mediaset – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 17 May 2016 08:00:23 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Lobbyfacts,ecco il registro delle grandi lobby (Repubblica.it) http://www.lobbyingitalia.com/2014/10/lobbyfactsecco-il-registro-delle-grandi-lobby-repubblica-it/ Sun, 05 Oct 2014 16:05:40 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2608 Il sito www.lobbyfacts.eu censisce costi e sforzi delle aziende per avere norme e controlli comunitari più adeguati ai loro business. Primeggiano le banche popolari francesi Bpce, forti le multinazionali americane. In Italia vince il gruppo di serie tv Alcuni con 1,7 milioni l’anno

Voilà, il registro dei lobbisti d’Europa è in rete. Ed emerge quel che si sospettava: gli interessi tedeschi e francesi sono ottimamente rappresentati a Bruxelles, ma le aziende a stelle e strisce fanno la parte del leone. Le aziende italiane non sembrano particolarmente attive. Il gruppo più attivo è la società trevigina Alcuni, casa di produzione di audiovisivi e cartoni animati nota per la serie tv Cuccioli. Alcuni srl ha un lobbista alla Comunità europea con capacità di spesa stimata in 2 milioni di euro l’anno, poco in confronto ai 7,75 milioni della banca francese Bpce, ma molti rispetto alle grandi società italiane, tutte con spese stimate dal mezzo milione in giù.

Tutti i dati sono pubblicati su www.lobbyfacts.eu, il nuovo registro in rete da oggi e che per la prima volta tenta di raggruppare informazioni sull’attività lobbistica di aziende, organizzazioni, consulenti e studi legali in Europa.

Ai vertici dell’attività di relazioni istituzionali censita dal nuovo sito stanno alcune multinazionali e altri nomi meno noti. Dopo le banche popolari francesi che primeggiano che la Cemafroid, sempre francese e operante nel raffreddamento (5,25 milioni). Poi la Philip Morris (5,25 milioni), Exxon (5 milioni), Microsoft (4,75 milioni), Shell (4,5 milioni), la tedesca Siemens (4,35 milioni), Gdf Suez (4 milioni), l’americana General Electric (3,5 milioni) e la spagnola Astramatic (3,25 milioni), attiva nel trattamento delle acque. All’undicesimo posto la prima cinese, la telefonica Huawei con 3 milioni.

Il primo gruppo italiano è quasi ignoto ai più. Si tratta del gruppo Alcuni, una srl con un solo lobbista ma con capacità di spesa stimata in 2 milioni di euro l’anno, che la pone al 26° posto tra i gruppi più attivi nel lobbying continentale. Seguono, tra le aziende domestiche, Enel con sette lobbisti e una spesa stimata in 500mila euro, Unicredit (7 operatori, 450mila euro), Fiat e Cnh (3 operatori, 450mila euro), Eni (5 operatori, 400mila euro), Ferrovie dello Stato (3 operatori, 400mila euro), Mediaset (5 lobbisti, 350mila euro), Edison (3 lobbisti, 350mila euro), Barilla (6 lobbisti, 300mila euro).

Circa il 60% dei lobbisti europei rappresenta gli interessi delle aziende mondiali, e quelle statunitensi sono prevalenti. Ma il nuovo contenitore di dati, e tutti gli altri del genere, sono necessariamente parziali e incompleti. Molte grandi società, infatti, non lasciano tracce né sono iscritte nei registri di categoria, perché l’attività di questi facilitatori del business e delle normative correlate è scarsamente trasparente. E’ opaca, ma è ricca: le 10 maggiori multinazionali spendono circa 39 milioni di euro l’anno in attività di lobby. Ci sono cinque società di consulenza forti di 130 operatori accreditati presso il parlamento europeo.

Fonte: Andrea Greco – Repubblica.it, 4 ottobre 2014

]]>
Berlusconi e la pubblicità: che c’entra il lobbying indiretto? http://www.lobbyingitalia.com/2014/01/berlusconi-e-la-pubblicita-che-centra-il-lobbying-indiretto/ Thu, 02 Jan 2014 08:21:32 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2061 Lo riporta uno lo studio dal titolo “Market-based Lobbying: Evidence from Advertising Spending in Italy”, pubblicato dal National Bureau of Economic Research degli Stati Uniti e ripreso da Repubblica.

Quando era presidente del Consiglio gli investimenti pubblicitari salivano, quando era all’opposizione calavano. Il guadagno di Silvio Berlusconi per gli spot trasmessi sulle reti Mediaset sarebbe, durante i diversi periodi di premierato tra il 1994 e il 2009, di un miliardo di euro.

Sarebbe questo il vero conflitto di interesse secondo il rapporto stilato da quattro economisti Stefano DellaVigna, dell’Università di California a Berkeley, Ruben Durante di Science Po a Parigi e Yale, Brian G. Knight della Brown University e Eliana La Ferrara della Bocconi di Milano, che hanno chiarito col conforto dei numeri come questo sia andato oltre la possibilità di usare il governo per favorire le proprie imprese.

I quattro però, parlano di lobbying indiretto, cioè “l’aumento della spesa in pubblicità sulle reti del premier da parte di gruppi di telecomunicazioni, del settore farmaceutico, della finanza o nell’industria dell’auto, per ingraziarsi Berlusconi e spingere il governo a prendere decisioni convenienti per loro“, scrive Repubblica.

Che c’entra il lobbying indiretto?

Una definizione però quella di lobbying indiretto (grassroots lobbying), che lascia perplessi. Il grassroots lobbying (o appunto indirect lobbying) è infatti l’attività di lobbying portata avanti con l’intenzione di influenzare il processo di decision-making. Esso differisce dal lobbying diretto perché portato avanti coinvolgendo il pubblico – in senso ampio -, intere comunità o gruppi sociali, nell’attività di influenza/pressione sui legislatori.

Nello studio invece si parla di acquisto di pubblicità sulle reti Mediaset da parte di gruppi nei settori regolamentati, sottolineando il fatto che negli anni in cui Berlusconi è al governo le cifre siano in continuo aumento, con in corrispondente calo sulle reti Rai. Secondo i quattro economisti le banche, compagnie assicurative o società di telefonia avrebbero così tentato di accattivarsi il favore dell’ormai senatore decaduto, comprando più spot (o spot più costosi) sulle sue reti. Un’affermazione che chiaramente esclude ogni classica attività di lobbying, e tanto meno qualsiasi coinvolgimento della comunità.

L’investimento pubblicitario aggira gli obblighi di trasparenza del finanziamento ai partiti, ma può rivelarsi molto efficace” dice Ruben Durante da Yale, uno dei quattro economisti che ha lavorato allo studio.

La relazione tra la quota di inserzioni riservata a Mediaset, rispetto alla Rai, e i mandati di governo del centrodestra balza subito all’occhio. In particolare si è impennata dal 62% al 66% con la discesa in campo del Cav nel 1994; salita al 69% con la legislatura partita nel 2001; poi scesa durante l’esecutivo di Romano Prodi fino al 2008 e risalita fino al 70% quando Berlusconi è tornato al governo nella scorsa legislatura.

Illecito finanziamento?

L’acquisto di pubblicità sulle reti Mediaset da parte di gruppi nei settori regolamentati, quelli cioè che dipendono maggiormente dalle scelte del governo nazionale (a esempio le assicurazioni, la farmaceutica, i media e l’editoria e l’auto) sarebbe quindi cresciuto in maniera inequivocabile proprio negli anni nei quali Berlusconi è stato al governo.

Sorprende però che quattro studiosi di tale livello non abbiano avuto il coraggio di utilizzare le giuste categorie per quelle che sono comunque delle accuse, e che non hanno molto a che fare col lobbying, tanto più con quello indiretto. Il tema dello studio infatti, rileva più rispetto all’eventuale aggiramento delle norme sul finanziamento dei partiti, e sarebbe interessante se oltre un freddo studio sui numeri ci fosse un’approfondita inchiesta giornalistica a capire se dietro certi aumenti di spesa ci sia stato altro.

Visti i risultati di questo studio, forse sarebbe il caso che il Decreto legge sul finanziamento dei partiti in corso di conversione possa possa essere occasione di riforma oltre che del rapporto tra soldi e politica anche per regolamentare l’attività di lobbying, diretta o indiretta, visto e considerato che sono passati mesi da quando il governo Letta ha fallito nel tentativo di dare un quadro regolamentare al lobbying. Il tutto sperando che magari almeno i professori universitari nel frattempo inizino ad utilizzare la terminologia giusta.

Scarica lo studio SSRN in pdf

]]>