registro per la trasparenza – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Commissione UE, verso una riforma del Registro per la Trasparenza http://www.lobbyingitalia.com/2016/03/commissione-ue-registro-trasparenza/ Tue, 01 Mar 2016 16:38:21 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3174

Nuova consultazione della Commissione sul Registro per la Trasparenza delle lobby. La domanda principale è: sarebbe opportuno renderlo obbligatorio per tutte le istituzioni dell’UE?

Il 1º marzo la Commissione avvierà una consultazione pubblica di 12 settimane per raccogliere contributi sull’attuale regime di registrazione per i rappresentanti di interessi che cercano di influenzare il lavoro delle istituzioni dell’UE e sulla sua evoluzione verso un registro obbligatorio dei lobbisti esteso al Parlamento europeo, al Consiglio dell’Unione europea e alla Commissione.

Il primo Vicepresidente della Commissione Frans Timmermans ha dichiarato: “L’attuale Commissione sta modificando il nostro modo di lavorare, che evolve verso un maggior coinvolgimento dei soggetti interessati e una maggiore trasparenza a proposito di chi incontriamo e perché. Dobbiamo andare ancora oltre e stabilire un registro obbligatorio, valido per tutte e tre le istituzioni, che garantisca la piena trasparenza sui lobbisti che cercano di influenzare l’elaborazione delle politiche dell’UE. Per riuscire a mettere in pratica correttamente questa proposta ci auguriamo di ricevere il maggior numero di contributi possibile da cittadini e soggetti interessati di tutta Europa sul funzionamento dell’attuale sistema e sulla sua evoluzione. Un’Unione europea più trasparente e responsabile è un’Unione in grado di fornire risultati migliori ai cittadini.

La Commissione ha elaborato una consultazione in due parti che consentirà di raccogliere le opinioni di un’ampia gamma di soggetti interessati, della società civile e dei cittadini. La prima fase della consultazione, che non richiede una conoscenza approfondita dell’attuale registro per la trasparenza, consente ai non esperti di rispondere a domande sui principi e sull’ambito di applicazione; la seconda sezione intende invece raccogliere pareri sul funzionamento pratico dell’attuale sistema da parte di coloro che lo utilizzano. I documenti della consultazione sono disponibili in tutte le lingue dell’UE per consentire un ampio feedback. La consultazione terminerà martedì 24 maggio.

Il nuovo sistema, che la Commissione intende presentare come proposta di accordo interistituzionale, costituirebbe un’evoluzione rispetto al registro attuale, gestito congiuntamente dal Parlamento europeo e dalla Commissione ma non obbligatorio e non esteso al Consiglio. Le riforme interne alla Commissione hanno già determinato un netto aumento delle iscrizioni al registro per la trasparenza: al 1º marzo nel registro figurano 9.286 iscritti rispetto ai 7.020 del 31 ottobre 2014, prima cioè dell’entrata in funzione della Commissione e delle sue riforme. La Commissione ritiene che lavorare insieme ai colegislatori del Parlamento europeo e del Consiglio sia determinante per consentire ai cittadini di avere una visione d’insieme su quali rappresentanti di interessi cercano di influenzare il processo legislativo. La consultazione pubblica servirà da base per la proposta che la Commissione presenterà nel corso dell’anno.

Contesto

La Commissione ha già intrapreso importanti riforme della propria organizzazione interna per promuovere una maggiore trasparenza. In base ai metodi di lavoro della Commissione Juncker, i commissari non possono più riunirsi con organizzazioni che non figurano nel registro per la trasparenza. In linea con l’iniziativa per la trasparenza, introdotta nel novembre 2014, tutte le riunioni tra rappresentanti di interessi e commissari, membri dei gabinetti e direttori generali della Commissione devono essere rese pubbliche entro due settimane dal loro svolgimento.

Nel suo primo anno di attività la Commissione ha pubblicato informazioni su oltre 6.000 riunioni (delle quali circa 5.500 con commissari e membri dei gabinetti e 600 con direttori generali). L’introduzione di questo nuovo sistema ha di fatto reso l’iscrizione nel registro per la trasparenza un requisito obbligatorio per qualsiasi soggetto intenzionato a incontrare i più alti responsabili politici e funzionari dell’UE.

L’impegno della Commissione di presentare la proposta di un registro per la trasparenza obbligatorio esteso a tutte le istituzioni europee figura anche negli orientamenti politici del presidente Juncker e nel programma di lavoro 2016 della Commissione. La Commissione ritiene che i cittadini abbiano il diritto di sapere chi cerca di influenzare il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione nel processo legislativo.

Le modifiche previste per il registro per la trasparenza sono parte di un più ampio progetto di riforma del modo di elaborare le politiche nell’UE. Nella sua agenda “Legiferare meglio, presentata nel maggio 2015, la Commissione si è assunta l’impegno di aprire ulteriormente il processo di elaborazione delle politiche al controllo e al contributo dei cittadini. Sono già stati istituiti nuovi meccanismi di feedback che consentono ai soggetti interessati di manifestare alla Commissione il loro punto di vista fin dall’inizio dell’elaborazione di un’iniziativa, sulla base di tabelle di marcia e valutazioni d’impatto iniziali, e in seguito all’adozione di una proposta da parte della Commissione, in modo da contribuire al processo legislativo in seno al Parlamento e al Consiglio.

Altri strumenti che consentono ai soggetti interessati di presentare osservazioni sulla legislazione esistente sono previsti nel quadro del programma REFIT. Il sito web “Ridurre la burocrazia — dite la vostra!” è già operativo e consente ai cittadini di fornire un feedback su norme dell’UE esistenti. I contributi ricevuti vanno ad alimentare l’operato della piattaforma REFIT, che offre consulenza alla Commissione sugli ambiti legislativi che andrebbero riesaminati per rendere la legislazione dell’UE più efficace ed efficiente.

Nel novembre 2014 la Commissione ha infine adottato una comunicazione che delinea una maggiore trasparenza nei negoziati per il partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP). La Commissione ritiene fondamentale garantire che l’opinione pubblica abbia accesso a informazioni accurate ed esaurienti sulle intenzioni dell’UE nell’ambito dei negoziati.

La consultazione pubblica sarà aperta fino all’1 giugno 2016 al seguente link.

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Bruxelles corrotta, Europa infetta | L’Espresso http://www.lobbyingitalia.com/2015/10/bruxelles-corrotta-europa-infetta-lespresso/ Fri, 02 Oct 2015 13:42:28 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2957 Nuova inchiesta de L’Espresso, molto negativa sul mondo del lobbying comunitario.

Tangenti. Sprechi. Inefficienza. Istituzioni al servizio di lobby potenti e occulte. Ecco tutti i pubblici vizi della capitale. Che affossano la fiducia nell’Unione.

È UN TOUR TRA GLI EDIFICI più importanti della città: dalla residenza reale al museo di belle arti, dagli uffci ministeriali alle carceri, dall’osservatorio astronomico al palazzo di giustizia. Sono maestosi, coperti di marmi e statue a testimoniare la solidità della virtù pubblica. Eppure per dieci anni a gestirli è stata una cricca: ogni appalto una mazzetta, altrimenti non si lavorava. Tutti sapevano, nessuno ha mai denunciato la rete criminale che ha trasformato il cuore del Paese in una vera Tangentopoli. Non stiamo parlando della gang romana di Mafia Capitale, questa è Bruxelles: due volte capitale, del Belgio e dell’Europa. E due volte corrotta, nell’intreccio d’affari tra poteri locali e autorità continentali. Qui non si decide soltanto la vita di una nazione lacerata dalle tensioni tra valloni e fiamminghi, ma il destino di mezzo miliardo di persone, cittadini di un’Unione che mai come in questo momento si mostra debole e inconcludente. Dall’inizio del millennio la fiducia degli italiani, come evidenzia il sondaggio Demopolis, è crollata e solo uno su quattro crede ancora nell’Europa. Bruxelles però è anche il laboratorio in cui la corruzione si sta evolvendo. La mutazione genetica delle vecchie bustarelle in un virus capace di intaccare in profondità la reputazione delle istituzioni europee, diffuso silenziosamente da quei soggetti chiamati lobby. Realtà estranee alla tradizione democratica dei nostri Stati nazionali e molto diverse dai modelli statunitensi, perché qui non ci sono leggi che le regolino, né sanzioni che le spaventino: le lobby sono invisibili e allo stesso tempo appaiono onnipotenti.

LA GIUSTIZIA IMPRIGIONATA Il simbolo è Place Poelaert, la grande piazza panoramica affacciata sul centro storico di Bruxelles. Da un lato c’è il palazzo di giustizia, con la cupola dorata che svetta sull’intera città: una muraglia di impalcature lo imprigiona da cima a fondo, soffocando le colonne dietro un gigantesco castello di assi che marcisco no tristemente. Il cantiere dei restauri è abbandonato da otto anni, da quando i titolari sono stati arrestati, assieme ad altri 33 tra imprenditori e funzionari accusati di avere depredato l’intero patrimonio immobiliare statale. Proprio di fronte al palazzo della giustizia impacchettato c’è uno splendido complesso rinascimentale, con un giardino impeccabile. È la sede del Cercle de Lorraine, “the business club”, come recita la targa: l’associazione che raccoglie gli industriali più prestigiosi del Paese, baroni e visconti da sempre padroni del vapore assieme ai manager rampanti della new economy. Lì, tra sale affrescate e camerieri in livrea, promuovono i loro interessi. Insomma, sono una lobby. Una delle oltre seimila che presidiano la capitale europea, con più di 15 mila dipendenti censiti mentre altrettanti si muovono nell’oscurità. A Bruxelles il colore degli affari rispecchia il cielo perennemente coperto: si va dal grigio al nero. Non a caso, la frase magica della cricca degli appalti era «bisogna che il sole splenda per tutti».

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IL CANTIERE INFINITO Oggi la città è tutta un cantiere. Sono centinaia. Dall’aeroporto al quartiere generale della Nato, dalla periferia al centro storico si vedono ovunque gru e ruspe all’opera. Per non essere da meno, anche il Parlamento europeo vuole abbattere l’edificio dedicato a Paul-Henri Spaak, completato nel 1993 con un miliardo di spesa: il progetto prevede altri 750 uffici per i deputati del presente e del futuro, rappresentanti delle nazioni che aderiranno all’Unione negli anni a venire. Se però dal Palazzo di Giustizia si va verso il Parlamento percorrendo la chaussée d’Ixelles, la frenesia cementizia si mostra in una luce diversa. La lunga arteria è stata completamente rifatta nel 2013, solo che al momento dell’inaugurazione c’è stata una sorpresa: i marciapiedi erano troppo larghi e gli autobus finivano per incastrarsi l’un contro l’altro. Hanno ricominciato da capo, di corsa. Appena riaperta al traffico, però, la pavimentazione allargata non ha retto al peso dei pulmann e si è riempita di buche, manco fosse Roma. E giù con la terza ondata di lavori: ora la strada sembra una chilometrica sciarpa rattoppata. Ixelles è un comune autonomo, perché Bruxelles in realtà è un insieme di diciannove piccoli municipi indipendenti, ciascuno con il suo borgomastro. In questo periodo il meno sereno è il sindaco di Uccle, che per undici anni è stato pure presidente del Senato belga. Come avvocato ha difeso una masnada di magnati kazaki, ottenendone l’assoluzione. In cambio ha ricevuto 800 mila euro. «Compensi professionali», ha spiegato Armand De Decker. Il sospetto invece è che la scarcerazione degli oligarchi sia il tassello di un intrigo internazionale: una clausola del patto segreto tra il presidente kazako Nazarbayev e l’allora collega francese Sarkozy per la vendita di elicotteri, in cui era previsto anche «di fare pressione sul senato di Bruxelles». Un’accusa formulata dagli inquirenti parigini, perché le procure locali si guardano bene dall’indagare. Gli investigatori belgi non hanno fama di efficienza né di indipendenza. La storia recente del Paese è costellata di scandali che si perdono nel nulla, tra trame occulte e massoneria: i parallelismi con l’Italia sono forti e anche qui prospera una cultura del sospetto, che porta i cittadini a diffidare della giustizia. L’inchiesta sulla tangentopoli capitale è partita nel 2005, le sentenze di primo grado ci sono state solo quattro mesi fa. I dieci dirigenti della Régie des Batiments, che per un decennio hanno intascato almeno un milione e 700 mila euro, se la sono cavata con condanne irrisorie. «I fatti sono gravi, ma ormai antichi», ha riconosciuto la corte.

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IL BAROMETRO DELL’ONESTA’ Questa giustizia lenta e spesso inefficace è anche arbitro di parecchi dei misfatti che avvengono nei palazzi della Ue. Sono le magistrature nazionali a procedere penalmente contro i corrotti, perché le agenzie europee possono minacciare soltanto sanzioni amministrative: la punizione massima è il licenziamento, una rarità, mentre più frequenti sono le retrocessioni di grado e soprattutto le lettere di richiamo. Di certo, non un grande deterrente per rinsaldare la moralità dei commissari, dei 751 deputati e dei 43 mila funzionari che gestiscono ogni anno oltre 140 miliardi di euro e scrivono leggi vincolanti per 28 Paesi. Mentre anche dalla loro onestà dipende la credibilità di un organismo sempre meno rispettato. L’istituto statistico più autorevole, Eurobarometro, due anni fa ha lanciato l’allarme: il 70 per cento dei cittadini ritiene che la corruzione sia entrata nelle istituzioni europee. Lo credono 27.786 persone, selezionate scientificamente per rappresentare l’intera popolazione dell’Unione. È un dato choc. La Commissione ha reagito annunciato una crociata contro le tangenti in tutto il Continente. Ovunque, tranne che nei suoi uffici: nel 2014 il primo rapporto anti-corruzione nella storia della Ue ha sezionato i vizi di ogni Paese, senza però fare cenno ai peccati dentro casa: quella che la Corte dei Conti europea ha definito nero su bianco «un’infelice e inspiegabile omissione». D’altronde la presidenza di Jean-Claude Juncker è cominciata nel peggiore dei modi. Le rivelazioni di LuxLeaks – pubblicate in Italia da “l’Espresso” – hanno messo a nudo il suo ruolo nel trasformare il Lussemburgo nel Bengodi delle aziende in cerca di tasse irrisorie. Per riscattarsi, Juncker ha promesso una sterzata contro l’iniquità fiscale legalizzata. «Ma finora la Commissione è stata passiva su questa materia», sottolinea Eva Joly, per anni il giudice istruttore più famoso di Francia, che ha portato alla sbarra i crimini delle grandi aziende, ed ora è eurodeputato verde: «La follia è che abbiamo al vertice dell’Europa l’uomo che ha arricchito il Lussemburgo grazie alle tasse rubate agli altri, con guadagni che continuano a crescere. Nel Parlamento i verdi hanno imposto la creazione di un comitato speciale: il primo rapporto sarà pronto tra un mese e sarà molto duro. Anche i conservatori ora hanno capito e c’è la volontà di piegare i paradisi fiscali: sono convinta che il Lussemburgo dovrà adeguarsi o uscire dall’Unione».

Espresso Bruxelles 4IL GRANDE CIRCO Quello che Juncker costruito in Lussemburgo, a Malta lo ha realizzato John Dalli, il ministro che ha fatto dell’isoletta una piazzaforte finanziaria, graditissima agli investitori italiani più spregiudicati e ai miliardi rapidi delle scommesse. Poi nel 2010 Dalli è entrato nel governo dell’Unione: come commissario per la salute ha avuto in mano dossier fondamentali, incluso il via libera alle coltivazioni ogm. Finché la sua carriera non si è trasformata in circo. Letteralmente. Il suo vecchio amico Silvio Zammit, pizzaiolo e impresario circense part-time, è andato in giro chiedendo soldi per conto del «boss». Ha prospettato a una holding svedese la possibilità di spalancare il mercato eu ropeo a un prodotto che piace molto agli scandinavi: lo snus, il tabacco da masticare. Una passione da pirati e cowboy, fnora proibita nel resto della Ue, con potenzialità miliardarie: rimpiazza le sigarette anche dove il fumo è vietato. In cambio Zammit ha chiesto una somma niente male: 60 milioni di euro, poco meno della storica tangentona Enimont. La questione è arrivata sul tavolo dei detective dell’Olaf, l’unità antifrode eu ropea guidata dall’italiano Giovanni Kessler. Con investigatori provenienti dalla Guardia di Finanza, perquisendo di notte l’uffcio del commissario, sono stati trovati «indizi plurimi» del coin volgimento personale di Dalli. Nell’ottobre 2012 l’allora presidente Barroso ha obbligato il maltese alle dimissioni, frmate molto controvoglia. Tant’è che quando, dopo la sostituzione del capo della polizia, l’indagine penale nell’isola è stata archiviata, Dalli ha cominciato a sparare denunce dichiarandosi vittima di un’ingiustizia. E il parlamento ha criticato l’azione dell’Olaf: «Dal rapporto dei supervisori emergono molti dubbi sui metodi del nostro istituto antifrode più importante, che nei resoconti manipola le statistiche per presentare risultati migliori del reale», sancisce l’eurodeputato verde Bart Staes, membro di spicco del comitato che vigila sul budget, altro ca posaldo del sistema di controllo. L’Olaf si è trovata ai ferri corti pure con la Corte dei conti, a cui ha contestato appalti oscuri. Che a sua volta ha rimandato le accuse al mittente. Insomma, un tutti contro tutti, con esiti abbastanza deprimenti per l’affidabilità dei custodi di Bruxelles. Oggi l’Europa sembra avere tanti cani da guardia litigiosi. E tutti con la museruola: abbaiano, ma non mordono. Il loro compito infatti si limita a suggerire provvedimenti. Fuori dai palazzi della Commissione, non hanno poteri e devono invocare l’aiuto delle polizie nazionali. Che – tra interessi patrona li e differenze normative – non sempre collaborano. I detective europei hanno bisogno di un’autorizzazione pure per ascoltare i testimoni. All’Olaf ogni indagine è affidata a una coppia di ispettori, senza assistenti: si fanno da soli pure le fotocopie e passano più tempo a difendersi da tiro incrociato delle altre autorità che non a investi gare. Il feeling che si respira è negativo, come se la lotta alla corruzione interna non fosse una priorità, anzi, dei primi eletti del movimento anti-europeo inglese: nei comizi urlava contro il malaffare di Bruxelles, poi falsificava le note spese. Janice Atkinson, sempre dell’Ukip, a marzo si è fatta triplicare la ricevuta dopo il cocktail con la moglie del leader Nigel Farage – 4350 euro invece di 1350 – mentre la sua assistente si vantava: «È un modo di riportare a casa i nostri soldi». E quando nel 2011 un reporter del “Sunday Times” si è finto lobbista, offrendo denaro in cambio di emendamenti a sostegno della sua società, tre deputati hanno abbocca to subito. Due – un austriaco e uno sloveno – si sono dimessi e sono stati condannati in patria. Il terzo, l’ex ministro degli Esteri romeno Severin, è ancora al suo posto mentre l’istruttoria a Bucarest langue. Distinguere tra lobbisti veri e falsi non è facile. A Bruxelles è stato istituito un registro per queste figure, senza vincoli né sanzioni: chi vuole si accredita. L’attivissima sezione europea di Transparency International un mese fa ha dimostrato che metà delle 7821 dichiarazioni ufficiali delle lobby era no «incomplete o addirittura insensate». E in tanti si sottraggono al censimento, a partire dagli studi legali: un’armata che esercita un’influenza nascosta. La soluzione? «Rendere obbligatoria l’iscrizione al registro», spiega Carl Dolan di Transparency. «E bisogna vietare ogni contatto con chi non è iscritto», aggiunge Staes: «Devo ammettere però che in Parlamento non esiste una maggioranza favorevole al registro obbligatorio. Noi verdi, come i 5 stelle italiani e alcuni esponenti socialdemocratici, ci stiamo battendo, molti invece sono contrari».

PORTE GIREVOLI Tra i palazzi delle istituzioni e quelli dei potentati economici ci sono tante porte girevoli. Si passa dagli uffici della Commissione a quelli delle corporation e viceversa. Figure come Lord Jonathan Hill, con trascorsi in società di lobby della City, imposto dal governo Cameron al vertice della strut tura Ue che si occupa di mercati finanziari. O il caso sensazionale di Michele Petite, il direttore europeo degli affari legali che si tramuta in consigliere della Philip Morris e poi rientra come presidente del comitato etico che dirime i confitti d’interesse nella Ue. Ma queste sono le pedine sullo scacchiere di una partita più complessa. Le manovre dei lobbisti intrecciano network che possono seguire la geopolitica dei governi, dei Partiti o semplici reti di conoscenze trasversali adeguatamente retribuite. Il terreno di caccia favorito è la zona grigia in cui i grandi propositi dei legislatori europei si trasformano in regolamenti, spesso modesti. Uno dei passaggi più opachi avviene nei “gruppi di esperti” che studiano i dossier caldi. Una ong ha appena svelato che il 70 per cento degli esperti incaricati di valutare la questione del fracking, la discussa tecnica di estrazione petrolifera, hanno relazioni con le compagnie del settore. Non si tratta di un’eccezione, ma di un andazzo molto diffuso. L’Ombudsman europeo, l’autorità etica più piccola e dinamica, apre un’istruttoria dietro l’altra. Senza spezzare la cortina di ferro che protegge gli intrallazzi. «Bisogna incrementare al massimo la trasparenza, deve esserci sempre una traccia scritta di chi interviene nelle discussioni interne», sintetizza Carl Dolan. I confitti di interessi pullulano: nel 2012 sono stati segnalati 1078 dipendenti europei con incarichi extra. Quelli sanzionati sono una ventina, quasi sempre con reprimende scritte o verbali. L’impunità è pressoché certa. Per anni il funzionario Karel Brus ha fatto sapere in anticipo agli emissari di due colossi dei cereali, l’olandese Glencore e la francese Univivo, i prezzi stabiliti dall’Europa per gli aiuti agricoli: notizie d’oro, che permettevano di investire a colpo sicuro. In cambio si ipotizza che abbia incassato almeno 700 mila euro. Prima della condanna penale però sono passati dieci anni e il travet è sparito in Sudamerica. E per le due società c’è stata solo una multa: mezzo milione, inezie rispetto ai profitti.

LA NUOVA CORRUZIONE La Commissione ha in mano un’arma micidiale: può bandire le aziende corruttrici da tutti i contratti europei. Misura applicata solo due volte negli ultimi anni. Perché la volontà di fare pulizia sembra labile. Prendiamo il dieselgate di Volskwagen: gli uffici tecnici dell’Unione avevano segnalato i trucchi della casa tedesca da parecchi mesi, ma la denuncia è rimasta lettera morta fino all’intervento delle autorità statunitensi. «Questa è la nuova corruzione. Ed è il nuovo mondo, in cui si agisce tramite logaritmi che falsifcano i dati dei computer: la realtà si riduce a schermate digitali, mentre Volskwagen otteneva fondi per produrre auto ecologiche e contribuiva ad aumentare l’inquinamento che uccide migliaia di persone», tuona Eva Joly: «Ma la portata dello scandalo è ancora più grave, perché dimostra che il rispetto delle regole non è più un valore. La Germania, il Paese della legge e dell’ordine, ha ingannato tutti; la loro azienda simbolo ha mentito per anni. Le nazioni che hanno costruito questa Unione stanno perdendo credibilità e non capiscono quanto ciò peserà sul futuro delle nostre istituzioni». In quello choccante 70 per cento di cittadini che percepisce un’Europa corrotta si proietta una sfiducia più vasta. «È un dato che nasce dallo sconcerto per la debolezza della reazione davanti ai problemi: la crisi economica, il tracollo greco e adesso l’esodo dei migranti», commenta Bart Staes: «La gente sente i racconti sulle pressioni delle lobby, si diffonde il sospetto che l’Unione serva più per tutelare gli interessi economici che i cittadini. C’è la necessità di riforme profonde, che non sono nell’agenda di Juncker. Ma soprattutto bisogna dare risposte concrete: fatti, non storytelling. Partiamo dalla Volskwagen: quasi tutti i produttori di auto sfruttano i buchi nella legislazione per alterare i test, noi verdi abbiamo proposto di cambiare le regole e punire chi mente. Se agisci e la gente vede che i guasti vengono risolti, allora avrà di nuovo fiducia».

CORSI E RICORSI STORICI Un professore dal cognome altisonante, David Engels, in un saggio ha paragonato il declino dell’Unione al crollo della repubblica nella Roma antica. Oggi come allora, l’allargamento troppo rapido dei confini, il confronto con un’economia globalizzata, la crisi dei modelli religiosi – all’epoca i nuovi culti importati nell’Urbe, adesso l’Europa cristiana alle prese con l’Islam – e il contrasto tra i privilegi dei patrizi e l’impoverimento dei ceti popolari, logorano le istituzioni democratiche. Un’analisi che riecheggia le parole scritte da Altiero Spinelli nel 1941, in quel manifesto di Ventotene che ha partorito l’idea di Europa unita. «La formazione di giganteschi complessi industriali e bancari… che premevano sul governo per ottenere la politica più rispondente ai loro particolari interessi, minacciava di dissolvere lo Stato stesso. Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si valevano per meglio sfruttare l’intera collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione che solamen te lo stato totalitario, potesse in qualche modo risolvere i confitti di interessi». Era la situazione che ha fatto trionfare le dittature e spinto il continente nel baratro della guerra. L’Europa unita è nata da questa lezione, che ora sta dimenticando.

Espresso Bruxelles 5Eravamo i più convinti di tutti. Quindici anni fa, l’alba del nuovo millennio vedeva l’Italia piena di euro-entusiasti: oltre il 53 per cento di cittadini. Ci credevamo più dei tedeschi e molto più dei francesi. Da allora la fiducia nella Ue si è sgretolata. E i dati Demopolis dimostrano che non è colpa della moneta unica. La picchiata del consenso è cominciata con la recessione economica internazionale e si è intensificata con la crisi greca, toccando il minimo a giugno: soltanto il 27 per cento degli italiani dava ancora credito al sogno europeo. Adesso il sondaggio, condotto dall’istituto diretto da Pietro Vento su un campione di mille persone, mostra una minuscola ripresa del consenso, ma solo di un punto. Nota informativa L’indagine è stata condotta nel settembre 2015 dall’Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento, su un campione stratifcato di 1.000 intervistati, rappresentativo dell’universo della popolazione italiana maggiorenne. Metodologia ed approfondimenti su: www.demopolis.it

soru lobby ue

Gianluca Di Feo, L’Espresso

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L’Europa governata dalle lobby (Internazionale) http://www.lobbyingitalia.com/2015/07/leuropa-governata-dalle-lobby-internazionale/ Thu, 23 Jul 2015 15:42:25 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2864 (Antonio Pollio Salimbeni) Tre parlamentari europei – tra cui l’ex ministro dell’interno austriaco Ernst Strasser, del Partito popolare, poi condannato – pizzicati a chiedere centomila euro a dei giornalisti che si spacciavano per lobbisti in cambio della presentazione di alcuni emendamenti a una direttiva europea. Poi, nel 2012, il caso del commissario europeo alla salute e consumatori, il maltese John Dalli, accusato di aver tenuto all’oscuro la Commissione della sua partecipazione a riunioni informali con rappresentanti dell’industria del tabacco nei giorni in cui stava elaborando una direttiva sul settore. Il maltese ha dovuto dimettersi quasi subito. Poi gli emendamenti “copia e incolla” alla direttiva sulla protezione dei dati: un eurodeputato ne ha presentati 158 per difendere una posizione contraria al diritto alla privacy e arrivavano direttamente dai documenti delle imprese interessate. Infine la pratica durata fino al 2009: gli esperti mandati dalle aziende alla Commissione, la sola istituzione che può elaborare e proporre una legge.

La storia dell’Unione europea è piena di episodi del genere, ma sono casi estremi. Il problema riguarda la normalità dei rapporti tra il business e le istituzioni europee, che non hanno mai ispirato così poca fiducia ai cittadini. Un rapporto di Trasparency international rimette il dito sulla piaga: anche se la Commissione di Jean Claude Juncker ha fatto dei passi avanti, deve fare ancora molta strada per assicurare una trasparenza effettiva e una completa eguaglianza di accesso alle istituzioni europee.

Bisogna precisare che l’attività di lobbying e l’influenza indebita non sono necessariamente sinonimi. La prima è certamente volta a influenzare le decisioni pubbliche per conto di un cliente o di un gruppo d’interesse, ma se è svolta alla luce del sole e rappresenta interessi legittimi in modo trasparente non pone alcun problema etico o politico. La seconda invece è un’attività opaca, subdola, volta esplicitamente a condurre un gioco sleale. È un processo discriminatorio perché favorisce solo determinati interessi a scapito di altri, e può portare a varie forme di corruzione.

Il lobbismo va considerato parte del funzionamento di una democrazia, e così la pensa anche Trasparency international. Ma spesso una parte dei processi attraverso cui vengono influenzate le decisioni pubbliche resta nascosto e passa attraverso canali informali. E qui cominciano i rischi e aumenta la vulnerabilità delle istituzioni. Capita che emergano conflitti di interesse o che certi gruppi godano di un accesso privilegiato a chi prepara e prende le decisioni.

Dopo Washington, Bruxelles è la città al mondo con la maggiore concentrazione di lobbisti. Non stupisce: nella capitale belga si prendono decisioni che condizionano più del 60 per cento della produzione legislativa degli stati dell’Unione. I lobbisti sono tra 15mila e 30mila, ovvero da 1,3 a 2,6 per ciascun funzionario europeo. Tenendo conto che a preparare, redigere e approvare le proposte di legge e le normative sono poche migliaia di funzionari, la sproporzione è ancora più forte.

Nel registro europeo della trasparenza sono attualmente iscritte 7.821 organizzazioni, di cui 4.879 dichiarano di avere come obiettivo influenzare le decisioni politiche delle istituzioni per conto delle aziende. Exxon Mobil, Shell, Microsoft e Deutsche Bank sono in cima alla lista delle imprese che spendono di più nell’attività di lobbying: le prime tre 4 milioni e mezzo di euro, la banca tedesca 3,9 milioni. Dominano i settori della farmaceutica, della finanza, delle telecomunicazioni e dell’energia.

Il peso di un cartellino

La spesa annuale in attività di lobbying è un indicatore fondamentale, come lo è anche il numero di badge, i cartellini che permettono di entrare nel parlamento europeo e avere accesso ai deputati, agli assistenti, e agli esperti dei gruppi politici. In genere i lobbisti delle imprese ne hanno pochi (Microsoft ne ha quattro, Shell ne ha sette, ExxonMobil cinque, Google otto, Siemens dieci), mentre le organizzazioni di categoria hanno accesso più facile: BusinessEurope ha a disposizione 23 badge, il Wwf 10, Eurocommerce 13, l’European Chemical Industry Council 24, Greenpeace 13, Oxfam 12, il Bureau européen des unions de consommateurs 24.

Nell’Unione europea l’iscrizione al registro è volontaria e questo getta un’ombra pesante sul livello di trasparenza: 14 dei 20 studi legali più grandi del mondo che hanno una sede nella capitale belga (tra cui Clifford Chance, Whitye&Case, Sidley Austin) non sono nella lista ma undici di queste sono registrati come lobby organisations a Washington, dove la registrazione è obbligatoria. In Europa solo 88 studi legali sono registrati.

A dominare la scena a Bruxelles sono i lobbisti che rappresentano associazioni di imprese e del commercio. I settori a più alta intensità lobbistica sono l’energia, il clima, l’economia digitale, i mercati finanziari e i trasporti. In fondo alla lista troviamo politiche regionali, bilancio, affari interni, aiuti umanitari e le politiche per la periferia dell’Unione europea. Più del 75 per cento dei 4.318 incontri con esterni della Commissione europea tra il dicembre del 2014 e il giugno del 2015 ha riguardato lobbisti di imprese, gli incontri con le organizzazioni non governative sono stati il 18 per cento, quelli con istituti di ricerca e vari think tank il 4 per cento, quelli con autorità locali il 2 per cento.

Vigilare in casa propria

Bisogna preoccuparsi oppure no? Certamente bisogna vigilare, perché il rischio di alterare il processo decisionale è elevato. Ma non bisogna esagerare. Trasparency international pubblica una graduatoria sul grado di trasparenza, sulle salvaguardie contro l’influenza indebita e sulle regole etiche nei sistemi politici di 22 paesi europei, da cui risulta che la Commissione europea è in seconda posizione con una quotazione del 53 per cento dopo la Slovenia (55 per cento). Il parlamento europeo ha il 37 per cento, il consiglio il 19 per cento. L’Italia si trova al 20 per cento, la Germania al 23 per cento, la Francia al 27 per cento, la Spagna al 21 per cento.

Ciò dimostra che l’influenza delle lobby non è solo un problema europeo, ma pervade i sistemi politici nazionali. Un caso recente è stata la difficilissima trattativa sulla vigilanza bancaria unica sotto l’egida della Banca centrale europea. Sull’estensione dei poteri della Bce ci sono state aspre contese sia nel Consiglio sia nel parlamento, e la Germania ha gettato tutto il suo peso nel negoziato. L’obiettivo era difendere le Sparkassen (casse di risparmio) e le Landesbanken (banche regionali di proprietà pubblica). Nella repubblica federale le banche sono “la cinghia di trasmissione tra la politica e l’economia”. Due anni fa Die Zeit ha fatto i conti concludendo che su 620 parlamentari tedeschi 126 facevano parte del consiglio di sorveglianza di almeno una società. La maglia degli interessi è intricatissima, sia a Bruxelles sia nelle capitali europee, e spesso i fili sono gli stessi.

Fonte: Internazionale

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Commissari Ue nel mirino delle lobby. La classifica [Affari Italiani] http://www.lobbyingitalia.com/2015/06/commissari-ue-nel-mirino-delle-lobby-la-classifica-affari-italiani/ Thu, 25 Jun 2015 15:25:24 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2834 I commissari Ue incontrano lobbisti dell’industria e della società civile. Ma il tedesco Oettinger, commissario al Digitale, predilige le grandi società

Il presidente della Commissione europea Juncker era stato molto chiaro: serve un registro che tenga traccia di tutti gli incontri tra i commissari europei, il loro staff e i lobbisti, che a Bruxelles sono una forza enorme, seconda come dimensioni solo a quella che gravita intorno a Washington.

Ecco allora che spulciando i registri salta fuori che il commissario più corteggiato dai lobbisti è lo spagnolo Miguel Arias Cañete, commissario all’Energia e al Clima, con  487 incontri. Segue il commissario a Lavoro e Sviluppo, Jyrki Katainen, con 398 incontri. Terzo, con 398 meeting, il tedesco Gunther Oettinger.

Ma attenzione, incontrare un lobbista non vuole necessariamente dire incontrare rappresentanti dell’industria, anzi. Anche associazioni come Greenpeace hanno i loro lobbisti, come anche i sindacati, le associazioni dei consumatori o le Ong. Il fatto è però che il commissario Oettinger, al contrario degli altri, non ha quasi mai incontrato questi lobbisti, ma nell’89 per cento dei casi rappresentanti dell’industria.

Tra le compagnie che hanno ‘fatto visita’ al commissario più di sovente troviamo Euronews, Deutsche Telekom, Orange, Vodafone Belgium, Telecom Italia, Microsoft e Telefonica.

Il commissario al Digitale sta attualmente lavorando nel trilogo con Parlamento Ue e Consilgio su una proposta per il Mercato Unico del Digitale che comprende, tra le altre cose, anche l’abolizione del roaming e il principio della net neutrality.

Fonte: Affari Italiani

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Il gran ritorno del Registro dei lobbisti (Formiche.net) http://www.lobbyingitalia.com/2015/06/il-gran-ritorno-del-registro-dei-lobbisti-formiche-net/ Fri, 05 Jun 2015 16:52:39 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2805 (Arnaldo Selmosson) Un passo indietro e uno avanti. Il ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha infatti reso noto il 28 maggio – nel corso della “Giornata della trasparenza”, organizzata nella Sala Cavour del ministero – che è stato firmato il decreto ministeriale che istituisce l’Elenco dei portatori di interesse che possono essere chiamati a partecipare a forme di consultazione da parte del Ministero.

L’obiettivo è incentivare e garantire la partecipazione dei portatori di interessi al processo decisionale per migliorare la qualità e la trasparenza dell’azione amministrativa nella fase di produzione degli atti normativi e dei regolamenti.

Con questo decreto – ha commentato il ministro Maurizio Martina – facciamo un passo in avanti importante sul versante della trasparenza nella Pubblica Amministrazione. Migliorerà la qualità dei processi decisionali dell’Amministrazione, un elemento fondamentale per rendere un buon servizio ai cittadini e semplificare la vita alle imprese“.

L’Elenco viene suddiviso in tre categorie:

– Organizzazioni professionali e associazioni di categoria delle filiere agricole e della pesca già note all’amministrazione e consultate durante la fase preparatoria di provvedimenti attuativi di norme e regolamenti;
– Associazioni dei consumatori e degli utenti membri del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti presso il Mise;
– Soggetti pubblici o privati con provato interesse per le materie di competenza del Mipaaf.

Il decreto ministeriale disciplina l’istituzione e l’aggiornamento dell’elenco attraverso procedure on line direttamente sul sito del Ministero e le modalità con cui l’amministrazione consulta i portatori di interessi.

In particolare, per iscriversi all’Elenco si dovrà compilare un semplice form di registrazione, indicando una serie di dati relativi all’attività svolta. Ogni iscritto presenterà una relazione annuale nella quale dovrà indicare il lavoro di rappresentanza di interessi condotto nei confronti del Ministero. L’Elenco, al pari delle relazioni prodotte, sarà consultabile da chiunque sul sito internet del Mipaaf.

Il ministero dell’Agricoltura diventa quindi il secondo dicastero a dotarsi di una regolamentazione insieme a quello delle Infrastrutture, dove però è il solo viceministro Riccardo Nencini ad attenersi, come spiegato tempo fa a Formiche.net: “Sul funzionamento ci sono varie ipotesi allo studio. Io al Ministero sto utilizzando quella più semplice, in auge al Parlamento Europeo. Chi vuole un appuntamento, deve registrarsi e indicare nome e cognome. Gliene chiediamo la ragione e, se ci sono documenti da consegnare, vengono registrati. Quindi, c’è un primo approccio trasparente al rapporto con il potere pubblico”.

Ma per chi ha memoria, il MIPAAF in realtà era già stato il primo.

Il passo indietro e il passo avanti

Quella volta l’annuncio avvenne nel Salone dell’Agricoltura del MIPAAF. In quel mercoledì 1 febbraio 2012 Mario Catania, allora ministro delle Politiche Agricole del governo Monti, rese pubblico il testo del Decreto Ministeriale – il n.2284 del 2012 – per regolamentare la partecipazione dei gruppi di interessi ai processi decisionali del ministero. In sintesi, un embrione di regolamentazione dell’attività di lobbying. Il primo vero atto con obblighi e diritti per rappresentanti di interessi e per la pubblica amministrazione dopo 40 (all’epoca, oggi siamo intorno ai 60) e più progetti di legge e il “ddl Santagata” del governo Prodi, nessuno dei quali andati in porto.

Il Registro venne quindi messo online nel novembre 2012, e per la prima volta in Italia si potè leggere una lista di lobbistici autodichiarati – aziende, società di consulenza, ecc., ma non le associazioni di rappresentanza – e degli interessi rappresentati. Un vero passo avanti verso la trasparenza, secondo molti addetti ai lavori.

Poi il suo successore, Nunzia De Girolamo, rottamò di fatto il Registro dei rappresentanti di interessi del Mipaaf, come raccontato da Formiche.net nel 2013. L’Unità per la Trasparenza fu in sostanza smantellata.

Ma qualcuno voleva essere sicuro che il Registro finisse definitivamente nel dimenticatoio, e – secondo alcune indiscrezioni – di recente qualcuno ai massimi livelli della struttura burocratica del Ministero ha provveduto prima a smantellare definitivamente l’Unità per la Trasparenza con apposito Decreto e ha poi provveduto a far rimuovere dal sito la pagina del Registro, senza peraltro informare gli iscritti né dare spiegazioni, nonostante le richieste scritte dell’associazione il Chiostro.

Venuto a conoscenza della questione, ed evitando polemiche, il ministro Martina ha deciso di intervenire ristabilendo lo status quo con un nuovo decreto, anche se nel comunicato non si fa alcun riferimento al fatto che in realtà il Registro già esisteva.

I lobbisti guardano con attenzione a questo nuovo Registro, con la speranza che possa diventare l’embrione di una normativa quadro nazionale. Al Senato è fermo da tempo un testo base di ddl “lobby” a firma Orellana, sui cui si sono anche svolte varie consultazioni, ma da più parti si dice che il governo voglia intestarsi una tale riforma e che il vero testo (si parte dal ddl del piddino senatore Verducci?) possa arrivare subito dopo l’approvazione al Senato della riforma del Terzo Settore.

Sarà da capire però se sarà un provvedimento per la trasparenza, o se renderà trasparente invece che dei legittimi rapporti tra lobby, politica e burocrazia non si debba continuare a sapere nulla.

Fonte: Formiche.net

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Il registro del lobbying dell’Irlanda può insegnare molto al Regno Unito (PR Week) http://www.lobbyingitalia.com/2015/06/il-registro-del-lobbying-dellirlanda-puo-insegnare-molto-al-regno-unito-pr-week/ Tue, 02 Jun 2015 11:24:13 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2800 Ora che le elezioni sono parte del passato, l’attenzione si rivolge all’agenda legislativa. Il lobbying non è stata una tematica elettorale, ma il governo deve rivedere la difettosa normativa sul lobbying che è stata approvata in fretta e furia nel 2014.

Un nuovo interessante provvedimento volto a rendere più trasparente il settore lobbistico del Paese è recentemente entrato in vigore nella Repubblica d’Irlanda, approvato all’inizio di quest’anno dall’Oireachtas (Parlamento).

Il Regulation of Lobbying Act 2015, annunciato nell’aprile 2015 dopo due anni di negoziati, è molto diverso dalla legislazione analoga portata avanti a Westminster e molto criticata, in particolare in merito a tre aspetti cruciali:

  • Racchiude una definizione molto più ampia di “decisore pubblico”: mentre l’atto del Regno Unito enumera solo ministri e segretari permanenti, la legge irlandese aggiunge anche parlamentari backbenchers (ovvero coloro che siedono in Parlamento ma non rientrano nella squadra ministeriale).
  • Anche la definizione di “lobbista” è molto più ampia: la legge irlandese richiede la registrazione da parte dei lobbisti in-house, oltre che i lobbisti conto terzi.
  • Infine, la legge irlandese comprende anche un codice di condotta per i lobbisti.

Il nuovo registro, supervisionato dal mese scorso dalla canadese Sherry Perreault, è uno sviluppo interessante, e mette in chiara luce i problemi emersi sulla regolamentazione dei lobbisti nel Regno Unito.

La legislazione del Regno Unito è stata portata avanti in fretta e le sue carenze sono state ampiamente documentate, ma l’approvazione di questa normativa più completa sulla sponda irlandese dà ulteriori motivi al Governo britannico di rallentare l’azione sul registro obbligatorio, che non è ancora attuato in pieno.

Il modello irlandese potrebbe rivelarsi istruttivo: non appena potranno esserne analizzati gli effetti, è possibile che Westminster abbia una best practice per correggere i propri errori.

Esso fornisce al nuovo governo l’opportunità di un periodo di riflessione per imparare la lezione con un approccio alternativo.

È stato a lungo sostenuto che il registro del lobbying del Regno Unito, che incorpora solo l’1% cento dei lobbisti che lo praticano effettivamente, è fondamentalmente sopravvalutato e dovrebbe essere ampliato per includere tutti i lobbisti, sia in-house che conto terzi.

Sarà particolarmente interessante vedere come verrà messo in pratica il più completo approccio dell’Irlanda.

Gli oppositori di un approccio “inclusivista” sostengono che sarebbe troppo burocratico e non necessario.

Al contrario, se il nuovo governo sta cercando di introdurre un sistema di registrazione dei lobbisti veramente innovativo, che offra una maggiore trasparenza, allora includere tutti i lobbisti deve essere il primo principio da rispettare.

Questo punto di vista non è solo proprio dei delle società di lobbying: sia ONG che si occupano di trasparenza che più di 20 associazioni di categoria e sindacati hanno chiesto un sistema che includa tutti i tipi di lobbisti.

Nei prossimi mesi sarebbe opportuno che l’Ufficio di Gabinetto avviasse un dialogo aperto con il legislatore irlandese per discutere e condividere le esperienze, mantenendo un occhio vigile su come la legislazione è rispettato dai lobbisti d’Irlanda.

Il governo ha sbagliato nella scorsa legislatura; ora è il momento per riparare agli errori.

Il sistema di registrazione irlandese dà a Westminster la possibilità di valutare sia i pregi che i difetti di un approccio alternativo. È un’opportunità da cogliere al volo per fornire alla casa della democrazia britannica le “pareti di vetro” che da sempre ne caratterizzano il rapporto con i cittadini.

Iain Anderson, presidente dell’Associazione dei Consulenti Politici professionisti (APPC)

Fonte: PR Week

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Timmermans: “Cari lobbisti, noi vi ascoltiamo, ma voi non mentite!” http://www.lobbyingitalia.com/2015/04/timmermans-cari-lobbisti-noi-vi-ascoltiamo-ma-voi-non-mentite/ Tue, 28 Apr 2015 06:04:33 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2784 I lobbisti che mentono saranno buttati fuori dalla Commissione dell’UE, secondo le parole di Frans Timmermans, che sin da quando è entrato in carica ha promesso un registro obbligatorio.

In ogni caso, il piano finale non è produrre la regolamentazione stringente che molti chiedono, ma piuttosto un “gentlemen agreement” tra la Commissione e il Parlamento Europeo per non dare accesso ai lobbisti non registrati.

Il Commissario ha iniziato a portare avanti questo progetto a inizio anno, creando scompiglio tra le società e le imprese iscritte al cosiddetto “Registro per la Trasparenza”, che è tutto meno che trasparente.

ALTER-EU (the Alliance for Lobbying Transparency and Ethics Regulation) ha indicato che nel 2013 Goldman Sachs ha dichiarato una spesa per le attività di lobbying inferiore a 50.000€ per l’UE, davvero poco realistica se paragonata ai 3,6 milioni di $ negli USA.

Nel frattempo, la European Privacy Association, apparentemente innocua nella denominazione, attualmente rappresenta gli interessi di società come Facebook, Google e Yahoo! nel corso del dibattito sull’uso e la protezione dei “big data”. In base al Registro per la Trasparenza, l’EPA ha pochi impiegati e spende solo 450.000€ l’anno, una cifra che sembra non corrispondere a ciò che Microsoft ha ammesso spendere quest’anno: 4,75 milioni di €, dieci volte tanto. Apple dice di avere solo quattro lobbisti nell’Unione Europea, spendendo solo 250.000€.

Alla domanda su cosa farebbe per sanzionare queste società che fanno “interpretazioni creative della realtà”, Timmermans ha tuonato che i bugiardi non sono benvenuti nel suo ufficio. Ha detto che la sanzione dovrebbe essere non registrare del tutto (quindi nessun accesso ai decisori e nessun meeting con i commissari). Però non ha chiarito chi debba monitorare il registro o come si possa capire se le informazioni fornite fossero vere o false.

L’attuale registro volontario ha più di 8.400 registrati, ma è solo la punta dell’iceberg visto che molti attori dell’”industria del lobbying” boicotta il Registro, in particolare i grandi studi legali. Secondo la Commissione, chiunque faccia lobbying, rappresentanza di interessi o advocacy dovrebbe iscriversi al registro, ed è messo in evidenza più “cosa fai” che “chi sei”.

Olivier Hoedeman di ALTER-EU ha dichiarato: “Un Registro rivisto, basato su un accordo inter-istituzionale, farà perdere i meccanismi per verificare se le informazioni del Registro sono corrette, e significherà che non ci sarà possibilità di applicare sanzioni efficaci quando saranno realmente verificate le scorrettezze nelle informazioni”.

Fonte: The Register

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