registro europeo lobbying – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 L’esercito delle lobby a Bruxelles: chi sono e quanto spendono i gruppi di interesse Ue [Sole 24 Ore] http://www.lobbyingitalia.com/2015/06/lesercito-delle-lobby-a-bruxelles-chi-sono-e-quanto-spendono-i-gruppi-di-interesse-ue-sole-24-ore/ Wed, 24 Jun 2015 08:56:31 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2831 Bruxelles città delle istituzioni Ue e delle lobby. Quasi tutte le grandi multinazionali, le industrie, le organizzazioni , i gruppi di interesse e anche e le Ong hanno almeno un ufficio nella capitale europea. Tra i corridoi e i bar dei grandi palazzi decisionali non è difficile notare i rappresentanti di varie organizzazioni intenti nel lavoro di lobbista. A influenzare maggiormente le decisioni delle istituzioni europee sarebbero le industrie che tra dicembre 2014 e giugno 2015, registrano già circa 4.318 incontri con rappresentanti e funzionari della Commissione Ue: è quanto riporta un’analisi della organizzazione anticorruzione Transparency International.

Le organizzazioni attualmente iscritte nel registro Ue per la Trasparenza sono 7.821: il 75% di queste, circa 4.879, cerca di favorire gli interessi delle aziende. Mentre il 18 % è rappresentato dalle Ong e il 4% dai think tank e solo il 2% dalle autorità locali. Nella top list delle imprese che spendono di più per fare lobby figurano la Microsoft, Exxon Mobil e la Shell con una spesa che varia tra i 4,5 e i 5 milioni di euro, dedicato a questo scopo. Seguite subito dopo dalla Deutsche Bank AG, la Dow Europe GmbH e Google: quest’ultima ha già avuto 29 incontri con le istituzioni europee in questi mesi. Ma anche Ong come Greenpeace e il Wwf si sono incontrate diverse volte con l’esecutivo comunitario e tra le lobby presenti a Bruxelles BusinessEurope, la General Electric Company (GE) , Eurocommerce e Airbus group.

«Le organizzazioni con un più alto budget per fare lobby hanno un grande accesso , in particolare nel settore finanziario, digitale ed energetico» osserva Daniel Freund di Transparency International. Le imprese che hanno dichiarato almeno 900mila euro di spese per lobby sono quelle che hanno ottenuto più di dieci colloqui ad alto livello con la Commissione Europea, in base al report. Tra i paesi che hanno ottenuto più incontri in questo periodo, al primo posto spicca il Belgio, poi la Germania, l’Inghilterra, la Francia e l’Italia. Le organizzazioni italiane registrate sarebbero 597. Per ora, tra le italiane, la Confindustria avrebbe ottenuto più appuntamenti con rappresentanti istituzionali Ue, poi l’Enel e l’Eni. In generale le organizzazioni italiane sembrano spendere meno per le attività di lobby rispetto ad altri paesi e si focalizzano in particolare sul settore energetico.

Il clima e l’energia, il lavoro e la crescita, l’economia digitale, i mercati finanziari e i trasporti sono i settori che attraggono di più i lobbisti di Bruxelles. Mentre i commissari Katainen, Hill e Oettinger hanno finora avuto pochi confronti con la società civile, tra il 4% e l’8 per cento. In particolare gli ambiti dei mercati finanziari e dell’economia digitale sono presi più di mira dalle imprese. Le nuove misure di trasparenza Ue sono però secondo l’analisi di Transparency International ancora poco seguite: l’80% delle organizzazioni presenti nel registro per la Trasparenza non ha riportato pubblicamente un solo incontro con commissari Ue o funzionari. Inoltre su 30mila funzionari che lavorano alla Commissione Europea neppure 300 sono soggetti alle nuove misure di trasparenza. Le nuove regole di trasparenza della Commissione riguardano solo l’1% dei funzionari e il 20% delle organizzazioni lobbistiche. Su questo punto Carl Dolan, direttore di Transparency International ha le idee chiare «Le istituzioni europee dovrebbero pubblicare “un’impronta legislativa” un documento pubblico con tutti gli incontri con le lobby e altri contributi che abbiano in qualche modo influenzato le politiche e le legislazioni».

Tra i problemi principali riscontrati dall’organizzazione anticorruzione vi è anche la carenza nella qualità dei dati raccolti dal registro per le lobby che rimane per ora su base volontaria: molte organizzazioni rimangono ancora fuori da questo database, tra queste quattordici su venti dei più grandi studi legali mondiali tutti con un ufficio a Bruxelles, come Clifford Chance, White&Case o Sidley Austin. Mente undici di queste sono registrate ad esempio a Washington DC dove vige l’obbligo di iscriversi. «La maggior parte delle informazioni che i lobbisti volontariamente compilano nei file del registro risultano incomplete, poco accurate o totalmente insignificanti» ha affermato Freund. Secondo l’organizzazione oltre il 60% delle organizzazioni che hanno fatto pressione sulla Commissione Ue per l’accordo commerciale tra Ue ed USA non ha dichiarato queste attività in maniera adeguata. Per Transparency International si rendono indispensabili alcuni passi in avanti che riguardino l’obbligatorietà del registro delle lobby e l’introduzione di “un’impronta legislativa” , ossia una testimonianza dell’influenza dei lobbisti su una parte di legislazione.

 

Fonte: Irene Giuntella – Il Sole 24 Ore

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Timmermans: “Cari lobbisti, noi vi ascoltiamo, ma voi non mentite!” http://www.lobbyingitalia.com/2015/04/timmermans-cari-lobbisti-noi-vi-ascoltiamo-ma-voi-non-mentite/ Tue, 28 Apr 2015 06:04:33 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2784 I lobbisti che mentono saranno buttati fuori dalla Commissione dell’UE, secondo le parole di Frans Timmermans, che sin da quando è entrato in carica ha promesso un registro obbligatorio.

In ogni caso, il piano finale non è produrre la regolamentazione stringente che molti chiedono, ma piuttosto un “gentlemen agreement” tra la Commissione e il Parlamento Europeo per non dare accesso ai lobbisti non registrati.

Il Commissario ha iniziato a portare avanti questo progetto a inizio anno, creando scompiglio tra le società e le imprese iscritte al cosiddetto “Registro per la Trasparenza”, che è tutto meno che trasparente.

ALTER-EU (the Alliance for Lobbying Transparency and Ethics Regulation) ha indicato che nel 2013 Goldman Sachs ha dichiarato una spesa per le attività di lobbying inferiore a 50.000€ per l’UE, davvero poco realistica se paragonata ai 3,6 milioni di $ negli USA.

Nel frattempo, la European Privacy Association, apparentemente innocua nella denominazione, attualmente rappresenta gli interessi di società come Facebook, Google e Yahoo! nel corso del dibattito sull’uso e la protezione dei “big data”. In base al Registro per la Trasparenza, l’EPA ha pochi impiegati e spende solo 450.000€ l’anno, una cifra che sembra non corrispondere a ciò che Microsoft ha ammesso spendere quest’anno: 4,75 milioni di €, dieci volte tanto. Apple dice di avere solo quattro lobbisti nell’Unione Europea, spendendo solo 250.000€.

Alla domanda su cosa farebbe per sanzionare queste società che fanno “interpretazioni creative della realtà”, Timmermans ha tuonato che i bugiardi non sono benvenuti nel suo ufficio. Ha detto che la sanzione dovrebbe essere non registrare del tutto (quindi nessun accesso ai decisori e nessun meeting con i commissari). Però non ha chiarito chi debba monitorare il registro o come si possa capire se le informazioni fornite fossero vere o false.

L’attuale registro volontario ha più di 8.400 registrati, ma è solo la punta dell’iceberg visto che molti attori dell’”industria del lobbying” boicotta il Registro, in particolare i grandi studi legali. Secondo la Commissione, chiunque faccia lobbying, rappresentanza di interessi o advocacy dovrebbe iscriversi al registro, ed è messo in evidenza più “cosa fai” che “chi sei”.

Olivier Hoedeman di ALTER-EU ha dichiarato: “Un Registro rivisto, basato su un accordo inter-istituzionale, farà perdere i meccanismi per verificare se le informazioni del Registro sono corrette, e significherà che non ci sarà possibilità di applicare sanzioni efficaci quando saranno realmente verificate le scorrettezze nelle informazioni”.

Fonte: The Register

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“Lobbying all’italiana”: il rapporto di Transparency International alla Camera http://www.lobbyingitalia.com/2014/11/lobbying-allitaliana-il-rapporto-di-transparency-international-alla-camera/ Wed, 05 Nov 2014 12:13:13 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2653 La presentazione del rapporto della sezione italiana di Transparency International “Lobbying all’italiana“, presso la Sala della Mercede della Camera dei Deputati, è stata l’ultima occasione di confronto e analisi del sistema lobbistico italiano per professionisti del settore e mondo politico.

I risultati del rapporto: bassi livelli di trasparenza, partecipazione, integrità

Il rapporto (qui il link), annunciato negli scorsi giorni, è stato elaborato da un team tutto italiano composto da professionisti del settore (lobbisti, comunicatori, professionisti del public affairs e delle relazioni istituzionali, tra cui Gianluca Sgueo e Francesco Macchia), esponenti del mondo accademico e membri italiani di Transparency International, ONG sempre attiva sul tema della lotta alla corruzione e della trasparenza che sta portando avanti un progetto di analisi dei sistemi lobbistici di tutti (o quasi) i sistemi europei (atteso per inizio 2015 il report comparativo finale dei 18 ordinamenti analizzati, chiamato “Lifting the Lid on lobbying“, cofinanziato dalla Commissione Europea).

Come per gli altri Paesi precedentemente analizzati, la conclusione dell’organizzazione è stata netta e impietosa: l’Italia necessita urgentemente di una regolamentazione del lobbying e si trova tra i Paesi con il più basso livello di trasparenza in base ai parametri utilizzati. Chiara Putaturo, membro del team di studio assieme a Susanna Ferro e Davide Del Monte per Transparency, ha illustrato i risultati della ricerca, in particolare riferendosi alla valutazione di tre principali indicatori.

Livello di trasparenza, 11%: livello bassissimo, che si spiega per l’assenza di un registro (presente in Italia solo nell’esperienza – ormai conclusa – del MIPAAF o – assai confusamente – a livello regionale). Il “decreto trasparenza” del 2013 ha avvicinato i cittadini alle istituzioni grazie alle previsioni sugli Open Data, ma sia il suo uso, che la sua applicazione, che la sua diretta fruibilità appaiono limitati.

Livello di integrità, 27%: emerge la necessità di codici etici adeguati per lobbisti e decisori. Attualmente, esiste un Codice etico per funzionari statali, mentre per i lobbisti si possono registrare solo le iniziative di Ferpi e de Il Chiostro, le principali associazioni di categoria del settore.

Ultimo indicatore, il livello delle pari condizioni d’accesso, 22%: in Italia sono previste dai regolamenti parlamentari delle consultazioni, che però risultano spesso informali, e per di più la consultazione dei gruppi non è bilanciata da regole che permettano la fruibilità dei risultati di audizioni o studi presentati ai decisori. Risultato finale: 20%.

In effetti, basterebbe citare una ricerca del Global Corruption Barometer del 2013 per comprendere la necessità di una regolamentazione: il 70% cittadini in Italia ritiene che poteri siano corrotti: ciò testimonia che i cittadini conoscono il fenomeno ma lo ritengono opaco. TI Italia definisce il lobbying come “qualsiasi forma di comunicazione da parte di un gruppo di pressione verso decisori per influenzare il processo decisionale”. Il problema essenziale è di natura culturale: più di 50 proposte legislative presentate nell’ultimo mezzo secolo non sono andate a buon fine, e hanno portato, secondo il rapporto, a un tipo di lobbying “ad personam” legato più a rapporti personali che alla discussione di contenuti, e alla convinzione che la figura del lobbista fosse affine a quella del faccendiere o massone. Il Registro Europeo per la Trasparenza è uno dei pochi strumenti in cui è possibile tener conto dei lobbisti che hanno sede in Italia (612 nell’ottobre 2014), ma il carattere volontario e non onnicomprensivo del Registro rende questo dato inconsistente. Il report contiene, infine, delle concrete proposte da parte di TI: un registro pubblico obbligatorio per lobbisti gestito dall’Autorità anticorruzione o dalla Presidenza del Consiglio; la trasparenza dell’iter legislativo; la pubblicità degli incontri e il controllo degli accessi ai decisori politici; un Freedom Of Information Act (con diritto di accesso agli atti pubblici); una regolazione del fenomeno delle revolving doors; un codice etico per i lobbisti (o l’attuazione di linee guida nazionali per la categoria); la tutela e l’indipendenza dei giornalisti, destinando in particolare maggiori risorse e tutele giudiziarie per giornalismo d’inchiesta e indipendente, per ostacolare il fenomeno dei giornalisti “parziali” nei confronti di eventuali finanziatori.

Ben più interessante il riscontro che l’analisi ha poi trovato nel confronto con esponenti, da un lato, del mondo politico e, dall’altro, dell'”industria” del lobbying italiano.

Il mondo politico: ottimi auspici, qualche imprecisione, poca determinazione

Il Sottosegretario di Stato al Ministero delle Riforme costituzionali e Rapporti con il Parlamento, Ivan Scalfarotto, ha considerato tre punti di forza del gruppo che fa lobbying: autorevolezza sociale del gruppo che preme (che deriva dalle maggiori risorse a disposizione, dal maggiore consenso di base o dalla maggiore professionalità sul campo); competenza specifica in un settore (in quanto spesso il lobbista ne sa più del decisore generalista); accesso privilegiato alle sedi delle decisioni (in due modi: conoscenza personale dei decisori maturata con esperienze precedenti; dimestichezza con le procedure decisionali e facilità nell’accesso ai luoghi di decisione). Scalfarotto ha individuato due problemi del fenomeno lobbying: la tenuta dei decisori, ossia la capacità di esporsi e documentarsi sull’argomento; la trasparenza dei lobbisti. Il Governo auspica, da parte propria, una rapida discussione sui ddl in esame alle camere. Punti focali dell’analisi di TI sono la “legge Severino”, che ha previsto piani anticorruzione da mandare a Cantone da parte degli attori pubblici; la statistica sui lobbisti in Italia, la cui attività è concentrata più sulla legislazione di settore che su affari generali e bilancio; la connotazione negativa dei lobbisti in Italia a causa essenzialmente dell’assenza di legislazione.

Anna Masera, responsabile della comunicazione per la Camera dei Deputati, ha espresso un monito sulla richiesta di trasparenza generica portata avanti negli ultimi tempi: secondo la sua opinione, spesso un resoconto scritto dei lavori di una Commissione è uno strumento migliore, più autorevole e professionalmente meglio fruibile di una diretta streaming dei lavori parlamentari, che forse presterebbe il fianco a strumentalizzazioni politiche inficiando la correttezza del processo decisionale.

Il viceministro per le Infrastrutture e i Trasporti e segretario nazionale del Partito Socialista Riccardo Nencini (autore, in particolare, della legge toscana sulle lobby all’epoca del proprio incarico come Presidente del Consiglio regionale),  ha annunciato piccoli passi avanti in materia di regolamentazione delle lobby in seno alle istituzioni nazionali: oltre alla presentazione di un coraggioso emendamento allo Sblocca Italia non ammesso (portato avanti dai deputati del Gruppo Misto – Partito Socialista Italiano (PSI) Pastorelli, Di Lello e Di Gioia), attualmente la Commissione competente del Senato (Commissione 1°, Affari Costituzionali) sta lavorando ai vari ddl sull’attività di rappresentanza di interessi (A.S. 281); inoltre, il 3 novembre scorso il Quirinale ha varato la legge delega sul Codice degli appalti che prevede la parola “gruppi di pressione/lobby” su una legge nazionale per la prima volta. Nencini si è concentrato su diverse questioni riguardanti il lobbying. Il tema decisivo, tralasciato da TI Italia, è la relazione tra gruppi di pressione e alti dirigenti dello Stato, non considerati (erroneamente) influenti quanto i decisori politici. Spesso, infatti, all’interno della struttura amministrativa dei dicasteri sono presenti decision makers più incisivi di chi occupa posizioni politiche pubbliche. Altro tema “caldo”: l’ipocrisia italiana, figlia di una cultura decennale (di stampo “cattocomunista”) che fa sì che ciò che appartiene al mondo del profitto sia nascosto. È la ragione madre per la quale, secondo Nencini non c’è ancora legge sulle lobby. C’è grande difficoltà, nella cultura italiana, di distruggere il campo dell’opacità, attraverso meccanismi presenti in altri ordinamenti. Fondamentale poi è anche l‘individuazione del campo semantico in cui inscrivere l’attività di lobbying: non si tratta solo di combattere meglio la corruzione. Il codice degli appalti è scritto soprattutto per dare efficienza, certezza, semplicità per la realizzazione di opere pubbliche e evitare costi eccessivi. Ulteriore questione urgente riguarda i partiti politici: in Italia non ci sarà più, nei prossimi anni, finanziamento pubblico ai partiti: l’urgenza è di avere maggiore trasparenza per comprendere i fenomeni di fundraising, in particolare il crowdfunding, che nei prossimi mesi si succederanno sul modello anglosassone. Infine: sarà importante offrire opportunità uguali in trasparenza e partecipazione: in particolare, va ridiscusso il rapporto di fiducia, ultimamente degenerato negli ultimi atti del Governo Renzi, molto spesso arrivati alla discussione alle Camere senza poi l’effettiva possibilità di modifiche al testo discusso.

Sono intervenuti alla discussione anche esponenti dell’opposizione all’attuale Governo, l’uno “esterno al partito” (il vicepresidente della Camera per il MoVimento 5 Stelle Luigi Di Maio) e l’altro “interno” (Giuseppe “Pippo” Civati) al partito che detiene l’attuale maggioranza parlamentare, il PD.

Di Maio ha ribadito la necessità, espressa già durante le discussioni sulla Legge di Stabilità 2014 e ribadita in occasione della conferenza con la promessa di documentare con foto “l’assalto alla diligenza” per la discussione della Stabilità 2015, di una maggiore regolamentazione degli accessi ai locali della Camera; si è però detto d’accordo sul che le lobby non siano il male, ma uno strumento fondamentale nel processo decisionale. Di Maio ha però dimostrato scarsa dimestichezza con il termine “lobbista”, forse a causa della ritrosia culturale che spesso porta a definire le “lobby” come esponenti del potere occulto e cattivo, e a confonderle con le attività portate avanti da altri soggetti, spesso definiti da stampa e politica come faccendieri (tirando in ballo anche, erroneamente, la vicenda-Scarpellini).

politiciTra le proposte, quella di sfruttare il principio dell’autodichia (spesso utilizzata dalla Camera e dal Senato per dichiarare illegittimo qualsiasi provvedimento che regolasse le due istituzioni, che detengono la competenza assoluta sull’argomento) per regolamentare l’accesso alle Camere direttamente nei regolamenti parlamentari, e in particolare vietare o registrare l’accesso di chi, in qualità di giornalista parlamentare o ex parlamentare o, ancora, invitato su discrezione di personale delle Camere o parlamentari, ha maggiori opportunità di influenzare il decisore rispetto a chi non possiede gli stessi strumenti di relazione. In realtà, a detta del vicepresidente della Camera, non è stato ancora messo all’ordine del giorno un provvedimento in materia (“per cui basterebbe il parere positivo di sole 20 persone nell’ambito della Presidenza della Camera”), ed è ravvisata una volontà politica rimasta inespressa all’interno del Parlamento.

Civati si è detto d’accordo ad attribuire il controllo dell’eventuale registro dei lobbisti all’antitrust, piuttosto che all’autorità anticorruzione, per dare sin dall’inizio un’immagine positiva all’attività di lobbying; si è detto altresì favorevole a regole di trasparenza per i politici. Non si è però mostrato fiducioso sul Governo (che non ha in programma un’iniziativa diretta, il che fa presupporre l’indisponibilità a produrre sul tema un decreto legge, attualmente principale fonte di produzione di norme in Italia), ponendo l’accento sulla questione della “disintermediazione” e del mancato bilanciamento tra Governo e Parlamento.

I lobbisti: bisogno di regole per crescere in autorevolezza

tavolo lobbistiLa parola è poi andata ai lobbisti, e in particolare ai rappresentanti delle due maggiori associazioni di settore: Giuseppe Mazzei, presidente de Il Chiostro – per la trasparenza delle lobby, e Patrizia Rutigliano, di FERPI.

Mazzei, nel ricordare che la propria associazione è stata tra le prime a proporre un codice etico volontario per chi esercita attività di pressione, ha specificato che la normativa sul lobbying non significa necessariamente anticorruzione, ma piuttosto partecipazione e miglioramento della qualità della normazione. “Se non c’è regolamentazione è colpa di lobby “occulte”, come quelle burocratiche. Va bene che vigili l’autorità anticorruzione, ma quando il legislatore si è occupato di questo ha realizzato un reato, il “traffico di influenze illecite”, rivelatosi una norma che è interpretabile troppo largamente e quindi inutile. Infatti, non si spiega cosa sia “indebitamente” e cosa sia illecito”, le sue parole. Mazzei si aspettava la diretta applicazione da parte del Governo di nuove regole sul lobbying, come contenuto del DEF 2014. Altro punto importante da affrontare è la lotta ai conflitti di interesse, in particolare all’accesso indebito di soggetti che rappresentano interessi privati in modo opaco (ex parlamentari, giornalisti). Ulteriore questione su cui focalizzarsi, infine, è il finanziamento della politica: “Deve essere chiaro che il finanziamento non è un corrispettivo per poi avere una decisione favorevole. Otto anni fa Il Chiostro ha applicato un codice etico per evitare di utilizzare il finanziamento come strumento di lobbying. Tutti gli iscritti lo devono rispettare. I lobbisti non sono quelli che fanno relazione, ma trasmettono contenuti, e una regolamentazione eviterebbe il lobbismo di relazione. Inoltre, le sanzioni devono essere non penali, ma pecuniarie e disciplinari. Il codice etico deve far parte della regolamentazione, con norme severissime per l’immagine dei lobbisti e del Paese. E qui richiamo anche i giornalisti: presentare le lobby come negative è lesivo per la cultura dell’Italia”.

Patrizia Rutigliano, presidente di FERPI, associazione che riunisce comunicatori e lobbisti, afferma che “anche la comunicazione finanziaria deve essere regolamentata per evitare generalizzazioni negative. Sono attività che servono per promuovere valori delle aziende. Aziende e PA spesso vanno insieme, per quanto riguarda i rapporti di consulenza. La regolamentazione deve tenere conto di tutti gli attori: ONG, sindacati, politici, aziende, associazioni. L’autorità super-partes non deve essere l’anticorruzione, perché ha la tendenza a bloccare ciò che si sviluppa, e porterebbe a distorsioni come il reato di traffico di influenze. Necessarie accountability e trasparenza, ma attenzione a quest’ultimo concetto: mettere tutto sul sito web in maniera disequilibrata può essere nocivo. A volte non si possono rendere pubblici elementi strategici dell’azienda, soprattutto per società quotate. Lo studio sulla regolamentazione deve contenere tutte le norme presentate dai parlamentari, ma bisogna ascoltare tutti i portatori di interessi per avere un’idea onnicomprensiva del fenomeno”.

Gianluca Comin, comunicatore, giornalista, lobbista, durante la propria carriera ha avuto modo di approfondire tutti gli aspetti del lobbismo italiano. Secondo Comin la regolamentazione della materia è necessaria per tre motivi: il nuovo modo di lavorare del lobbista, la richiesta portata avanti dai lobbisti stessi e le nuove regole sul finanziamento della politica. L’ex capo delle relazioni istituzionali di Enel ha affrontato due aspetti sempre più importanti nell’attività di relazione: il nuovo ruolo dei social e la necessità sempre maggiore di conoscere gli aspetti giuridici della materia. Punti fermi di una legge sulle lobby, affermati più da lobbisti che da decisori, secondo lui devono essere “la trasparenza reciproca (ad esempio, predisponendo un elenco con gli obiettivi di chi fa lobbying e una lista degli incontri dei decisori pubblici), necessaria al momento in cui i partiti faranno fundraising (tutto trasparente in America); la previsione di incompatibilità (per una migliore chiarezza dei ruoli sarebbe, ad esempio, auspicabile il metodo utilizzato per gli avvocati, che devono sospendere l’iscrizione all’albo per esercitare altre professioni). Chi deve controllare tutto? Antitrust, camere, anticorruzione, ma anche una commissione terza ex-novo come in Gran Bretagna. Legarsi all’anticorruzione però sarebbe danno di immagine, serve un soggetto terzo, serio e autorevole, e lo richiedono i lobbisti stessi”. Anche in questo caso, la raccomandazione finale al governo riguarda “il futuro problema del finanziamento di partiti e movimenti. È ipocrita essere eletti senza finanziamenti, di cui devono occuparsi dei professionisti, come accade per il no profit. Serve regolamentare il crowdfunding, per il quale sono necessarie l’autorevolezza di chi chiede i soldi e la professionalità nelle tecniche di fundraising”.

Lelio Alfonso, anch’egli con diverse esperienze professionali nel campo della politica (lobbista, politico, manager, docente universitario) ritiene “necessario riaprire il tema di riforma dei regolamenti parlamentari, abbandonato ultimamente, così come quello della semplificazione delle leggi e della burocrazia. Il Parlamento, poi, è troppo spesso svuotato della capacità di legiferare (i voti di fiducia hanno tagliato fuori il Legislativo). C’è la possibilità di cambiare i regolamenti, e tutto avverrebbe a costo zero; le due camere hanno regolamenti diversi e si sta cambiano quella col regolamento migliore. Ruolo ostativo da parte dei burocratici? No, sono professionisti che spesso aiutano i lobbisti per far capire meglio ai decisori la posizione. Riguardo le authority, meglio l’antitrust piuttosto che cercarne un’altra nuova, ce ne sono abbastanza. In ogni caso, il buon professionista aiuta a fare leggi migliori, e il Paese ne deve essere grato. Serve massima accountability per un’attività che non è assolutamente ostacolo alle scelte della collettività”.

zanettoUltimo tra i lobbisti a parlare è stato Paolo Zanetto, che ha partecipato al gruppo di lavoro di Transparency è ha espresso la necessità di una legge sul lobbying, “per due ragioni. La prima è storica: al momento la compensazione degli interessi è sempre più frequente, a causa del continuo ricorso al decreto legge governativo e alla poca abitudine del governo di utilizzare consultazioni pubbliche, il che crea necessariamente presupposto per azioni di lobbying a porte chiuse (nella fase di gestazione del provvedimento) o di molti emendamenti nella fase successiva dell’iter. Secondo, l’esigenza di trasparenza nel quadro del finanziamento della politica. Oggi la politica deve adattarsi in ottica della fine del finanziamento pubblico ai partiti (lo testimoniano le due cene di fundraising del PD). Se questa è la direzione intrapresa da quel partito, è necessaria la trasparenza. Non si parla di compliance, ma di atteggiamento culturale che sta cambiando. Anche Cattaneo & Zanetto presenterà a breve un’iniziativa sulla trasparenza”.

Conclusioni: un quadro ancora incerto, in attesa di passi concreti del Governo

In conclusione, il confronto è stato utile per ravvisare le principali problematiche del fenomeno lobbistico in Italia e le diverse istanze in merito. L’iniziativa di Transparency International Italia è risultata opportuna per la discussione però, in molti casi, non ha considerato alcuni aspetti dell’attività di lobbying (su tutti, il grande potere delle strutture ministeriali) che in Italia sono caratteristici e non possono essere affrontati come negli altri casi europei analizzati. Non sono state portate avanti proposte concrete sulla regolamentazione, in particolare sullo strumento da utilizzare per attuare una legge sulle lobby (decreto governativo? Disegno di legge di iniziativa parlamentare? Norme ministeriali? Regolamenti parlamentari?). Sono state ravvisate anche alcune imprecisioni, o forse imparzialità, nella definizione di lobbying (basta definire “comunicazione” ogni tipo di attività di lobby che va dall’articolo di giornale, alla commissione di uno studio a un think tank, alla vera e propria attività di presentazione degli emendamenti?), di lobbista (i sindacati sono lobby?) e di decisore pubblico (lo sono solo i ministri e parlamentari, o anche i membri del Gabinetto o delle Direzioni Generali dei ministeri?).

La richiesta, a più voci, è diretta soprattutto al Governo e punta ad un’iniziativa forte e decisa al di là di vuoti proclami lasciati poi irrealizzati. Si rende necessario un sostegno dell’iniziativa parlamentare da parte dell’Esecutivo, ormai in Italia vero e proprio fulcro decisionale, senza la quale la regolamentazione omogenea e nazionale del lobbying diventa irrealizzabile.

(GattoGiov)

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Studi legali e think-tanks boicottano il registro del lobbying http://www.lobbyingitalia.com/2009/09/studi-legali-e-think-tanks-boicottano-il-registro-del-lobbying/ Thu, 10 Sep 2009 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2009/09/studi-legali-e-think-tanks-boicottano-il-registro-del-lobbying/ Non abbastanza studi legali o think-tanks si sono iscritti al Registro del lobbying della Commissione europea, ha dichiarato martedì 8 settembre il Commissario per l’amministrazione e la lotta antifrode Siim Kallas.
L’esecutivo Ue – scrive EurActive – sta riesaminando i risultati del suo sistema di registrazione su base volontaria per il lobbying varato dal Commissario Kallas nel giugno 2008 come parte della sua iniziativa per la trasparenza. "La copertura è insufficiente per alcune categorie. Alcuni dei maggiori think-tanks e studi legali stanno effettivamente boicottando il registro", ha detto Kallas in un’audizione al Parlamento europeo. "Per quanto riguarda i think-tanks, rimango convinto che la loro inclusione nel target era giustificata […] Ho messo in chiaro che il registro è per i ‘rappresentanti di interessi’, e che l’adesione […] non etichetta i think-tanks come lobbisti".
Giustificando la sua decisione, il commissario ha spiegato che i programmi di eventi di molti think-tanks sono "direttamente collegati alle fonti di finanziamento delle imprese". "Alcuni addirittura pubblicizzano sui loro siti web che agli sponsor sono garantiti un accesso privilegiato ai principali decision-maker, tra cui i Commissari ed i funzionari CE di tutti i ranghi".
Allo stesso tempo Kallas ha affermato che, trascurando di registrarsi, "gli studi legali conservano vantaggi competitivi sleali nei confronti delle società di public affairs per attirare i clienti che desiderano che la loro attività di lobbying rimanga segreta".
Un rappresentante degli studi legali ha risposto spiegando che "non stiamo facendo questo per una specie di capriccio, in concorrenza con le società di public affairs ". "Siamo tenuti al segreto professionale in base al diritto costituzionale e penale degli Stati membri, che spesso vieta tale divulgazione", ha detto.
Respingendo del tutto questa tesi, Kallas ha insistito che era possibile per gli studi legali separare il lobbying dalle loro altre attività. "Io vedo gli studi legali competere con le società di consulenza PA sulla base del fatto che non sono vincolati dagli obblighi di trasparenza […] Non sono impegnato in una caccia alle streghe, ma se gli studi legali entrano nella scena del lobbying, devono registrarsi come gli altri. "
La “confusione” dell’ informativa finanziaria
L’esecutivo Ue rivedrà anche i requisiti del sistema di informativa finanziaria per affrontare le "ambiguità" del sistema attuale, ha annunciato il commissario.
Alla domanda sulle altre modifiche che ci si possono aspettare, Kallas ha dichiarato che l’attenzione sarà centrata su come affrontare aree di "confusione" come l’informativa finanziaria, su cui l’attuale sistema che dà alle società di consulenza la scelta tra fasce assolute e in percentuale le aveva portate a " un’ involontaria disparità di trattamento, che richiede alle società più piccole di rivelare più di quelle più grandi".
Allo stato attuale, i dichiaranti sono tenuti a comunicare il valore del lavoro svolto per conto di ciascuno dei loro clienti, in bande di 50.000 € o come percentuale del fatturato totale.
"Abbiamo bisogno di rendere la comunicazione finanziaria più precisa e affidabile. Conservare entrambi i parametri crea confusione, quindi abbiamo bisogno di qualche messa a punto, ma resta da vedere in quale direzione andiamo. Ci stiamo consultando su una soluzione migliore, ma è troppo presto per parlare di numeri ", ha detto Kallas.
Egli ha ammesso tuttavia che l’opzione percentuale aveva creato "una certa ambiguità", mentre le parentesi per le somme in assoluto potrebbero essere rese "più illustrative".
L’ex primo ministro estone ha inoltre riconosciuto la "confusione" sul se le dichiarazioni finanziarie dovrebbero includere solo il lobbying “diretto” – che ha descritto come contatto "faccia a faccia” con un rappresentante di un’istituzione dell’Unione europea" – o anche “lobbying indiretto” cioè condotto tramite "think-tank, associazioni di categoria, piattaforme, forum e campagne". "Abbiamo bisogno di chiarire questo punto," ha detto.
Kallas non esclude in futuro uno spostamento verso un sistema obbligatorio, ma si è detto "abbastanza soddisfatto e pronto a sviluppare ulteriormente il registro attuale".
Il commissario è inoltre consapevole che ci sono poche possibilità che il Consiglio accettati di aderire al regime se dovesse diventare obbligatorio. Infatti, Jonas Högström, un funzionario della Rappresentanza permanente svedese presso l’UE, ha ammesso che "un registro obbligatorio sarebbe giuridicamente e costituzionalmente molto problematico per la maggior parte degli Stati membri".
La presidenza svedese dell’UE ha invitato la Commissione europea a presentare al Consiglio il 25 settembre le conclusioni del primo anno del suo registro volontario del lobbying.

Valentina Tonti – LI.Info

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Il registro europeo sul lobbying non ha reali benefici http://www.lobbyingitalia.com/2009/04/il-registro-europeo-sul-lobbying-non-ha-reali-benefici/ Thu, 09 Apr 2009 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2009/04/il-registro-europeo-sul-lobbying-non-ha-reali-benefici/ EUOBSERVER / BRUSSELS: Una commissione parlamentare d’inchiesta britannica sul lobbismo politicamente trasversale ha elaborato una relazione che critica il registro volontario dei lobbisti della Commissione europea, poichè "non fornisce un beneficio reale " e di non può essere un modello per la Gran Bretagna.

Dopo un anno e mezzo di indagini sul settore e sulla sua influenza sulla legislazione, gli undici membri del Select Committee sulla Pubblica Amministrazione hanno chiesto la creazione di un registro delle attività di lobbying per il Regno Unito, ma insistono sul fatto che, diversamente da quanto previsto attualmente dalla Commissione, i lobbisti devono essere costretti a registrarsi. “Non vediamo alcun vantaggio in un registro su base volontaria, che, come è stato dimostrato nel caso della Commissione europea", si legge nella relazione, "permette a coloro che vogliono nascondere la natura e la portata della loro attività a farlo, e porta alla disponibilità di informazioni parziali e irregolari di nessun beneficio per coloro che desiderano valutare la portata e la natura delle attività di lobbying ". Il report del Regno Unito ha esaminato la legislazione vigente in materia di lobbying in Australia, Canada, Unione europea, Germania e gli Stati Uniti e ha rilevato che l’UE ha prodotto il quadro legislativo più debole. Dopo aver confrontato le diverse strategie nazionali, i parlamentari hanno concluso che il miglior risultato si otterrebbe se il registro sul lobbying fosse obbligatorio e coprisse tutti i soggetti coinvolti nell’influenzare le scelte politiche. Il registro dovrebbe anche essere gestito e reso esecutivo da un organismo di sorveglianza finanziato dalla lobbisti ma con personale ed input esterni". Rompendo nuovamente rispetto al registro della commissione, che non contiene nomi oltre a quelli delle società di lobbying, i deputati chiedono inoltre che qualsiasi registro includa i nomi individuali dei lobbisti. I parlamentari britannici vogliono anche che siano a disposizione del pubblico le informazioni circa i contatti tra i lobbisti e decision makers, compresi i verbali degli appuntamenti e delle riunioni.

Owen Espley, un attivista per la trasparenza nel lobbying di Friends of the Earth in Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord, ha detto che il risultato della commissione di inchiesta arriva con molto ritardo. "Il suo resoconto sul registro della Commissione è molto accurato", ha detto. "La Commissione dovrebbe tener conto delle sue raccomandazioni nazionali per l’UE nel suo complesso nell’esaminare il funzionamento del suo registro a un anno di distanza"; “un registro volontario non riesce mai a coprire tutti gli attori coinvolti nel lobbying." Il registro della commissione è stato lanciato nel giugno dello scorso anno. Ad oggi, circa 800 organizzazioni e imprese si sono registrate. Gli attivisti per la trasparenza stimano che tra i 15.000 e 20.000 lobbisti tentano di influenzare la legislazione a Bruxelles, un dato spesso citato anche dal Commissario Kallas.

Un nuovo registro comune con il parlamento sarà obbligatorio

Ma la commissione ha spazzato via le critiche, dicendo che è felice che la sua iniziativa di trasparenza stia ora per essere raccolta da parte degli Stati membri. "Ci rallegriamo che il dibattito sul lobbismo è sceso al livello degli Stati membri dell’Unione europea", ha detto Valerie Rampi, portavoce del commissario per l’amministrazione Siim Kallas, l’architetto del Registro. "La Commissione ha davvero ripreso questa iniziativa da zero nel 2005", ha aggiunto, "Prima di allora, c’era molta poca regolazione del lobbying nelle capitali europee." Ha detto che la Commissione seguirà da vicino come procede il dibattito nel Regno Unito e che cosa farà il governo. "Anche se la relazione è stata pubblicata ora, il lavoro c’è stato in autunno, e il numero di coloro che si sono registrati nel frattempo è salito”, anche se si nota che c’è ancora un problema con gli avvocati e i think-tanks. Ha anche detto che il lavoro che la Commissione sta svolgendo in collaborazione con il Parlamento europeo per sviluppare un "one-stop shop", in modo che i lobbisti debbano registrarsi una sola volta piuttosto, deve affrontare le preoccupazioni legate al fatto che l’attuale registrazione è volontaria e che i singoli non sono registrati. "Sarà di fatto obbligatorio, poichè ogni singolo lobbista deve registrarsi per ottenere una carta di accesso per entrare negli edifici."

Il Consiglio dei ministri, tuttavia – rappresentando gli Stati membri, ed essendo la più segreta delle tre principali istituzioni – non parteciperà al progetto. Il gruppo incaricato del registro comune sul lobbying dovrebbe presentare le sue proposte nel mese di giugno.

LEIGH PHILLIPS

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