philip morris – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Lobby & Poltrone – Mariotti nuovo VP Corporate Affairs di Philip Morris International http://www.lobbyingitalia.com/2015/07/lobby-poltrone-mariotti-pmi/ Fri, 03 Jul 2015 17:04:38 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2849 Cambio al vertice per Philip Morris International: dallo scorso 1° luglio l’italiano Marco Mariotti è stato nominato Senior Vice President Corporate Affairs della multinazionale americana, leader mondiale nel settore del tabacco.

Mariotti sarà responsabile delle strategie globali del gruppo per quanto riguarda le relazioni esterne, la comunicazione, gli affari regolamentari, fiscali, i progetti di solidarietà e il coordinamento nella lotta al contrabbando.

Tra i dossier che sovrintenderà ci sarà certamente la strategia di espansione del nuovo prodotto del tabacco riscaldato – la cosiddetta “Heath-Not-Burn” – su cui Philip Morris sta lavorando in tutta Europa al fine di poter accedere (pur in assenza di studi pubblici noti) ad accise agevolate e ad una parificazione all’assai meno dannosa sigaretta elettronica, sul modello di quanto già ottenuto in Italia anche grazie all’investimento da 500 milioni per una fabbrica vicino Bologna.

Mariotti ha una lunga storia in Philip Morris International: dopo aver iniziato nella sede operativa di Losanna, il manager è stato amministratore delegato per il Sud America, quindi ha ricoperto lo stesso ruolo in Italia. Dal 2010 a oggi è stato presidente della sezione di Russia e Bielorussia, uno dei mercati più importanti al mondo. Mariotti guiderà un team composto da oltre 4.500 persone, ricoprendo un ruolo di leadership indiscussa nella business community internazionale.

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Philip Morris numero uno per investimenti in lobbying nell’UE http://www.lobbyingitalia.com/2014/10/il-gigante-del-tabacco-philip-morris-e-stata-la-compagnia-che-nellultimo-anno-ha-investito-maggiormente-in-lobbying-a-livello-europeo/ Thu, 02 Oct 2014 13:45:44 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2574 Il gigante del tabacco Philip Morris è stata la compagnia che nell’ultimo anno ha investito maggiormente in lobbying a livello europeo.

La Philip Morris ha speso circa 5.25 milioni di euro, superando la compagnia petrolifera ExxonMobil, la quale ha investito 5 milioni di euro.

La Philip Morris ha aumentato le proprie spese nelle attività di lobbying di 1,25 milioni di euro nel 2012 durante il periodo di discussione della nuova Direttiva Europea sui prodotti del tabacco.

Parlamentari europei e attivisti per la trasparenza hanno criticato la Commissione Europea per aver implementato le regole di trasparenza riguardo i contatti tra i decisori pubblici e l’industria del tabacco.
Il Difensore Civico europeo ha avviato un’investigazione riservata, secondo quanto riportato, riguardo gli incontri tra i funzionari europei e l’industria del tabacco. Questo ha portato, nell’ottobre del 2012, il Commissario europeo per la salute John Dalli ad essere invitato a rassegnare le dimissioni in seguito ad un “trattativa” illecita con la Swedish Match, per cui avrebbe dovuto influenzare le revisioni della direttiva sul tabacco.

Dati assunti dal Registro europeo per la trasparenza

I dati sono desunti dal Registro europeo per la trasparenza che però, come sostiene LobbyFacts si tratta di un registro inaffidabile poiché i dati vengono inseriti volontariamente dagli iscritti. Basti pensare che colossi come Goldman Sachs e Time Warner non sono iscritti a registro. “Quello che si vede è solo la punta dell’iceberg”, sostiene Natacha Cingotti di Friends of the Earth Europe.

L’attuale registro riguarda la Commissione europea e il Parlamento Europeo, ma non il Consiglio europeo. Il neo eletto Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha fissato come priorità del nuovo esecutivo l’istituzione di un registro obbligatorio riguardante tutte e tre le Istituzioni europee.

 

Avvocati, lobbisti e associazioni di imprenditori

LobbyFacts ha pubblicato online un database che per rendere note le spese sostenute in attività di lobbying a Bruxelles.

Queste cinque società di consulenza hanno un volume di affari maggiore di 60 milioni di euro all’anno, e 130 lobbisti accreditati.

D’altra parte vi sono anche le associazioni di categoria che, solo considerando le prime dieci per dimensioni, spendono circa 52 milioni di euro all’anno in lobbying.

Oltre questi attori vi sono anche alcuni importanti studi legali che svolgono attività di rappresentanza a Bruxelles, dove i cinque principali hanno un giro di affari di 25,5 milioni di euro.

Fonte: http://www.euractiv.com/sections/public-affairs/philip-morris-tops-ngos-lobbying-spending-table-308820

 

 

 

 

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La città delle LOBBY. Il caso Bruxelles http://www.lobbyingitalia.com/2014/02/la-citta-delle-lobby-il-caso-bruxelles/ Fri, 21 Feb 2014 09:25:37 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2182 Un esercito di 30 mila persone. Un giro d’affari da un miliardo l’anno. Così i lobbisti condizionano gli europarlamentari. Pensando al voto

Stati che devono rifarsi un’immagine o che giostrano interessi privati invece che pubblici; multinazionali che si battono per modifcare una direttiva o annacquare un regolamento; alti funzionari che cambiano casacca, escono dalla Commissione e giurano fedeltà all’impresa; uffci di avvocati che dribblano le più elementari regole sulla trasparenza; think tank che sfornano rapporti “indipendenti” anche se vivono grazie a munifci sponsor; sindacati, associazioni di consumatori ed ong che entrano nell’arena decisionale europea agguerriti ma con meno munizioni dei loro rivali…
Non è il Far West, è Bruxelles, dopo Washington la seconda città più lobbizzata del mondo. «Le lobby sono come la stampa gratuita, se vi danno informazioni gratis vuol dire che il prodotto sei tu. Sei tu, deputato, funzionario, diplomatico, commissario, quello da convincere», spiega, sorridendo, il lobbista di un grande gabinetto brussellese che, come tutti i colleghi, si prepara a modo suo alle elezioni di maggio quando arriveranno nuovi eurodeputati da avvicinare, blandire, convincere e che avranno oltretutto il compito di nominare il presidente della Commissione.
L’arte di infuire sul processo decisionale, nella capitale comunitaria, è un affare da oltre un miliardo di euro l’anno, specchio fedele di un potere, quello europeo, in costante crescita e che incide sull’80 per cento delle politiche nazionali e su un mercato di 500 milioni di consumatori. L’impatto di quello che si decide nel triangolo formato da Commissione, Parlamento e Consiglio Ue supera però di molto le frontiere dei 28 Stati membri.
Nel 2012 Hillary Clinton, allora Segretario di Stato, si impegnava in prima persona in una attiva lobby a favore del shale gas in Europa e lo faceva con successo visto che la Commissione Ue, lo scorso 22 gennaio, lasciava gli Stati liberi di gettarsi in questo mercato con grandi vantaggi per le compagnie nordamericane. Una decina di anni prima era Colin Powell a provare a fare di tutto (stavolta con scarso successo) per bloccare il regolamento comunitario Reach sulla chimica.
Imprese e multinazionali da tutto il mondo e governi rampanti, su tutti Russia e Cina, sono di casa a Bruxelles. «Possiamo contare tra i 15 e i 30 mila lobbisti. Un’attività molto lucrativa che è aumentata costantemente dagli anni Novanta», spiega Martin Pigeon di Corporate Europe, una ong – di fatto una lobby contro le lobby – che si prefgge di iniettare trasparenza nella meccanica comunitaria. «I due terzi dei lobbisti», conteggia Pigeon, «lavorano per interessi commerciali privati, il 20 per cento difende interessi pubblici, come Stati, Regioni o Comuni, e il 10 la società civile organizzata.Basta conoscere queste cifre per notare che c’è un problema di sproporzione dei mezzi». La bilancia si può invertire se il dibattito su una direttiva o una politica diventa pubblico: «Ogni volta che una tematica resta tecnica ed interna, la società civile perde, ma se esce sui media, allora anche i cittadini possono incidere, scrivono agli eurodeputati, diventano massa critica. Il rapporto di forza si inverte».
A volte succede. Il 22 gennaio il Commissario Ue al commercio estero Karel de Gucht decide di sospendere i negoziati su alcuni capitoli del TTIP, l’Accordo di Partenariato commerciale tra Ue ed Usa, di fatto la più importante intesa economica del pianeta che punta a integrare due mondi con standard legali e commerciali differenti promettendo benefici per oltre 500 miliardi di euro. De Gucht ha detto stop per lanciare una consultazione pubblica di tre mesi perché i negoziati, condotti nell’assoluta discrezionalità, rischiavano di sollevare un’ondata di indignazione popolare pari a quella che ha fatto naufragare l’Acta, l’Accordo internazionale anticotraffazione e pirateria. «Le ong si lamentano sempre contro le lobby, ma anche loro sono potenti a Bruxelles», sbotta un funzionario della Commissione Ue vicino ai negoziati.
In molti altri casi le cose vanno diversamente. Il 13 dicembre scorso la Commissione Ue doveva presentare i criteri di identifcazione dei perturbatori ormonali, accusati di danni alla salute (tumori e fertilità) e all’ambiente, ma sotto la pressione dell’Acc, l’American Chemistry Council, del Cefc, la federazione Ue della chimica, e di Croplife, che difende l’interesse dei produttori di pesticidi e che conta tra le altre Basf, Bayer, Monsanto, Syngenta, la decisione è stata rimandata sine die. Stesso discorso per il regolamento CO2 auto, annacquato nei suoi obiettivi e soggetto ad una feroce lobby da parte dell’industria delle 4 ruote, con tanto di lettere segrete inviate dai costruttori tedeschi all’allora Commissario Ue all’industria, il teutonico Gunther Verheugen. Non solo: il 95 per cento degli emendamenti arrivati al Parlamento Ue sulla proposta di regolamentazione sui gas fuorurati, quelli di frigoriferi e condizionatori, estremamente dannosi per l’effetto serra, erano stati dettati dai lobbisti.
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Giovane, preparato e prudente
Come si fa lobby a Bruxelles ? «Il lobbista deve essere come Machiavelli», spiega il politologo Rinus van Schendelen, professore a Rotterdam, consulente per imprese e governi ed autore di “L’arte di fare lobby nella Ue: più Machiavelli a Bruxelles”. «Deve avere l’ambizione necessaria per vincere, studiare e prepararsi al meglio e quindi, in battaglia, essere prudente». Una lobby che è diversa dalle altre. «Nella Ue ogni combattimento è molto più duro, competitivo, in gioco ci sono più interessi, se in Italia hai 15-20 gruppi di potere che lavorano su un dossier, a Bruxelles ce ne sono 180-200. Il livello, la dimensione e la qualità della battaglia è molto più elevata».
E al fronte, da sempre, ci vanno i giovani. Karen Massin ha 38 anni ed è direttore operativo di Burson Marsteller, oltre 7 milioni di fatturato e 60 dipendenti, il principale gabinetto di lobby di Bruxelles. «A parte pochi senior adviser, abbiamo tutti tra 25 e 40 anni», spiega in una delle sale conferenza della sede della società, tre piani a Square de Meeus, a poche centinaia di metri dal Parlamento Ue. Caraffe d’acqua e bicchieri riempiono i tavoli. «Parliamo per ore, le riunioni sono lunghe, il lavoro è minuzioso, il lobbista deve fare da tramite tra le imprese, i gruppi di interesse e le istituzioni Ue. La legislazione comunitaria è spesso così: un singolo paragrafo ha un impatto enorme sull’industria».
Interessi che giustifcano grandi investimenti: un lobbista può arrivare a costare fno a mille euro l’ora. In quest’arte cara e minuziosa c’è chi eccelle. «La lobby moderna ha le sue origini negli Usa e gli statunitensi con gli inglesi sono i migliori», snocciola la sua classifca van Schendulen, «seguiti dalle società olandesi, quindi i Paesi scandinavi e, negli ultimi dieci anni, i tedeschi». E poi i nuovi venuti, più rapidi a imparare di quanto non lo siano Paesi fondatori, come l’Italia. «Stanno arrivando a Bruxelles tanti giovani dall’est Europa: Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia. Sono eccellenti professionisti, hanno fatto le università occidentali e sono molto ambiziosi». In fondo alla classifca i Paesi del sud. «Ci sono tante trattorie a Schuman (la rotonda su cui si affacciano Commissione e Consiglio Ue, ndr), ma non basta andare a pranzare per fare lobby».
A ciascuno il suo tornaconto «Negli ultimi anni la concorrenza a Bruxelles è diventata feroce, con una vera e propria guerra dei prezzi», assicura un lobbista. «Lo vediamo sui grandi contratti. Coca Cola ogni tre anni cambia ufficio e quest’anno hanno fatto domanda 12 gabinetti, non s’era mai vista tanta concorrenza». Alla fne ha vinto Interel. «La crisi ha portato al raggruppamento dei piccoli uffici», il parere di Massin, «e ultimamente sono venuti qui diversi gabinetti Usa, a cui le imprese americane preferiscono rivolgersi».
Da Washington si sono accorti che Bruxelles esiste, almeno economicamente. Se gli statunitensi vanno dai loro, i cinesi preferiscono il lobbista locale. «I gruppi di pressione cinesi usano esperti europei come moderni soldati di ventura», spiega ancora Van Schendelen. Altro Paese particolarmente attivo a Bruxelles è la Russia e anche loro si affdano a esperti locali. «Mosca ha iniziato nel 2006, in occasione della Presidenza del G8, a rendersi conto che non sapevano come funzionavano i media occidentali, da allora hanno preso coscienza dell’importanza dell’immagine e si sono rivolti a noi», racconta Benoit Roussel, lobbista per Gplus, uno dei due gabinetti che segue gli interessi di Mosca a Bruxelles. A creare Gplus è stato Peter Guilford, ex portavoce della Commissione europea, che ha portato con sé altri ex colleghi ed ex giornalisti, le due categorie più ambite, perché dal portafoglio denso di contatti. Gplus ha gestito l’immagine di Mosca durante la guerra con la Georgia del 2008 mentre i concorrenti di Aspect Consulting facevano lo stesso per Tbilisi. L’altro gabinetto che segue gli interessi di Putin a Bruxelles è Hill & Knowlton, uno dei big del settore, ma nella rete del Cremlino in Occidente figura anche l’uffcio americano Ketchum e il britannico Portland, fondato da Tim Allen, ex portavoce di Tony Blair.
Regole chiare, ma non per tutti
Nel 2008, sotto la pressione di diverse ong, è nato il primo registro dei lobbisti attivi a Bruxelles. «Si sono iscritti 15-20 mila lobbisti individuali e 6.000 società e», spiega Federica Patalano, ricercatrice nel settore delle lobby e nel gruppo che gestisce il registro, «devono rispettare degli standard etici e di trasparenza, pena la sospensione e la perdita di accesso al Parlamento, ma i controlli non sono dei più stringenti, mancano le risorse per il monitoraggio, anche per questo i numeri non sono precisi». Oltretutto, sono esonerate due infuenti categorie: i religiosi e gli avvocati. Tra le 6 mila società fgurano solo 45 studi di avvocati, pochi per una città come Bruxelles. Non è un caso. «Se un’impresa vuole fare le cose di nascosto va da un gabinetto di avvocati», si lamenta Robert Mack anche lui di Burson Marsteller.
Fuori registro giocano i grandi uffci nordamericani, alcuni a Bruxelles da anni, come Covington, ed altri – Baker Botts, Hogan Lovells – sbarcati di recente per approfttare del mercato aperto dai negoziati per il TTIP. Nessuno di loro è iscritto e nessuno ha voluto dare spiegazioni sul perché preferiscano così.
Nessun commento anche su un’altra pratica in voga, quella del “revolving door” porta girevole: il passaggio dalle alte sfere della Commissione alla lobby. «Da Covington», accusa un lobbista di una società concorrente, «ci sono ex ambasciatori, ex direttori generali o capi unità della Commissione». I casi sono numerosi ed il fenomeno arriva a toccare i Commissari europei: dei 12 che hanno abbandonato la prima commissione Barroso, metà è passata a fare il lobbista. Caso emblematico quello del tedesco Gunther Verheugen che, dimessi gli abiti di Commissario all’industria ha aperto il suo gabinetto di lobby. Unica limitazione: non poter contattare per 24 mesi i suoi ex sottoposti. Altro caso: Serge Abou, un francese per trent’anni in posti chiave della macchina comunitaria, da direttore generale alle relazioni esterne fno ad ambasciatore della Commissione in Cina, una volta andato in pensione nel 2011 ha frmato per il gigante cinese della telefonia Huawei, che ha una un’indagine aperta a Bruxelles per comportamenti anti-competitivi. Huawei, come tutte le grandi frme, non lesina risorse, spendendo ogni anno oltre 3 milioni di euro in lobby a Bruxelles, con contratti ben distribuiti tra Apco, Aspect, Fleishman Hillard, Isc e The Skill Set. Ancora più recente il caso di Philip Lowe, fno al 31 dicembre 2013 direttore generale per l’Energia, che due mesi prima della pensione ha frmato per l’Autorità britannica alla concorrenza (aggiungendo allo stipendio di 19 mila euro anche i 4.500 di gettone per l’agenzia).
Michel Petit, responsabile del serivizio legale della Commissione nonché membro del Comitato etico incaricato di valutare proprio i casi di “revolving door”, una volta andato in pensione è passato a Clifford Chance, che conta come cliente Philip Morris. Il tutto mentre si discuteva la nuova direttiva Tabacco.«Le istituzioni non affrontano il problema in maniera seria, la Commissione, semplicemente, nega», accusa Corporate Europe. Nei 133 casi di possibili confitti di interessi esaminati nel 2013, la Commissione non ha mai ritenuto di impedire al suo ex funzionario di intraprendere una nuova carriera e solo in trenta occasioni ha imposto limitazioni. L’anno prima Barroso aveva detto no una volta su 108. «È la dimostrazione che il sistema funziona», sbotta Antonio Gravili, portavoce del Commissario alla Pubblica amministrazione Maros Sefcovic. «Chi abbandona la Commissione accetta posti per cui sa che non avrà problemi. E lavorare è un diritto, anche per chi va in pensione, non possiamo proibirlo». Proibire magari no, ma controllarli di più, forse sì.
Un chilometro quadrato in cui si concentra un’attività da un miliardo di euro all’anno: da Avenue des Arts a Rond Point Schuman e a salire un po’ fino ai margini del Parco del Cinquantenario, sono questi i limiti in cui si concentra la lobby a Bruxelles. Centinaia di uffici e migliaia di professionisti, censiti dalla guida LobbyPlanet di Corporate Europe, che puntano Commissione, Consiglio e Parlamento Ue e che hanno anche un centro simbolico: l’albero e la stele del lobbista inaugurata più di dieci anni fa dalla popolare Nicole Fontaine, allora Presidente dell’eurocamera, giusto di fronte all’ingresso del Parlamento.
E sempre lì si affaccia la Rappresentanza della Baviera, la più potente regione della Ue, che per 30 milioni di euro ha comprato un edificio storico praticamente incastonato nel Parlamento. Sulla rotonda Schuman, a due passi da Commissione e Consiglio, si affaccia invece la Camera di Commercio Usa, braccio armato a stelle e strisce (e di provata fede repubblicana) nel cuore della Ue, ora più che mai attivo nel cercare di inserire nell’Accordo Commerciale transatlantico il meccanismo di protezione degli investitori, che permetterebbe alle compagnie di chiedere i danni agli Stati. Giusto dietro, in rue Breydel, ha sede Gplus, interessi russi, mentre nel Residence Palace, ex sede della Gestapo nella vicina Rue de la Loi, si trova il Lisbon Council, influente think tank, fondato tra gli altri da da Google, Tesco, Shell, Siemens, che propugna politiche neoliberali, spacciandole per dossier indipendenti.
Prassi simile seguita anche dal rinomato Bruegel, pannell di ricercatori ed esperti di primo piano (vi ha figurato anche Mario Monti) e forte del supporto economico di BNP Paribas, Deutsche Bank, Pfizer e Syngenta. Altra piazza calda, molto vicino al Parlamento, Square de Meeus, qui si trovano i due campioni della lobby, i gabinetti Burson Marsteller e FleishmanHillard, entrambi con fatturati da oltre 7 milioni di euro l’anno. Giusto dietro Edelman The Centre, gabinetto di avvocati che organizza eventi, tra gli altri, per Europa Bio, nome ambiguo per la lobby pro OGM.
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Il senso di Philip Morris per il lobbying a Bruxelles http://www.lobbyingitalia.com/2013/10/il-senso-di-philip-morris-per-il-lobbying-a-bruxelles/ Sun, 06 Oct 2013 21:28:47 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1754 Alcuni documenti della Philip Morris International (PMI) sono filtrati e giunti sino agli occhi di alcune ONG, che hanno deciso di rendere pubbliche strategie, cifre e impegno a livello di lobbying da parte della multinazionale del  tbacco in riferimento alla TPD 2, la revisione della cd Direttiva Tabacco attualmente in corso a Bruxelles.

La campagna ha avuto come obiettivo i membri del Parlamento UE, influenti membri della Commissione UE e anche i singoli governi del Consiglio Europeo.

La strategia di lobbying

Obiettivo Commissione

Per il primo semestre 2010, la stratgeia generale della campagna di lobbying di Philip Morris International era “Push” (ad esempio attraverso la presentazione di emendamenti), “Delay” (rinviare) la Direttiva, o anche “block” le proposte in arrivo dalla Direzione Generale salute, la DG Sanco, che ha incario la proposta di revisione.

A questo fine, PMI ha impiegato una strategia a due vie, politica e tecnica, assicurandosi di ottenere quanti più pareri negativi da parte di altre DG della Commissione, affiancati dalle posizioni e dall’impegno di altri Commissari UE “business-friendly” contro una legislazione etichettata come “eccessiva”.

PMI ha identificato alcuni messaggi chiave nella propria campagna, specialmente in relazione alla Inter-Service Consultation tra le varie direzioni, sollevando la necessità di “break” nel “silo” della Commissione UE. I principali messaggi lobbistici usati PMI erano relativi all’assenza di basi legali, evidenze scientifiche, logica e analisi di mercato.

Come già accaduto nella lotta contro le proposte sui punti vendita, il gigante del tabacco ha anche messo in evidenza il problema del contrabbando, e ciò nonostante il suo noto ruolo proprio in relazione ad un tema così scottante

La compagnia ha poi fatto in modo di avere Commissari o i loro consiglieri senior pronti a esprimersi con opinioni negative, coinvolgendo anche soggetti influenti ad alto livello per ingaggiare gli stessi Commissari.

Il ruolo delle terze parti

Le società del mondo del tabacco – ma non solo – hanno alle spalle una lunga esperienza nell’uso delle “third parties” nelle loro attività di lobbying, usando appunto organizzazioni terze o persone per influenzare il dibattito per conto dell’industria.

La strategia anti-TPD di PMI non ha fatto eccezione. I documenti rivelano come la campagna sui media social e tradizionali sia stata proprio guidata da terze parti.

Tra queste i “tobacco growers” (i coltivatori), i negozianti e le piccole e medie imprese coinvolte nella distribuzione, organizzazioni di rappresentanza, fornitori, organizzazioni per la difesa della proprietà intellettuale e persino associazioni di consumatori.

E come l’industria ha utilizzato i retailers su temi come punti vendita e Plain Packaging nel Regno Unito, gli stessi sono stati centrali nella campagna lobbistica di PMI sulla TPD. E’ infatti molto più persuasivo per i giornalisti sentire parlare il modno delle piccole e medie impresa di perdita di posti di lavoro che confrontarsi direttamente con Big Tobacco.

PMI ha evidenziato come i retailers avrebbero dovuto fare lobby su altre parti della Commissione “promuovendo eventi per guadagnare visibilità” per la campagna. E si parla sia di retailers con base a Bruxelles che quelli associati all’interno dei vari paesi membri.

Altri soggetti con ruolo chiave nella campagna sono stati i coltivatori e i trasformatori. PMI ha organizzato dei meeting tra le organizzazioni dei coltivatori, come ad esempio UNITAB, la European Association of  Tobacco Growers, Fetratab, e la European Federation of Tobacco Processors, con alcuni importanti funzionari della Commissione, incluso un incontro col Gabinetto del presidente della Commissione Manuel Barroso.

“Attivare” i parlamentari UE

La strategia di PMI sul Parlamento include proprio l’uso dei negozianti per “attivare i parlamentari”.

Ma molta dell’attività di lobbying è stata portata avanti direttamente da PMI o da suoi consulenti. Fino a metà 2012, quasi un terzo dei parlamentari UE (233 per la precisione) avevano avuto contatti con PMI. Da allora alcuni membri del Parlamento hanno incontrato in maniera regolare PMI fino a quattro o cinque volte. Il documento di PMI mostra come quasi la metà del PPE e e dei gruppi di centro-destra abbia incontrato la multinazionale del tabacco. 

“Spaccare ENVI”

Al Parlamento UE la società ha focalizzato i suoi sforzi su due commissioni influenti: ENVI e IMCO. L’ENVI committee – abbreviazione per Environment, Public Health and Food Safety – aveva il compito di sovrintendere la TPD lungo il suo iter parlamentare. PMI ha quindi messo un piedi una strategia per fare in modo di toglere all’ENVI il pieno controllo sul dossier.

Al riguardo è partita un’attività di lobbying nei confronti dei vari capi delle delgazioni nazionali e sui “pesi massimi” di ogni gruppo politico, cercando di trovare un accordo politico attraverso il supporto di contatti politici ai massimi livelli.

Il Consiglio Europeo

PMI ha poi fatto lobbying sul Consiglio per creare una maggioranza di blocco contro qualsiasi misura a protezione della salute pubblica considerata estrema. 

“Neutralizzare” la Germania

Una di queste misure è il divieto di utilizzo previsto dalla TPD di alcunia aromi, incluso il mentolo. Obiettivo di PMI era di escludere il mentolo dalla TPD, e per riuscirci ha cercato di coinvolgere i vari Stati membri din cui il mentolo è maggiormente diffuso per fare in modo che si opponessero al divieto. Per riuscirci voleva però neutralizzare alcuni paesi guida sul dibattito sul mentolo, quali ad es. la Germania.

Preoccupazioni

La campagna multimilionaria messa in piedi da PMI attraverso l’uso di una iriade di soggetti e organizzazioni a supporto delle sue attività per minare la TPD solleva tutta una serie di questioni:

Violazione dell’aricolo 5.3 della FCTC

Il fatto che PMI abbia avuto un così vasto accesso alla Commissione e a centinaia di parlamentari apre la questione del rispetto della Framework Convention on Tobacco Control.

L’articolo 5.3 della Convenzione richiede ai paesi firmatari di proteggere le proprie campagne sanitarie “da interessi commerciali” dell’industria del tabacco. Ma a seguito della pubblicazione di altri documenti PMI da parte dell’Observer, il capo dell’OMS ha accusato PMI – nel corso di una conferenza in India – di cercare di “sabotare” le misure di salute pubblica. 

PMI e la (poca) trasparenza

PMI ha sottoscritto la Transparency Initiative, e registra quanti lobbisti impiega e quanti soldi spende a Bruxelles. Ma i documenti giunti a TobaccoTactics.org rivelano come PMI abbia usato un notevole numero di lobbisti e consulenti. Una tabella parla di ben 161 persone coinvolte sulla TPD. Sempre per il primo semestre 2012, i documenti parlano di € 1.25 milioni spesi per consulenze e spese per combattere la proposta.

Il problema però è che PMI dichiara solo 9 lobbisti sul Transparency Register, e per tutto il 2012 la società ha stimato le sue spese in lobbying tra €1 milione e €1.25 milioni. Che considerando quest’ultima essere stata la spesa per un semestre e per una sola campagna, evidente è la distonia.

Ma dov’è il problema?

Una premessa: a PMI fanno semplicemente il proprio lavoro, in maniera presumibilmente, e per difendere un business legittimo e molte migliaia di posti di lavoro da una direttiva che da più parti appare assolutamente inadeguata per l’obiettivo di ridurre il numero di fumatori in Europa.

Certamente qualche problema di trasparenza risulta, ma il problema in realtà deriva proprio dalla natura volontaria e limitata del registro della trasparenza UE, incapace di dare un quadro reale dell’attività di lobbying a Bruxelles. Saremmo infatti curiosi di conoscere anche tutte le attività, il numero di persone impiegate e i soldi spesi dalle stesse in attività lobbistiche in favore della TPD e di contrasto alle multinazionali. E magari aiuterebbe sapere anche da dove arrivano i loro finanziamenti. Ma non è dato.

In ogni caso martedì 8 ottobre si capirà se il lavoro di PMI (e di altre società) sulla TPD oltre che ben pianificato riuscirà anche ad ottenere risultati.

 

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Cene e viaggi pro tabacco, il lobbismo Marlboro style http://www.lobbyingitalia.com/2000/08/cene-e-viaggi-pro-tabacco-il-lobbismo-marlboro-style/ Sat, 12 Aug 2000 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2000/08/cene-e-viaggi-pro-tabacco-il-lobbismo-marlboro-style/ Come fa una multinazionale delle sigarette a familiarizzare con la società civile in cui opera, a conquistarsi visibilità presso l’ establishment, a creare, insomma, un clima “positivo” intorno alle sue attività e ai suoi prodotti? Un documento “strettamente confidenziale” della Philip Morris, targato 1992, cioè vecchio di otto anni fa, ci regala una fotografia interessante delle attività di “pubbliche relazioni” intraprese allora dalla major americana.

Il rapporto di 13 pagine è stato trovato su un sito della Philip Morris, diffuso dal Codacons e ripreso a grandi linee dal “Manifesto“. Penetrare il tessuto sociale italiano: questo l’ obiettivo di allora, così com’ è descritto da Aurelio Giardina, autore dell’ analisi, inclusiva di costi e ricavi della campagna gradimento, e attuale direttore delle Relazione Esterne di PM. Prima di tutto ci vogliono i consulenti. Philip Morris ne ha una d’ eccezione di cui decanta le entrature nel giro politico e massmediatico che conta: è Vittoria Gervaso, “moglie di un noto giornalista e scrittore“. La signora, si legge nel documento del ‘ 92, è sotto contratto per un budget complessivo di 210 milioni l’ anno, rimborsi spese compresi. Cosa debba fare è presto detto: “Organizzare cene, incontri e viaggi con personalità politiche e il nostro management”. Di lei la Philip Morris è soddisfatta: “Vittoria è estremamente capace ed efficiente, se seguita giornalmente e fornita di obiettivi specifici“. Cose di otto anni fa.

Ora la signora si arrabbia e dice: “Non sono una lobbista. E’ vero che ho un contratto con la Set Up, la società che cura le pubbliche relazioni della Philip Morris, ma a casa mia non si è mai parlato di sigarette e il mio contratto è di un importo ben inferiore ai 210 milioni di lire“. Il mondo è cambiato, i membri del governo di allora sembrano appartenere ad un’ altra era geologica. Carlo Vizzini, allora ministro delle Poste e Telecomunicazioni, gode delle simpatie della multinazionale per le sue scelte in fatto di pubblicità televisiva: “Con il ministro e il suo staff, abbiamo avuto contatti positivi“, si legge nel rapporto. Al contrario Rino Formica, ministro delle Finanze, viene definito irrimediabilmente “ostile”. Tanto che quando gli subentra Goria la multinazionale fa un salto di gioia perché, dopo soli quattro giorni dall’ insediamento, il suo management è già riuscito a prendere contatto con i consiglieri economici del nuovo ministro.

Viaggi e inviti offerti alla stampa che conta, la sponsorizzazione di iniziative culturali e scientifiche, monitoraggio legislativo (la Philip Morris si pone come obiettivo anche di “evitare” che parta una discussione al Senato sulle leggi che regolamentano il fumo nei luoghi pubblici e la pubblicità delle sigarette). E’ questo il lavoro di tessitura della multinazionale. Paziente, capillare, miratissimo. “Il documento del ‘ 92 è la descrizione della tipica attività di un ufficio di pubbliche relazioni e non descrive alcuna attività illegale“, tiene a precisare la Philip Morris.

Nel ‘ 92 a dare una mano, come consulente, c’ era anche Toni Muzi Falconi, oggi presidente della Federazione delle pubbliche relazioni. Nel Duemila, c’ è ancora lei, Vittoria Gervaso, con “un contratto di pubbliche relazioni per eventi legati alla Philip Morris“. Nel Duemila, c’ è soprattutto un altro linguaggio, un altro approccio con i consumatori e la società italiana. Lo fa notare l’ Ufficio Philip Morris Corporate Services di Roma: “I tempi sono cambiati, certi errori del passato sono alle spalle. Per noi vale molto più la ricerca di un dialogo costruttivo che non quell’ atteggiamento di contrapposizione, di conflittualità, che in passato ha aumentato l’ ostilità nei confronti del prodotto e dei suoi consumatori“.

a.lo. – La Repubblica

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