti. Per questo rendere trasparente il mercato è operazione difficile”.

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Petrillo (Unitelma Sapienza): “Un comodo capro espiatorio per i politici” (Repubblica.it) http://www.lobbyingitalia.com/2015/03/petrillo-unitelma-sapienza-un-comodo-capro-espiatorio-per-i-politici-repubblica-it/ Mon, 16 Mar 2015 14:06:55 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2726 Ci prova da anni. Da quando fu coinvolto dall’ultimo governo di Romano Prodi per lavorare a una legge che regolasse i gruppi di pressione. Pier Luigi Petrillo è professore associato di Diritto pubblico comparato all’Università Unitelma Sapienza di Roma. E da 8 anni insegna Teoria e tecniche del lobbying alla Luiss “Guido Carli”. Non solo: è consulente per l’OCSE in materia di lobbying e trasparenza. Con il governo Letta il suo ultimo impegno nelle istituzioni: era l’estate del 2013 e la legge sui lobbisti sembrava realmente a un passo dal vedere la luce.

Professor Petrillo, cosa comporta la mancanza di questa legge per il tessuto democratico del Paese?
“Questa assenza consente alla politica di scaricare la responsabilità della propria inefficienza proprio sui lobbisti. Un provvedimento non viene approvato? Colpa delle lobby. Un disegno di legge si ferma? Colpa delle lobby. Le lobby sono diventate un paravento della politica che non vuole scontentare taluni soggetti e non vuole assumersi la responsabilità della scelta”.

Con una normativa sul tema la politica guadagnerebbe in efficienza?
“Una legge sul lobbying, rendendo pubblici gli interessi particolari contrapposti, toglierebbe alla politica qualsiasi alibi: il decisore dovrebbe decidere, sotto gli occhi di tutti. Nei 18 paesi dove il processo decisionale pubblico è regolato dalla legge avviene tutto in trasparenza: gli incontri con i portatori d’interesse sono pubblici e la politica alla fine deve assumersi la responsabilità di indicare quale o quali interessi soddisfare. La zona d’ombra che esiste nell’ordinamento del nostro paese consente alla politica di non scegliere: e quindi di non scontentare nessuno, salvo i cittadini ai quali si fa credere che è colpa delle lobby anziché della politica”.

Nel 2013 il governo guidato da Enrico Letta sembrò a un passo dall’approvazione di un decreto legge…
“Da marzo 2013 a maggio 2013 il governo chiese a un gruppo di esperti, di cui facevo parte, un lavoro preparatorio per un disegno di legge. Alla fine della fase di studio, maggio 2013, presentammo il nostro lavoro, basato essenzialmente sui principi indicati dall’Ocse. Successivamente, per redigere il testo, furono incontrati, il 5 giugno, a Palazzo Chigi, alcuni lobbisti così da analizzare l’impatto delle norme ipotizzate sui destinatari della stessa. Il provvedimento venne calendarizzato per essere approvato dal consiglio dei ministri del 5 luglio. Fino a ventiquattro ore prima sembrava filare tutto liscio. Ma durante la seduta, il Consiglio decise di rimandarlo senza approvarlo. E la successiva crisi del governo Letta mandò in soffitta il lavoro fatto”.

Da dove arrivano le maggiori resistenze alla legge?
“Oggi ci sono dei soggetti facilitati nell’accesso ai decisori perché, ad esempio, rappresentano interessi di società pubbliche o a partecipazione pubblica. Una legge sul lobbying metterebbe sullo stesso piano questi lobbisti ‘privilegiati’ con gli altri: per questo l’OCSE ha più volte detto che una legge in materia serve per assicurare la concorrenza”.

Un privilegio che esiste solo finché esiste una zona d’ombra…
“Uno studio realizzato dall’Università Unitelma Sapienza evidenzia come solo il 20% delle attività di lobbying è in chiaro nel senso che è possibile conoscere chi ha fatto lobbying e per cosa. L’altro 80% è composto da lobbisti ‘di fatto’: da chi gestisce le relazioni esterne delle aziende fino agli studi di comunicazione o legali. Questo 80% non è tracciabile”.

La soluzione legislativa più veloce?
“Il governo potrebbe intervenire in materia senza nemmeno aspettare la legge. Con un decreto del premier – che necessita solo di una veloce approvazione in Consiglio dei ministri – finalizzato a regolamentare l’attività di lobbying diretta verso tutta l’amministrazione esecutiva, dal governo agli enti pubblici economici. Se solo si volesse…”.
Fonte: Repubblica.it

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Il mondo segreto delle lobby (Repubblica.it) http://www.lobbyingitalia.com/2015/03/il-mondo-segreto-delle-lobby-repubblica-it/ Mon, 16 Mar 2015 14:02:43 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2723 Negli Usa sono legittimi e radicati nella cultura nazionale, in Italia agiscono nell’ombra e in assenza di regole. Nel racconto di un “insider”, ecco come i gruppi di interesse riescono a influenzare la vita politica del Paese, e, in assenza di norme chiare, rischiano di restringere il diritto di rappresentanza democratica, confondendo il legittimo lavoro dei lobbisti con quello ambiguo dei faccendieri

L’accordo è raggiunto. Il testo è scritto. Il voto in aula è solo una formalità. Poi ecco l’emendamento dell’ultimo minuto, la modifica che non ti aspetti. E la legge passa mentre il coro pronuncia una sola parola: “Lobby”. Lo abbiamo visto nell’ultimo decreto sulle liberalizzazioni: “Vincono le lobby”, “perdono le lobby”, “colpa delle lobby”. Ne è piena la storia recente, almanaccarle tutte un’impresa: le pressioni, indebite o meno, cui sono sottoposi i decisori pubblici rappresentano un capitolo a sé della prassi politica. Aziende di stato sospettate di scrivere interi decreti – il caso Enel, smentito, sul taglio degli incentivi alle energie rinnovabili – multinazionali che finanziano in modo bipartisan, aziende che cercano di influenzare l’iter dei provvedimenti. Ordini professionali con il loro “paladini” tra i parlamentari. E poi tassisti, case farmaceutiche, operatori del gioco d’azzardo.

Una terra di nessuno, quella dei rapporti tra politica e lobby. Di nessuno perché nessuno l’ha mai regolata: in Italia non esiste una legge per questi rapporti. Una zona grigia in cui solo il 20% – i dati sono di una ricerca ancora inedita dell’Università Unitelma Sapienza – delle attività di lobbying è parzialmente in chiaro, riconducibile a determinati soggetti: dalle società di lobbying ai lobbisti in house, i rappresentanti di grandi gruppi economici, pubblici o privati. Il restante 80% è coperto dall’ombra: qui ricostruire l’identità dei lobbisti che l’hanno generata è impossibile se non per macro-categorie: dalle società di comunicazione (circa il 60% del totale dei casi), ai grandi studi legali (il 30%) o da liberi professionisti individuali (il 10%).

Ma come si svolge la giornata di un lobbista? A raccontarlo a Repubblica è Luigi Ferrata, di SEC relazioni pubbliche ed istituzionali, una delle società che opera in chiaro e che chiede al più presto una legge sui gruppi di pressione. Lo incontriamo nel suo studio, centro di Roma. Sommerso da giornali, da monitor accesi sui siti di Camera e Senato, diagrammi e grafici, telefoni che non smettono di squillare, Ferrata racconta: “Il nostro lavoro è legato all’attività del Parlamento e del governo. Durante l’approvazione della Legge di Stabilità c’è molto da fare. E nelle ultime settimane c’è stata grande attenzione sul tema delle liberalizzazioni”. Si inizia raccogliendo informazioni. “Si parte con l’analisi dei provvedimenti presentati. Dopo possiamo contattare un eventuale cliente per proporre un’attività di lobbying. Ovviamente capita anche il contrario: le aziende a cui interessa sottoporre il proprio punto di vista ai parlamentari o ai membri del governo, ci chiamano e ci commissionano il lavoro”.

Alla fine di questa fase è tutto pronto per l’aggancio: si individuano i soggetti che possono influire sul processo decisionale e si parte alla ricerca del contatto. “Attualmente l’approccio migliore, quello più efficace, è durante la discussione nelle Commissioni: ci sono meno persone, i provvedimenti vengono discussi sul serio e c’è maggior interesse a recepire ulteriori informazioni dai soggetti che possono essere coinvolti dall’eventuale legge”. Ma quello parlamentare è solo uno dei piani. Un piano secondario. Perché il reale obiettivo è l’esecutivo. Ancora Ferrata: “Qui ci si muove su due livelli: quello dei dirigenti del ministero e quello dello staff del ministro. Il nostro compito è sollecitare l’interesse, raccontare una storia, suggerire modi possibili per affrontare determinate tematiche”.

“Monitoraggio e competenze, vi spiego come lavora un lobbista”

Eppure, una legge sul lobbying è stata spesso ricercata. Cinquantotto disegni di legge presentati nella storia della Repubblica, quasi uno all’anno: tutti lasciati marcire in attesa di finire nel dimenticatoio. Nelle ultime settimane la Commissione Affari Costituzionali del Senato, guidata da Anna Finocchiaro, sta procedendo all’esame congiunto di ben sei proposte che arrivano da tutte la parti politiche. La volontà è quella di arrivare a un testo unico da portare in aula. Perché oramai la necessità è stringente: stabilire quelle regole in grado di eliminare ogni ambiguità nel rapporto tra chi decide e chi si batte per portare al tavolo delle decisioni interessi determinati e particolari.

L’obiettivo delle proposte di legge è dare un abito giuridico a chi ogni settimana compie il proprio pellegrinaggio nel Transatlantico di Montecitorio e nelle sale d’attese delle aule delle Commissioni Parlamentari. A chi incontra, giorno dopo giorno, decine di deputati, senatori, dirigenti dei ministeri, staff dei capi dei dicasteri. Distinguere, insomma: mettere dei paletti che possano aiutare a tracciare una linea di separazione tra chi offre competenza e chi traffica relazioni. Tra lobbista e faccendiere, appunto. Una legge che servirebbe a fare chiarezza, contribuendo a illuminare un contesto reso ancora più indecifrabile grazie anche all’assenza del vincolo di rendicontazione per le donazioni di privati ai partiti politici: fino a 100 mila euro e per quattro mesi, sempre che il privato acconsenta a rendere pubblico il suo nome.

In definitiva: l’assenza di questa legge è un’eccezione alla trasparenza che non ha simili nel contesto dei paesi democratici. In Europa è prevista l’esistenza di un registro dei lobbisti: gli italiani iscritti, tra persone fisiche e giuridiche, sono oltre 650. Nel nostro Paese niente di simile. L’unico caso a livello nazionale è l’elenco previsto dal ministero dell’Agricoltura: lanciato con il governo Monti con gli ultimi due esecutivi è semplicemente scomparso. E negli ultimi mesi il viceministro Nencini ha messo online l’agenda dei suoi incontri. Un primo passo. Per il resto, solo promesse. L’ultima in ordine di tempo è quella del governo Renzi: nel Def la legge sul lobbying era prevista per giugno del 2014. Otto mesi fa. Perché su questo terreno la politica professa trasparenza ma sceglie di far proliferare l’opacità?

Fonte: Carmine Saviano – Repubblica.it

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Rosa o gay, una lobby per ogni stagione (Repubblica.it) http://www.lobbyingitalia.com/2015/03/rosa-o-gay-una-lobby-per-ogni-stagione/ Mon, 16 Mar 2015 13:19:51 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2736 Saranno ormai quarant’anni che si parla di regolamentare le lobby. Allora, era la metà degli anni 70, bisognava spiegare cosa significasse quella parola; nel frattempo “lobby” ha fatto a tempo a dilatarsi e insieme a rattrappirsi, comunque moltiplicando i suoi valori d’uso oltre ogni ragionevole significato. In questi casi, anche se il termine suona un po’ ricercato, si dice che la lobby, anzi le lobby sono divenute polisemiche. I politici e i giornalisti, categorie per loro natura e vocazione abbastanza orecchianti, adorano le polisemie, specie quando gli lasciano le mani libere – un po’ meno la testa, ma è un altro discorso.

Può esistere dunque una lobby rosa, nel senso di un gruppo che favorisce gli interessi e il potere delle donne nelle istituzioni e nell’economia: “Emily”, il “branco rosa” e così via. Ma anche esiste una agguerrita lobby delle armi, cioè gente che cerca di piazzare mine, cannoni e micidiali sistemi di puntamento in giro per il mondo, soprattutto ai paesi africani, cosa non proprio simpatica. Le aziende dispongono di professionisti ad hoc che battono anche il Parlamento. In una raccolta di vignette su Montecitorio, già alla metà degli anni 80 il disegnatore Vincino raffigurò “il lobbista dell’Aeritalia” che svolazzava per il Transatlantico con delle eliche che gli uscivano dal retro della giacca, come un drone ante litteram.

Insomma tante cose diverse. Nell’economia la faccenda è più pacifica che in politica o nella cronaca giudiziaria. Si tratta di tutelare degli interessi, come spiegano benissimo i protagonisti dell’inchiesta di Carmine Saviano. Le Camere sono la palestra, il giacimento, l’arena, la serra, la taverna e il giardino zoologico dei lobbisti.

Qualche mese fa i cinquestelle hanno beccato un ex funzionario di Montecitorio che scriveva, al volo e brevi manu, un emendamento per modificare un provvedimento in commissione, e l’hanno fatto cacciare. Hanno poi esposto il suo volto in aula con dei cartelli. Quello, poveretto, ha cercato di sminuire il suo ruolo, pure definendosi “un giuggiolone”. Ma ai tempi in cui Marcello Pera presiedeva il Senato, 2005, nel depliant della sua fondazione “Magna Carta” era esplicitamente contemplata l’attività di lobbying; e l’ex presidente della Camera Irene Pivetti, adesso, cosa fa? Semplice, fa lobbying.  Dal che si intuiscono gli effetti non tanto forse della mancata regolamentazione, ma della implicita e magari anche connaturata confusione che reca in sé l’ambiguo tragitto della parola “lobby”, nella sua variante “all’italiana”.

Così alla caduta del governo Berlusconi l’ex ministro Mastella, l’ineffabile, evocò la “lobby ebraica”; ma qualche mese prima, quando alla presidenza della Rai era arrivata Letizia Moratti, venne lanciato un allarme contro la “lobby di San Patrignano”, che sarebbe una nota comunità di recupero per tossicodipendenti, ma si disse così per intendere che direttori di rete o dei tg si diventava solo previo assenso della Moratti, appunto, che dell’iniziativa di Vincenzo Muccioli (poi con il figlio e la moglie hanno ferocemente litigato) era e seguita a restare la grande patrona e finanziatrice.  Altre lobby entrate più o meno di straforo nella cronaca: la “lobby di Lotta continua” (ai tempi dei processi Sofri); la “lobby gay” (in Vaticano); la “lobby dei tesorieri di partito” (che continua a bussare a quattrini aggirando leggi e referendum).

Si tratta di esempi per lo più negativi. Ma per anni il progetto educativo del cardinal Ruini è stato presentato anche dai suoi fautori come strutturalmente connesso a un’opera di lobbying a favore dei principi irrinunciabili. Bizzarro perciò è il destino dei grimaldelli semantici, sempre sul punto di trasformarsi in piè di porco. Questo, per dire, è un Lele Mora d’annata, già proteso a togliersi dagli impicci: “Io – diceva – non piazzo le starlette nei letti, faccio solo incontrare gente, lobbying, altro che festini!“. Era la fine del 2006, poi è finita con qualche anno di galera.

Nel frattempo le lobby crescono e si moltiplicano a loro indeterminato piacimento. E ciascuno le consideri un po’ come meglio ritiene: se e quando verranno regolamentare, sarà probabilmente troppo tardi.

Fonte: Filippo Ceccarelli – Repubblica.it

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Lobbisti, i padroni di Tampa http://www.lobbyingitalia.com/2012/08/lobbisti-i-padroni-di-tampa/ Mon, 27 Aug 2012 23:44:10 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1541 Usa, l’inviato di Lettera43.it alla convention repubblicana: anche gli italo-americani tra gli uomini d’affari di Romney.

Una preghiera contro l’uragano, un ricordo per Neil Armstrong e tre simbolici colpi di martello per far decollare il contatore del debito pubblico dell’amministrazione di Barack Obama. Cinque minuti in tutto, forse meno.
L’apertura della convention repubblicana di Tampa lunedì 27 agosto si è ridotta a un drappello di delegati accalcati intorno al palco ancora in via di rifinitura: gli uomini con i cappelli texani in testa e le donne con i tacchi alti in mano, sfiancate dai chilometri di sentieri recintati necessari ad attraversare la città militarizzata.
La pioggia di Isaac, arrivata infine dopo ore di spasmodica attesa a pochi minuti dall’inizio ufficiale dei lavori, non ha invogliato la partecipazione. Ma, nei giorni melliflui che precedono il grande show della nomination, tutti hanno altri impegni. A lavorare non sono solo gli elicotteri che ronzano sopra il Tampa Bay Times forum con la stessa insistenza delle libellule giganti trasportate dalla tempesta tropicale. L’attività ferve lontano dai maxischermi: lobbisti, uomini d’affari e gente di mondo sono impegnati a scambiare biglietti da visita e promesse.

CENA D’AFFARI PER 90 LOBBISTI. Al ristorante Donatello – «25 anni di cucina privata a quattro stelle», accoglie un cartello all’ingresso – non si prendono prenotazioni. La National italian american foundation (Niaf, fondazione nazionale italo-americana) ha riservato per cena una saletta appartata: 10 tavoli per 90 persone in giacca e cravatta e abito lungo per le donne.
Il menù è luculliano: bruschette, scaloppine, calamari, dolci al cucchiaio. L’ingresso, invece, è riservato agli invitati: i repubblicani nel board dell’associazione italo-americana, gli iscritti con simpatie conservatrici, personaggi in vista nel business locale e nazionale, tre membri del Congresso, Mike pompeo, John Mica e Pat Tiberi con solidi legami con l’Italia e l’ambasciatore italiano a Washington Claudio Bisogniero.
«Niente di più di un incontro di routine», precisa Mark Valente III, 57 anni, nominato da pochi mesi nel consiglio d’amministrazione dell’associazione degli italiani e dominus di Valente Associates, veterana delle agenzie di lobbying di Washington Dc.

Alla convention per pianificare il futuro con Romney alla Casa Bianca

Ma l’adunata dei repubblicani è l’occasione per fare il punto su occasioni e opportunità prossime venture. Specie se Mitt Romney, come qui pensano in molti, dovesse sbaragliare Obama il 6 novembre.
Analoghi ragionamenti, per onore del vero, saranno fatti a Charlotte i primi di settembre, quando i democratici metteranno in campo il loro armamentario di miti e sogni per cercare la riconferma.

FEDELTÀ AL LIBERO MERCATO.La Niaf è un organismo bipartisan e senza scopi di lucro, anche se dalla fondazione, nel 1975, si occupa tra le altre cose di «promuovere e sviluppare i rapporti economici e culturali tra Italia e Stati Uniti». Anche spingendo i propri uomini migliori nelle maglie dell’amministrazione di turno.
Riuscirci, di questi tempi, è particolarmente importante. «Noi crediamo al capitalismo, non al socialismo», riassume senza prenderla troppo per il sottile Valente, la cui fede nel mercato libero ne ha fatto un fedele servitore prima di Ronald Reagan e poi di Bush figlio, nonché intimo amico del vicecandidato repubblicano alla presidenza Paul Ryan.
Per questo nipote dell’Abruzzo, nato e cresciuto in Michigan, rimpiazzare Obama è cruciale. E tra una risata, un aneddoto e una stretta di mano, a tavoli di Donatello molti dimostrano di pensarla come lui.

All’interno della Niaf ci sono anche alcuni democratici

Non che i 20 milioni di italo-americani degli Stati Uniti siano tutti repubblicani, anzi. Tra i 30 membri del consiglio di amministrazione ci sono anche ferventi democratici. Ma il business è il business e «noi vogliamo che questo Paese ritorni a essere l’humusgiusto per la proliferazione delle imprese. E si sa che gli italiani sono fenomenali piccoli imprenditori».
I dati sull’export in America dall’Italia, diffusi dall’ambasciatore via Twitter prima della cena, sono confortanti: +8,1% rispetto alla media del resto del mondo. La strada su cui lavorare è tracciata.

FINMECCANICA SOCIO AL 25 DI MBDA.Anche perché delle entrature di Valente al Congresso, oggi, non sono moltissimi gli italiani a beneficiare. Il signore che conosce bene la Casa Bianca non ama sbottonarsi, ma spulciando tra gli archivi compare Finmeccanica, in qualità di socio al 25% di Mbda (gli altri sono Eads e Bae Systems, entrambi al 37,5%), «l’unico gruppo in grado di progettare e produrre missili e sistemi missilistici che coprono l’intera gamma e che corrispondono alle attuali e alle future esigenze operative delle tre forze armate (terra, mare, aria)».
Ma di certo la rosa potrebbe essere più ampia se la Niaf piazzasse un proprio uomo all’interno della futura amministrazione Romney, come auspicato da molti a Tampa.

MASSIMA COPERAZIONE CON L’ITALIA. Il nome sussurrato è quello di Joseph del Raso, presidente dell’associazione italo-americana dalla solida fede repubblicana e altrettanto solide frequentazioni tra Roma e Washington, già a servizio di George W. Bush e insignito nel 2010 dal Quirinale del titolo di cavaliere del lavoro.
Sono solo supposizioni, sussurrate tra un calice di vino e l’altro, lontano dai taccuini e dai registratori. Forse poco più che desiderata, di cui comunque gli imprenditori italiani che con la Niaf hanno contatti – i cui nomi sono «riservati», dicono da Washington – non sono stati nemmeno informati: sarebbe prematuro.
«Perché comunque vada, i rapporti tra Italia e Stati uniti resteranno ottimi, sotto ogni profilo», si affretta a precisare Valente. «Tutti i governi americani sono sempre stati vicini a quelli italiani, la cooperazione è massima, a prescindere da chi è in carica».

LA PASSIONE USA PER BERLUSCONI. Che Romney vinca la Casa Bianca e il premier Mario Monti resti o meno in carica, insomma, per la diplomazia delle lobby, culturali o degli affari, il legame italo-americano è inossidabile.
Ma Valente, ecco, una simpatia particolare ce l’ha. «Certo, se lo chiede a me, e parlo a titolo personale, io mi sento più vicino a Silvio Berlusconi: lui è un vero capitalista come bisogna essere».

Fonte: Lettera43

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La parola: Lobby – La Repubblica http://www.lobbyingitalia.com/2011/12/la-parola-lobby-la-repubblica/ Fri, 16 Dec 2011 20:22:14 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=1938 (voce inglese, dal latino medievale lobia, loggia, portico; dalla metà del XVI secolo ha il significato di ‘passaggio’, ‘corridoio’; in tedesco, Laube, portico). 
Il significato attuale  –   ‘gruppo di pressione’, ‘gruppo di interesse’  –  nasce dal fatto che lobby è anche la grande anticamera nella Camera dei Comuni, a Londra, dove i rappresentanti degli interessi sociali  –  i lobbisti  –  fino dalla prima metà del XIX secolo prendevano contatto con i deputati, per rendere note a essi le esigenze e le richieste dei loro mandanti.

Oggi negli Usa il lobbismo, ossia il rappresentare interessi sociali davanti ai parlamentari, è del tutto ufficiale e pubblico.  Al contrario, negli ambiti politici continentali, dove la rappresentanza politica si legittima attraverso il bene comune, o la volontà della nazione, il lobbismo  –  pur diffusissimo  –  è informale, non ufficiale e non trasparente. Se infatti è in linea di principio ammissibile che un parlamentare venga a contatto con pezzi della società civile, per conoscerne le esigenze, è anche evidente che non può essere il portavoce diretto di interessi particolari, perché il suo compito è precisamente legiferare avendo come obiettivo l’interesse generale. Il passaggio di denaro, poi, dal lobbista al politico, è sempre illecito, e in sospetto di corruzione.

L’esistenza di interessi particolari è strutturale nella società. Questi interessi possono farsi valere sulla scena politica attraverso i partiti, che nei loro programmi fanno riferimento abbastanza chiaro a ceti o a gruppi  –  anche quando, come avviene oggi, i partiti sono largamente post-ideologici e post-classisti  – . Gli interessi, in questa ipotesi, si affacciano sulla scena pubblica attraverso il processo elettorale, i partiti, il parlamento; dove, peraltro, devono sforzarsi di assumere un valore generale, di acquisire una piena legittimità politica attraverso un processo di confronto aperto e pubblico. Quello che gli interessi particolari non possono fare  –  e dovrebbero in ogni caso non trovare ascolto  –  è chiedere e ottenere, dal ceto politico, specifiche esenzioni da obblighi, o specifiche conferme di privilegi, o specifiche omissioni di intervento legislativo. In tal modo si assiste a una sorta di ‘trionfo del particolare’, che lede sia l’autonomia della politica sia l’uguaglianza dei cittadini: se la politica è fatta dalle lobbies, infatti, è più che probabile che vincano sempre i più forti, i più ricchi, i più influenti. La lobby dei farmacisti  (solo per fare un esempio fra i mille possibili) prevarrà sempre su quella dei pensionati.

Tramontata da molti decenni l’ipotesi corporativa  –  che consisteva nel dare rilievo pubblico  e giuridico agli interessi sociali organizzati, all’interno di uno Stato autoritario  – , la crisi del modello liberaldemocratico, che prevede una forte e decisa mediazione dei partiti e del parlamento, porta di fatto l’anticamera a prevalere sulla Camera, la politica di corridoio a sostituire quella dell’aula.

Oggi, così,  le lobbies sono più forti e influenti che mai, e hanno abbastanza potere per impedire riforme sgradite agli interessi più forti, o più diffusi, bloccando di fatto la società (e le sue energie) in una miriade di privilegi grandi e piccoli, che non si limitano a  danneggiare il cittadino in quanto consumatore ma impoveriscono anche la politica e la sfera pubblica in generale, trasformandola in una giungla in cui vige la legge del più forte e nessuno è vincolato a un orizzonte generale. Questa vittoria del privato sul pubblico, in ogni caso, è frutto di scarsa lungimiranza. Un Paese senza politica, composto da gruppi che si comportano come free rider e tendono a spostare il peso della politica sulle spalle altrui, in un ‘si salvi chi può’ permanente,  è infatti intrinsecamente a rischio. E, se crolla, trascina alla rovina anche gli interessi particolari delle lobbies oggi trionfanti. E non si salva nessuno.

 

Fonte: La Repubblica

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Camera con lobby. Intervista a Francesco Leopardi Dittaiuti http://www.lobbyingitalia.com/1995/12/camera-con-lobby/ Mon, 11 Dec 1995 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/1995/12/camera-con-lobby/ SI E’ SPOSTATO IL LIVELLO DECISIONALE E’ CAMBIATO il lobbismo fra Prima e Seconda Repubblica?

Per Francesco Leopardi Dittaiuti, una lunga esperienza di lobbying per multinazionali e grandi aziende, il mutamento è totale: “Sono cambiate le condizioni di base, con tutto il disorientamento del caso. Il passaggio dal proporzionale al maggioritario rischia di creare una democrazia dei poteri forti, perchè per far eleggere un candidato basta spostare pochi voti da uno all’ altro dei due schieramenti. Per un grosso gruppo o un’ associazione industriale è più semplice essere rappresentati in Parlamento, per la maggior capacità di pressione“.

E per il piccolo lobbista, portatore di interessi particolari? “Un disastro: non potendosi rivolgere in modo convincente all’ intero schieramento, è costretto paradossalmente ad un lavoro molto più capillare, ad un giro molto più ampio presso una moltitudine di piccole forze politiche, che deve estendersi sull’ uno e sull’ altro schieramento perché non si sa chi domani prevarrà. L’attuale fase di incertezza rende più impegnativo il nostro mestiere: prima si sapevano i due-tre partiti più forti su cui concentrarsi, e si andava a colpo sicuro“.

ENTI LOCALI LA VERA NOVITA’ ANCHE il Censis s’ interroga sui cambiamenti del lobbismo nella transizione italia. Spiega Maria Pia Camusi, che del Censis è direttore della ricerca: “Pensiamo al ruolo dei sindaci e delle amministrazioni locali, che ha cambiato criteri e luoghi di intervento. A quel livello si formano decisioni importanti, e molto meno in Parlamento. Manca quindi il terreno di coltura per la fauna dei portaborse, che comunque esiste ancora. Vedremo quando arriverà un Parlamento motivato e nel pieno dei suoi poteri se la maturazione della società civile avrà portato a maggior trasparenza“.

Che a contare siano le forze locali non è un male per Carlo Alberto Pratesi, che fa lobbying per interessi non commerciali ma naturalistici: “Il Wwf doveva salvare una palude vicino Castiglione, esposta a chi voleva sfruttarla per la pesca, trasformarla in una lottizzazione o stravolgerla in mille altri modi, ognuno con solidi addentellati presso le amministrazioni locali. Allora abbiamo organizzato la ‘ festa del tarabuso’ , un uccellino che è il simbolo della zona. Sono venuti tutti: sindaci, palazzinari, pescatori, e tanta gente. Abbiamo vinto grazie al consenso popolare“.

Eugenio Occorsio – La Repubblica, Affari & Finanza

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Maccanico propone una legge per le lobby http://www.lobbyingitalia.com/1988/11/maccanico-propone-una-legge-per-le-lobby/ Thu, 10 Nov 1988 10:01:21 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=1969 (Antonello Caporale) Il Parlamento si deve avviare a legalizzare le lobby: quei gruppi di pressione che si fanno portavoce di interessi più o meno particolari a Montecitorio come nelle altre sedi istituzionali.

La questione lobby è stata sollevata, in un’ intervista all’ Europeo, dal ministro per le Riforme istituzionali, Antonio Maccanico. E’ un problema ha affermato il ministro non più rinviabile. Lo si deve affrontare in tre modi: rendendo pubblici e legali i gruppi di pressione; modificando il sistema elettorale e liberalizzando il finanziamento ai partiti.

L’ abolizione del voto segreto è quindi, per il ministro, soltanto il primo passo per rendere più trasparenti le regole del gioco. In una società moderna continua Maccanico non c’ è nessun valido motivo per costringere i calzaturieri o i farmaceutici ad agire nell’ ombra come dei ladri. Si istituisca dunque una sede pubblica nella quale le lobby siano registrate, adeguatamente riconoscibili e abilitate a sostenere il loro punto di vista.

Ovviamente il parlamentare che intrattenga rapporti al di fuori di questi canali dovrà essere punito: se necessario anche con l’ espulsione dal Parlamento. Tutto ciò però aggiunge Maccanico non è ancora sufficiente. Bisogna modificare il finanziamento delle campagne elettorali.

Non sta scritto da nessuna parte che un determinato gruppo di interesse, anche commerciale, non possa finanziare un partito o un candidato. Una impostazione, questa, non condivisa da Luciano Guerzoni, deputato della Sinistra indipendente: Non si capisce dice Guerzoni quale relazione possa esserci tra la questione delle lobby e la modifica del sistema elettorale o la liberalizzazione del finanziamento ai partiti.

La questione principale è, invece, un’ altra: l’ integrità dell’ apparato amministrativo dello Stato. La legalizzazione dei gruppi di pressione può rendere la vita pubblica più trasparente se è accompagnata da criteri che sottopongano ad un rigido controllo questi gruppi. Prosegue Guerzoni: Una legge che obbliga i deputati a dichiarare da chi è finanziata la propria campagna elettorale già esiste. Nessuno però controlla se quelle dichiarazioni sono false o veritiere.

Il vice presidente della Camera, il socialista Aldo Aniasi, che presiede il comitato per la riorganizzazione dei servizi di informazione di Montecitorio, concorda invece con la proposta di Maccanico: Ogni giorno alla Camera entrano decine di lobbisti. Noi non conosciamo nulla di costoro: chi sono, se pagano qualcuno e, soprattutto, chi rappresentano. Registrare questi gruppi, individuarli e regolamentare la loro attività non è più rinviabile. Per questo il Parlamento promuoverà, nei prossimi giorni, un convegno proprio sulle lobby.

Già nell’ 85 alla Camera è stato presentato un testo unificato: primi firmatari il democristiano Cristofori, la comunista Francese e il socialista Ferrari Marte. La proposta non andò però molto lontano: si arenò alla commissione Lavoro della Camera in cui, in sede referente, era all’ esame. La proposta è stata ripresentata quest’ anno dal gruppo democristiano, primo firmatario sempre il deputato Nino Cristofori che, nel frattempo, è stato eletto alla presidenza della commissione Bilancio della Camera. La proposta di legge è la numero 479, titolata “Norme per il riconoscimento e la disciplina delle attività professionali di pubbliche relazioni“. Il provvedimento dà la nozione dell’ attività di pubbliche relazioni, prevede un elenco di tutte le società, i criteri per l’ ammissione, le sanzioni.

Fonte: La Repubblica

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