Política – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Le “lobby” sono il solito paravento per una politica debole e non trasparente | Il Foglio http://www.lobbyingitalia.com/2016/04/le-lobby-sono-il-solito-paravento-per-una-politica-debole-e-non-trasparente-il-foglio/ Sat, 02 Apr 2016 07:58:59 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3213 Perché i parlamentari si nascondono dietro un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili per scaricare le proprie responsabilità

di Pier Luigi Petrillo

Ecco, ci risiamo: è colpa delle lobby. Sul Foglio la senatrice Linda Lanzillotta (Pd) ha ammesso perlomeno che le cosiddette lobby avranno sì frenato il disegno di legge Concorrenza, bloccato da un anno in Parlamento, ma anche la flemma della politica ha avuto un ruolo. Effettivamente, non mi risulta che le lobby abbiano occupato il Parlamento, si siano sostituite ai deputati di maggioranza e abbiano votato emendamenti a loro favorevoli. Mi risulta, invece, che siano stati i deputati di maggioranza a presentare emendamenti a favore di certe lobby e a votarli a maggioranza (appunto).

Il disegno di legge sulla Concorrenza non è il frutto di una elucubrazione accademica ma la conseguenza naturale, in un sistema democratico, della precisa scelta politica della maggioranza che sostiene il governo; una scelta indirizzata a sostenere taluni ordini, corporazioni (anche micro), settori produttivi del paese in situazione di sostanziale monopolio. Badate bene, si tratta di scelte legittime che qui non si contestano. Ciò che si contesta è che, come al solito, ci si nasconde dietro un dito e quel dito ha un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili: le lobby, appunto! E’ colpa delle lobby se non si fanno le liberalizzazioni; colpa delle lobby se il paese ristagna in paludi ottocentesche; sono le lobby a impedire riforme strutturali.

 

Il grande merito del governo Renzi è stato quello di dimostrare che non è così; all’opposto Renzi ha dimostrato che se c’è la volontà politica è possibile superare ogni lobby e fare davvero ciò che si è promesso di fare. Il presidente del Consiglio ha ottenuto ciò che voleva in materia di lavoro, banche, assicurazioni, perfino di riforme costituzionali ed elettorali: ha vinto su lobby temibili e inarrivabili fino a qualche tempo fa, come i sindacati (o i professori di diritto costituzionale, categoria alla quale appartengo). La maggioranza in Parlamento ha dimostrato di poter approvare in poche settimane leggi molto contrastate da talune di queste lobby. Il dato, quindi, è uno solo: in questo caso e in materia di concorrenza e di liberalizzazione, la maggioranza ha deciso da che parte stare, ha espressamente deciso di assecondare talune lobby (quelle dell’immobilismo: dai soliti tassisti agli albergatori confederati) contro altre (quelle dei consumatori, per esempio). Per non ammettere questo dato di fatto, così evidente da sembrare davvero stucchevole ogni polemica sull’articolo di Giavazzi del Corriere di qualche giorno fa, ci si nasconde dietro al consueto paravento: le lobby, queste sconosciute, brutte, sporche e cattive.

 

E per mantenere in vita il paravento, dietro cui la politica si nasconde, non viene approvata alcuna regolamentazione del lobbying: proprio in occasione del ddl Concorrenza, alcuni senatori hanno provato a proporre qualche norma ma sono stati prontamente stoppati. Non possono essere approvate, infatti, norme che rendano trasparente l’azione dei lobbisti perché altrimenti cadrebbero gli altarini e si scoprirebbe ciò che tutti sanno: ovvero che laddove la politica è fragile e mancano indicazioni chiare, i parlamentari si sentono liberi di assecondare le lobby a loro più vicine (magari perché ne finanziano la campagna elettorale) perché sanno che, nell’oscurità che circonda il mondo delle lobby, non sarà mai colpa loro, non dovranno mai rendere conto delle loro scelte a nessun elettore (gli inglesi direbbero accountability). L’assenza di una legge sulle lobby impedisce all’elettore di comprendere cosa c’è davvero dietro l’emendamento presentato dal singolo deputato, quale interesse e chi l’ha redatto; impedisce di sapere chi paga e per cosa.

 

Ma Renzi potrebbe battere un colpo e chiedere conto di taluni voti in Senato che hanno affossato il ddl concorrenza col parere favorevole del rappresentante del Governo, per stupire tutti con uno dei suoi colpi di genio: presentare un maxi emendamento che sostituisce per intero questo feticcio di legge e, in un colpo solo, liberalizzare settori bloccati da secoli e sciogliere così corporazioni così vetuste da essere superate dai fatti (oltre che dal mercato). In ogni caso, in un sistema democratico come il nostro, non sarà mai colpa delle lobby ma della politica (debole, fragile, succube) che le asseconda.

 

di Pier Luigi Petrillo, Professore di Teoria e tecniche del lobbying, Luiss

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Lobby & Stato: Pistelli-Eni, revolving doors inappropriate? http://www.lobbyingitalia.com/2015/07/lobby-e-stato-pistelli-eni-revolving-doors-inappropriate/ Sat, 04 Jul 2015 14:05:40 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2843 In molti hanno criticato la scelta di Lapo Pistelli, passato da un seggio parlamentare a una scrivania dei piani alti di Eni. Per ovviare alle critiche, basterebbe una norma sulle revolving doors in una legge sulle lobby: che però rischia di essere accantonata dopo le dichiarazioni della senatrice Finocchiaro.

Lapo Pistelli, viceministro degli Affari Esteri del governo Renzi, lo scorso 15 giugno ha annunciato di voler lasciare il PD e la politica per diventare senior Vice President dell’Eni. A 51 anni, l’ex candidato sindaco di Firenze (sconfitto proprio da Renzi, suo ex collaboratore negli incarichi da assessore al Comune di Firenze, alle primarie per la candidatura comunale del 2009) passa dal pubblico al privato diventando un lobbista, a tutti gli effetti, della società del cane a sei zampe. “Mi occuperòspiegadi promuovere il business internazionale e di tenere i rapporti con gli stakeholders, in Africa e in Medio Oriente, e dei progetti sulla sostenibilità”.

Sin dai tempi di Enrico Mattei, Eni è uno dei maggiori strumenti di “diplomazia economica” dello Stato italiano (sebbene l’azienda sia una società per azioni dal 1992), in particolare nei principali poli petroliferi mondiali (Baltico, Nordafrica, Asia-Pacifico). Eni, a partire dagli anni Sessanta, ha contribuito a molte scelte di policy estera dei governi italiani, che molto spesso hanno creato imbarazzi con le diplomazie occidentali nell’ottica del conflitto bipolare (basti pensare all’avvicinamento ai “Paesi non allineati” nel secondo dopo guerra, o alla Libia negli anni Ottanta fino alla fine del regime di Gheddafi), con logiche tipiche del realismo politico e della diplomazia parallela a quella statale, che hanno portato anche a spiacevoli dubbi sulla trasparenza (si veda, ad esempio, l’inchiesta di Report del 2012). Ciononostante, la compagnia petrolifera rimane uno dei fiori all’occhiello dell’industria italiana, e le nomine dei vertici spesso sono fotografia della situazione politica nazionale.

La scelta di Pistelli ha destato interesse all’interno del settore delle relazioni istituzionali, in particolare in merito al pericolo del cosiddetto fenomeno delle “revolving doors”, ovvero del passaggio (spesso immediato, se non a volte addirittura solo formale ad attestazione di una evidente commistione tra interessi pubblici e privati) dall’attività politica a quella privata, o viceversa. Il dibattito sulle revolving doors e sulla trasparenza dei rapporti tra gruppi di pressione e decisori politici è attuale in tutto il mondo (uno dei più recenti articoli di Politico ne parla in merito all’Unione Europea, ma se ne discute anche negli USA, nel Regno Unito, in Germania).

Al momento dell’annuncio di Pistelli, che segue l’altro “non-renziano” Enrico Letta nella scelta di lasciare la politica per lavorare nel settore privato (l’ex premier ha detto sì alla prestigiosa università parigina della Sorbona), molte forze politiche hanno espresso la preoccupazione di una sovrapposizione tra gli interessi statali e quelli petroliferi. Il deputato di Sel Giulio Marcon ha presentato una interrogazione parlamentare con i deputati di Sel Scotto, Airaudo e Palazzotto, per chiarire quali rapporti intercorressero tra l’ad di Eni Descalzi e Pistelli quando deteneva la carica di viceministro. Il MoVimento 5 Stelle ha votato “no” alle dimissioni di Pistelli dalla carica di deputato, definendo il suo nuovo incarico “immorale” e proponendo un emendamento alla delega sulla Pubblica Amministrazione proprio per inserire l’incompatibilità di incarico negli enti pubblici o controllati a chi nei 5 anni precedenti ha ricoperto incarichi di governo o è stato parlamentare. A tutti gli effetti un periodo di “cooling-off”, a dire il vero molto lungo rispetto a quanto previsto nelle normative più avanzate in materia di conflitto di interessi. Maurizio Gasparri, di Forza Italia, ha definito la nomina di Pistelli ad Eni un “contentino” da parte del premier per non aver assegnato al concittadino la poltrona di Ministro degli Esteri (non senza indiscrezioni polemiche).

Il costituzionalista Andrea Pertici ha invece segnalato che la legge Frattini del 2004 sul conflitto di interessi prevede un periodo di “raffreddamento” di 12 mesi, che però spesso viene aggirato a causa di interpretazioni molto estensive della norma (legge che secondo  secondo l’Ocse è scritta male e viene applicata peggio). Ma l’autorità Antitrust “non ha ravvisato problemi nel passaggio diretto da viceministro degli Esteri a manager del gruppo petrolifero”, in quanto non esisterebbero legami sostanziali tra l’incarico precedente e quello successivo di Pistelli. La nuova nomina è invece stata ben accolta dalla maggioranza di governo: Pistelli, un’ottima carriera nei principali ministeri dello Stato, diventa quindi un asso della manica nella società delle cui azioni lo Stato detiene ancora la maggioranza, in un momento in cui è in atto un rimescolamento degli incarichi delle principali partecipate e, in particolare, anche interno ad Eni (è notizia recentissima l’uscita dal management della petrolifera dell’economista Zingales, scelto proprio da Renzi).

Facendo una prima riflessione, l’ex viceministro Pistelli non è censurabile giuridicamente (come del resto riconosciuto dall’AGCM) per aver accettato un incarico prestigiosissimo in un settore economico strategico per l’Italia, nella società leader nazionale. Ha la giusta esperienza a livello politico, un background accademico di tutto rispetto, una reputazione ed un bagaglio tecnico su cui non possono essere mosse obiezioni. Ci si chiede, però, se un passaggio diretto di questo genere sia eticamente appropriato, senza un periodo di “raffreddamento” e con una carica politica ancora in corso. Un esempio virtuoso, uno dei pochi che si ricordi, è ad esempio quello del deputato di Forza Italia Alberto Giorgetti, sottosegretario all’Economia in tre governi (Berlusconi, Monti e Letta), con affidata la delega ai Monopoli (incluso quindi il gioco d’azzardo). Anche in quel caso, un gigante del settore (Lottomatica) pare avesse promesso una poltrona al sottosegretario nel giugno 2014, rifiutata da Giorgetti, anche per evitare polemiche che erano subito montate . Una mossa eticamente encomiabile.

Un’altra possibile riflessione può essere fatta sulla possibilità di prevedere una norma efficace sulle revolving doors nell’ordinamento nazionale, magari all’interno del provvedimento sulle lobby. Che però ieri ha visto l’ennesima battuta d’arresto, stanti le dichiarazioni della presidente della 1° commissione Affari Costituzionali del Senato Anna Finocchiaro sull’attuale ddl in discussione, con il testo-base del senatore ex M5S Orellana. Dopo settimane di rinvio della discussione, infatti, è stato annunciato che “per l’esame nel merito del disegno di legge di regolazione delle lobby bisognerà aspettare settembre, nonostante il ddl lobby non sia un tema divisivo”. L’ennesimo passo indietro per una regolamentazione richiesta a gran voce dai professionisti del settore, che sembrava arrivata ad una svolta dopo l’indiscrezione della virata su un testo governativo (il ddl Verducci), che sarebbe stato discusso dopo l’approvazione della riforma del terzo settore. Anch’essa, però, rinviata a settembre. La normativa renderebbe il passaggio tra incarichi trasparente e motivato, e favorirebbe lo spostamento del focus della discussione politica dal pericolo dello spettro della corruzione al premio del principio di meritocrazia.

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Donazioni online e sms: partiti disperati cercano soldi (Linkiesta) http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/donazioni-online-e-sms-partiti-disperati-cercano-soldi-linkiesta/ Tue, 02 Sep 2014 18:16:15 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2347 (Marco Sarti) Si avvicina la fine del finanziamento pubblico, ognuno si ingegna come può. Il caso americano

I dirigenti di Forza Italia hanno puntato tutto sul web. Per superare senza troppi traumi la riforma del finanziamento pubblico ai partiti, lo staff dell’ex Cavaliere ha studiato e messo in rete un apposito sito internet. L’home page è fin troppo esplicita. In basso, la grande fotografia di Silvio Berlusconi che stringe le mani ai suoi elettori. Poco più in alto, la richiesta di denaro. «Con la nuova legge mi hanno impedito di continuare a sostenere Forza Italia. Oggi ho bisogno dell’aiuto di chi, come te, condivide la mia “follia”». Antonio Palmieri, responsabile della comunicazione web del partito, non fa mistero di essersi ispirato a un sito di fundraising del presidente americano Barack Obama.

Dal web ai cellulari. Per intercettare la generosità dei militanti meno pratici di computer, i berlusconiani si affidano alle donazioni via sms. Una procedura prevista dall’articolo 13 della riforma – al momento non ancora applicato – che potrebbe aiutare a far quadrare i bilanci di Piazza San Lorenzo in Lucina. Nel frattempo il Partito democratico scommette sul 2X1000. È l’altra grande forma di finanziamento indiretto prevista dalla nuova legge. Il futuro dei dem passa da qui. «Anche perché oggi – racconta Antonella Trivisonno, giovane renziana e collaboratrice del tesoriere Francesco Bonifazi – il partito continua a dipendere per il 90 per cento dai finanziamenti pubblici». Dichiarazioni dei redditi e microdonazioni. La raccolta fondi alle feste democratiche un tempo era un’opportunità. «Presto – ammette – diventerà una necessità».

Intanto il conto alla rovescia prosegue inesorabile. La riforma voluta da Enrico Letta ridurrà i fondi pubblici ai partiti anno dopo anno. Dai 91 milioni del 2012 si passerà ai 22 milioni del prossimo anno. Fino a scomparire del tutto nel 2017. Al loro posto un sistema di donazioni fiscalmente incentivate – con un tetto di 100mila euro annui – e l’introduzione del 2×1000 che lascerà un rilevante potere di scelta ai cittadini. Stamattina i rappresentanti dei principali partiti ne hanno discusso a Roma in occasione dell’assemblea dei soci Ferpi, la Federazione Relazioni Pubbliche Italiana. Un’occasione per fare il punto sulle nuove forme di finanziamento alla politica – «Come associazione di categoria vogliamo offrire al sistema politico ed istituzionale spunti, informazioni e dati su cui fondare le nuove policy» spiega la presidente Patrizia Rutigliano – anche alla luce delle esperienze di altri Paesi. Quella statunitense in particolare.

In America, del resto, una recente sentenza della Corte Suprema ha praticamente tolto qualsiasi limite alle donazioni dei privati alla politica. Se prima la legge federale imponeva un tetto di 123mila dollari, ora il sistema permette ai donatori più generosi di finanziare candidati e comitati elettorali fino a quasi 3,5 milioni di dollari. Cifre da far impallidire il tetto di 100mila euro introdotto dal governo Letta.

Ecco perché la chiave di questo modello non può che essere la trasparenza. A confermarlo è uno dei lobbisti più influenti di Washington. Anthony Podesta, chiara origine italiana e, si dice, molto vicino alla Casa Bianca. Senza troppi giri di parole, il settimanale Newsweek lo ha semplicemente ribattezzato «the lobbyist». Fratello di John, stretto consigliere di Bill Clinton e di Obama, a scorrere i suoi principali clienti si finisce per ripassare buona parte della recente storia politica americana, da Ted Kennedy a George McGovern, fino a Michael Dukakis e lo stesso Clinton.

L’insegnamento di Podesta? Nel rapporto tra denaro e politica tanti paletti rischiano di essere controproducenti. «Perché i soldi sono come l’acqua – racconta citando due giudici della Corte Suprema – anche se provi a fermarli trovano sempre una via d’uscita». Certo, è impossibile evitare la presenza di troppi interessi attorno ai partiti. «In un paese moderno e democratico – ammette il lobbista americano – il governo prende decisioni importanti. E inevitabilmente c’è chi proverà a investire denaro per eleggere i politici che prenderanno quelle decisioni. I suoi soldi, proprio come l’acqua, troveranno sempre una via d’uscita». Ecco perché riformare il sistema introducendo procedure più stringenti non sempre funziona. «Le buone intenzioni non si trasformano necessariamente in buoni risultati. Specialmente quando il denaro incontra i politici». L’obiettivo primario diventa allora la trasparenza. «Le persone devono poter sapere da dove vengono i soldi, chi li prende e come vengono spesi».

Intanto negli Stati Uniti il costo delle campagne elettori cresce vertiginosamente. Un dato su tutti: alle ultime presidenziali tra Obama e Mitt Romney, i due avversari hanno raccolto la bellezza di un miliardo di dollari. Ciascuno. Il rischio che un ristretto gruppo di miliardari possa effettivamente controllare la politica è evidente. Anche per questo si impone la necessità di una sempre maggiore trasparenza. E se da noi la deriva oligarchica è ancora lontana – difficile controllare la politica con un tetto di 100mila euro – la chiarezza tra donazioni e partiti deve comunque rimanere un obiettivo primario. Il futuro della nostra politica passa dal fundraising? «Trasparenza e rendicontazione devono essere i punti irrinunciabili nella gestione del difficile rapporto tra denaro e politica» spiega il sottosegretario alla Semplificazione Angelo Rughetti. Non è più tempo di aspettare. Come auspica Andrea Romano, di Scelta Civica, entro questa legislatura possono essere approvate una legge sui partiti e una legge sulla rappresentanza di interessi.

Fonte: Linkiesta

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Matteo Orfini: Coi partiti all’americana più difficile frenare le lobby (L’Unità) http://www.lobbyingitalia.com/2014/06/matteo-orfini-coi-partiti-allamericana-piu-difficile-frenare-le-lobby-lunita/ Sun, 08 Jun 2014 18:19:16 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2468 «Al di là delle responsabilità penali, che sono personali, e su queste sono e resto un garantista, le vicende Expo e Mose presentano fatti concreti di corruzione. E se dopo vent’anni da Tangentopoli ci troviamo di nuovo in una situazione in cui si susseguono scandali e fenomeni di corruzione inquietanti, è giusto dire che la politica ha la sua parte di responsabilità, almeno per non aver saputo affrontare e risolvere il problema». Matteo Orfini, leader dei giovani turchi del Pd, parla della questione morale che sta sconvolgendo il dibattito politico.

Dunque è d’accordo con il premier Renzi che dice che anche il Pd ha la sua fetta di responsabilità?

«Non c’è dubbio. In questi vent’anni anche noi abbiamo governato, se le norme che sono state fatte non sono state adeguate a risolvere il problema anche noi dobbiamo prenderci una parte di responsabilità. Questo non ci impedisce di rivendicare che il Pd amministra non solo il Paese ma anche molte regioni e amministrazioni locali in modo onesto e al servizio dei cittadini. Gli scandali che hanno investito esponenti del Pd sono stati una eccezione rispetto alla norma del buon governo. E noi siamo stati sempre inflessibili con esponenti Pd che si sono macchiati di gravi reati, come dimostra il recente voto sul deputato Genovese. Non abbiamo mai avuto forme di timidezza o di protezione verso chi è stato anche solo accusato di gravi reati. Ora però è il momento di affrontare davvero il problema della corruzione».

Il governo annuncia una serie di provvedimenti…

«I poteri per il commissario Cantone sono una prima risposta anche dal punto di vista simbolico. Così come condivido la proposta del ministro della Giustizia Orlando di reintrodurre reati eliminati negli anni bui dei governi Berlusconi. Il governo si è già mosso nella direzione giusta, ma c’è qualcosa che va al di là delle regole e delle leggi, e cioè come agire sulla riforma della politica e sul sistema industriale. In alcuni settori dell’imprenditoria serve più mercato, bisogna stroncare l’abitudine a un rapporto perverso e consociativo con la politica di imprese che faticano a competere e cercano scorciatoie. Serve un mercato che funzioni meglio, con regole che garantiscano una concorrenza equilibrata. E serve una riforma della politica, che riguardi in primo luogo la selezione delle classi dirigenti».

Cosa intende per riforma della politica?

«Bisogna impedire che nei partiti, compreso il Pd, arrivino a ruoli apicali persone che non hanno la tenuta etica e morale necessaria. Nella progressiva destrutturazione dei partiti, qualcosa si è inceppato nei meccanismi di selezione. Probabilmente per un eccesso di competizione interna».

Si spieghi meglio…

«Non voglio fare un elogio dei vecchi meccanismi di cooptazione che non sono riproponibili. Ma, in un momento in cui quasi tutti gli incarichi sono scelti dagli elettori con le primarie, dal sindaco al governatore al deputato, aumenta il rischio che il singolo candidato sia sostenuto da lobby che in cambio di questo sostegno, non solo economico, puntano a utilizzare questa elezione per fare altro. Nessuno vuole archiviare le primarie, ma bisogna far sì che al contempo il partito nel suo insieme sia impermeabile a rischi di infiltrazioni di questo tipo».

Come deve comportarsi il Pd con chi si dimostrerà colpevole?

«Saremo inflessibili. La corruzione è il più alto tradimento verso i cittadini che votano, e credo che Renzi abbia ragione quando parla di Daspo e dice che chi ha commesso questi reati non deve avere una seconda possibilità».

Alcuni esponenti della nuova guardia Pd, da Bonafè a Serracchiani e Moretti, sottolineano l’estraneità dei «nuovi dirigenti» rispetto alla «vecchia generazione».

«Sono semplificazioni. Bisogna affrontare fenomeni gravi come questi con meno battute e più idee. La corruzione è uno dei principali problemi della nostra economia e va affrontato con serietà. Il gruppo dirigente che ci ha preceduto alla guida del Pd è costituito nella quasi totalità da persone che hanno governato seriamente e onestamente, e mi pare ingeneroso scaricare su di loro quello che è successo. La nuova generazione semmai ha il compito di trovare le soluzioni giuste e di risolvere finalmente il problema: su questo può dimostrare di essere più efficiente della precedente».

Dunque lei non vede una discontinuità etica tra le generazioni Pd?

«Guardi, quando mi sono iscritto per la prima volta a un partito, in sezione ho trovato una anziana staffetta partigiana, che ha affrontato battaglie ben più rischiose delle nostre. Mi piacerebbe avere l’etica che ha avuto lei… davvero non capisco l’utilità di una discussione posta in questi termini».

Questi scandali rischiano di essere un nuovo assist per Grillo…

«Gli italiani alle elezioni europee si sono dimostrati molto saggi: hanno capito che essere inflessibili con chi delinque non vuoi dire bloccare le opere pubbliche e la modernizzazione del Paese perché “tanto rubano tutti”. Grillo continua a strumentalizzare queste vicende, ma non ne ha neppure avuto un beneficio nelle urne».

Fonte: L’Unità

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Euronews: Politica esautorata e leggi inutili, la miscela che paralizza l’Italia http://www.lobbyingitalia.com/2014/03/euronews-politica-esautorata-e-leggi-inutili-la-miscela-che-paralizza-litalia/ Mon, 17 Mar 2014 09:10:47 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2199 Sergio Rizzo, Corriere della Sera: “Roma veramente è la città che in sé riassume tutti i simboli del potere di questo Paese, nel passato e nel presente. Questa è una città nella quale da 2767 anni ininterrottamente si esercita il potere”.

Guarda il video del reportage di Enrico Bona.

Oggi il potere in Italia è nelle mani di Matteo Renzi e della sua squadra di ministri. E’ il terzo governo che vede la luce in poco più di due anni e mezzo. Come i due che lo hanno preceduto, è nato da un’intesa di palazzo, allo scopo di fare alcune riforme giudicate indispensabili per rimettere l’Italia sui binari della crescita. Di queste riforme si parla da tempo, ma si è fatto poco. Come se la macchina legislativa fosse inceppata. O la politica avesse perso la capacità di decidere.

Rizzo: “Negli ultimi anni di fatto la burocrazia si è impadronita del processo legislativo. Sono loro che fanno le leggi. Le scrivono dentro i ministeri, dopodiché le leggi vanno in Parlamento ed escono dal Parlamento approvate con l’obbligo, per essere attuate, di fare delle ulteriori norme, che devono fare sempre gli stessi che hanno scritto la legge. Quindi di fatto il Parlamento si limita a ratificare quello che scrivono i superburocrati nei ministeri e qui vengono fuori i conflitti di interessi più incredibili”.

Negli ultimi cinque anni, sono state fatte circa 480 nuove leggi in materia fiscale in Italia. Di queste leggi, una sessantina hanno semplificato il sistema; le altre lo hanno reso ancora più complicato. Ma, affinché le leggi entrino in vigore, come spiegava Sergio Rizzo, spesso è necessario un passaggio aggiuntivo: un regolamento la cui stesura è affidata agli alti burocrati. Antonio Catricalà è stato per anni e fino a pochi mesi fa un esponente di questa elite selezionatissima.

Antonio Catricalà, ex vice ministro per lo Sviluppo economico: “Molto spesso il regolamento serve davvero perché le norme da creare sono estremamente complesse e tecniche. Altre volte invece il regolamento nasce dall’esigenza di chiudere l’accordo politico. Allora, c‘è un punto controverso? In Parlamento ci si mette d’accordo che quel punto sarà poi risolto con un regolamento. Ma questo poi non succede”.

Un Parlamento che non decide rende i funzionari della pubblica amministrazione ancora più potenti, conferendo loro un ruolo politico. Una vera forzatura, tenuto conto che non sono eletti e che non decadono automaticamente con la fine di un governo.

Luigi Tivelli, ex consigliere parlamentare alla Camera: “Arriva un ministro, fa un contratto di cinque anni a un direttore generale. Poi il ministro che gli succede un anno e mezzo dopo, perché cade il governo e arriva un governo di un altro colore un anno e mezzo dopo, eredita il direttore generale che era del colore dell’altro ministro. E allora questo direttore generale, o cambia casacca – è diffuso il fenomeno dei cambi di casacca nella nostra burocrazia – oppure fa di fatto opposizione al nuovo ministro”.

La costituzione prevede che gli alti dirigenti della pubblica amministrazione siano selezionati per concorso pubblico tra i membri del Consiglio di Stato, i giudici del Tribunale amministrativo e pochi altri organi ristretti. Oggi funzionari di governo e domani magistrati, o viceversa.

Stefano Rodotà, giurista: “Spesso, il Consigliere di Stato si trova poi a essere giudice nell’applicazione della legge. Perché ci sono leggi che ha scritto lui, materialmente, che ha collaborato a scrivere con il ministro. Dopo, se torna a fare il giudice, sarà lui a stabilire, a prendere la decisione sulla base di una legge che ha scritto lui. Quindi c‘è anche una sorta di conflitto: dovrebbe esserci sempre una separazione tra chi ha legiferato e chi poi fa il giudice”.

Dal 1889, la sede del Consiglio di Stato è a Palazzo Spada, uno degli edifici più maestosi della Roma barocca. Nel cortile, la falsa prospettiva di Francesco Borromini crea l’illusione che la statua in fondo sia a grandezza naturale, mentre invece misura solo 60 centimetri.

Il governo Renzi sta tentando di fare qualcosa di simile con la burocrazia, ridimensionando il potere che ha acquisito negli anni.

Rodotà: “Il ministro nuovo può cambiare il vertice dell’amministrazione, i direttori generali, ha tre mesi per farlo. Quindi dire che io sono paralizzato dal fatto che ricevo un’eredità dal passato, oggi, non è del tutto vero. Secondo: la scelta del mio capo di gabinetto, del mio capo dell’ufficio legislativo, è assolutamente libera”.

Una burocrazia debordante e l’eccesso di regolamentazione frenano le spinte riformiste. Ma in Italia il problema è più grave: spesso mancano le regole che servirebbero di più, come quelle che tracciano una netta linea di confine tra attività politica e interessi privati.

Pier Luigi Petrillo, docente di Teoria e Tecniche del Lobbying, Unitelma Sapienza di Roma: “Se un parlamentare non viene rieletto, può diventare lobbista. Può cioè fare attività di lobbying nei confronti dei suoi ex colleghi. E’ una cosa che in Italia succede spesso. Anche perché l’ex parlamentare ha libero accesso in Parlamento. E’ lecito, non è vietato, ma è certamente un’anomalia del nostro sistema”.

A differenza di quanto accade nella maggior parte dei paesi europei e non solo in quelli, in Italia non esiste un registro dei lobbisti. Una lacuna che rende il sistema ancora più opaco e incoraggia fenomeni di corruzione.

Franco Spicciariello, lobbista, Open Gate Italia: “L’assenza di regole riguardo l’attività di lobbying in Italia deriva principalmente da una scelta politica. Considera che oltre cinquanta proposte di legge sono state presentate a Camera e Senato negli ultimi quarant’anni, e mai nemmeno una è arrivata alla discussione in aula. Quindi la scelta della politica è stata sempre molto chiara. Ci sono stati anche un paio di tentativi di governi, prima sotto Prodi e poi nell’ultimo governo Letta: in entrambi i casi, non si è mai andati avanti”.

Pier Luigi Petrillo faceva parte del gruppo di esperti che l’anno scorso furono incaricati dal premier Letta di elaborare nuove regole di trasparenza e ci spiega perché il Consiglio dei Ministri ha respinto le loro proposte: “Imporre a un ministro o a un parlamentare di tenere un’agenda in cui indica in modo dettagliato tutti gli incontri avuti con i portatori di interessi a 360 gradi, quindi non soltanto con le lobby del settore economico e del settore bancario, ma con tutti i portatori di interessi, dalle associazioni di categoria alle associazioni civili alle associazioni religiose fino ad arrivare alle grandi multinazionali… ecco: questi obblighi venivano considerati eccessivi”.

Nel suo ultimo rapporto, la Commissione europea afferma che la corruzione in Italia è un fenomeno diffuso tanto nel settore pubblico quanto in quello privato. Un sistema che favorisce i poteri forti e intrappola il Paese in un abbraccio asfissiante tra affari, politica e burocrazia.

I rimedi sono noti. Si tratta di metterli in pratica.

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IBL – Finanziamento alla politica, lobby e trasparenza http://www.lobbyingitalia.com/2013/07/finanziamento-alla-politica-lobby-e-trasparenza/ Wed, 24 Jul 2013 11:58:01 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1748 Non sono tanto le leggi o i ‘lacci’ ai donatori che creano un sistema politico sano. Quello che fa la differenza nella qualità del processo di policy making è la forza vincolante dei watchdog.

La proposta di iniziativa governativa di abolire il finanziamento pubblico diretto dei partiti ha nuovamente acceso i timori circa l’influenza degli interessi particolari sugli eletti, riaprendo un dibattito non particolarmente originale sui contributi privati all’attività dei partiti.

Nel focus “Investire in democrazia. Finanziamento alla politica, lobby e trasparenza” (PDF), Paolo Zanetto, fellow onorario dell’Istituto Bruno Leoni – ricorda che “non sono tanto le leggi o i ‘lacci’ ai donatori che creano un sistema politico sano – una bustarella in contanti sarà sempre data al di fuori di qualsiasi regola. Quello che fa la differenza nella qualità del processo di policy making è la forza vincolante dei watchdog.”
Ciò che manca – prosegue Zanetto – è un vero clima di trasparenza e accountability, che consenta effettivamente all’elettore di prendere atto dei rapporti economici tra politica e imprese – e di come questo influenzi le scelte degli eletti, nel processo di policy-making. I watchdog non mancano, anche in Italia. Hanno solo bisogno di strumenti”.

Il Focus “Investire in democrazia. Finanziamento alla politica, lobby e trasparenza” di Palo Zanetto è liberamente disponibile qui (PDF).

 

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Political intelligence o insider trading? http://www.lobbyingitalia.com/2013/07/political-intelligence-o-insider-trading/ Tue, 23 Jul 2013 07:19:30 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1730 (Luigi Ferrata) In uno scenario politico sempre più complesso, caratterizzato da un impatto crescente della regolazione sul business, l’attività di political intelligence sta acquisendo un ruolo sempre più importante anche in Italia.

Per le aziende e tutti i soggetti che intendono sviluppare una qualsiasi attività economica diventa fondamentale comprendere gli scenari, non solo economici, ma soprattutto politici, legati all’ambiente in cui operano. Per comprenderne l’importanza è sufficiente pensare all’impatto che può avere sulle strategie di sviluppo di un qualunque portatore d’interesse un qualsiasi accadimento politico.

Alcuni esempi possono facilitare la comprensione: si pensi agli effetti della caduta del governo sullo spread o ancora agli effetti sui valori azionari del settore automobilistico provocati da un’ipotetica decisione governativa relativa alla concessione di incentivi per la rottamazione: per gli operatori del mercato dei capitali, capire ed essere in grado di anticipare, metabolizzandoli, gli avvenimenti futuri comporta un determinante vantaggio competitivo.

Dare una definizione di political intelligence è molto complesso e non esiste un’interpretazione univoca. In sostanza si tratta di un’attività, vecchia come la politica, volta a comprenderne e a interpretarne le dinamiche fornendo informazioni agli investitori per aiutarli a prendere le loro decisioni strategiche.

Chi svolge tale attività raccoglie informazioni attraverso ricerche, analisi e incontri sfruttando un solido network relazionale e una profonda conoscenza dell’ambiente politico, sia focalizzandosi su scenari di tipo macro, sia insistendo su dettagli relativi a una specifica politica in corso di approvazione.

Infine a differenza del lobbying non punta a intervenire sui processi decisionali ma si concentra esclusivamente sulla raccolta e l’interpretazione di informazioni, che vengono trasferite agli interessati.

Non esistono dati precisi sui fatturati, tuttavia negli Stati Uniti stanno nascendo molte società specializzate, a dimostrazione del fatto che si tratta di un business molto profittevole che impiega molti ex membri degli staff del governo e del Congresso.

Lo sviluppo del settore potrebbe essere legato soprattutto a una crescente domanda da parte degli operatori del mercato finanziario, come gli hedge fund, per cui il timing di accesso all’informazione costituisce il fattore di successo in un momento in cui l’impatto della regolazione sul business, probabilmente anche a causa della crisi finanziaria, diventa sempre più pervasivo. Secondo un istituto di ricerca indipendente, l’Integrity Reseach Associates il mercato globale potrebbe valere circa 400 milioni di dollari divisi tra circa 300 società specializzate.

Negli Usa, dove appunto la political intelligence si è sviluppata maggiormente, sono emerse con forza alcune problematiche, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con gli operatori di Wall Street. In particolare la Sec (Securities Exchange Commission) ha aperto pochi mesi fa una complessa indagine, a cui la stampa americana ha dato ampio spazio, in relazione all’andamento anomalo dei titoli di alcune assicurazioni private, poco prima che il governo annunciasse una revisione delle politiche sulle assicurazioni sanitarie.

La Sec sta investigando alcune società di Washington, che in un alert del 1° aprile 2013 avrebbero fornito informazioni dettagliate ai loro clienti di Wall Street circa le intenzioni del governo, provocando un aumento delle negoziazioni dei titoli delle aziende coinvolte dalla decisione del governo nei minuti prima della chiusura del mercato, per un ammontare pari a circa dieci volte rispetto alla media delle due settimane precedenti, realizzando profitti importanti.

Il sospetto della SEC è che i report delle società di political intelligence sarebbero il frutto di fughe di notizie, prima che queste fossero annunciate ufficialmente, da parte di esponenti dell’amministrazione.

Il governo americano, soprattutto a guida Obama, è molto sensibile al tema, tanto da aver approvato poco più di un anno fa lo Stock Act (Stop Trading on Congressional Knowledge Act). Tale normativa di fatto estende la legislazione sull’insider trading, già prevista anche per gli operatori finanziari, a tutti i membri del Congresso, ai loro assistenti ed tutti i funzionari pubblici, che diventerebbero pertanto responsabili davanti alla legge per avere violato “confidenzialità e fiducia” in riferimento alla diffusione di informazioni in grado di alterare i valori dei titoli sui mercati finanziari.

Tuttavia la difficoltà di definire la political intelligence impedisce anche l’individuazione di regole chiare per un settore il cui unico focus è la raccolta di informazioni. Come si vede il tema è molto complesso perché se da un lato va tutelata l’esigenza del mondo del business ad avere accesso ai decisori sui temi di interesse, dall’altro vanno evitate le distorsioni del mercato che possono provocare dei vantaggi indebiti, grazie all’utilizzo di informazioni privilegiate che può verosimilmente sfociare nel reato di insider trading.

L’inasprimento della legislazione sull’insider trading è assolutamente dovuta e meritoria, tuttavia non è sufficiente ad impedire fughe di notizie ed abusi. In un sistema in cui il processo decisionale coinvolge un numero rilevante di figure, tra legislatori, regolatori staff, collaboratori ed esperti vari, la sanzione non basta ad impedire possibili infrazioni. L’idea di poter chiudere i soggetti coinvolti nella decisione in una sorta di “torre d’avorio” impermeabile ad ogni comunicazione con l’esterno è velleitaria e realizzabile solo in astratto.

Sarebbe sbagliato oltre che dannoso ai fini dell’efficacia della nuova norma, evitare incontri e scambi di opinioni con i soggetti che da quella norma sono in qualche modo toccati, anche se d’altro canto è evidente che chi incontra i decisori potrebbe al tempo stesso trarre un beneficio dalle informazioni ricevute nel corso delle varie consultazioni.

Inoltre data la difficoltà di definire cosa sia la politica intelligence, risulta molto difficile applicare un reato di insider trading, tanto più se le società in causa non traggono un vantaggio diretto, movimentando il mercato sulla base delle informazioni che hanno ricevuto, ma si occupano solo di trasferire un’anticipazione a chi invece sul mercato opera come core business.

È opportuno anche considerare che a differenza dell’insider trading, che spesso è focalizzato sull’utilizzo di informazioni riservate, relative ad una singola azienda, la political intelligence di solito tratta notizie che hanno un impatto su un più grande numero di soggetti, come ad esempio informative sull’andamento dei tassi di interesse, in cui informazioni riservate sono combinate ed interpretate insieme ad altre di dominio pubblico.

Quindi, data la difficoltà di individuare la rilevanza penale di alcuni comportamenti, sarebbe molto più utile agire a monte, sulle modalità con cui viene svolto lo stesso processo decisionale, in modo da renderlo il più trasparente possibile, coinvolgendo tutti gli stakeholder in incontri ed audizioni. Ma soprattutto imponendo uno sforzo aggiuntivo al legislatore, che dovrebbe aggiornare ed informare il pubblico, quasi “in diretta” sulla sua decisione e sulle ragioni ed i motivi che lo stanno portando a fare una scelta piuttosto che un’altra, evidenziando anche le tempistiche di attuazione. Un grande aiuto in questa direzione potrebbe essere fornito dall’utilizzo di internet e dalle nuove tecnologie di comunicazione.

In questo modo, “liberalizzando” il mercato delle decisioni politiche, esisterebbero meno informazioni privilegiate e quindi diminuirebbero gli spazi per distorsioni della concorrenza a vantaggio di pochi, esaltando il valore dell’interpretazione e dell’analisi al posto dell’indiscrezione e togliendo dall’ambiguità un servizio che è di grande valore per chi opera con strumenti finanziari.

 

Fonte: Huffington Post

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Forviante biasimare le lobby (che fanno il loro mestiere) (Il Foglio) http://www.lobbyingitalia.com/2012/01/forviante-biasimare-le-lobby-che-fanno-il-loro-mestiere-il-foglio/ Fri, 20 Jan 2012 07:19:57 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2551 (Pier Luigi Petrillo) Chi ha accusato le lobby di bloccare la modernizzazione del paese dovrebbe provare a cambiare punto di vista e met-tere da parte quel finto moralismo che vuole l’interesse generale del tutto avulso dagli interessi particolari. Come se davvero le norme siano scritte alzando gli occhi al cielo cogliendo l’interesse generale da un albero come fossero mele.

Le lobby fanno il loro mestiere, ovvero quello di in-fluenzare il decisore pubblico rappresen-tandogli interessi particolari di cui sono portatori. E cosa dovrebbe fare, in un sistema democratico, il decisore pubblico? Dovrebbe sinterizzare i vari interessi in gioco, in modo da soddisfare – quanto più possibile – l’interesse generale. Ma soprattutto dovrebbe assumersi la responsabilità della sua decisione.

Ed è qui l’anomalia italiana. Nel nostro paese, le lobby rappresentano una via di fuga per la classe politica; è sempre colpa delle lobby quando la decisione assunta dalla politica non piace ai cittadini; è colpa delle lobby se le liberalizzazioni non vengono attuate; colpa delle lobby se il prezzo della benzina sale; colpa delle lobby se le medicine costano di più; colpa delle lobby se solo qualcuno paga quanto deve e molti altri evadono. Le lobby sono divenute così un “paravento” della mancata scelta del politico di turno, nel tentativo di fare cosi dimenticare ai cittadini che la responsabilità di una scelta è sempre e solo del politico, e non dei soggetti esterni alla politica che hanno provato a influenzarlo.

Da cosa dipende questa anomalia? Da due motivi: da un lato dal fatto che in Italia le numerose norme volte ad assicurare la trasparenza degli interessi dei par-lamentari sono disapplicate; dall’altro dal fatto che manca una regolamentazione or-ganica del fenomeno lobbistico. Così, ad esempio, non tutti sanno che dal 1981 è in vigore una legge (la n. 659) che obbliga tutti i parlamentari, i loro coniugi e i loro figli conviventi, entro tre mesi dall’elezione, non solo a depositare la dichiarazione dei redditi ma anche a dichiarare i diritti reali su beni immobili e mobili, le azioni di sovietà possedute, le quote di partecipazioni a società, l’esercizio di funzioni dí sindaco o amministratore di società; ed una identica dichiarazione deve essere resa anche a conclusione del mandato parlamentare, entro un mese, al fine di evidenziare eventuali guadagni non coerenti con lo stipendio percepito. Di tali dichiarazioni, che dovrebbero essere rese pubbliche sul sito web della Camera e del Senato, non c’è traccia. Perché?

Per quanto riguarda le lobby, la situazione è ancora più imbarazzante. Qualcuno si chiederà come facciano le lobby ad accedere ai Palazzi del potere. In molti sistemi democratici avanzati (Stati Uniti d’America, Unione europea, Canada, Gran Bretagna, Germania, Francia, Austria) esiiste un registro dei lobbisti in cui questi de-vono dichiarare chi li paga e per fare cosa; i soggetti iscritti nel registro hanno, tra l’altro, il diritto a entrare in Parlamento.

E in Italia? In Italia l’accesso a Camera e Senato dipende dall’assoluta discrezionalità del Collegio dei questori (composto da deputati o da senatori) che decide, di volta in volta, e sulla base delle richieste dei lobbisti, a chi rilasciare un tesserino di accesso permanente al Palazzo, senza dover in alcun modo motivare. L’effetto è che le grandi lobby hanno libero accesso mentre le lobby economicamente più deboli restano fuori.

Molti dei ministri in carica, avendo avuto significative esperienze europee, sanno perfettamente quanto importante sia il ruolo svolto dalle lobby in un sistema de-mocratico. D’altronde l’attività di lobbying è, anche in Italia, un diritto costituzionale, come ha evidenziato la Corte costituzionale in diverse sentenze a partire dal 1974. E infatti solo nei sistemi illiberali, le lobby, al pari di tutti gli altri corpi intermedi, sono proibite.

Il problema, dunque, non sono le lobby ma è l’assenza di regole che permet-tano a questi soggetti di interagire con la politica in modo trasparente, partecipato, uguale per tutti. Oggi più che mai è il tempo delle lobby. Ed è tempo che le lobby siano regolate: perché il loro contributo è pre zioso per il decisore pubblico.

Fonte: Il Foglio

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