Influenze nascoste. Accessi privilegiati e opachi ai decisori pubblici. Un terreno dove la trasparenza è solo una pia illusione. Lobby, siamo ancora al punto zero. Perché il quadro che emerge da “Lobbying in Europe”, l’ultimo rapporto di Transparency International, mostra che in Europa solo sette paesi possiedono forme di regolamentazione dei fenomeni lobbistici. E l’Italia è al terz’ultimo posto tra le diciannove nazioni analizzate. Una primato negativo. Superabile solo con la messa in essere di norme che prevedano – e sono queste le richieste della sezione italiana di Ti – un registro pubblico e obbligatorio dei lobbisti, chiarezza negli incontri tra i lobbisti e i membri del Parlamento o i pubblici ufficiali, e la “regolamentazione del fenomeno delle porte girevoli”. Norme necessarie anche per combattere la corruzione.
Un freno per le riforme. Peggio di noi, solo Cipro e l’Ungheria. Nel rapporto si legge: “L’Italia, insieme a Portogallo e Spagna, è tra i cinque Paesi con i punteggi peggiori e dove le pratiche di lobbying e i rapporti tra il settore pubblico e finanziario sono particolarmente a rischio”. Pratiche che possono mettere a rischio l’intero impianto delle riforme istituzionali ed economiche. Per Transparency International, infatti, esse sono state “significativamente ridimensionate anche a causa dell’azione e delle pressioni dei maggiori attori del settore”. Pressioni che “creano terreno fertile per una cerchia ristretta di poteri in grado di far valere in maniera indebita i propri interessi particolari”, dice Virginio Carnevali, presidente di TI.
I casi negativi. Tra le cattive pratiche di lobbying segnalate in Italia, quella dell’industria del gioco d’azzardo, “nelle cui file dirigenziali non è difficile trovare ex-politici”. Che grazie alla loro influenza sugli attuali membri del Parlamento hanno fatto sì che “le riforme del settore che andavano a favore dell’interesse pubblico” venissero ritirate. Altro caso, quello dei trasporti. Ancora dal rapporto di TI: “La totale assenza di regole sul lobbying ha impedito negli anni una liberalizzare del settore dei taxi”. E, anche in questo caso, “regole chiare e maggior trasparenza avrebbero potuto garantire a tutti i portatori di interesse pari opportunità di partecipazione al processo decisionale”.
Porte girevoli. Nota dolente, il passaggio dal sistema pubblico a quello privato e viceversa. Una dinamica non regolata che consente da un lato di sfruttare “informazioni pubbliche” per favorire interessi privati e dall’altro di “incidere grazie alle conoscenze acquisite” sulle decisioni pubbliche anche se oramai non si è più dirigenti dello Stato. Dinamica così spiegata nel rapporto: “In Italia in particolare è abbastanza facile passare dal settore pubblico al privato e viceversa, consentendo in questo modo a ex-pubblici ufficiali di andare ad esercitare attività di lobbying nei confronti dei loro passati datori di lavoro”.
La questione del finanziamento ai partiti. E una legislazione sul lobbying diventa sempre più necessaria anche in relazione alla migrazione da un sistema pubblico di finanziamento alla politica a uno prevalentemente privato. “A fronte di moltissime proposte di legge, in questi anni è stato invece fatto pochissimo nel concreto: sono i diritti e gli interessi basilari dei cittadini che vengono chiamati in causa e che necessitano di essere protetti con una norma ben scritta”, dice Davide Del Monte, direttore di Transparency International Italia.
La petizione. Infine, le raccomandazioni. Cinque passi verso una maggiore trasparenza. Cinque regole necessarie anche per impedire l’aumento di fenomeni legati alla corruzione. Si va dall’adozione di “un ampio e completo sistema di regolamentazione del lobbying” fino all’introduzione di “registri obbligatori dei lobbisti”. Passando dalla “tracciabilità e la pubblicizzazione di tutti gli interessi che hanno influenzato una legge”, dallo stabilire “periodi di attesa minimi durante i quali non sia consentito ai pubblici ufficiali e agli ufficiali eletti esercitare attività di lobbying” e dalla pubblicazione dei loro “legami politici”. Raccomandazioni sostenute anche dai cittadini italiani. Transparency International ha infatti lanciato la petizione Trasparenza nel lobbying, disponibile su Change.org.
]]>Non facilmente. Washington si è spezzata: lobbisti e gli interessi particolari hanno trasformato il governo in un gioco che solo loro possono permettersi di giocare. Essi scrivono le regole, e i cittadini rimangono intrappolati in esse. La politica non è più una missione, è un business.
Chi lo dice? Lo stesso Barack Obama. Questi spietati giudizi sono stati tutte pronunciati da Obama durante la sua campagna di 21 mesi per la Presidenza. Anche se è arrivato a Washington solo quattro anni fa, Obama ha capito rapidamente come vanno le cose.Da buon antropologo, egli padroneggia la cultura politica corrotta di Washington. Se lui può conquistarla è un’ altra questione.
La Washington moderna dà per scontato l’utilizzo del servizio pubblico per il guadagno privato. Migliaia di ex funzionari del governo sono passati attraverso la ben lubrificata porta girevole verso uffici corporate e società di lobbying che li assumono per la loro capacità di influenzare le politiche e le persone che conoscono o per cui hanno lavorato come funzionari pubblici. Queste pressioni indebite hanno spesso distorto le politiche pubbliche per favorire interessi particolari. Nel corso degli ultimi quattro decenni, Washington è diventato un importante luogo per il grande passatempo americano: non il baseball, fare soldi.
Non è sempre stato così. Quarant’anni fa, il lobbying era il lavoro di un piccolo gruppo di avvocati e trafficoni; oggi si tratta di un’industria da milioni di dollari che coinvolge migliaia di persone, tra cui quasi 200 ex senatori ed ex membri del Parlamento da entrambe le parti. Il nuovo gruppo di clienti dei lobbisti è fiorito dagli anni ‘70 poichè l’intervento del governo federale si è esteso in quasi ogni angolo della vita americana, convincendo individui, imprese e istituzioni in tutto il paese che potrebbero trarre vantaggio dall’assumere un portatore di influenze indebite a Washington.
Quando viene chiesto di spiegare il motivo per cui il lobbying è cresciuto in modo così drammatico nel corso delle quattro decadi, Robert Strauss, l’ex presidente del Democratic National Committee, ha una semplice spiegazione: "Ci sono così tanti soldi in esso."
I soldi non vanno tutti nelle tasche dei lobbisti. Gran parte viene riciclato dai politici, cosa che ha trasformato la natura delle campagne elettorali. Anche se Obama stava marciando verso la sua vittoria decisiva su una piattaforma di "riforma" il novembre scorso, il costo della competizione per il Senato ha superatoognirecord. Anche in stati di medie dimensioni come North Carolina, Colorado, Minnesota e Oregon, la competizione ha consumato quasi 40 milioni di dollari ciascuna. Possiamo confrontare questo dato con il 1974, quando il totale speso da ogni candidato per la Camera e il Senato è stato appena 230 milioni in dollari odierni. In questa era pittoresca, prima che gli spot televisivi dominassero le campagne politiche, il costo per una campagna vincente media per il Senato era di 1,3 milioni di dollari. Obama stesso ha stabilito un record per aver speso su una campagna presidenziale quasi 800 milioni di dollari.
L’ affidamento dei politici americani su lobbisti e interessi particolari per i contributi elettorali ha conseguenze pratiche. Nel viaggio elettorale, Obama ha parlato delle "società farmaceutiche che vengono a scrivere i nostri disegni di legge sulle medicine, mentre il prezzo delle prescrizioni va alle stelle per tutti noi".
Questa non è un’esagerazione. I lobbisti per le aziende farmaceutiche davvero scrissero il disegno di legge del 2003. Da un lato, esso non ha consentito al governo di negoziare con i produttori di medicine sui prezzi da applicare nell’ambito del piano, come la Veterans Health Administration fa di routine quando acquista farmaci. I lavoratori delle società farmaceutiche e i loro comitati di azione politica (PAC) hanno dato decine di milioni di membri del Congresso per le loro campagne; due terzi dei fondi dal 2000 fino al 2006 è andato a repubblicani, secondo il Center for Responsive Politics.
Il denaro parla anche in altri modi, come il repubblicano Charles B. Rangel (DN.Y.), il nuovo presidente democratico del Ways and Means Committee della Camera ha scoperto nel 2007. Rangel ha proposto la chiusura di una scappatoia che ha permesso a dirigenti di hedge funds e fondi di private equity di trattare il loro reddito come "plusvalenze", così da tassarlo al 15 per cento – molto meno di quanto la maggior parte degli americani paga in imposte sul reddito.
Gli interessi colpiti hanno risposto da parte loro. La spesa in lobbying da parte di hedge fund, società di private equity, banche d’investimento e loro associazioni di categoria è passato da 3,8 milioni di dollari nel 2006 a più di 21,4 milioni nel 2007, secondo il Center for Responsive Politics. I dirigenti e i loro alleati hanno aumentato il loro contributo alla campagna per il congresso di quattro volte, a circa 11 milioni di dollari. Molto di questo denaro è stato indirizzato al comitato per la campagna senatoriale democratica, presieduto da un altro cittadino di New York, il senatore Charles E. Schumer. La proposta di Rangel non è mai stata sottoposta a votazione.
I metodi che i gestori degli hedge fund hanno usato per scacciare la proposta di Rangel sono legali anche se deplorevoli. Jack Abramoff – la figura centrale nel più grande scandalo di lobbying dei tempi moderni e ora Presidente della Federal Correctional Institution nel Cumberland, Md – li ha descritti brevemente. "Ho partecipato a un sistema di corruzione legalizzata", ha detto Abramoff ai conoscenti dopo aver avuto problemi nel 2004. "Tutto è corruzione, anche in parte."
Raccogliere e spendere grandi quantità di denaro per le campagne non solo distingue l’epoca moderna da tutti i precedenti periodi della storia americana, arriva anche nel modo di governare. “Ormai tutto è denaro", ha dichiarato il Sen. J. Christopher Dodd (D-Conn.). Egli veniva appena dal pranzo settimanale del caucus per il Senato democratico. "Quasi l’intero pasto è stato dedicato al denaro e come raccoglierlo”, mi ha detto. "Quando arrivai al Senato nel 1981, questi pranzi di lavoro sono stati un luogo di grandi dibattiti e discussioni…. Sono stati momenti meravigliosi. Non voglio suonare melodrammatico, ma è la Repubblica a rischio – davvero a rischio per questo. "
Obama, ovviamente, capisce la tenacia della cultura politica che ha ereditato. Questo è stato evidente nel suo primo decreto sul lobbismo, che comprende un serio tentativo di rallentare la "porta girevole", che ha portato tanti ex funzionari del governo nelle file dei lobbisti registrati. I suoi incaricati, ha detto Obama, dovranno firmare un accordo che preclude loro dal diventare successivamente lobbisti che cercano di influenzare la sua amministrazione finchè lui è in carica.
Ma il rallentamento della porta girevole non sarà sufficiente a smontare la cultura di Washington del denaro, della lobby e dell’intrallazzo che ha metastatizzato da più di quattro decenni. Questa cultura ha creato multimilionari e ha fornito un alto tenore di vita a migliaia di persone. Essa ha aiutato gli interessi monetari a proteggere i loro status e privilegi, minando la regolamentazione del business da parte del governo, e ha trasformato i funzionari eletti in inseguitori di denaro cronici. Una vera riforma richiederà più di un decreto presidenziale.
Valentina Tonti
]]>In due ordinanze esecutive e tre direttive presidenziali, Obama ha stabilito rigorosi limiti al lobbying che ostacoleranno chiunque voglia cercare lavoro come lobbista mentre egli è presidente, e vieterà doni da parte dei lobbisti a chiunque nell’amministrazione. Egli ha inoltre ordinato alle agenzie che i documenti siano rilasciati al pubblico a meno che non vi siano motivi validi per non farlo, e ha allentato le restrizioni sul rilascio di documenti relativi agli ex presidenti e vice presidenti.
I sostenitori dell’ open-government hanno descritto queste mosse come un forte allontanamento dalle politiche dell’ex presidente George W. Bush e dell’ex vice Presidente Richard B. Cheney, che hanno cercato di proteggere dal pubblico le informazioni sul funzionamento interno della Casa Bianca e hanno imposto restrizioni ai documenti pubblici.
Fred Wertheimer, presidente di Democracy 21, ha detto che le restrizioni al lobbismo "costituiscono un importante passo avanti nella creazione di un nuovo tono e atteggiamento di Washington, che sfida il lobbista e in particolare la cultura dell’interesse."
Steve Aftergood, direttore del Progetto sul segreto di stato della Federation of American Scientists, ha detto che è "sorprendente" che Obama ha emanato tali direttive nel suo primo giorno. Ma, ha aggiunto, "questo deve essere l’inizio di un processo che traduce questa policy in pratica, e ciò ha dimostrato di essere una sfida." Le limitazioni al lobbismo sembrano anche essere notevolmente più ampie rispetto di quelle imposte da altri presidenti, hanno detto gli esperti.
Due giorni dopo la sua inaugurazione nel 1993, Bill Clinton impedì ad alti incaricati dal lasciare l’incarico e poi, in qualsiasi momento dei cinque anni successivi, fare lobbying sugli ex colleghi nell’ agenzia in cui aveva lavorato. Egli ha revocato l’ordinanza un mese prima di lasciare l’ufficio, poichè gli assistenti lamentavano la difficoltà di trovare lavoro.
L’ordinanza di Obama si applica più in generale a "ogni persona in ogni agenzia esecutiva", impedendo loro di lasciare l’incarico e poi fare azione di lobbying su qualsiasi altro ufficiale del ramo esecutivo o alto funzionario incaricato per il resto del suo mandato. La regola impedisce anche ai nuovi funzionari dal fare policy in merito a qualsiasi questione che riguardi i loro ex datori di lavoro o clienti per un periodo di due anni, o dal lavorare in un’agenzia che ha fatto lobbying negli ultimi due anni. "Non dovremmo mai dimenticare che siamo qui come dipendenti pubblici ", ha detto Obama.
Le osservazioni di Obama hanno suscitato critiche da parte del Comitato Nazionale Repubblicano, il quale ha osservato che Obama ha nominato William J. Lynn III, un ex lobbista Raytheon, come vice-segretario della difesa. Le relazioni sul lobbying depositate da Raytheon al Senato affermano che Lynn ha fatto parte di un gruppo che esercitò azione di lobbying sul Congresso e il Pentagono nel 2007 e nel 2008. I funzionari della Casa Bianca non hanno risposto alle richieste di commento.
In un’altra ordinanza, Obama ha autorizzato una maggiore apertura dei documenti presidenziali, in seguito alla decisione del Congresso di un periodo di attesa di cinque anni dopo che qualsiasi presidente lascia l’incarico. L’ordinanza consente un riesame da parte della procura generale e del Counsel of claims della Casa Bianca nel caso in cui le informazioni debbano essere trattenute secondo la dottrina dell’ "executive privilege ". Inoltre lascia la decisione finale nelle mani del presidente in carica – e non dell’ex presidente, come previsto in un’ordinanza di Bush del 2001.
Anne Weismann, consulente dell’organizzazione no-profit Citizens for Ethics and Responsibility di Washington, ha detto che l’ordinanza segnala "un ritorno allo Stato di diritto" e al rispetto dei termini che il Congresso originariamente indicò nel Presidential Records Act.
Valentina Tonti
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