nigeria – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Eni: quel pregiudizio tutto italiano contro le lobby http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/eni-quel-pregiudizio-tutto-italiano-contro-le-lobby/ Fri, 12 Sep 2014 23:44:50 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2400 (Ruben Razzante) La Procura di Milano sta indagando su una presunta corruzione internazionale che coinvolgerebbe Eni. Secondo i pm milanesi, sarebbe stata pagata una maxi-tangente sul miliardo e 92 milioni di dollari spesi da Eni per l’acquisto della concessione del giacimento petrolifero nigeriano Opl-245, che rappresenta uno dei maggiori potenziali minerari non sviluppati. Chi indaga ipotizza che ottocento milioni di dollari sarebbero stati ripartiti tra alcuni politici e intermediari africani, mentre circa 215 milioni sarebbero stati destinati a mediatori e manager italiani ed europei. I pm sarebbero riusciti a bloccare una parte della presunta tangente da 193 milioni di dollari, grazie al sequestro in Svizzera, mesi fa, di 110 milioni e grazie al blocco a Londra (su richiesta italiana) di 83 milioni riconducibili a un mediatore nigeriano.

Le riserve di petrolio scoperte in Nigeria sono ingenti, pari a 500 milioni di barili di petrolio equivalente (boe). Per l’ipotesi di corruzione internazionale, la Procura di Milano ha iscritto nel registro degli indagati il nuovo amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, all’epoca dei fatti contestati (2011) responsabile della divisione Exploration & Production del “cane a sei zampe”, l’ex ad Paolo Scaroni e il mediatore, Luigi Bisignani. L’Eni ha diffuso un comunicato stampa per sottolineare la sua assoluta estraneità ai fatti contestati e per ribadire la sua completa disponibilità a collaborare con la magistratura. Ha altresì precisato di aver stipulato accordi solo con il governo nigeriano e con la compagnia petrolifera Shell.

Dalla vicenda, ancora in corso e destinata a riservare ulteriori sorprese, originano alcune riflessioni. La prima riguarda l’azione della magistratura. I pm “azzoppano” la prima azienda italiana, proprio mentre gli investitori stranieri mettono l’occhio sulle eccellenze italiane e il governo Renzi sembra aprire alle privatizzazioni di quote di aziende italiane, al fine di attirare capitali da altri Stati. I nostri competitors stranieri esultano per quest’ennesima iniziativa giudiziaria destinata a lasciare campo libero ai voraci francesi (e non solo), pronti a fare incetta di milionari business energetici. L’Eni, peraltro, annaspa in Libia e Algeria, mentre la situazione internazionale dei rapporti tra gli Stati europei e la Russia è quella che è e gli affari dell’Eni nel regno di Putin sono anch’essi a rischio.

Il “cane a sei zampe” zoppica e questo rappresenta una fonte di preoccupazione non secondaria per Renzi, che forse aveva nominato Descalzi al posto di Scaroni proprio per garantire una continuità nella gestione di alcune “partite” decisive per l’economia del Paese. Significative in tal senso le dichiarazioni del Premier, che anche ieri ha difeso Descalzi, dichiarando che lo rinominerebbe ad di Eni. Il secondo elemento di riflessione è costituito dall’enfasi mediatica (forse eccessiva) riservata all’inchiesta Eni-Nigeria dal Corriere della Sera, il cui direttore (ormai in uscita) Ferruccio De Bortoli avrebbe un conto in sospeso con il mediatore Luigi Bisignani. Ancora una volta il diritto dei cittadini ad essere informati viene sacrificato sull’altare di vendette, regolamenti di conti e logiche estranee alla deontologia giornalistica.

Infine, la questione della trasparenza degli interessi. Un’azienda ha tutto il diritto di esercitare la propria influenza sulle autorità pubbliche di un altro Paese. Lo fanno tutte le aziende di Paesi concorrenti, ma i giornali italiani non lo scrivono. Nell’inchiesta in corso, non è ancora stato dimostrato nulla. Non ci sono le prove della corruzione, che si realizza solo quando si paga indebitamente un pubblico ufficiale. Se un’azienda si serve di un intermediario per rappresentare i suoi interessi e perseguirli, e questa prestazione viene fatturata e compresa nel costo dell’operazione, non commette alcun illecito. In Italia, a differenza che in molti altri Stati europei ed extraeuropei, la regolamentazione delle lobbies è ancora una chimera. E le norme vigenti in materia di corruzione vengono interpretate attraverso il filtro deviante di un pregiudizio tutto italiano, quello in base al quale ogni attività di intermediazione cela sempre e comunque una condotta illecita. La prima versione della legge Severino, per fortuna superata dalle variazioni successive, introduceva il reato di traffico di influenze illecite, che praticamente inibiva ogni attività di rappresentanza di interessi e allontanava ogni speranza di riconoscimento delle attività di lobbying. Sembrava quasi la minaccia di spedire in galera tutti i responsabili delle relazioni istituzionali delle grandi aziende per il solo fatto di intrattenere rapporti con i decisori istituzionali finalizzati a influenzarli in modo lecito sulla gestione di alcune operazioni.

È un pregiudizio tutto italiano quello sulle attività di intermediazione, considerate sempre e comunque condotte illecite e fonti di corruzione. Proprio per allontanare ombre e sospetti, che finiscono per appannare l’immagine delle grandi aziende e per danneggiare gli interessi nazionali, occorrerebbe maggiore trasparenza nelle attività di rappresentanza degli interessi. Una legge urge. Il governo Letta l’aveva promessa, ora Renzi potrebbe finalmente condurla in porto. Sarebbe la vera riforma da fare, perché, tra le altre cose, restituirebbe piena legittimità alla figura dei lobbisti, professionisti che negli Usa e in altri Stati godono di un’autorevolezza sociale e professionale assolutamente sconosciuta in Italia, dove vengono considerati a priori personaggi loschi e affaristi senza scrupoli.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

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Nigeria, regolamentazione lobbying tra dibattito e tentativi http://www.lobbyingitalia.com/2013/12/nigeria-regolamentazione-lobbying-tra-dibattito-e-tentativi/ Sat, 28 Dec 2013 00:29:57 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2039 (Giovanni Gatto) La Repubblica federale di Nigeria è uno dei Paesi che, su impulso della vecchia madrepatria Gran Bretagna, ha cercato di attuare una legislazione sul lobbying all’interno delle proprie istituzioni. La Nigeria è una Repubblica Presidenziale sul modello americano, basata su un Presidente che detiene il potere di capo di Stato e di Governo e un’Assemblea Nazionale formata da Camera dei Rappresentanti e Senato; sono 36 gli Stati federali rappresentati, insieme al territorio della capitale, Abuja.

Il Paese dell’Africa occidentale, settimo per popolazione a livello mondiale, è uno dei principali produttori di petrolio del globo (vi operano multinazionali come ENI, Shell, Total, Chevron, Exxon Mobil) ed è caratterizzato dalla forte conflittualità interna tra le etnie e le culture che sono presenti sul territorio (sono quasi quotidiani gli attentati operati da fanatici musulmani nei confronti di chiese cristiane, cattoliche in particolare). In questo quadro tanto differenziato e frammentato, dominato anche dalla forte corruzione ai più alti livelli (le opposizioni hanno accusato di brogli elettorali il vincitore delle ultime elezioni presidenziali, Umaru Yar’Adua, eletto nel 2007 con il 70% delle preferenze), il Governo di Abuja ha cercato di attuare una legislazione nazionale sul lobbying sul modello britannico, con la previsione di un registro per i lobbisti e norme procedurali per l’accesso ai parlamentari da parte dei portatori di interesse. Un progetto di legge che, però, presenta un iter che al momento è arenato alla seconda lettura avvenuta nel febbraio 2013.

La prima proposta di legge sul lobbying per la Nigeria è datata addirittura 2002 (HB 183), ed è stata ripresentata senza successo nel 2003 (HB 20). Denominata “An act to provide for the Registration of persons or group of persons willing to carry on the business as lobbyist in the National Assembly”, prevedeva un registro per i lobbisti autorizzati ad accedere all’Assemblea Nazionale (registrati alla Corporate Affairs Commission, al Dipartimento Legale dell’Assemblea o al registro del Companies and Allied Matters Act del 1990), pubblico e accessibile ai membri dell’Assemblea stessa. Le evidenti pecche di questa legislazione comprendevano l’eccessiva flessibilità del tipo di personalità che potevano accedere all’Assemblea e l’assenza di un sistema di trasparenza disponibile per tutti, oltre che la non obbligatorietà di iscrizione per gli aspiranti lobbisti.

Negli ultimi anni la necessità di una legislazione sul lobbying è stata avvertita e manifestata da più parti. Nel 2008, una proposta di legge per la registrazione e regolamentazione delle lobby presentata alla Camera dei Rappresentanti fu lasciata cadere senza complimenti.

L’Istituto Nazionale di Studi Legislativi nigeriano ha dato poi un forte impulso alla legislazione sul lobbying. Il 12 e 13 novembre 2012, una Tavola Rotonda su Partiti Politici, Lobbying, Lobbisti e la legislazione è stata organizzata nella capitale nigeriana allo scopo di discutere dei termini utilizzati nella futura bozza di Lobbying Bill, con la partecipazione della National Conference of State Legislatures di Denver, Colorado, USA.

In quell’occasione, il Presidente del Senato del Colorado, David Mark, nel suo intervento si preoccupò della scarsa conoscenza e della poca fiducia della popolazione e della classe politica riguardo al fenomeno lobbistico (molto diffusa anche a livello globale), legate soprattutto al comportamento poco etico di organizzazioni associate al mondo del lobbying, ma molto spesso colpevoli di pratiche che poco hanno a che fare con un’idea di trasparenza e partecipazione dell’attività di rappresentanza di interessi. Il lobbying, secondo Mark, è invece una possibilità di acquisire competitività internazionale e apportare benefit positivi all’economia e alla democrazia, contribuendo a dar luce alle aree oscure dei rapporti tra imprese e Stato.

Il senatore Ike Ekweremadu enfatizzò il ruolo dei partiti e dei loro programmi come fulcro del cambiamento di cultura politica. Emeka Ihedioha, Deputy Speaker della Camera dei Rappresentanti, si dichiarò ottimista sulla tavola rotonda come insieme di fertili idee per la crescita democratica della Nigeria. Gli esperti provenienti dal Colorado, Karl Kurtz e Tina Walls della Conference of State Legislature, esposero i recenti studi sul lobbying nelle democrazie occidentali, da cui potesse prendere esempio la Nigeria, e si focalizzarono sui problemi nigeriani di corruzione e mancanza di competenze nella comunicazione politica.

Nel febbraio 2013, il disegno di legge sul lobbying nigeriano (HB 113) del 2008, arrivò alla Camera dei Rappresentanti per la seconda lettura. Obiettivo del progetto era creare una classe di professionisti del lobbying in Nigeria; dare l’autorizzazione legale all’attività di pressione; definire l’attività di lobbying; definire i lobbisti nazionali o quelli operanti solo a livello di constituency locale. Il deputato Ndudi Elumelu auspicò che la legge creasse un sistema adeguato di bilanciamento dei poteri; il collega Sekonte Davis aggiunse che attraverso il lobbying i deputati potessero essere più informati riguardo una norma da approvare; Ogbuefi Ozomgbachi, un altro deputato, reputò il lobbying utile non solo per la quantità, ma anche per la qualità delle informazioni veicolate da parte dei lobbisti.

Il disegno di legge presenta diverse migliorie rispetto a quelli di dieci anni prima, ma ancora ha delle pecche che meritano attenzione e sono forti ostacoli ai requisiti di trasparenza e libera concorrenza che una legislazione sul lobbying deve contenere per potersi considerare pienamente democratica. Sebbene fosse presentata da 38 tra le più alte personalità delle due camere legislative, i termini della bozza sembrano favorire l’attività nascosta dei lobbisti professionisti piuttosto che le esigenze di trasparenza della popolazione; inoltre, la legge non presenta un processo di scelta competitivo per l’addetto al registro o cancelliere, per la sua autonomia e per la trasparenza e per l’ente delegato alla gestione dello stesso.

Il problema del cancelliere è la sua diretta dipendenza dal Ministero della Giustizia, quindi da una carica politica. Inoltre, viene data al cancelliere ampia autonomia nel controllo pubblico delle interazioni tra lobbisti e parlamentari (Clause 6-7). Eventuali reati sono punibili con una pena troppo flebile, ossia 5000 Naire nigeriane (23 euro circa) o 3 anni di prigione (Section 19).

Una simile mancanza potrebbe essere risolta con l’esempio del Transparency of Lobby Act britannico che, alla Clause 6 (40) recita: “il cancelliere deve pubblicare il registro online e in altri formati egli ritenga appropriati”. Su quest’ultima espressione, però, molte sono le interpretazioni possibili, e non tutte opportune per una legge che dovrebbe garantire trasparenza.

Altra critica ha sollevato la Clause 6, che da vantaggio agli “In-house lobbyists” (ossia a tutti coloro che svolgono attività di lobbying per conto di una società, o comunque di un datore di lavoro) rispetto ai professionisti delle società di lobbying, i Consultant lobbyists, il che favorisce i rapporti con qualsiasi tipo di personalità, anche con parlamentari in carica, causando spesso la possibilità del traffico illecito di influenze, che in Italia è stato recentemente al centro di molti dibattiti.

Allo stato attuale, le grandi difficoltà incontrate da questa legislazione sono da ricercare nell’alto livello di istituzionalizzazione della corruzione nigeriana e, soprattutto, dalla scarsa affezione della politica e della popolazione al tema delle lobby.

In un Paese molto arretrato democraticamente ma ricco di risorse naturali, i grandi lobbisti (e, c’è da dire, anche le grandi personalità politiche) continuano ad avere interesse a mantenere nascosti i rapporti istituzionali e spesso anche economici che intercorrono tra i diversi centri di potere dello Stato.

La domanda finale è: può la Nigeria  sopportare gli eccessi del traffico illecito di influenze dei lobbisti in-house nonostante le immense sfide della corruzione endemica nei settori pubblico e privato? Anche con la regolamentazione ermetica tracciata dall’attuale proposta di legge della Camera dei Rappresentanti, sembra che molti dubbi possano sorgere in ogni momento.

 

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Lobbying, la Nigeria prova a darsi una regolata http://www.lobbyingitalia.com/2009/12/lobbying-la-nigeria-prova-a-darsi-una-regolata/ Fri, 04 Dec 2009 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2009/12/lobbying-la-nigeria-prova-a-darsi-una-regolata/ (Franco Spicciariello) La notizia è abbastanza sorprendente, non essendoci precedenti noti. A fine 2008 infatti, ma siamo venuti a conoscenza della notizia solo questa settimana, il deputato Chukwudi Eze (PDP, Imo) e altri 37 hanno presentato un progetto di legge presso la House of Representatives nigeriana dal titolo “A Bill for An Act to provide for the Regulation and Registration of Lobbyists in Nigeria and for Other Matters Connected Therewith”. In sintesi, una proposta di regolamentazione dell’attività di lobbying in Nigeria, il cui titolo breve è “Lobbyist (Regulation and Registration)”.

Secondo la proposta, la seconda dopo un’altra presentata nel 2003 – stabilisce alla Section 1 che ogni lobbista, per portare avanti la propria attività, ha l’obbligo di registrarsi presso il Ministero federale della Giustizia, a meno che non sia già registrato quale rappresentante di una società ai sensi del Companies and Allied Matters Act. Viene inoltre richiesto ad ogni persona che intenda registrarsi come lobbista il deposito di una somma di denaro, il cui ammontare sarà determinato dall’Attorney General of the Federation and Minister of Justice, con possibilità di intervento in termini di regolamentazione da parte del Presidente.

A seguito della ricezione della richiesta e del deposito, l’Attorney General of the Federation, attraverso un Dirigente dei propri uffici definite Registrar, dovrà validare la registrazione dopo aver effettuato una valutazione dei requisiti di legge. La proposta riconosce i differenti tipi di lobbistio: consulenti, in rhouse e rappresentanti di aziende o di enti. È vietata l’iscrizione al registro per i parlamentari, membri dello staff della National Assembly e ai diplomatici.

Il registro sarà pubblico, e in caso un soggetto fornisca false informazioni è prevista una sanzione fino a 5 mila Naira (22 euro circa) o fino a tre anni di prigione.

Interessante la definizione di lobby, intesa come attività di “comunicazione con un funzionario pubblico a fini di influenzare: i) lo sviluppo di una proposta normativa da parte dell’Esecutivo o da parte di un membro della National Assembly; ii) la presentazione di una proposta di legge o di una mozione presso la National Assembly,un emendamento, l’approvazione o il respingimento di una legge o di una risoluzione della National Assembly; iii) solo in relazione ai consultant lobbyist, l’attività di organizzazione di incontri con un funzionario pubblico (definito come un parlamentare o un funzionario dell’Assemblea).

La proposta è stata però accolta da critiche, visto l’alto livello di corruzione del paese, anche se la sua finalità è proprio una maggior trasparenza. La Conference of Nigeria Political Parties (CNPP) ha dichiarato che è necessario chiudere tutte le scappatoie per evitare che il lobbying si trasformi in corruzione. Anche se una affermazione del genere lascia credere che il testo non sia stato analizzato a dovere, essendo assai “leggero” nelle previsioni, ma tutto sommato non nelle sanzioni.

Più adeguata forse l’obiezione del coordinatorre della Human Rights Writers Association of Nigeria, Emmanuel Onwubiko, che ha affermato come forse sia più urgente l’approvazione di una legge sulla trasparenza delle informazioni (Freedom of Information Bill). È invece in corso di discussione in Assemblea la legge che regola il finanziamento e la trasparenza dei partiti politici nigeriani.

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