istituzioni – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Il lobbying e le istituzioni dell’Unione Europea (Caffé Geopolitico) http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/il-lobbying-e-le-istituzioni-dellunione-europea-caffe-geopolitico/ Tue, 09 Sep 2014 21:54:33 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2338 (Giulia Tilenni) Conosciute soprattutto per il coinvolgimento nel sistema americano, le lobby (o gruppi di pressione) rivestono un ruolo importante anche nel contesto dell’Unione europea. Ma chi sono i lobbisti? E come si relazionano con il Parlamento e la Commissione?  

DEFINIZIONE E BASE GIURIDICA – La definizione “ufficiale” delle attività di lobbying nel contesto dell’Unione europea – proposta dall’articolo 8 dell’accordo interistituzionale che nel 2011 ha introdotto il Registro europeo per la trasparenza – le descrive come «svolte al fine di influenzare, direttamente o indirettamente, l’elaborazione o l’attuazione di politiche e il processo decisionale delle Istituzioni europee».

Nelle loro diverse formulazioni i Trattati dell’Unione hanno sempre previsto la possibilità di un dialogo diretto tra i cittadini e le Istituzioni secondo il principio della democrazia rappresentativa, come sottolineato dagli articoli 10 e 11 del Trattato sull’Unione europea attualmente in vigore. Se però il coinvolgimento dei gruppi di pressione nel sistema decisionale europeo è vecchio quasi quanto l’Unione, non si può dire lo stesso quanto a definizione e regolamentazione, sulle quali si è iniziato a lavorare dal 2006.

IL LOBBYING NELL’UE – Le lobby che agiscono a livello europeo sono portatrici di interessi transnazionali (legati a tematiche di svariato tipo), che vengono da esse rappresentati nel sistema dell’Unione: per questo loro “ruolo” vengono spesso definite «antenne del sistema democratico».
Non facendo parte della più classica competizione tra maggioranza e opposizione – ed essendo proseguite per lungo tempo in assenza di regolamentazione – il lobbying sulle Istituzioni dell’Unione europea ha posto e pone a tutt’oggi diversi interrogativi. Tra le questioni più rilevanti si ha senza dubbio la presunta “contrapposizione” tra chi ritiene che tale processo abbia incrementato la partecipazione democratica al processo legislativo dell’Unione europea e chi sostiene che questo meccanismo – spesso appannaggio di soggetti o industrie particolarmente influenti – leda gli interessi dei cittadini, mostrandosi come una vera e propria ingerenza esterna sui decisori europei, e, indirettamente, sulle leggi da essi emanate.

I LOBBISTI E L’UNIONE EUROPEA – Si stima che i lobbisti operanti intorno al sistema Unione europea – considerando sia i singoli sia quelli facenti parte di lobby – siano circa 30mila, quasi un migliaio in meno del personale della Commissione europea. Nella pratica la loro attività consiste nell’esercitare pressione su europarlamentari e commissari, cercando di influenzare le loro posizioni con il fine ultimo di avvicinare la legislazione europea alle proprie esigenze (è vero anche il contrario, ovvero l’Unione europea trae da questo processo preziose informazioni sulle necessità del proprio tessuto economico). Il lobbying si esercita più o meno direttamente e con i metodi più disparati – dall’organizzazione di incontri, eventi, forum e campagne alla divulgazione o presentazione di rapporti su uno specifico argomento, passando per la partecipazione a consultazioni pubbliche indette dalle Istituzioni dell’Unione. Tra i caratteri più controversi del processo di lobbying si ha l’utilizzo, ai fini del “reclutamento”, del meccanismo della “revolving door”, la porta girevole: poiché per essere un buon lobbista è necessaria, tra le altre, una buona conoscenza delle politiche, dei processi e dei soggetti che operano in un determinato ambito, i professionisti del settore sono spesso scelti tra le fila di ex parlamentari, burocrati e consulenti o dirigenti di società rilevanti nel settore in questione. Va da sé che la presenza di un meccanismo del genere sollevi dubbi su possibili conflitti di interessi derivati da queste strette interconnessioni tra pubblico e privato.

LA REGOLAMENTAZIONE EUROPEA DEL LOBBYING – Con l’ampliamento del campo di azione delle lobby, che hanno iniziato a esercitare la loro influenza sui parlamentari, oltre che sui commissari, ci si è interrogati sulla necessità di disciplinare meglio le loro attività, intervenendo principalmente sulla loro trasparenza. Le prime azioni concrete in questa direzione hanno avuto luogo dal 2006, anno di diffusione del Libro verde sull’iniziativa europea per la trasparenza redatto dalla Commissione. Il testo, oltre ad abbozzare una prima definizione di lobbying specificamente collegata al contesto europeo, sottolinea sia l’importanza dei gruppi di pressione nel coadiuvare i decisori europei, sia la necessità dell’adozione di misure che possano rendere più trasparente questa pratica. Come riaffermato in una comunicazione quadro del 2008 – emanata sempre dalla Commissione, – la soluzione individuata per risolvere il problema della trasparenza è l’introduzione di un apposito registro corredato da un codice di condotta comune e da meccanismi di controllo e sanzione da applicare in caso di violazioni.
L’accordo interistituzionale tra il Parlamento e la Commissione del luglio 2011 ha decretato l’istituzione del Registro per la trasparenza, al quale coloro che conducono attività di lobbying possono registrarsi per via telematica, aderendo anche al relativo codice di condotta.

IL REGISTRO EUROPEO PER LA TRASPARENZA – Il Registro, oltre a definire che cosa è l’attività di lobbying, identifica le sei categorie (con relative sottocategorie) nelle quali le «organizzazioni, persone giuridiche e lavoratori autonomi impegnati nell’elaborazione e nell’attuazione di politiche dell’Unione» possono registrarsi. Seguendo l’ordine previsto dallo stesso Registro si hanno: società di consulenza specializzate, studi legali e consulenti indipendenti; lobbisti interni e associazioni di categoria professionali; organizzazioni non governative; centri di studio, istituti accademici e di ricerca; organizzazioni rappresentative di chiese e comunità religiose; organizzazioni rappresentative di amministrazioni locali, regionali e comunali, altri enti pubblici o misti.
Si possono identificare almeno due criticità legate al Registro e al suo funzionamento. La prima riguarda i soggetti che dovrebbero effettuare la registrazione – che è attualmente prevista su base volontaria. In particolare, la questione è connessa ai soggetti che non sono tenuti alla registrazione: chiese e partiti politici, così come Autorità locali, regionali e municipali sono escluse dalla registrazione, esattamente come i Governi degli Stati membri, i Governi terzi, le organizzazioni intergovernative e i membri delle rappresentanze diplomatiche. La seconda riguarda gli effetti della volontarietà della registrazione. A parere della Commissione la sola presenza di un registro, anche se questo non include la totalità dei soggetti e degli organismi che esercitano lobbying sulle Istituzioni europee, rappresenta di per sé una garanzia della trasparenza del processo. I critici, però, rilevano come molti attori – anche influenti – abbiano deliberatamente scelto di rimanere fuori dal Registro (che comprenderebbe i due terzi dei soggetti e delle società che esercitano lobbying), non sottoscrivendo così il codice di condotta a questo collegato.

L’IMPATTO SULLE ATTIVITÀ DELL’UNIONE – Secondo alcune stime, il lavoro delle lobby influenza circa il 75% delle decisioni prese dalla Commissione e dal Parlamento. Basta consultare l’elenco dei soggetti iscritti al Registro per la trasparenza per comprendere quanto sia ampio lo spettro di attività in cui le lobby sono impegnate a livello dell’Unione. Si va infatti da settori come energia e tecnologia, tabacco (con la presenza di gruppi di pressione pro e contro l’approvazione di una legislazione orientata a diminuirne il consumo), protezione dei consumatori, cooperazione con i Paesi terzi, istruzione e immigrazione, solo per citarne alcuni.
Per completare il quadro riguardante l’impatto del lobbying sulle politiche dell’Unione occorre infine precisare che parti del processo, in aggiunta alle lobby di cui si è fin qui parlato, sono gli attori statali: i Governi dei Paesi membri e terzi, le organizzazioni non governative e il personale delle missioni diplomatiche, pur senza obbligo di adesione al Registro, cercano infatti di preservare i propri interessi attraverso una stretta collaborazione che coinvolge soprattutto i membri del Parlamento europeo.

Un chicco in più L’utilizzo del termine lobbying per indicare il lavoro dei gruppi di pressione deriva dal fatto che i parlamentari inglesi incontravano il pubblico all’ingresso – la lobby per l’appunto – della House of Commons. Uno dei luoghi di Bruxelles attualmente più gettonati per gli incontri tra lobbisti e assistenti degli europarlamentari è il bar del Parlamento europeo (ribattezzato Mickey Mouse bar per via della forma delle sedie, tra l’altro molto colorate). Pare che i diversi appuntamenti si susseguano in modo simile agli speed dating.

Fonte: Caffé Geopolitico

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Demonizzare le lobby è un’ipocrisia che lascia campo libero a politiche poco trasparenti http://www.lobbyingitalia.com/2014/01/demonizzare-le-lobby-e-unipocrisia-che-lascia-campo-libero-a-politiche-poco-trasparenti/ Tue, 21 Jan 2014 08:22:29 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2100 In Italia l’espressione «lobby» sottende spesso un’accezione negativa. Peccato. In questo momento finalmente si impone un’evoluzione culturale e morale della gestione degli affari pubblici, ed è opportuno aiutare il sistema a uscire da una profonda e inutile ipocrisia.

E sbagliato dipingere le lobby come la parte oscura della politica, ed è paradossale che una certa politica chieda di tenere «le lobby fuori dal tempio». Nel diffondere l’idea che la politica pulita sia quella che decide in stanze asettiche e isolate, senza avere contatti con il mondo esterno, si commette una grave errore, che può solo favorire chi vuole mantenere le decisioni in ambiti poco trasparenti.

La politica nella sua essenza è confronto e dialogo, crescita ed evoluzione delle idee. Quindi, per chi è una parte interessata le porte dei centri decisionali dovrebbero sempre essere aperte. Al contrario di quanto si vuole far credere, infatti, il bravo politico dovrebbe sapere di aver svolto una parte importante del proprio lavoro quando, lui o il suo staff, hanno ascoltato tutti gli attori rilevanti in gioco, così da poter comprendere a fondo le l’impatto delle scelte che opererà.

Dobbiamo quindi dare alla politica stessa gli strumenti per far emergere la parte buona di essa. Nell’arco della mia esperienza professionale ho conosciuto tanti ottimi parlamentari ed esponenti di governo che credono in quello che fanno e si impegnano a fondo, ma ancora non esistono in Italia strumenti e percorsi definiti per il dialogo tra istituzioni e mondo economico.

E’ ora di dare una risposta a questa esigenza. Siamo invece in una situazione deregolata in cui non ci sono garanzie di libero accesso a informazioni e contatti. Tuttora si vuole diffondere l’idea che il parlamentare o il ministro irreprensibile sia quello che non frequenta i rappresentanti dell’economia del Paese.

Un’ipocrisia che sta costando cara all’Italia, perché continua a essere condizione ideale per una politica guidata da pochi centri di interesse che impediscono un’evoluzione delle regole e quindi dei mercati e delle imprese. Oggi è importante resistere all’idea di scendere a patti con il populismo, che vive e viene alimentato di mostri e scandali da mettere all’indice, per lasciare spazio alla realtà.

Oggi più che mai è fondamentale il raccordo continuo tra politica e industria, che deve contribuire a migliorare la produzione normativa e degli orientamenti politici, tenendo conto delle esigenze del sistema delle imprese e della competizione internazionale.

Spesso capita di sentire indicare la collaborazione Stato-imprese di Francia e Germania come un modello da seguire e anche difficile da sconfiggere nella competizione sui mercati. Noi invece continuiamo a non voler mettere in discussione e affrontare l’eredità storica e culturale che ci vede divisi in mille campanili.

I rappresentanti di interessi portano un grande contributo: la collaborazione tra istituzioni e imprese cresce e la politica svolge meglio il suo lavoro di sintesi con il risultato che il sistema delle imprese riceve un supporto qualitativamente migliore. Al contrario, una produzione normativa di bassa qualità come quella che deriva dall’assenza del confronto, non fa altro che la felicità dei concorrenti stranieri che superano in velocità e competitività le aziende italiane, spesso sommerse di adempimenti non necessari e succubi di un sistema di regole pensato per pochi eletti, che in questa situazione ambigua hanno accesso ai decisori in modo non del tutto corretto.

Decisioni veramente condivise invece possono difendere e creare posti di lavoro di interi settori di attività. Si è sentito mille volte dire che la Germania fa sistema. Ebbene, l’attività di lobbying aiuta l’apparato proprio a «fare sistema» nel momento della decisione. Una volta fatta chiarezza sul ruolo dei centri di interesse che cercano legittimamente di avere un dialogo con la parte politico-decisionale, per rappresentare in concorrenza i propri interessi (di parte, certo), è difficile comprendere le ragioni di chi voglia tenere le lobby fuori dalla porta, se non pensando che per qualche motivo non voglia o non si senta pronto al confronto.

Ovviamente il confronto di cui parlo deve avvenire nel rispetto dei ruoli e della normativa che definisce i comportamenti illeciti. Dentro questi confini, un dialogo continuo tra decisore e portatore di interessi è vitale per la nostra democrazia.

Gabriele Cirieco
*fondatore e managing director, Strategic Advice ***

Fonte: Milano Finanza

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