google – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Fri, 13 May 2016 14:04:46 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Murdoch attacca Big G: “I migliori a fare lobby” (Repubblica) http://www.lobbyingitalia.com/2016/01/murdoch-attacca-big-g-i-migliori-a-fare-lobby-repubblica/ Thu, 28 Jan 2016 17:28:05 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3144 Rupert Murdoch contro Google. E nell’insolita veste di nemico delle lobby: ossia il mestiere che viene spesso attribuito al tycoon soprannominato “lo Squalo”. Con un cinguettio su Twitter il fondatore della News Corporation, uno degli imperi editoriali più grandi del mondo, lancia un sasso nello stagno dei privilegi fiscali. “Google ha nascosto con furbizia dozzine di suoi uomini alla Casa Bianca, a Downing street e in altri governi, il più bel lavoro di lobby mai realizzato“.

 

Il riferimento è agli accordi raggiunti nei giorni scorsi da vari governi occidentali con il motore di ricerca. Intese presentate, a seconda dei casi, come una tardiva ma esemplare rinuncia di Google alle scappatoie che gli hanno permesso di pagare zero tasse o poco di più, o viceversa come un mea culpa ipocrita, di chi invece di dare il dovuto continua a evadere. Polemiche sono esplose in Gran Bretagna, dove il ministro del Tesoro George Osborne ha presentato la trattativa con Google come una grande vittoria per lo Stato, prima di essere smentito dall’ufficio del primo ministro Cameron, che ha preso le distanze, e dal sindaco di Londra, Boris Johnson, rivale di Osborne nella corsa a diventare l’erede di Cameron alla guida dei Conservatori. Non solo: ieri il Times ha fatto un titolo provocatorio, notando che l’Italia ha ottenuto molto più della Gran Bretagna nella trattativa con Google.

Ma il quotidiano londinese, non per nulla, è di Murdoch. Che ha fatto seguito con l’accusa a Google di barare, grazie a un’opera di lobby senza pari. A parte il precedente, commentano i maligni, del lobbismo compiuto in passato dagli uomini di Murdoch per comprare la maggioranza di Sky in Inghilterra: operazione che sarebbe riuscita, non fosse stato per il Tabloidgate, lo scandalo delle intercettazioni illecite. Ride bene chi ride ultimo, sembra dire lo Squalo con il suo tweet.

Fonte: Enrico Franceschini, Repubblica

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Timmermans: “Cari lobbisti, noi vi ascoltiamo, ma voi non mentite!” http://www.lobbyingitalia.com/2015/04/timmermans-cari-lobbisti-noi-vi-ascoltiamo-ma-voi-non-mentite/ Tue, 28 Apr 2015 06:04:33 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2784 I lobbisti che mentono saranno buttati fuori dalla Commissione dell’UE, secondo le parole di Frans Timmermans, che sin da quando è entrato in carica ha promesso un registro obbligatorio.

In ogni caso, il piano finale non è produrre la regolamentazione stringente che molti chiedono, ma piuttosto un “gentlemen agreement” tra la Commissione e il Parlamento Europeo per non dare accesso ai lobbisti non registrati.

Il Commissario ha iniziato a portare avanti questo progetto a inizio anno, creando scompiglio tra le società e le imprese iscritte al cosiddetto “Registro per la Trasparenza”, che è tutto meno che trasparente.

ALTER-EU (the Alliance for Lobbying Transparency and Ethics Regulation) ha indicato che nel 2013 Goldman Sachs ha dichiarato una spesa per le attività di lobbying inferiore a 50.000€ per l’UE, davvero poco realistica se paragonata ai 3,6 milioni di $ negli USA.

Nel frattempo, la European Privacy Association, apparentemente innocua nella denominazione, attualmente rappresenta gli interessi di società come Facebook, Google e Yahoo! nel corso del dibattito sull’uso e la protezione dei “big data”. In base al Registro per la Trasparenza, l’EPA ha pochi impiegati e spende solo 450.000€ l’anno, una cifra che sembra non corrispondere a ciò che Microsoft ha ammesso spendere quest’anno: 4,75 milioni di €, dieci volte tanto. Apple dice di avere solo quattro lobbisti nell’Unione Europea, spendendo solo 250.000€.

Alla domanda su cosa farebbe per sanzionare queste società che fanno “interpretazioni creative della realtà”, Timmermans ha tuonato che i bugiardi non sono benvenuti nel suo ufficio. Ha detto che la sanzione dovrebbe essere non registrare del tutto (quindi nessun accesso ai decisori e nessun meeting con i commissari). Però non ha chiarito chi debba monitorare il registro o come si possa capire se le informazioni fornite fossero vere o false.

L’attuale registro volontario ha più di 8.400 registrati, ma è solo la punta dell’iceberg visto che molti attori dell’”industria del lobbying” boicotta il Registro, in particolare i grandi studi legali. Secondo la Commissione, chiunque faccia lobbying, rappresentanza di interessi o advocacy dovrebbe iscriversi al registro, ed è messo in evidenza più “cosa fai” che “chi sei”.

Olivier Hoedeman di ALTER-EU ha dichiarato: “Un Registro rivisto, basato su un accordo inter-istituzionale, farà perdere i meccanismi per verificare se le informazioni del Registro sono corrette, e significherà che non ci sarà possibilità di applicare sanzioni efficaci quando saranno realmente verificate le scorrettezze nelle informazioni”.

Fonte: The Register

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La top 10 delle società che fanno lobbying a Washington http://www.lobbyingitalia.com/2014/10/la-top-10-delle-societa-che-fanno-lobbying-a-washington/ Tue, 07 Oct 2014 18:13:59 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2619 Il “traffico delle influenze” a Washington è antico quanto la città stessa. Gli esperti di finanza e politica amano parlare di quanto le risorse finanziare delle corporate americane controllino la politica, ma fino ad ora poche persone dicono quali sono le compagnie più benefattrici e perché spendono così tanto.

Strategie di lungo periodo

Per molte imprese gira tutto intorno alla pianificazione a lungo termine,  secondo di Tim LaPira, professore di Scienze politiche alla James Madison University dove studia il lobbying e i gruppi di interesse.

Se investi nel lungo periodo, allora avrai dei lobbisti in campo che saranno al corrente dei fatti, costruiranno relazioni con i decisori pubblici e altri rappresentanti. Quando emerge qualcosa che possa avere effetti sul proprio business, a quel punto loro sono in una buona posizione per agire” sostiene LaPira.

C’è un fatto rilevante ed interessante nel lobbying: non necessariamente se più si spende più si incrementano le performance. Può essere che una decisone impieghi tanto ad essere presa a Washington, dunque i frutti delle risorse investite un anno si vedranno dopo tempo.

Un’analisi della CNNMoney dimostra che solo quattro delle dieci maggiori aziende che investono in lobbying hanno rendimenti azionari che superano l’indice S&P500, dall’insediamento del Presidente Obama (2009). La Camera di Commercio è di gran lunga il gruppo di pressione più grande in tutta Washington: i gruppi economici dominano la scena ed è difficile conoscere esattamente chi è dietro di loro.

General Electric (GE) è in cima alla lista delle società che spendono maggiormente: da gennaio 2009 ha investito 134 milioni di dollari in attività di lobbying. Le ragioni di questa enorme spesa possono essere diverse, ma sicuramente la società ha avuto un bel da fare con le tasse. General Electric infatti non ha pagato tasse su suolo americano nel 2010 utilizzando una serie di detrazioni per dimostrare 408 milioni di dollari di perdita, nonostante il suo giro di affari internazione sia di 10,8 miliardi di dollari.

Anche il conglomerato delle telecomunicazioni, Comcast (CMCSA), ha scalato la classifica di investimenti in attività di lobbying: circa 86 milioni di dollari dal 2009. La ragione è più che valida: Comcast sta attendendo l’approvazione per l’acquisizione del rivale, Time Warner Cable. Un affare da 45 miliardi di dollari. Comcast è molto ramificata a Washington, e questa estensione le ha permesso, già nel 2011, di influenzare positivamente il decisore per l’acquisizione da 30 miliardi di NBCUniversal.

Non sorprende che le tre grandi società del settore della difesa, tra cui la Northrop Grumman, (NOC) Boeing (BA) e la Lockheed Martin (LMT), hanno pagato complessivamente 280 milioni di dollari dal 2009. Negli ultimi anni, a causa dei tagli alla difesa da parte di Washington, la lobby della difesa ha anche dovuto aumentare gli sforzi e gli investimenti.

Google: la nuova potenza

Google è un nuovo player molto potente, solo l’anno scorso ha speso 16 milioni di dollari in attività di lobbying, considerando i soli 4 milioni investiti nel 2009. Il gigante tech ha lottato particolarmente contro la Federal Trade Commission riguardo la neutralità online e si è rinforzata con la NSA sulla sorveglianza delle email dei propri clienti.

E’ una storia già vista in Silicon Valley, dove loro hanno la loro vena imprenditoriale, vogliono essere lasciati in pace e voglio innovare. Dopo poco, però, hanno imparato che per fare ciò che fanno devono guardare attentamente dove sono e ciò che succede intorno a loro”, ha asserito LaPira.

La classifica

1. General Electric (GE): $134 milioni

2. AT&T: (T, Tech30) $91.2 milioni

3. Boeing Co (BA): $90.3 milioni

4. Northrop Grumman (NOC): $87.9 milioni

5. Comcast Corp (CMCSA): $86.4 milioni

6. Verizon Communications: (VZ, Tech30) $86.4 milioni

7. FedExCorp (FDX): $85.7 milioni

8. Exxon Mobil (XOM): $85 milioni

9. Lockheed Martin (LMT): $78.8 milioni

10. Pfizer (PFE): $77.8 milioni

16.Google (GOOG): $62.2 milioni

 

Fonte: CNN Money

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I mejo lobbisti di Google (Formiche.net) http://www.lobbyingitalia.com/2014/04/i-mejo-lobbisti-di-google-formiche/ Tue, 15 Apr 2014 10:27:04 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2389 Per chi lavorano i “mejo” lobbisti americani? Semplice: Google. Il colosso del web e dell’innovazione da qualche anno non ne sbaglia una. Merito anche di una strategia di lobbying mirata, efficace, aggressiva (quando serve) e sempre puntuale.

(1) Guardate qui. Google ha puntato anzitutto sugli investimenti in public affairs. Nel 2003 l’azienda era ben oltre la centesima posizione tra i top spenders. Appena 10 anni dopo è nella top 10, piazzandosi quarta per spesa complessiva. La professionalità si paga:

ie-fallback-lobbying

(2) Assieme alla capacità di reclutare i migliori lobbisti e metterli in condizione di usufruire di budget faraonici, Google ha capito l’importanza della politica nazionale. Il secondo passo della strategia di lobbying è stato investire sulle donazioni elettorali:

Google-Campaign-Donation

 

 

(3) Terzo passaggio della strategia è stata la creazione di un solido network di pensiero. Finanziando università, centri di ricerca, think tank, Google ha alimentato un dibattito vivace sui temi dell’innovazione e della tecnologia, e nel contempo si è garantita un posizionamento di immagine e reputazione niente affatto trascurabile. Se oggi il settore del “civic tech” cresce al ritmo del 23% l’anno, è merito anche degli investimenti dell’azienda:

knight-civic-tech-growth

è il caso di dire, una volta ancora, che PR per “pranzi e ricevimenti” non basta più. Il lobbying è sempre più parte integrante di una strategia aziendale complessiva. Pensarlo, prima di metterlo in pratica, è un dovere di qualsiasi imprenditore.

Fonte: Formiche

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Ue, la carica dei 6.486 lobbisti. Ma i padroni sono tedeschi http://www.lobbyingitalia.com/2014/04/ue-la-carica-dei-6-486-lobbisti-ma-i-padroni-sono-tedeschi/ Wed, 09 Apr 2014 08:37:23 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2241 Ecco l’elenco dei gruppi di pressione europei. Dalla Germania centinaia di associazioni di settore

C’è anche la fondazione Brigitte Bardot, che perora instancabilmente la causa degli animali. Oppure spunta fuori la Chiesa luterana evangelica di Finlandia. Dall’Italia, poi, arriva l’Associazione dialoghisti adattatori cinetelevisivi. Sì, perché tra Bruxelles e Strasburgo, ossia tra le sedi di Commissione e Parlamento europeo, tutti vogliono poter dire la loro facendo legittime pressioni sui vari organi decisionali. Benvenuti nel poliedrico mondo dei lobbisti “regolarizzati”, con tanto di lista e codice di condotta. Ebbene, quello che spesso sfugge ai radar è che nel relativo elenco, ribattezzato “Transparency Register”, ci sono in tutto 6.486 lobbisti. Categoria, questa, all’interno della quale rientra un po’ di tutto, dai più importanti gruppi privati e pubblici a singole persone fisiche, passando per associazioni che a prima vista sembrerebbero rappresentare micro-interessi. Il tutto con sorprese non da poco.

Il registro è una realtà “codificata” dall’Eu ropa già da qualche anno, nel tentativo di rendere trasparente il modo in cui un gruppo di pressione si relaziona all’istituzione comunitaria per “influenzarne” in qualche modo le decisioni. Il problema è che, nonstante gli sforzi, l’obiettivo della trasparenza europea sembra a dir poco vacillante. Chi vince L’Europa è troppo schiava dei diktat della Germania? Chissà, magari sarà anche merito del fatto che in mezzo al gruppone dei 6.486 lobbisti i tedeschi sembrano farla da padrone. Basta consultare le griglie riportate on line in ordine alfabetico per rendersi conto di quante volte ricorrano organismi di volta in volta ribattezzati “bundesverband”, “bundesvereinigung”, “deutscher verband” e “arbeitgemeinschaft”.

Di cosa si tratta? Semplice, di centinaia e centinaia di associazioni e cooperative che si occupano di tutto e che rappresentano tutto: pasticcieri, apicoltori, tabaccai, ceramisti, agricoltori di ogni tipo e chi più ne ha più ne metta. Questo, naturalmente, accanto a grossi gruppi tedeschi di pressione che sono direttamente presenti all’interno dell’elenco, da E.On ad Adidas, passando per Deutsche Bank e Bayer. Ma i colossi internazionali, nella lista, sono anche tanti altri. Ci sono compagnie petrolifere come Chevron, Shell e Total, banche come Bofa, Bnp Paribas e Banco Bilbao, case farmaceutiche come Bristol-Myers Squibb, la già citata Bayer e Glaxo, maxi-fondi di investimento come BlackRock (che in Italia sta facendo man bassa di banche), e poi Air France, Facebook, Google, British American Tobacco, Philip Morris, Imperial Tobacco, Arcelor-Mittal, Alstom. Ma è chiaro che un elenco esaustivo non sarebbe possibile.

Le rappresentanze “lobbistiche” italiane, pur numerose, sembrano arrancare rispetto a quelle di altre paesi. Nell’elenco, tra le altre, ci sono Eni, Enel, Rai, Fs, Cassa Depositi, Fiat, Fincantieri, Finmeccanica e Mediaset. Ci sono associazioni di categoria come Legacoop (coop rosse), Confcommercio, Ance (costruttori), Ania (assicurazioni), Abi (banche), Unioncamere (le camere di commercio che ora Matteo Renzi vorrebbe abolire), Uil (il sindacato di Luigi Angeletti), Aiscat (i concessionari autostradali guidati da Fabrizio Palenzona). Spuntano pure enti pubblici come l’Ice, l’università di Bologna Alma Mater e l’Autorità portuale di Ancona. E altre associazioni come Arcigay e Altroconsumo.

La questione

Ma è efficace questo maxi-elen co con 6.486 lobbisti? La risposta potrebbe essere affermativa se la trasparenza fosse garantita. Teoricamente ogni lobbista dovrebbe indicare il fatturato che trae dalla sua attività e quali sono i clienti per i quali lavora. Nella pratica, però, molto spesso le schede informative non riportano questi dati. Per tale ragione molti osservatori credono che il registro in questione sia “tutto fumo e niente arrosto”. Anche perché i controlli sono ballerini e alcuni finiscono col chiedere l’ammissio ne all’elenco solo per questioni di marketing. Accanto a questi, però, ci sono organismi che invece sanno fare pressione, e anche molto bene. Tedeschi in primis.

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(La Notizia) @ssansonetti

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Google fa lobbying (male) per gli autobus http://www.lobbyingitalia.com/2014/01/google-fa-lobbying-per-gli-autobus/ Wed, 22 Jan 2014 20:17:55 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2104 L’ultima volta che qualcuno ha provato ad utilizzare gli autobus quale soluzione ad un problema socioeconomico qualche problema ci fu, e lo stesso sta ora accadendo a San Francisco, dove la questione dei tech-bus – gli autobus delle varie società hi-tech della Silicon Valley che prelevano a varie fermate i propri impeigati per portarli sino al lavoro (in genere a qualche decina di km dalla città) – è diventata una questione politica non da  poco.

I Google bus, descritti dalla scrittrice Rebecca Solnit come sorta di “navi spaziali con alieni a bordo” sono diventati per molti un simbolo dell’ineguaglia di Frisco. Al di la della semplice questione relativa al sistema dei trasporti infatti, quello dei “Google Bus” sarebbe un ulteriore effetto non voluto del boom tecnologico della Bay Area, in aggiunta ad esempio all’esplosione del mercato immobiliare fino ad una  sorta di guerra di classe. Si sono infatti letti articoli su Google pronta ad usare uno yacht per trasportare i suoi impiegati lungo la baia, o ad assumere guardie private per proteggere i suoi pendolari.

Una delle problematiche aperte tra le società hi-tech e la città di San Francisco è relativa al fatto che i loro bus usano le fermate della ditta municipalizzata di trasporti, senza pagare un dollaro. Ma

Finora la città non riceveva nessun provento dalle navette ma ora la San Francisco Municipal Transportation Agency (SFMTA) ha approvato una proposta pilota che prevede per i pendolari dei servizi navetta di società come Apple il pagamento di 1 dollaro per le fermate quotidiane.

Un mese addietro ci sono state proteste contro i giganti del mondo hi-tech della zona. Alcuni manifestanti residenti nella baia di San Francisco ritengono che sia colpa dei pendolari in questione l’aumento dei costi delle abitazioni nella zona. Gruppi di inquilini estromessi dai loro appartamenti dai proprietari che hanno trovato chi pagava più di loro, in particolare dipendenti di Apple, Google e Facebook, che non hanno problemi a sostenere affitti molto più alti, avevano bloccato le navette di alcuni impiegati protestando con striscioni e cartelli.

Il programma pilota della SFMTA, partirà da luglio e si stima permetterà di far guadagnare alla città 1,5 milioni di dollari nel giro di 18 mesi; per le aziende di medie dimensioni, si stima che le fermate costeranno complessivamente 80.000 dollari l’anno, realtà più grandi come Apple e Google supereranno i 100.000 dollari. In ogni caso il provvedimento non darà alcun profitto, coprendo solo i costi di manutenzione extra.

Al di la della tematica in sé, ciò che più interessa in questa sede è stata l’attività di grassroots lobbying che Google ha messo in piedi per cercare di bloccare o almeno limitare (e in questo appare esserci riuscita) la protesta. Questo è testo di un memo che il “Transportation Team” di Google (in coordinamento con la divisione Public Policy dell’azienda) ha spedito ai suoi dipendenti con base a San Francisco

[Misc-sf] Next week’s public hearing on shuttle regulations

Transportation Team [email protected] Fri, Jan 17, 2014 at 11:35 AM Bcc: [email protected]
IF YOU DON’T RIDE THE SHUTTLE TO/FROM SF, YOU CAN STOP READING NOW.

Dear Shuttle Riders,

This Tuesday (1/21), the San Francisco Municipal Transportation Agency (SFMTA) Board will meet to vote on the proposed shuttle regulations we told you about last week. The hearing will take place on January 21 at 1pm PT at San Francisco City Hall (room 400). While we recognized that many of you won’t be able to make it during the workday, we encourage any interested Googlers who live in San Francisco to speak in favor of the proposal (please RSVP here if you are planning to attend). While you are not required to state where you work, you may confirm that Google is your employer if you are so inclined.

If you do choose to speak in favor of the proposal we thought you might appreciate some guidance on what to say. Feel free to add your own style and opinion.

  • *I am so proud to live in San Francisco and be a part of this community
  • *I support local and small businesses in my neighborhood on a regular basis
  • *My shuttle empowers my colleagues and I to reduce our carbon emissions by removing cars from the road
  • *If the shuttle program didn’t exist, I would continue to live in San Francisco and drive to work on the peninsula
  • *I am a shuttle rider, SF resident, and I volunteer at…..
  • *Because of the above, I urge the Board to adopt this pilot as a reasonable step in the right direction

You can read the full press release announcing the proposal here, and we’ll keep you updated in the coming weeks as the proposal moves towards approval. Feel free to email us at [email protected] with any questions.

Thanks, XXXX, on behalf of the Transportation Team

La lettera preparata da Google è però arrivata nelle mani di Heart of the City, l’associazione che ha guidato la protesta contro i busm e lo scorso 9 dicembre aveva organizzato persino un “Google bus blockade“.

La gestione delle email, e dei loro contenuti, in una campagna di lobbying è però da sempre una delle questioni più sensibili. Non per niente, qualche impiegato di Google ha sottolineato come una mail del genere fosse un po’ troppo aggressiva, e che non avrebbe fatto fare una bella figura a Google se fosse finita sul San Francisco Chronicle o Valleywag. Cosa regolarmente accaduta.

Oltre a ciò, il “leak” a Heart of the City ha consentito agli avversari di preparare un dossier di risposta. “Chiedono ai loro impiegati di dire  che sarebbero costretti ad usare la macchina per arrivare al lavoro se  non ci fossero gli shuttle bus, usando così l’argomento ecologia in maniera strumentale per evitare di pagare le fermate.. Ma [secondo un sondaggio della SFMTA] il 31% di loro non avrebbe proprio la possibilità di muoversi, il che vuol dire che oltre 5.200 sceglierebbero di vivere più vicino a dove lavorano”. Il che avrebbe come implicazione una minor pressione sul mercato immobiliare di San Francisco.

C’è però altro fuoco che cova sotto la cenere di San Francisco, con da una parte ancora una volta se società hi-tech e il resto della città, divisi da i milioni in sgravi fiscali offerti a società tecnologiche come Twitter o dall’Ellis Act (una norma che forza gli sfratti in caso di destinazione d’uso del condominio). L’accusa principale alle società internet è che queste dovrebbero in qualche modo essere responsabili nei confronti della comunità in cui risiedono, in particolare dal punto di vista fiscale. E probabilmente anche su questo si dovrà focalizzare Google (ma anche Apple, Facebook e Twitter), con una pesante attività di lobbying che però non potrà prescindere da investimenti in termini di responsabilità sociale. Facendo magari più attenzione a cosa si scrive nelle email.

 

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Sondaggio lobbying: IT e Telecomunicazioni al 4° posto per influenza http://www.lobbyingitalia.com/2013/10/sondaggio-lobbying-it-e-telecomunicazioni-al-4-posto-per-influenza/ Fri, 18 Oct 2013 21:10:33 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=1921 Chi sono i lobbisti? Come operano? Come vengono percepiti? Come le aziende italiane fanno lobbying e come si organizzano per svolgere questa attività? Quali sono i settori più attivi ?

Sono alcune delle domande cui prova a rispondere una ricerca realizzata da Public Affairs Advisors, società di consulenza, partecipata dal Gruppo Value Relations e specializzata nelle attività di lobbying, e dalla società di indagini demoscopicheAcqua Market Research, che ha intervistato circa 200 manager di grandi aziende italiane (tra amministratori delegati, direttori generali, responsabili affari istituzionali). I risultati della ricerca contribuiscono a illuminare i contorni di un ormai vasto mondo professionale che gradualmente sta “uscendo allo scoperto”, per proporre servizi studiati sulla base delle esigenze di aziende, associazioni o gruppi di interesse che necessitano di dialogare correttamente con la politica, le istituzioni e con i loro stakeholder.

Dalla ricerca emerge una nuova figura di lobbista, un professionista italiano ma di stampo anglosassone che finalmente pare liberarsi del retaggio storico di un’immagine poco cristallina, cucitagli addosso anche dai mezzi d’informazione“, afferma Giovanni Galgano, amministratore delegato di Public Affairs Advisors, che aggiunge “Chi opera oggi nelle relazioni istituzionali svolge un’attività trasparente, di elevata qualità, di cui le aziende hanno sempre più bisogno e che richiedono al mercato. Nel nostro paese esistono settori storicamente più inclini a svolgere questa attività come quelli della Sanità, della Farmaceutica e dell’Energia. Ma altri comparti si stanno organizzando in modo sempre più strutturato come quelli dei Servizi Finanziari, della Difesa ed Aerospazio, dell’IT e Telecomunicazioni“.

IDENTIKIT del LOBBISTA

Scorrendo il rapporto di ricerca, alla domanda “In chi identifica i lobbisti?” i manager italiani interpellati rispondono nelle agenzie di public affairs (82%), nelle associazioni di categoria (76%), nei professionisti indipendenti (57%), lasciando ai sindacati il quarto posto nella classifica, all’industria il quinto e ai think tank il sesto. Un implicito riconoscimento della funzione, del ruolo e della riconoscibilità dell’azione del lobbista professionista, anche fuori dall’azienda. Una specifica domanda della ricerca si focalizza sulle caratteristiche professionali che vengono richieste al consulente.  I manager interpellati sembrano maggiormente convinti da chi è in grado di costruire reti, relazioni e azioni di lungo periodo (67%): il “mordi e fuggi” non sembra premiare. Conoscenza del panorama politico e professionalità e reputazione del consulente sono gli altri aspetti che maggiormente le aziende ricercano in chi li deve affiancare nell’attività di lobbying, mentre spicca all’ultimo posto la risposta Brand dell’agenzia o del consulente (9%): la qualità del servizio viene ricercata a prescindere dal nome di chi lo realizza.

EFFICACIA E ASPETTI POSITIVI DEL “LOBBISTA DI PROFESSIONE”

Da rimarcare anche la risposta data al quesito “quali considera gli aspetti positivi del lobbying”, cui gli intervistati rispondono per la grandissima parte con l’integrazione costruttiva nel processo decisionale (80%), mentre minor peso viene dato ad altre attività tipiche del lobbista, come aumentare la risonanza locale e nazionale di un tema. In sostanza il top manager vuole influire sul processo decisionale, sulla formazione dei regolamenti e delle normative che lo potranno riguardare, conscio che senza un interscambio costante e professionale con i decisori difficilmente potrà raggiungere risultati apprezzabili. Ma come le aziende italiane si sono organizzate per svolgere l’attività di lobbying? A chi si affidano? Le risposte dei manager interpellati a questa domanda confermano una buona fiducia nell’associazione di categoria, che per il 58% degli intervistati rimane il primo interlocutore per le esigenze lobbistiche, ma allo stesso tempo ci dicono che le aziende si muovono direttamente – e pesantemente –  anche con i loro vertici manageriali (un analogo 58% di una domanda a risposta multipla).

 

Spicca con il 30% la società di consulenza, che viene delegata dalle aziende a curare tutti o alcuni aspetti delle attività di public affairs.  “Un risultato impensabile in Italia solo fino a qualche anno fa – dice Giovanni Galgano – quando la figura del consulente esterno veniva più che altro utilizzata per attività di generiche pubbliche relazioni”. Aggiunge Andrea Cimenti, direttore di Acqua Market Research “Non è una classifica dei poteri forti, ma una fotografia, o meglio un autoscatto realizzato da chi quotidianamente opera nell’arena del business e ne riconosce vincitori e vinti”. Rimanendo in tema di efficacia, i manager intervistati ritengono che lo “strumento più utile di pressione” sui decisori sia l’incontro one-to-one (per l’83% del campione), che quasi doppia l’importanza riconosciuta alla lobbying indiretta realizzata grazie alle campagne di comunicazione mirate sul bisogno aziendale (49%).

I risultati della ricerca – commenta Giovanni Galgano, amministratore delegato di Public Affairs Advisors – indicano chiaramente che in Italia c’è necessità crescente di lobbying professionale. Ma dicono anche che il portato negativo del concetto di lobby è duro a morire, e che lo si teme in quanto così percepito dal grande pubblico. Forse costruire un rapporto migliore tra cittadini e istituzioni, tra cittadini e politica, tra aziende e pubblica amministrazione passa anche da una trasparente regolamentazione delle attività di public affairs. A maggior ragione in un momento storico e politico come quello che stiamo vivendo“.

Fonte: Key4Biz

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Facebook, Google e gli altri. Ecco come investono nel lobbying i colossi dell’America hi-tech http://www.lobbyingitalia.com/2012/01/facebook-google-e-gli-altri-ecco-come-investono-nel-lobbying-i-colossi-dellamerica-hi-tech/ Mon, 23 Jan 2012 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2012/01/facebook-google-e-gli-altri-ecco-come-investono-nel-lobbying-i-colossi-dellamerica-hi-tech/ Facebook non risparmia nelle relazioni con la politica negli Stati Uniti: negli ultimi tre mesi dell’anno scorso ha speso 440mila dollari per attività di lobby presso il Parlamento, le authority e i ministeri. È un aumento del 30% rispetto al periodo equivalente nel 2010. E, come risulta da stime ricavate dai documenti trimestrali pubblicati nella banca dati “Lobbying Disclosure act”, raggiunge 1,35 milioni di dollari versati durante il 2011 a società di consulenza attive a Washington e dintorni: le cifre definitive saranno pubblicate nei prossimi giorni.

I report consegnati con cadenza trimestrale rivelano quali sono i temi che hanno spinto il social network ad aprire la cassa. Come la proposta di legge Sopa (Stop Online Piracy Act) sulla tutela del copyright e il contrasto alla pirateria informatica: negli ultimi giorni ha richiamato una protesta su internet guidata dall’enciclopedia Wikipedia e l’esame sulla bozza è stata rinviata a febbraio. La lista degli argomenti di interesse per Facebook è lunga: include privacy, commercio elettronico, libertà di espressione. In particolare, una nota segnala che ha investito anche su discussioni relative ai regolamenti della pubblica amministrazione e del Parlamento per «l’accesso ai social media e l’uso dei social media nell’interazione con i cittadini».

Altri colossi hanno speso di più nell’ultimo trimestre del 2011. Google, ad esempio, ha versato a gruppi impegnati nel lobbying 3,76 milioni di dollari: la singola voce più elevata, 150mila dollari, riguarda l’internet veloce con banda larga e la nuvola informatica (cloud computing). Le altre cifre sono destinate a un’ampia gamma di questioni, ad esempio libertà di espressione, riservatezza dei dati personali, censura. E ancora: YouTube, competizione online, pubblicità. Microsoft, invece, ha sborsato 1,88 milioni di dollari: il picco di 130mila dollari è stato erogato per temi relativi «a riforme sull’immigrazione di lavoratori qualificati negli Stati Uniti», segnala il documento. Anche in questo caso la lista di argomenti è molto ampia e comprende informatica nella pubblica amministrazione, tutela del copyright, software piratati.

Sotto la soglia di un milione di dollari sono Yahoo! con 630mila dollari e Amazon con 690mila dollari: in particolare, la libreria online ha investito su “vendite a distanza” e sulla banda larga, come evidenzia la nota nell’archivio digitale. Apple, invece, ha corrisposto poco più di Facebook nei tre mesi conclusivi dell’anno scorso, con una somma complessiva di 450mila dollari: tra le voci, un’autorizzazione per “scuole elementari e secondarie”, fondi destinati a “tecnologie educative”, e “sistemi di pagamento elettronico per i consumatori”.

Luca Dello Iacovo – IlSole24Ore.com

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