In Italia non sappiamo ancora gestire le lobby.
Esse mettono però in luce un fatto: nel nostro paese abbiamo una grande difficoltà a gestire i rapporti con le lobby, soprattutto se esse sono rappresentative di grandi imprese e potentati economici internazionali. Passiamo dalla soggezione, che consente loro di avere voce in capitolo prima e più degli altri, alla demonizzazione estrema, quasi che la rappresentanza di interessi particolari – penso alle aziende farmaceutiche, all’hitech o alle aziende elettriche – fosse di per sé un fatto di corruttela. Regolamentare i rapporti tra potere politico amministrativo e soggetti privati non è una soluzione automatica, ma almeno permetterebbe di guardare la realtà in faccia e di distinguere il lecito dall’illecito. Certo di corruzione ne abbiamo vista tanta in questi anni, con favoritismi di vario genere, soprattutto nel campo degli appalti con l’amministrazione pubblica. Ma proprio per questo la questione va affrontata di petto.
Il registro delle lobby: primi tentativi di regolamentazione
Ci ha già provato l’Unione europea istituendo un Registro delle lobby, dal 1996 solo presso il Parlamento europeo, dal 2008 anche presso la Commissione e dal 2011 trasformando i due registri in un registro unitario. Tale registro, tuttavia, non essendo obbligatorio, ha fatto sì che si iscrivessero solo le lobby più deboli, come ad esempio le associazioni di utenti, e che si lasciasse indisturbato il lavoro molto meno trasparente dei soggetti forti. Non a caso nel nuovo programma 2016/18 la Commissione Europea propone che il registro unico dei lobbisti diventi obbligatorio per chiunque voglia avere rapporti di “influenza”, non solo con Parlamento e Commissione, ma anche con il Consiglio. Anche in Italia qualcosa si è mosso. Per la prima volta, dopo più di 50 tentativi infruttuosi dal 1954 ad oggi, un disegno di legge, a prima firma del sen. Orellana, ha iniziato il suo iter in Commissione affari costituzionali del Senato, insieme ad altri 9 disegni di legge sullo stesso tema. Il Ministero delle politiche agricole ha istituito dal 2012 un suo registro, così come alcune Regioni: Toscana, Abruzzo e Molise, alle quali si è andata ad aggiungere recentemente la Calabria.
Serve “tracciare” i canali di relazione.
Da una parte, c’è l’esigenza di creare canali di interlocuzione assolutamente tracciabili e trasparenti, dove trovino spazio proposte, integrazioni ed emendamenti provenienti dalle lobby; d’altra parte, allo stesso tempo, permangono canali che si potrebbero definire aumm aumm, nei quali il singolo deputato o consigliere o amministratore trattano direttamente con i singoli soggetti, promettendo emendamenti in cambio di voti o favori. Di questi canali si viene a sapere solo quando scoppia qualche scandalo: dagli incontri del Buzzi di Mafia Capitale con politici locali di ogni schieramento al Rolex per il figlio dell’ex ministro Lupi, dagli incontri tra Nunzia De Girolamo e i vertici della Asl di Benevento alla telefonata tra Vendola e il responsabile delle Relazioni pubbliche dell’Ilva Archinà o tra l’ex ministra Cancellieri e Antonino Ligresti, fino a quella più recente tra il ministro Guidi ed il suo compagno imprenditore Gemelli. Quanto preferirei un modello in cui si sappia chiaramente, come avviene negli Stati Uniti, che il senatore “X” è espressione della lobby dei petrolieri e il ministro “Y” è espresso dagli interessi delle cooperative!
Lobby? È partecipazione, purché sia trasparente.
Infatti, alla politica serve l’attività di lobbying e non è detto che essa generi corruzione. Per esempio, come si potrebbe fare una buona legge sul commercio senza ascoltare i commercianti o un buon provvedimento sul terzo settore senza ascoltare le organizzazioni civiche? Quando l’attività di lobbying viene fatta alla luce del sole, in modo pubblico e trasparente, dovremmo chiamarla “partecipazione” e potremmo essere orgogliosi di attuarla. L’importante è che tutti siano messi in condizione di partecipare, che tutti possano conoscere gli esiti della partecipazione e che nessuno possa esercitare un potere di ricatto sul politico “influenzato”. Nel Lazio, proprio nel territorio in cui è nato e si è sviluppato il fenomeno di Mafia Capitale, ci stiamo provando, con gli obiettivi chiari della trasparenza, della partecipazione e della maggiore qualità delle leggi regionali, ma anche con il realismo e partendo dai limiti di competenza della legge regionale rispetto a quella statale.
L’esperimento del Lazio.
Ci piacerebbe un registro obbligatorio dei lobbisti ed un divieto di esercitare attività di lobbying al di fuori dei canali istituzionali. Ed infatti sosteniamo l’iniziativa della Commissione europea per un registro europeo obbligatorio. Ma la legge regionale un registro obbligatorio non lo può istituire, perché si creerebbe una professione regolamentata, come quella degli avvocati o dei medici, cosa che può fare solo la legge statale. Inoltre, le risorse economiche per effettuare un controllo capillare sulle infinite possibilità di interlocuzione tra politici e lobbisti non ci sono. Non possiamo mettere 007 o microspie in tutti i bar di Roma e provincia.
D’altronde, chi conosce la politica americana o anche, semplicemente, si è appassionato alla serie tv House of Cards, sa che anche negli Usa, paese dotato di regole dettagliate sulla trasparenza dei portatori di interessi, il lobbista, se vuole, si incontra con il capo di gabinetto del Presidente al parco o in una rosticceria, piuttosto che alla Casa Bianca. Allora, in attesa che sia la legge statale ad istituire il registro obbligatorio e a mettere in condizione le Regioni di fare lo stesso, abbiamo pensato di partire dagli interessi dei cittadini: a loro non interessa sapere soltanto quante aziende o quanti lobbisti si sono accreditati, per poi magari non attivarsi concretamente o per continuare ad interloquire di nascosto. A loro interessa piuttosto sapere come una norma nasce, con quali studi alla base, con quali trasformazioni lungo il suo iter di approvazione, con quali incontri e quali pressioni.
Verso la registrazione online dei lobbisti.
Quindi, non un registro che a priori accrediti i lobbisti a svolgere il loro lavoro presso le istituzioni regionali, ma una registrazione on line, che da una parte consenta ai lobbisti di interloquire telematicamente e quindi in tempi brevissimi con i decisori regionali su ogni atto in discussione e di avere accesso ad atti preparatori e riservati, e che dall’altra permetta ai cittadini di avere piena cognizione di ogni passaggio, di ogni incontro, di ogni documento inviato, ricevuto, modificato, accolto o respinto, tramite il sito web istituzionale.
A questo punto, il lobbista che viene sorpreso con un documento riservato in mano senza essere registrato o il politico che viene sorpreso ad incontrare un lobbista non registrato, ben potranno essere valutati dalla magistratura per “traffico di influenze illecite”.
All’elaborazione di questa proposta ha contribuito un Tavolo di lavoro presso la Giunta regionale del Lazio, che ho animato con la collaborazione dell’Assessore regionale allo sviluppo, Guido Fabiani: vi hanno partecipato portatori di interessi di diverso tipo, dalle aziende farmaceutiche o energetiche alle associazioni ambientaliste o dei consumatori e il dibattito sarà ulteriormente allargato. Presto anche la regione Lazio avrà la sua disciplina sulla trasparenza dell’attività di lobbying. Magari più misurata negli intenti, ma, mi auguro, più efficace negli effetti concreti.
Fonte: Teresa Petrangolini, Huffington Post
http://goo.gl/BXopaj
]]>Se l’originario e lunghissimo emendamento di Luis Orellana (ex M5s ora Autonomie) prevedeva l’istituzione di un registro nazionale pubblico a cui si dovrebbero iscrivere tutti i lobbisti, un codice etico e il divieto di svolgere attività di lobby ad esempio per giornalisti e amministratori delegati di aziende, il nuovo emendamento dei relatori dovrebbe essere molto snello e rimandare semplicemente l’istituzione del registro e la creazione di una normativa sulle lobby a un decreto del presidente del Consiglio.
Il cambio di orientamento sul punto, si apprende, sarebbe dovuto a una contrarietà del ministro Maria Elena Boschi sul testo Orellana, che porterebbe quindi a un emendamento molto più snello, che riporterebbe in capo a Palazzo Chigi la scelta delle norme da attuare.
]]>NEL MIRINO – Il tema ha appassionato molto i parlamentari: sono sedici le proposte di legge depositate nella legislatura in corso; sette alla Camera e nove al Senato. La soluzione è stata cercata anche con modalità diverse: a Montecitorio, viste le difficoltà nel trovare un accordo, si stava approntando un nuovo regolamento, fermo però da tempo, mentre a Palazzo Madama si stava percorrendo la strada della normativa. E in questo contesto si inserisce un ragionamento pratico. “Senza una riforma dei regolamenti parlamentari, qualsiasi intervento legislativo rischia di essere vanificato”, spiega un deputato del Partito democratico in via informale.
COSA PREVEDE – La discussione è confluita nel calderone del ddl Concorrenza. “Avrei preferito una discussione su uno specifico disegno di legge”, ammette Luis Orellana. “Ma per concretezza ho presentato un emendamento per recepire testo”, aggiunge. L’iniziativa del senatore, ripresentata alla Camera dalla deputata di Scelta Civica Adriana Galgano, prevede l’istituzione di un registro dei rappresentanti di interessi con un comitato che vigili sul loro operato. E, secondo quanto risulta a La Notizia, i partiti di maggioranza e il governo sono orientati all’approvazione. Il relatore della legge, il senatore del Pd, Salvatore Tomaselli, non si sbilancia: “Guardo con favore alla proposta. C’è la necessità di varare una normativa sulla questione. Ed è meglio inserirlo in un provvedimento, già in seconda lettura, invece di ripartite da zero con una proposta di legge”. Stando alle previsioni in settimana dovrebbe iniziare il confronto sulla questione a Palazzo Madama. “Io – aggiunge Orellana – ho pensato a una normativa che possa includere tutte le attività degli enti pubblici”.
NO M5S E LOBBISTI – Le opposizioni sono sul piede di guerra. “Al testo manca un intervento sul cosiddetto sistema ‘delle porte girevoli’, la prassi per cui le lobby diventano un ufficio di collocamento per i politici”, afferma Giovanni Endrizzi, capogruppo del Movimento Cinque Stelle nella commissione Affari costituzionali a Palazzo Madama. A fargli eco il collega Vito Crimi, ex presidente dei senatori pentastellati: “La prima cosa che bisognerebbe fare è l’intervento sugli accessi dei lobbisti nei Palazzi, che vanno assolutamente tracciati, per sapere chi invita chi”. Si dirà, i soliti grillini. E invece, seppure in un’ottica diversa, anche tra i lobbisti c’è chi manifesta perplessità. Antonio Iannamorelli, direttore operativo di Reti, società di lobbying e Pubblic Affairs, mette in evidenza le criticità del testo: “Serve un registro volontario che conceda agli iscritti dei reali diritti. In questo caso ci sarebbe davvero una corsa dei lobbisti a iscriversi, anche se fosse previsto un pagamento per l’iscrizione”.
IL PARADOSSO – Ma quali sono i diritti? “Prima di tutto un badge unico concesso annualmente per accedere ai luoghi di decisione e poi la certificazione della risposta in un termine congruo da parte dell’interlocutore. Altrimenti di corre il rischio di far partire la corsa all’escamotage per evitare l’iscrizione”, aggiunge Iannamorelli. E per paradosso i lobbisti dovranno fare attività di lobbying per una legge che regolamenti il loro lavoro. Cercando la sponda con i ‘nemici’ dei 5 Stelle.
Fonte: Stefano Iannaccone, La Notizia
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Primi passi per l’approvazione di una disciplina regionale sulle lobby in Calabria. E’ stato infatti approvato ieri dalla Commissione “Affari istituzionali, affari generali, riforme e decentramento” della Regione Calabria il testo di legge relativo alla “Disciplina sulla trasparenza dell’attività politica e amministrativa della Regione Calabria e dei suoi enti strumentali e sull’attività di rappresentanza di interessi particolari”. Il progetto di legge dovrà adesso passare in Assemblea.
“Oggi la prima Commissione consiliare, approvando il testo che disciplina le attività lobbistiche, ha dato un segnale forte”. E’ quanto afferma il consigliere regionale proponente Giuseppe Graziano (Cdl).
“Non si tratta di una legge-manifesto – dice Graziano – ma di un testo che istituisce un registro nel quale dovranno obbligatoriamente iscriversi i gruppi di interesse. La legge in questione prevede sanzioni in caso di violazione delle regole, in modo che l’azione delle lobby sia svolta nella massima trasparenza. La nuova disciplina include anche gli enti sub-regionali, considerato che attorno a settori importanti quali la sanità, l’ambiente, il lavoro e le imprese gravitano numerosi interessi. Con questa legge – conclude Graziano-, il nostro obiettivo è quello di garantire gli interessi della Regione, dei cittadini e la qualità della democrazia regionale”.
Testo del pdl in Commissione I Affari Istituzionali – Regione Calabria
]]>Lo scenario di delusione e di incertezza che ha accompagnato il nuovo accordo di due settimane fa tra Grecia ed Europa ha aperto, tra gli “addetti ai lavori”, un ragionamento più ampio sul potere e le sue dinamiche. Come pensa questo si andrà a riflettere nel rapporto tra lobbisti e policy-makers?
I lobbisti e tutti coloro che portano degli interessi sono sempre più dei policy-makers. Nel caso greco questo è stato ancora più evidente. Non solo economisti, politici, tecnici, ma anche il più grande speculatore sui cambi, il miliardario Soros, è stato molto attivo. Molti premi Nobel hanno appoggiato l’OXI, dimostrando assieme di voler contrastare le politiche di austerità e quindi affermare le loro teorie, al tempo stesso mantenendo viva l’ipotesi di uscita dall’euro.
Ma cosa ne viene ai professori?
Ai professori la conferma delle proprie tesi, semplicemente. Ma chi conosce la situazione sa che ci sono una serie di interessi che gravitano attorno a questi grandi fenomeni economici studiati dagli analisti. Chi fa speculazioni legittime sui cambi, lavorando su grandi transizioni finanziarie, non si vergogna, giustamente – ci tiene a specificare – di essere anche un grosso influencer politico. Soros ha influenzato l’uscita dallo SME della lira e della sterlina, e oggi rifà capolino per la crisi greca. Chi fa lobbying deve tenere conto di questo sfondo internazionale: gli interessi globali sono strettamente legati a quelli locali.
E la politica, in tutto questo?
Secondo me c’è un ritorno di grandi visioni politiche in questi anni, ma la politica appunto, in un mondo globale, deve saper tener conto dei grandi interessi privati. Un governo decisionista come quello di Renzi, ad esempio, è molto interessato – e capace – ad attrarre interessi privati, mentre le ipotesi identitarie – come il M5S, o Podemos in Spagna – sono più concentrate ai piccoli interessi, ai centri produttivi che non raggiungono economie di scala. Non si può non tener conto di queste dinamiche: per questo un lobbista è oggi è anche un comunicatore, ma soprattutto un ottimo conoscitore del funzionamento del potere.
Cosa intende per funzionamento del potere? E perché più oggi che prima?
Beh, c’è stato un cambiamento evidente nel modo in cui funziona il potere. Che ora si basa su reti di responsabilità complesse, relazioni, interdipendenze orizzontali. Mentre prima era più verticale e nazionale. Ovviamente ci sono delle gerarchie, ma la decisione, e il modo di prenderle, è più complessa. Qui entra in gioco l’importanza della comunicazione: nella decisione dell’agenda pubblica, che non avviene più nei Parlamenti ma nella sfera pubblica.
E cosa può fare il lobbista in questo campo?
Il lobbista, per incidere sulle decisioni al giorno d’oggi, dev’essere in grado di imporre un tema all’ordine del giorno dell’agenda pubblica. Mettere in correlazione casi e bisogni concreti con lo scenario politico, e produrre contenuti che servano allo scopo. Anche i luoghi dell’attività di lobbying, debbono diventare sempre più pubblici. Immagino un’interazione collaborativa fra interessi e decisori su questi contenuti, progressivamente più trasparente.
Insomma, andiamo dai caminetti fumosi a una specie di streaming della combinazione di interessi privati e politici?
Sì, esatto, da un “accesso grigio” alle Istituzioni a una maggiore importanza della sfera pubblica. Dove gli interessi e i conflitti tra gli interessi sono più trasparenti: questo mette in condizione il decisore politico di scegliere anche di fronte ai cittadini.
..anche secondo un calcolo politico?
Sì, il politico decide quelli che ritiene siano gli interessi generali da difendere o da portare avanti, e questi necessariamente ne andranno a ledere almeno in parte altri. Il problema qual è? Che oggi i cittadini spesso non sono consapevoli di quali sono gli interessi in gioco. Invece esistono tanti interessi particolari, ognuno in contrasto con un altro.
Vogliamo sfatare il mito dell’interesse comune?
L’interesse comune è una scelta, è il risultato di una scelta. Ma no, non fa bene tutti. E’ quello che la politica crede sia l’interesse nazionale, generale. A volte si decide in una direzione, a volte in un’altra. Per tornare alle capacità del lobbista di oggi, questo deve quindi necessariamente godere di una capacità di analisi su diversi piani decisionali contemporanei, sempre più complessi ma con esigenze crescenti di semplificazione e rapidità. Ma anche di analisi politico-strategica, che non si limiti a quella delle procedure delle Istituzioni, e poi una capacità di comunicazione e agenda-setting.
Era più semplice, prima, fare il lobbista?
Prima era probabilmente più lineare: significava saper influenzare le persone giuste. Il potere veniva dall’alto verso il basso, a cercare gli interessi da sostenere. Un lobbismo diverso e una politica diversa, oggi, dunque rispondono alla complessità.
Quindi cosa suggerisce, infine, per la formazione del lobbista contemporaneo?
Dev’essere molto solido lo studio sui processi decisionali, in continua trasformazione ed evoluzione. Secondo, una capacità d’intelligenza e scelta politica, anche sul piano tecnico del policy-making. Terzo, una capacità di scendere nella sfera pubblica, comunicando a target non necessariamente ristretti ma selezionati, grazie ad un uso molto attento, ad esempio, dei social media. E’ quello che io definisco lobbying diffuso.
E cosa ne è del grassroots lobbying invece?
Il grassroots lobbying comprendeva in sé una concezione verticale: erano i leader che andavano a “pescare” queste radici da cui prendere consenso. Ora abbiamo una serie di reti che si intrecciano, collaborano, confliggono: è molto vicina al movimento dei makers, solo che al posto di oggetti con le stampanti 3D si producono decisioni, senza nascondersi. E’ a quest’ultima innovativa capacità che guardiamo con i corsi Running.
Esatto, in questi anni con la sua società, Running, ha formato molti giovani lobbisti. Quest’anno avete deciso di rilanciare l’offerta e dar vita alla Running Academy: perché?
In 13 anni di attività abbiamo formato più di mille persone, ragazzi desiderosi di diventare in primis lobbisti, ma anche manager. È per questo che nel 2015 abbiamo deciso di dar vita alla Running Academy, una scuola di alta formazione che progetta percorsi formativi dinamici e dallo stampo molto pratico. Comunicazione, lobby, politica, monitoraggio parlamentare e drafting legislativo sono da sempre oggetto dei nostri corsi: il nostro programma base è giunto quest’anno alla 27esima edizione. Ora siamo aggiornati con le trasformazioni che hanno caratterizzato il rapporto tra pubblico e privato e la necessità di organizzare corsi sul fundraising politico, sulla legge di bilancio e su come cambierà l’attività di lobbying con l’Italicum. Un altro punto di forza della Academy è il Comitato scientifico che supporta le nostre attività formative.
Qualche nome?
Giorgia Abeltino di Google, Alessandro Beulcke, Presidente Nimby Forum, Vittorio Cino di Coca-Cola Italia, Francesco Clementi, Tommaso Labate, Giuseppe Meduri di Enel, Gianbattista Vittorioso di Finmeccanica, Paolo Messa, Iolanda Romano, Gianluca Semprini, Chicco Testa…
I prossimi corsi in calendario?
A settembre il corso “La legge di bilancio” e a ottobre il corso “Lobby e italicum”.
Ma tornando alla formazione dei più giovani, quali le qualità di un ragazzo che vuole fare attività di lobbying?
Secondo me deve avere: passione e rispetto per la politica, una formazione solida in campo giuridico ed economico, e una forte propensione alle reti di informazione e comunicazione. Il paradosso è che spesso siano i comunicatori a voler fare lobbying, ma il know-how fondamentale sta nel saper entrare nel merito dei processi decisionali. Ma su come funzionano le consuetudini delle Amministrazioni, del Parlamento, ho un’opinione: molto s’impara con l’esperienza, dedizione, e pura e semplice passione.
Per ulteriori informazioni, contattare Stefano Ragugini, responsabile della formazione di Running, all’indirizzo [email protected]. Lo trovate anche su Twitter: @sragugini
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