UtopiaLab, società di lobbying nella top ten nazionale fondata da Giampiero Zurlo, ha infatti aggiunto un nuovo socio alla sua compagine societaria con Gian Luca Petrillo.
Cresciuto in politica con Alleanza Nazionale, già consigliere dell’allora ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri, Petrillo è un esperto relazioni istituzionali e commerciali con una solida esperienza maturata nei settori dell’innovazione e delle telecomunicazioni, essendo anche stato membro del CdA di Infratel.
Il suo ultimo incarico è stato in British American Tabacco Italia, dove ha ricoperto per circa due anni il ruolo di Head of Regulatory Affairs and Commercial Engagement. Prima del tabacco ha lavorato per IBM nell’area public sector e successivamente per 5 anni nel ruolo di Government Affairs Manager di Microsoft Italia.
Il passaggio di Petrillo a UtopiaLab arriva un po’ a sorpresa, dopo che la scorsa estate si era parlato di lui come destinato a passare a una società del gioco.
Sposato con la giornalista parlamentare del TG2 Maria Antonietta Spadorcia, Gian Luca Petrillo è anche tesoriere e membro del board dell’Associazione La Scossa, fondata da Francesco Delzio (Atlantia) e oggi presieduta da Michelangelo Suigo (Vodafone).
]]>“Dobbiamo cercare di arrivare ad avere una legge», dice Maria Elena Boschi. Come impegno è un po’ poco, ma il messaggio che il ministro vuole mandare dalle poltrone dello studio di Porta a porta è che il governo intende accelerare sulla legge che dovrebbe regolare il rapporto tra i parlamentari e i lobbisti, i portatori di interessi che lavorano per aziende, multinazionali, categorie professionali o sociali.
Legge che non c’è e la cui assenza è illuminata dalla vicenda di Federica Guidi, dalle telefonate tra l’ex ministro dello Sviluppo economico, già accusata di conflitto di interessi per via dell’azienda di famiglia, Ducati Energie, e il suo compagno, Gianluca Gemelli, accusato di «traffico di influenze illecite».
L’accusa di Gemelli cita l’articolo 346 bis del codice penale, un reato voluto dal ministro Cancellieri che però da solo non regolamenta le molteplici forme con cui le lobby si interfacciano con le istituzioni, ed è insufficiente a definire i confini di quella che potremmo considerare un’attività di lobby positiva, come nota Pier Luigi Petrillo, professore di Teorie e tecniche del lobbying alla Luiss Guido Carli di Roma: «Si è introdotto il reato di traffico, che descrive il lobbying illecito, senza tracciare prima i confini del lobbying lecito».
Per ora però le intenzioni, ribadite da Boschi, non hanno prodotto molto. Sono quasi due anni che la commissione Affari costituzionali del Senato ha in mano una serie di testi sulla materia, più o meno stringenti. Ed è quasi un anno che tra le dodici diverse proposte è stato individuato un testo base, quello dell’ex Cinque Stelle Luis Orellana, su cui sono stati presentati circa 250 emendamenti.
«Ma non sono neanche ancora stati raccolti in un fascicolo», dice all’Espresso Orellana, «tant’è che non ho potuto ancora leggerli, non essendo io membro della prima commissione». Dopo le dichiarazioni di Maria Elena Boschi i più scommettono che la presidente Anna Finocchiaro faccia riprendere l’iter, perché nel merito non se ne discute da giugno 2015, salvo l’impegno messo a verbale nella seduta del 25 novembre scorso, quando la commissione si riprometteva di «riprendere l’esame del disegno di legge».
Cosa mai successa. Tra gli aspetti positivi del testo di Orellana c’è il cosiddetto divieto “revolving doors“: il rappresentate o il dirigente dell’istituzione pubblica, se cambia lavoro, non potrà diventare lobbista, almeno per due anni.
A parziale discolpa dei senatori bisogna dire che la commissione ha prima dedicato molti mesi alla riforma costituzionale e poi ora ha sotto esame, tra le altre, la legge sul conflitto di interessi già approvata alla Camera (anche questa sarebbe stata utile nel caso Guidi, anche se il testo in questione non avrebbe impedito la nomina della vicepresidente di Confidustria) e la riforma della legge sul sostegno all’editoria. Comunque, mentre si attende di capire come il governo voglia concretizzare l’impegno dichiarato e se la commissione del Senato possa accelerare, la Camera dei deputati potrebbe esser la prima a intervenire.
Un testo fotocopia di quello di Orellana è stato infatti presentato anche Montecitorio dalla deputata di Scelta Civica Adriana Galgano, anche se il successo per ora è lo stesso. Scarso: presentata a ottobre 2015, assegnata alla prima commissione, l’iter non è cominciato. Più fortunato potrebbe esser invece Pino Pisicchio. La giunta per il regolamento, infatti, venerdì 8 aprile chiude il termine per la presentazione degli emendamenti al testo che porta la firma del deputato centrista e che punta a istituire «un registro dei soggetti che svolgono attività di relazione istituzionale nei confronti dei deputati». Sarebbe solo un protocollo, e durerebbe solo fino alla fine della legislatura (questo perché altrimenti dovrebbe passare al voto dell’aula) ma sarebbe un primo passo avanti: «Molto piccolo», commenta Orellana, «perché a differenza di quello che potrebbe fare una legge vera e propria riguarda solo i deputati e non tutti gli altri decisori pubblici su cui i portatori di interessi esercitano le loro legittime pressioni. Non c’è il governo, tanto per cominciare e quindi non ci sarebbe stata la Guidi, e non ci sono i dirigenti dei ministeri che spesso sono più preziosi di noi parlamentari». «Entro la fine di aprile possiamo approvarlo», dice comunque Pisicchio. E almeno sapremmo chi può entrare a Montecitorio oltre ai deputati e ai giornalisti.
Con il protocollo della Camera, non si risolve certo il tema degli incontri fuori dalle istituzioni, né il tema dei finanziamenti delle aziende alla politica, che d’altronde non risolve neanche il testo Orellana che prevede sanzioni per chi non si iscrive ai registri e l’obbligo per i portatori di interessi di pubblicare un annuale report su chi si è incontrato e perché. «Si potrebbe inserire anche l’obbligo di un report per i decisori pubblici», ragiona Orellana con l’Espresso, «così da incrociare i dati e verificare le dichiarazioni, ma certo gli incontri informali, a casa o in un caffè, si potrà sempre trovare il modo di tenerli segreti». Quello di Pisicchio sarebbe comunque un passo verso un registro sul modello delle istituzioni europee, dove c’è il “Registro per la Trasparenza”, un database dove sono iscritte quasi 10mila lobby, di tutti i Paesi, Italia inclusa. Se ne iscrivono 50 ogni settimana tra uffici di consulenza, gruppi di categoria, di settore, dell’industria o studi legali, liberi professionisti, associazioni professionali, charity e ovviamente ong e gruppi religiosi.
E proprio al modello europeo pensa il professor Petrillo che ancora a Annalisa Chirico de Il Foglio dice: «Non serve l’ennesimo albo professionale, io li abolirei tutti. Basterebbe introdurre un registro, sul modello europeo, fissando criteri di accesso trasparenti». Parlamentari e ministri, però, dovrebbero poi esser obbligati «a tenere un’agenda conoscibile degli incontri con i portatori di interesse». Il cittadino così potrebbe valutare la frequenza degli incontri e gli effetti sulle norme approvate. Sui finanziamenti, invece: «Le lobby non dovrebbero finanziare le campagne elettorali», dice ancora il professore. Ma qui l’orientamento è diverso. Nessuna delle leggi presentate affronta il tema, che d’altronde è stato normato con la riforma del finanziamento dei partiti, mantenendo solo il 2 per mille come forma di finanziamento pubblico e consentendo i finanziamenti privati anche da società e associazioni.
Fonte: Luca Sappino, L’Espresso
http://goo.gl/EiQrGo
]]>Ecco, ci risiamo: è colpa delle lobby. Sul Foglio la senatrice Linda Lanzillotta (Pd) ha ammesso perlomeno che le cosiddette lobby avranno sì frenato il disegno di legge Concorrenza, bloccato da un anno in Parlamento, ma anche la flemma della politica ha avuto un ruolo. Effettivamente, non mi risulta che le lobby abbiano occupato il Parlamento, si siano sostituite ai deputati di maggioranza e abbiano votato emendamenti a loro favorevoli. Mi risulta, invece, che siano stati i deputati di maggioranza a presentare emendamenti a favore di certe lobby e a votarli a maggioranza (appunto).
Il disegno di legge sulla Concorrenza non è il frutto di una elucubrazione accademica ma la conseguenza naturale, in un sistema democratico, della precisa scelta politica della maggioranza che sostiene il governo; una scelta indirizzata a sostenere taluni ordini, corporazioni (anche micro), settori produttivi del paese in situazione di sostanziale monopolio. Badate bene, si tratta di scelte legittime che qui non si contestano. Ciò che si contesta è che, come al solito, ci si nasconde dietro un dito e quel dito ha un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili: le lobby, appunto! E’ colpa delle lobby se non si fanno le liberalizzazioni; colpa delle lobby se il paese ristagna in paludi ottocentesche; sono le lobby a impedire riforme strutturali.
Il grande merito del governo Renzi è stato quello di dimostrare che non è così; all’opposto Renzi ha dimostrato che se c’è la volontà politica è possibile superare ogni lobby e fare davvero ciò che si è promesso di fare. Il presidente del Consiglio ha ottenuto ciò che voleva in materia di lavoro, banche, assicurazioni, perfino di riforme costituzionali ed elettorali: ha vinto su lobby temibili e inarrivabili fino a qualche tempo fa, come i sindacati (o i professori di diritto costituzionale, categoria alla quale appartengo). La maggioranza in Parlamento ha dimostrato di poter approvare in poche settimane leggi molto contrastate da talune di queste lobby. Il dato, quindi, è uno solo: in questo caso e in materia di concorrenza e di liberalizzazione, la maggioranza ha deciso da che parte stare, ha espressamente deciso di assecondare talune lobby (quelle dell’immobilismo: dai soliti tassisti agli albergatori confederati) contro altre (quelle dei consumatori, per esempio). Per non ammettere questo dato di fatto, così evidente da sembrare davvero stucchevole ogni polemica sull’articolo di Giavazzi del Corriere di qualche giorno fa, ci si nasconde dietro al consueto paravento: le lobby, queste sconosciute, brutte, sporche e cattive.
E per mantenere in vita il paravento, dietro cui la politica si nasconde, non viene approvata alcuna regolamentazione del lobbying: proprio in occasione del ddl Concorrenza, alcuni senatori hanno provato a proporre qualche norma ma sono stati prontamente stoppati. Non possono essere approvate, infatti, norme che rendano trasparente l’azione dei lobbisti perché altrimenti cadrebbero gli altarini e si scoprirebbe ciò che tutti sanno: ovvero che laddove la politica è fragile e mancano indicazioni chiare, i parlamentari si sentono liberi di assecondare le lobby a loro più vicine (magari perché ne finanziano la campagna elettorale) perché sanno che, nell’oscurità che circonda il mondo delle lobby, non sarà mai colpa loro, non dovranno mai rendere conto delle loro scelte a nessun elettore (gli inglesi direbbero accountability). L’assenza di una legge sulle lobby impedisce all’elettore di comprendere cosa c’è davvero dietro l’emendamento presentato dal singolo deputato, quale interesse e chi l’ha redatto; impedisce di sapere chi paga e per cosa.
Ma Renzi potrebbe battere un colpo e chiedere conto di taluni voti in Senato che hanno affossato il ddl concorrenza col parere favorevole del rappresentante del Governo, per stupire tutti con uno dei suoi colpi di genio: presentare un maxi emendamento che sostituisce per intero questo feticcio di legge e, in un colpo solo, liberalizzare settori bloccati da secoli e sciogliere così corporazioni così vetuste da essere superate dai fatti (oltre che dal mercato). In ogni caso, in un sistema democratico come il nostro, non sarà mai colpa delle lobby ma della politica (debole, fragile, succube) che le asseconda.
di Pier Luigi Petrillo, Professore di Teoria e tecniche del lobbying, Luiss
]]>
“Benessere & Onestà – La sfida italiana: sviluppo economico e sviluppo della legalità” è il titolo dell’evento che si terrà oggi 11 Novembre, 2015, dalle ore 18:30 alle 20, nell’Aula Toti (n. 203) di Viale Romania 32, sede della LUISS Guido Carli.
Al seminario, organizzato nell’ambito del Corso Teoria e tecniche del Lobbying del Prof. Pier Luigi Petrillo in collaborazione con l’Associazione Culturale Un’altra Idea di Mondo, parteciperanno tra gli altri Raffaele Cantone (Presidente ANAC), Pier Luigi Petrillo (docente LUISS di Teorie e Tecniche del Lobbying), Laura Puppato (Senato della Repubblica e Presidente dell’Associazione Un’altra Idea di Mondo), e Alfonso Sabella (Magistrato, già Assessore alle Legalità del Comune di Roma).
Paola Severino, Prorettore Vicario LUISS ed ex ministro della Giustizia per il governo Monti, accoglierà i relatori. Modera: Stefano Feltri, Vicedirettore de Il Fatto Quotidiano.
Per ulteriori info contattare [email protected]
]]>Professor Petrillo, cosa comporta la mancanza di questa legge per il tessuto democratico del Paese?
“Questa assenza consente alla politica di scaricare la responsabilità della propria inefficienza proprio sui lobbisti. Un provvedimento non viene approvato? Colpa delle lobby. Un disegno di legge si ferma? Colpa delle lobby. Le lobby sono diventate un paravento della politica che non vuole scontentare taluni soggetti e non vuole assumersi la responsabilità della scelta”.
Con una normativa sul tema la politica guadagnerebbe in efficienza?
“Una legge sul lobbying, rendendo pubblici gli interessi particolari contrapposti, toglierebbe alla politica qualsiasi alibi: il decisore dovrebbe decidere, sotto gli occhi di tutti. Nei 18 paesi dove il processo decisionale pubblico è regolato dalla legge avviene tutto in trasparenza: gli incontri con i portatori d’interesse sono pubblici e la politica alla fine deve assumersi la responsabilità di indicare quale o quali interessi soddisfare. La zona d’ombra che esiste nell’ordinamento del nostro paese consente alla politica di non scegliere: e quindi di non scontentare nessuno, salvo i cittadini ai quali si fa credere che è colpa delle lobby anziché della politica”.
Nel 2013 il governo guidato da Enrico Letta sembrò a un passo dall’approvazione di un decreto legge…
“Da marzo 2013 a maggio 2013 il governo chiese a un gruppo di esperti, di cui facevo parte, un lavoro preparatorio per un disegno di legge. Alla fine della fase di studio, maggio 2013, presentammo il nostro lavoro, basato essenzialmente sui principi indicati dall’Ocse. Successivamente, per redigere il testo, furono incontrati, il 5 giugno, a Palazzo Chigi, alcuni lobbisti così da analizzare l’impatto delle norme ipotizzate sui destinatari della stessa. Il provvedimento venne calendarizzato per essere approvato dal consiglio dei ministri del 5 luglio. Fino a ventiquattro ore prima sembrava filare tutto liscio. Ma durante la seduta, il Consiglio decise di rimandarlo senza approvarlo. E la successiva crisi del governo Letta mandò in soffitta il lavoro fatto”.
Da dove arrivano le maggiori resistenze alla legge?
“Oggi ci sono dei soggetti facilitati nell’accesso ai decisori perché, ad esempio, rappresentano interessi di società pubbliche o a partecipazione pubblica. Una legge sul lobbying metterebbe sullo stesso piano questi lobbisti ‘privilegiati’ con gli altri: per questo l’OCSE ha più volte detto che una legge in materia serve per assicurare la concorrenza”.
Un privilegio che esiste solo finché esiste una zona d’ombra…
“Uno studio realizzato dall’Università Unitelma Sapienza evidenzia come solo il 20% delle attività di lobbying è in chiaro nel senso che è possibile conoscere chi ha fatto lobbying e per cosa. L’altro 80% è composto da lobbisti ‘di fatto’: da chi gestisce le relazioni esterne delle aziende fino agli studi di comunicazione o legali. Questo 80% non è tracciabile”.
La soluzione legislativa più veloce?
“Il governo potrebbe intervenire in materia senza nemmeno aspettare la legge. Con un decreto del premier – che necessita solo di una veloce approvazione in Consiglio dei ministri – finalizzato a regolamentare l’attività di lobbying diretta verso tutta l’amministrazione esecutiva, dal governo agli enti pubblici economici. Se solo si volesse…”.
Fonte: Repubblica.it
Non nascondo un qualche scetticismo. Finora l’atteggiamento dei decisori é stato per lo più superficiale, saltuario e inconcludente. Dare regole e spazio alla rappresentanza di interessi non è l’esigenza di una categoria di professionisti, ma una necessità del paese e del governo. Gli stati avranno sempre meno risorse e meno potere ma i cittadini saranno più esigenti. Si dovrà fare meglio con meno. Dal lavoro, al welfare ai servizi si dovrà contare sull’impegno attivo della società. Se la rivoluzione promossa dal premier si limitasse al pur indispensabile attivismo legislativo, amministrativo e di governo, i risultati sarebbero comunque effimeri e deludenti. Perché?
Matteo Renzi ripete spesso che la sua bussola sono “Marco, Dario e Margherita”: le persone e non i sindacati, o i politici, i “lobbisti”. Nella società di oggi verso la quale egli mostra più sensibilità e assonanza di ogni leader precedente non c’è “accountability” verso le persone senza “engagement”. Cioè se si chiama in causa il cittadino la disintermediazione é solo una premessa, la trasparenza è un dovere, ma per mettere fine alla lamentela, rilanciare fiducia e crescita ci vuole un interesse concreto, visibile e di prospettiva, da parte dei cittadini e delle imprese. La rappresentanza di interessi dunque deve poter (e saper) fare la sua parte.
Quando si parla di lobbies si intende spesso “retaggi, corporazioni, spinte o poteri di interdizione”. Prendiamone atto perchè , ahimè, i lobbisti più potenti sono quelli meno visibili. Quando si parla di regolamentare peró non è che si vogliono fare più accettabili e controllati “i cattivi”. Le regole servono a dare opportunità e forme di partecipazione agli interessi privati legittimi per farli esprimere liberamente ed interagire con i decisori pubblici. La politica poi decide. Questa è l’essenza di una società libera e dinamica.
La politica più innovativa e illuminata non nasce “imparata”. La politica ha bisogno che “Marco, Dario e Margherita”- per riprendere ancora la narrazione del Presidente del Consiglio- possano parlare e si impegnino nel loro futuro. Il ruolo e la responsabilità che la politica torna ad esercitare non deve essere un ritorno all’autosufficienza, al primato sulla società. Nella società ci sono conoscenze, esperienze, competenze che possono aiutare il governo delle cose. Una nuova classe dirigente dunque non ha bisogno di vecchi maestri, ma di rispettare ed ascoltare la società più di chi l’ha preceduta pur rieservandosi di scegliere.
Se si pensa che i privati debbono investire, bisogna saperci ragionare. Non baste fare leggi e vedere se funzionano. Insomma un governo dell’ottimismo ha bisogno di lobbisti del futuro. Non ci interessa tanto essere riconosciuti come professionisti, nè inventare nuove intermediazioni, ma che gli interessi si confrontino con le decisioni politiche alla luce del sole. Quelli che si attardano a cercare un percorso preferenziale, amicale s’illudono.
Il confronto tra interessi va evidenziato senza demonizzarlo affinché le decisioni politiche siano consapevoli. Anche per liberare spazi grigi ed ipocriti di lobbying “con gli interessi degli altri” come le redazioni dei giornali, le aule dei tribunali e i circoli di cronies. Lasciare inespressi e nascosti gli interessi o fingere che la politica rappresenti per diritto divino un interesse generale, è una menzogna pericolosa ed inutile. Regolare l’attività di Lobbying dunque è semplicissimo, come ha scritto il professor Pier Luigi Petrillo, “banale”. In poche mosse:
Postilla democratica: si può fare tutto presto e bene. Andrebbe però fatto un chiarimento definitivo, che vale anche per molte altre questioni: fare impresa, rispettando le regole, è un valore positivo e socialmente rilevante, come studiare, lavorare, costruire una famiglia, fare volontariato e non una concessione inevitabile. La collaborazione tra pubblico e privato è linfa vitale del rinnovamento.
Fonte: The Front Page
Siamo d’accordo nel considerare “lobbisti” i soggetti, persone fisiche o giuridiche, che rappresentano professionalmente, presso i decisori pubblici, interessi leciti, anche di natura non economica, al fine di incidere sui processi decisionali pubblici in atto, ovvero di avviarne di nuovi.
E siamo d’accordo nel ricomprendervi anche coloro che, pur operando nell’ambito o per conto di organizzazioni senza scopo di lucro, ovvero di organizzazioni il cui scopo sociale prevalente non è l’attività di rappresentanza di interessi particolari, svolgono per conto dell’organizzazione di appartenenza, la suddetta attività? E quindi considerare in questa definizione anche le rappresentanze datoriali e i sindacati, al di fuori dei processi concertativi definiti dalle leggi, nonché chi cura le relazioni istituzionali delle grandi società pubbliche o a partecipazione pubblica?
E siamo d’accordo nel considerare “decisori pubblici” i parlamentari, i loro assistenti e collaboratori, i ministri, vice ministri e sottosegretari e i membri dei loro gabinetti, i componenti delle autorità indipendenti e i componenti dei gabinetti, i dirigenti della Pubblica Amministrazione e i consiglieri parlamentari?
Oppure riteniamo che si possa intervenire solo su uno spettro più ridotto di individui o società o decisori?
TRASPARENZA DI LOBBISTI E DECISORI PUBBLICI
Siamo tutti d’accordo sul fatto che i portatori di interessi particolari dovrebbero iscriversi in un Elenco pubblico, dichiarando per chi lavorano, con quali obiettivi, con quanti soldi a disposizione, e rendicontando, almeno annualmente, l’attività svolta e gli incontri avuti? Oppure esiste un modo diverso dall’elenco per assicurare la trasparenza di tali soggetti? E tale Elenco deve essere una sorta di albo abilitante o, più semplicemente, un registro? E chi non è iscritto nell’Elenco può fare comunque lobbying? E l’iscrizione dovrebbe essere obbligatoria o volontaria?
Siamo anche d’accordo sul fatto che i decisori pubblici dovrebbero rendicontare pubblicamente gli incontri avuti con i lobbisti, anche al di fuori delle sedi istituzionali, raccontando, sinteticamente, chi come e quando si sono confrontati con le lobby?
DIVIETO DI REVOLVING DOOR
Siamo d’accordo nel vietare a chi ha esercitato funzioni pubbliche, anche non elettive, di svolgere l’attività di lobbying per un certo periodo dalla cessazione della suddetta funzione?
IL CONTROLLORE
Siamo d’accordo che dovrebbe esserci una Autorità preposta a controllare l’attuazione e il rispetto di queste regole? Possiamo pensare che questa attività di controllo sia svolta dall’ANAC in quanto autorità competente a vigilare sulla trasparenza nella PA anche al fine di evitare fenomeni patologici della rappresentanza d’interessi quali la corruzione?
DIRITTI DEI LOBBISTI E DOVERI DEI DECISORI
Siamo d’accordo nel fissare una serie di diritti dei lobbisti (connessi ad esempio a procedure di consultazione obbligatorie, preventive alla redazione dell’atto) nonché dei doveri dei decisori pubblici (come ad esempio quello di indicare l’origine di una certa proposta o di un certo emendamento, ovvero di rifiutarsi di incontrare chi non è iscritto nell’Elenco)?
Si tratta di regole banalissime, diffuse nelle democrazie più avanzate, con sfumature e intensità diverse. Si tratta di regole che derivano direttamente dai principi elaborati dall’OCSE per contrastare i fenomeni della corruzione, assicurare una reale competizione tra i vari interessi pubblici e privati, e consentire ai cittadini di conoscere effettivamente le ragioni di determinate scelte della politica.
Ma siamo d’accordo su questi punti minimali? Il dibattito è aperto. Sperando che almeno questa volta si faccia sul serio; altrimenti il #cambiaverso resterebbe semplicemente (e solo) un hasthag.
Fonte: Formiche.net
]]>Ecco la seconda parte dell’intervento del prof. Petrillo. La prima parte si può leggere qui.
Le opzioni di intervento sembrano essere prevalentemente 3: le prime due più “soft”, potenzialmente approvabili in pochissimo tempo; la seconda più “hard” ma più seria.
1) L’opzione-esempio (una sorta di Negroni)
Consapevoli che un disegno di legge in Parlamento rischierebbe di arenarsi, il Presidente del Consiglio può con proprio Decreto regolamentare il rapporto tra Pubblica Amministrazione e lobbisti. Ovviamente tali norme varrebbero solo per Palazzo Chigi, i Ministeri e le Società controllate dalle Stato. Non sarebbe comunque poco ma soprattutto darebbe il buon esempio. Una sorta di sveglia per il Parlamento e il modo migliore di rispondere ai #gufi.
2) L’opzione-esempio invertito (il Negroni sbagliato, ovviamente)
Consapevoli che il Governo non ha voglia di intervenire sul punto, i Presidenti di Camera e Senato intervengono d’imperio, esercitando i poteri d’interpretazione dei regolamenti parlamentari loro attribuiti. Possono così disporre, ad esempio, regole d’accesso pubbliche e trasparenti per i lobbisti ovvero (a mero titolo d’esempio) impegnare i parlamentari a rendere pubblici gli incontri avuti. Gli stessi effetti potrebbero essere prodotti, più democraticamente, facendo approvare una risoluzione dalle rispettive assemblee oppure, per essere ancora più democratici, modificando i regolamenti parlamentari (come propose il sen. Andreatta nel lontano 1988). E’ l’esempio francese dove, da quattro anni, esiste una regolamentazione delle lobby presso l’Assemblea Nazionale introdotta con una risoluzione parlamentare. In questo modo sarebbe il Parlamento a dare la sveglia al governo …
3) L’opzione “all inclusive” (quindi impossibile … una vera Caipirinha)
Il governo presenta alle Camere un disegno di legge, dichiarandolo urgente così da essere calendarizzato in tempi certi. Poiché ci va di sognare, possiamo anche ipotizzare che con questo provvedimento il Legislatore corregga le numerose norme già vigenti ma totalmente disapplicate che dovrebbero imporre trasparenza e partecipazione in taluni procedimenti pubblici. Sempre in questo contesto, si dovrebbero modificare le assurde norme sul finanziamento della politica da parte dei privati.
Ci si chiede: possono esserci altri percorsi normativi? E tra quelli sopra individuati, quale sarebbe l’opzione preferibile?
Fonte: Formiche
]]>In quanto esperto del rapporto tra pubblica amministrazione e gruppi di pressione, Petrillo sostiene che “in tutte le democrazie l’attività di lobbying è considerata un elemento essenziale del processo decisionale. La presenza di cittadini, associazioni, società che si organizzano per cercare di influenzare il decisore pubblico al fine di ottenere un vantaggio, è ciò che dimostra la vitalità della democrazia, la sua essenza pluralista“. In Italia, tuttavia, c’è ancora un forte pregiudizio riguardo questo ruolo, in ampia parte dovuto all’assenza di regole che impongono una reale trasparenza sui processi di lobbying. “O meglio – come spiega il docente – le regole ci sono, ma il Legislatore fa di tutto per non rispettarle”.
La situazione è simile a quella di un paziente che “dichiara di voler fare una cosa e poi fa l’opposto” e che per questo ha bisogno di una cura. “Quando analizzo la regolamentazione italiana del fenomeno lobbistico, parlo di regolamentazione strisciante ad andamento schizofrenico. Significa che ci sono già molte norme in materia di trasparenza del processo decisionale, ma queste norme vengono disapplicate dagli stessi soggetti che le hanno approvate (Governo, Parlamento, regioni ecc.)“.
A proposito del suo percorso professionale di supporto alle istituzioni pubbliche, Petrillo ricorda con particolare affetto la Professoressa Carmela Decaro, docente LUISS di Diritto Pubblico Comparato. “La conobbi quando ricopriva l’incarico di vice segretario generale della Presidenza della Repubblica. Mi chiese di collaborare con lei al Quirinale. E in quel periodo ho imparato un metodo di lavoro che è risultato fondamentale per tutti gli incarichi successivi. Senza dubbio devo tutto a lei”.
Un metodo che gli è servito anche per “leggere” i suoi altri due grandi interessi, la cultura e l’ambiente, e per apprendere come seguire percorsi lunghi e complessi come le task force per l’UNESCO, che ha guidato prima al Ministero dell’Agricoltura, poi al Ministero della Cultura e ora al Ministero dell’Ambiente. “L’UNESCO è regolata da convenzioni, protocolli e programmi internazionali. Quando un paese vuole candidare un sito o un patrimonio immateriale nelle prestigiose Liste del Patrimonio culturale materiale e immateriale dell’UNESCO deve attenersi scrupolosamente a quelle regole e avviare un processo di riflessione, di studio, di ricerca e, ovviamente, di mediazione che dura, mediamente, 6-7 anni per ciascuna candidatura“.
E ora che il suo compito è divulgare tutto quello che ha imparato, ogni volta che torna alla LUISS per stare dall’altra parte delle aule, Petrillo si paragona ai suoi vecchi docenti. “Al primo giorno di lezione, mi chiedo come saranno gli studenti, come reagiranno alle mie suggestioni, se saprò coinvolgerli e trasmettergli informazioni che non avevano, utili per la loro professione futura. Da studente apprezzavo questo genere di professori e non dimenticherò mai le lezioni di Diritto costituzionale del Professor Panunzio o di Dottrina dello Stato dei Professori Galizia e Frosini o di Diritto commerciale del Professor Mosco: docenti che hanno saputo trasmettermi molto e che cerco di imitare“.
Fonte: LUISS.it
]]>Ogni giorno il Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, accusa le lobby di fermare lo sviluppo del paese. Prima di lui, l’accusa era stata mossa dai suoi predecessori: Enrico Letta, Mario Monti, Silvio Berlusconi, per limitarci agli ultimi. E con loro anche i Presidenti di Camera e Senato, periodicamente, “urlano” contro le lobby che invadono i palazzi. Eppure non si hanno notizie né di interventi governativi né di interventi parlamentari finalizzati a regolamentare i gruppi di pressione.
Ogni giorno si scopre, così, che dietro ai “gufi” che vogliono lasciare immobile il Paese ed impediscono le riforme necessarie, ci sono le lobby, ogni sorta di lobby, con l’effetto che tutto è lobby, perfino i funzionari pubblici: si pensi alle “lobby” dei magistrati (“no alla riduzione delle ferie”), a quella dei dirigenti pubblici (“no alla riduzione degli stipendi”) o perfino a quella dei senatori (“no alla riduzione del Senato”).
In questo quadro le lobby continuano ad essere il paravento della politica: basta dire che è colpa delle lobby per scrollarsi di dosso ogni responsabilità. E appare ovvio che se le lobby fossero regolamentate e la loro azione fosse pubblica, ecco che i cittadini scoprirebbero il gioco dello scarica barile: il paravento d’incanto cadrebbe e si scoprirebbe che la colpa di certo immobilismo non sono le lobby ma la politica.
LE ULTIME TAPPE DI UN TIMIDO TENTATIVO DI FARE SUL SERIO
Rispetto a vent’anni fa, tuttavia, qualche barlume di speranza comincia a vedersi. Nel 2007, durante il secondo governo Prodi, l’allora Ministro per l’attuazione del programma di governo, Giulio Santagata, spronato dal suo capo di gabinetto, il Consigliere di Stato Michele Corradino (ora componente dell’ANAC), fece approvare dal Consiglio dei Ministri il primo e unico disegno di legge in materia d’iniziativa governativa. Qualche mese dopo il governo fu sfiduciato e il testo dimenticato.
Nel 2012, sotto il governo Monti, ci riprovò Mario Catania, allora Ministro dell’Agricoltura, istituendo l’obbligo per i lobbisti “agricoli” di iscriversi in un elenco pubblico. La netta contrarietà delle principali organizzazioni di categoria (Coldiretti, Cia, Confagricoltura) fece naufragare l’esperimento.
Nel 2013 è il premier Enrico Letta, in prima persona, a farsi promotore di una coerente regolamentazione del lobbying, chiedendo al segretario generale di Palazzo Chigi, Roberto Garofoli, e al sottoscritto, di predisporre una bozza di disegno di legge. Ma il Consiglio dei Ministri, dopo avere approvato i principi della regolamentazione nel maggio 2013, decise di bocciare il testo predisposto, considerandolo troppo stringente.
E siamo arrivati al governo Renzi: entro giugno 2014, aveva dichiarato il Premier nel Documento di Economia e Finanza 2014 (DEF), avremo una regolamentazione dei gruppi di pressione. Sono passati 3 mesi da quella scadenza ma non c’è traccia nemmeno di una qualche bozza. Eppur si muove: nel silenzio generale, il Vice Ministro alle Infrastrutture, Riccardo Nencini (forse l’unico a credere davvero all’importanza di questa questione), è riuscito ad inserire nel disegno di legge delega di riforma del codice degli appalti, un principio legato alla trasparenza dei gruppi di pressione; anni luce lontani dalla regolamentazione delle lobby ma almeno è un segnale.
E’ ripartito da qui Giovanni Grasso, il giornalista dell‘Avvenire che, venerdì e sabato scorso, ha dedicato sul suo giornale un’inchiesta al rapporto tra politica e gruppi di pressione, invitando il Ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, a prendere la palla in mano, trattandosi, anzitutto, di una questione di trasparenza della Pubblica Amministrazione (centrale e periferica).
MA PER FARE (DAVVERO) SUL SERIO, DA DOVE RIPARTIRE?
Ripartiamo dall’inchiesta di Grasso; rileggiamo gli stimoli recenti pervenuti da lobbisti d’eccezione come Gianluca Comin, per anni direttore delle relazioni istituzionali in Enel, o Stefano Lucchini, per anni a capo dell’Eni e ora in Intesa, o le proposte avanzate da Claudio Velardi, Massimo Micucci e l’ottimo gruppo del “Rottamatore”, da Fabio Bistoncini (“vent’anni da sporco lobbista”), da Franco Spicciariello e il suo sito lobbyingitalia.com, da Gianluca Sgueo su Formiche.net, da esperti come Giovanni Galgano e Giuseppe Mazzei de “Il Chiostro”, da studiosi come Maria Cristina Antonucci e Marco Mazzoni, dal collega Alberto Alemanno della New York University, dal gruppo #lobby (purtroppo non più attivo) degli ultimi 7 anni di #VeDrò, da riviste come Percorsi Costituzionali e AGE-Analisi Giuridica dell’Economia e proviamo ad offrire al Legislatore qualche idea su come e per cosa fare sul serio.
]]>