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galgano – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Wed, 18 May 2016 18:10:09 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.3 Regolamentare il lobbying? (Formiche.net) http://www.lobbyingitalia.com/2015/04/regolamentare-il-lobbying-formiche-net/ Mon, 20 Apr 2015 16:07:22 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2766 Che cosa prevede il disegno di legge Disposizioni in materia di rappresentanza di interessi presso i decisori pubblici, del quale sono autori i senatori Orellana e Battista (ex M5S, ora rispettivamente Gruppo Misto e Autonomie)

Forse sarà “l’ennesimo tentativo non riuscito” di mettere le mani su un aspetto molto delicato e importante della nostra macchina legislativa. Eppure il dato inconfutabile è che questa volta esiste un testo base condiviso – si dice – tra le diverse proposte emerse nei mesi scorsi (una decina i DDL già presentati solo in questa legislatura).

E c’è una data, il 23 aprile, per presentare emendamenti e oltrepassare almeno il primo scoglio, ovvero il voto in Commissione Affari costituzionali al Senato. Il Disegno di legge Disposizioni in materia di rappresentanza di interessi presso i decisori pubblici, del quale sono autori i senatori Orellana e Battista (ex M5S, ora rispettivamente Gruppo Misto e Autonomie), sembra davvero imprimere un’accelerata all’annoso tema della regolamentazione della rappresentanza di interessi.

Si tratterebbe, ove approvato, della creazione di un quadro regolatorio sui rapporti fra le Istituzioni e i gruppi di pressione, togliendoli dal cono d’ombra nel quale ora si trovano. Riconoscere innanzitutto istituzionalmente il lobbying e i lobbisti, e il loro ruolo, per fare sì che questi soggetti diventino formali interlocutori della politica sui temi che rappresentano.

Una legge importante, di cui l’Italia ancora non si è dotata, a differenza di altri Paesi dove il rapporto politica-lobby è pienamente compresa e regolamentata come parte del gioco democratico.

La proposta: un Registro dei lobbisti e un Comitato di controllo

Innanzitutto, il disegno di legge in questione istituisce un Comitato per il monitoraggio della rappresentanza di interessi presso Palazzo Chigi. Ruolo del Comitato, composto da quattro funzionari e che opportunamente prevede un ricambio dei componenti ogni quattro anni, è di gestire il Registro obbligatorio dei portatori di interesse. Ciascun portatore di interesse presenterà un proprio Codice di Condotta, posto al vaglio del Comitato (ma qui ci permettiamo di suggerire: perché non un Codice analogo per tutti?).

I soggetti iscritti al Registro avranno accesso a una Banca dati con le informazioni di interesse sui vari dossier normativi, ma soprattutto vedranno finalmente riconosciuta la prerogativa di poter partecipare ufficialmente all’attività legislativa con proposte di modifica, invio di note e analisi, richieste di incontro. Spunto interessante, la possibilità di partecipare alle attività di analisi e verifica dell’impatto della regolamentazione.

Le incompatibilità

Il disegno di legge affronta il tema delle incompatibilità, cercando di regolamentare innanzitutto il “revolving door”, fenomeno per cui dirigenti della Pubblica Amministrazione ed esponenti politici passano a ruoli decisionali in soggetti privati, portando con sé un prezioso e sensibile bagaglio di relazioni e informazioni.

Per loro, si istituirebbe un divieto di iscrizione al Registro per i due anni dalla data di cessazione dell’incarico pubblico. Troppo poco? Forse, ma il minimo accettabile è comunque garantito. Ciò che desta perplessità è invece il divieto di svolgere attività di rappresentanza di interessi imposto a giornalisti, pubblicisti o professionisti, iscritti all’Ordine.

Non si coglie in questa circostanza quale elemento debba precludere a chi scrive (o magari è solo iscritto all’ordine) di tutelare interessi particolari. Una modesta critica, che scaturisce anche dalla riflessione sulla complessità del mondo dell’informazione di oggi e sugli elastici confini ormai assunti dal giornalismo ai tempi del Web 2.0.

Gli articoli che riguardano le Sanzioni e l’Attività di vigilanza chiudono il Disegno di Legge che, per quanto migliorabile, ha l’indubbio merito di non approcciare la materia in termini punitivi (a differenza di alcune proposte che ad esempio attribuivano il coordinamento all’Autorità Nazionale Anticorruzione, tradendo una certa diffidenza aprioristica nei confronti del lobbying).

Fonte: Giovanni Galgano, Public Affairs Advisors – Formiche.net

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A chi conviene non regolamentare le lobby? (Formiche.net) http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/a-chi-conviene-non-regolamentare-le-lobby/ Tue, 16 Sep 2014 14:47:46 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2296 Il primo di una serie di approfondimenti su lobby e regolamentazione a cura di Pier Luigi Petrillo, professore associato di Diritto pubblico e docente di Teorie e tecniche di Lobbying

Ogni giorno il Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, accusa le lobby di fermare lo sviluppo del paese. Prima di lui, l’accusa era stata mossa dai suoi predecessori: Enrico Letta, Mario Monti, Silvio Berlusconi, per limitarci agli ultimi. E con loro anche i Presidenti di Camera e Senato, periodicamente, “urlano” contro le lobby che invadono i palazzi. Eppure non si hanno notizie né di interventi governativi né di interventi parlamentari finalizzati a regolamentare i gruppi di pressione.

Ogni giorno si scopre, così, che dietro ai “gufi” che vogliono lasciare immobile il Paese ed impediscono le riforme necessarie, ci sono le lobby, ogni sorta di lobby, con l’effetto che tutto è lobby, perfino i funzionari pubblici: si pensi alle “lobby” dei magistrati (“no alla riduzione delle ferie”), a quella dei dirigenti pubblici (“no alla riduzione degli stipendi”) o perfino a quella dei senatori (“no alla riduzione del Senato”).

In questo quadro le lobby continuano ad essere il paravento della politica: basta dire che è colpa delle lobby per scrollarsi di dosso ogni responsabilità. E appare ovvio che se le lobby fossero regolamentate e la loro azione fosse pubblica, ecco che i cittadini scoprirebbero il gioco dello scarica barile: il paravento d’incanto cadrebbe e si scoprirebbe che la colpa di certo immobilismo non sono le lobby ma la politica.

LE ULTIME TAPPE DI UN TIMIDO TENTATIVO DI FARE SUL SERIO

Rispetto a vent’anni fa, tuttavia, qualche barlume di speranza comincia a vedersi. Nel 2007, durante il secondo governo Prodi, l’allora Ministro per l’attuazione del programma di governo, Giulio Santagata, spronato dal suo capo di gabinetto, il Consigliere di Stato Michele Corradino (ora componente dell’ANAC), fece approvare dal Consiglio dei Ministri il primo e unico disegno di legge in materia d’iniziativa governativa. Qualche mese dopo il governo fu sfiduciato e il testo dimenticato.

Nel 2012, sotto il governo Monti, ci riprovò Mario Catania, allora Ministro dell’Agricoltura, istituendo l’obbligo per i lobbisti “agricoli” di iscriversi in un elenco pubblico. La netta contrarietà delle principali organizzazioni di categoria (Coldiretti, Cia, Confagricoltura) fece naufragare l’esperimento.

Nel 2013 è il premier Enrico Letta, in prima persona, a farsi promotore di una coerente regolamentazione del lobbying, chiedendo al segretario generale di Palazzo Chigi, Roberto Garofoli, e al sottoscritto, di predisporre una bozza di disegno di legge. Ma il Consiglio dei Ministri, dopo avere approvato i principi della regolamentazione nel maggio 2013, decise di bocciare il testo predisposto, considerandolo troppo stringente.

E siamo arrivati al governo Renzi: entro giugno 2014, aveva dichiarato il Premier nel Documento di Economia e Finanza 2014 (DEF), avremo una regolamentazione dei gruppi di pressione. Sono passati 3 mesi da quella scadenza ma non c’è traccia nemmeno di una qualche bozza. Eppur si muove: nel silenzio generale, il Vice Ministro alle Infrastrutture, Riccardo Nencini (forse l’unico a credere davvero all’importanza di questa questione), è riuscito ad inserire nel disegno di legge delega di riforma del codice degli appalti, un principio legato alla trasparenza dei gruppi di pressione; anni luce lontani dalla regolamentazione delle lobby ma almeno è un segnale.

E’ ripartito da qui Giovanni Grasso, il giornalista dell‘Avvenire che, venerdì e sabato scorso, ha dedicato sul suo giornale un’inchiesta al rapporto tra politica e gruppi di pressione, invitando il Ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, a prendere la palla in mano, trattandosi, anzitutto, di una questione di trasparenza della Pubblica Amministrazione (centrale e periferica).

MA PER FARE (DAVVERO) SUL SERIO, DA DOVE RIPARTIRE?

Ripartiamo dall’inchiesta di Grasso; rileggiamo gli stimoli recenti pervenuti da lobbisti d’eccezione come Gianluca Comin, per anni direttore delle relazioni istituzionali in Enel, o Stefano Lucchini, per anni a capo dell’Eni e ora in Intesa, o le proposte avanzate da Claudio Velardi, Massimo Micucci e l’ottimo gruppo del “Rottamatore”, da Fabio Bistoncini (“vent’anni da sporco lobbista”), da Franco Spicciariello e il suo sito lobbyingitalia.com, da Gianluca Sgueo su Formiche.net, da esperti come Giovanni Galgano e Giuseppe Mazzei de “Il Chiostro”, da studiosi come Maria Cristina Antonucci e Marco Mazzoni, dal collega Alberto Alemanno della New York University, dal gruppo #lobby (purtroppo non più attivo) degli ultimi 7 anni di #VeDrò, da riviste come Percorsi Costituzionali e AGE-Analisi Giuridica dell’Economia e proviamo ad offrire al Legislatore qualche idea su come e per cosa fare sul serio.

Fonte: Formiche.net

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Sondaggio lobbying: IT e Telecomunicazioni al 4° posto per influenza http://www.lobbyingitalia.com/2013/10/sondaggio-lobbying-it-e-telecomunicazioni-al-4-posto-per-influenza/ Fri, 18 Oct 2013 21:10:33 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=1921 Chi sono i lobbisti? Come operano? Come vengono percepiti? Come le aziende italiane fanno lobbying e come si organizzano per svolgere questa attività? Quali sono i settori più attivi ?

Sono alcune delle domande cui prova a rispondere una ricerca realizzata da Public Affairs Advisors, società di consulenza, partecipata dal Gruppo Value Relations e specializzata nelle attività di lobbying, e dalla società di indagini demoscopicheAcqua Market Research, che ha intervistato circa 200 manager di grandi aziende italiane (tra amministratori delegati, direttori generali, responsabili affari istituzionali). I risultati della ricerca contribuiscono a illuminare i contorni di un ormai vasto mondo professionale che gradualmente sta “uscendo allo scoperto”, per proporre servizi studiati sulla base delle esigenze di aziende, associazioni o gruppi di interesse che necessitano di dialogare correttamente con la politica, le istituzioni e con i loro stakeholder.

Dalla ricerca emerge una nuova figura di lobbista, un professionista italiano ma di stampo anglosassone che finalmente pare liberarsi del retaggio storico di un’immagine poco cristallina, cucitagli addosso anche dai mezzi d’informazione“, afferma Giovanni Galgano, amministratore delegato di Public Affairs Advisors, che aggiunge “Chi opera oggi nelle relazioni istituzionali svolge un’attività trasparente, di elevata qualità, di cui le aziende hanno sempre più bisogno e che richiedono al mercato. Nel nostro paese esistono settori storicamente più inclini a svolgere questa attività come quelli della Sanità, della Farmaceutica e dell’Energia. Ma altri comparti si stanno organizzando in modo sempre più strutturato come quelli dei Servizi Finanziari, della Difesa ed Aerospazio, dell’IT e Telecomunicazioni“.

IDENTIKIT del LOBBISTA

Scorrendo il rapporto di ricerca, alla domanda “In chi identifica i lobbisti?” i manager italiani interpellati rispondono nelle agenzie di public affairs (82%), nelle associazioni di categoria (76%), nei professionisti indipendenti (57%), lasciando ai sindacati il quarto posto nella classifica, all’industria il quinto e ai think tank il sesto. Un implicito riconoscimento della funzione, del ruolo e della riconoscibilità dell’azione del lobbista professionista, anche fuori dall’azienda. Una specifica domanda della ricerca si focalizza sulle caratteristiche professionali che vengono richieste al consulente.  I manager interpellati sembrano maggiormente convinti da chi è in grado di costruire reti, relazioni e azioni di lungo periodo (67%): il “mordi e fuggi” non sembra premiare. Conoscenza del panorama politico e professionalità e reputazione del consulente sono gli altri aspetti che maggiormente le aziende ricercano in chi li deve affiancare nell’attività di lobbying, mentre spicca all’ultimo posto la risposta Brand dell’agenzia o del consulente (9%): la qualità del servizio viene ricercata a prescindere dal nome di chi lo realizza.

EFFICACIA E ASPETTI POSITIVI DEL “LOBBISTA DI PROFESSIONE”

Da rimarcare anche la risposta data al quesito “quali considera gli aspetti positivi del lobbying”, cui gli intervistati rispondono per la grandissima parte con l’integrazione costruttiva nel processo decisionale (80%), mentre minor peso viene dato ad altre attività tipiche del lobbista, come aumentare la risonanza locale e nazionale di un tema. In sostanza il top manager vuole influire sul processo decisionale, sulla formazione dei regolamenti e delle normative che lo potranno riguardare, conscio che senza un interscambio costante e professionale con i decisori difficilmente potrà raggiungere risultati apprezzabili. Ma come le aziende italiane si sono organizzate per svolgere l’attività di lobbying? A chi si affidano? Le risposte dei manager interpellati a questa domanda confermano una buona fiducia nell’associazione di categoria, che per il 58% degli intervistati rimane il primo interlocutore per le esigenze lobbistiche, ma allo stesso tempo ci dicono che le aziende si muovono direttamente – e pesantemente –  anche con i loro vertici manageriali (un analogo 58% di una domanda a risposta multipla).

 

Spicca con il 30% la società di consulenza, che viene delegata dalle aziende a curare tutti o alcuni aspetti delle attività di public affairs.  “Un risultato impensabile in Italia solo fino a qualche anno fa – dice Giovanni Galgano – quando la figura del consulente esterno veniva più che altro utilizzata per attività di generiche pubbliche relazioni”. Aggiunge Andrea Cimenti, direttore di Acqua Market Research “Non è una classifica dei poteri forti, ma una fotografia, o meglio un autoscatto realizzato da chi quotidianamente opera nell’arena del business e ne riconosce vincitori e vinti”. Rimanendo in tema di efficacia, i manager intervistati ritengono che lo “strumento più utile di pressione” sui decisori sia l’incontro one-to-one (per l’83% del campione), che quasi doppia l’importanza riconosciuta alla lobbying indiretta realizzata grazie alle campagne di comunicazione mirate sul bisogno aziendale (49%).

I risultati della ricerca – commenta Giovanni Galgano, amministratore delegato di Public Affairs Advisors – indicano chiaramente che in Italia c’è necessità crescente di lobbying professionale. Ma dicono anche che il portato negativo del concetto di lobby è duro a morire, e che lo si teme in quanto così percepito dal grande pubblico. Forse costruire un rapporto migliore tra cittadini e istituzioni, tra cittadini e politica, tra aziende e pubblica amministrazione passa anche da una trasparente regolamentazione delle attività di public affairs. A maggior ragione in un momento storico e politico come quello che stiamo vivendo“.

Fonte: Key4Biz

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Manager: ok ai lobbisti, ma alla luce del sole http://www.lobbyingitalia.com/2013/02/manager-ok-ai-lobbisti-ma-alla-luce-del-sole/ Mon, 11 Feb 2013 23:14:36 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1533 Una ricerca effettuata tra 200 manager di grandi aziende mostra come si intende l’attività di lobby in Italia e come operano i lobbisti.

Una ricerca effettuata dalla società di consulenza Public Affairs Advisors, specializzata nelle attività di lobbying, e dalla società di indagini demoscopiche Acqua Market Research, ha mostrato una nuova figura di “lobbista”, andando a individuare chi sono in Italia, come operano, come vengono percepiti dai manager e come le aziende italiane fanno lobbying e come si organizzano per svolgere questa attività.

Nel suo studio, la società ha intervistato circa 200 manager di grandi aziende italiane (tra amministratori delegati, direttori generali, responsabili affari istituzionali). I risultati della ricerca contribuiscono a illuminare i contorni di un ormai vasto mondo professionale che gradualmente sta “uscendo allo scoperto”, per proporre servizi studiati sulla base delle esigenze di aziende, associazioni o gruppi di interesse che necessitano di dialogare correttamente con la politica, le istituzioni e con i loro stakeholder.

“Dalla ricerca emerge una nuova figura di lobbista, un professionista italiano ma di stampo anglosassone che finalmente pare liberarsi del retaggio storico di un’immagine poco cristallina, cucitagli addosso anche dai mezzi d’informazione”, afferma Giovanni Galgano, amministratore delegato di Public Affairs Advisors, che aggiunge che “Chi opera oggi nelle relazioni istituzionali svolge un’attività trasparente, di elevata qualità, di cui le aziende hanno sempre più bisogno e che richiedono al mercato. Nel nostro paese esistono settori storicamente più inclini a svolgere questa attività come quelli della Sanità, della Farmaceutica e dell’Energia. Ma altri comparti si stanno organizzando in modo sempre più strutturato come quelli dei Servizi Finanziari, della Difesa e dell’aerospazio, dell’IT e delle telecomunicazioni“.

Identikit del lobbista

Scorrendo il rapporto di ricerca, alla domanda “In chi identifica i lobbisti?” i manager italiani interpellati rispondono nelle agenzie di public affairs (82%), nelle associazioni di categoria (76%), nei professionisti indipendenti (57%), lasciando ai sindacati il quarto posto nella classifica, all’industria il quinto e ai think tank il sesto.

Una specifica domanda della ricerca si focalizza sulle caratteristiche professionali che vengono richieste al consulente. I manager interpellati sembrano maggiormente convinti da chi è in grado di costruire reti, relazioni e azioni di lungo periodo (67%): il “mordi e fuggi” non sembra premiare. Conoscenza del panorama politico e professionalità e reputazione del consulente sono gli altri aspetti che maggiormente le aziende ricercano in chi li deve affiancare nell’attività di lobbying, mentre spicca all’ultimo posto la risposta Brand dell’agenzia o del consulente (9%): la qualità del servizio viene ricercata a prescindere dal nome di chi lo realizza.

 

Efficacia e aspetti positivi del lobbista di professione

Da rimarcare anche la risposta data al quesito “quali considera gli aspetti positivi del lobbying“, cui gli intervistati rispondono per la grandissima parte con l’integrazione costruttiva nel processo decisionale (80%), mentre minor peso viene dato ad altre attività tipiche del lobbista, come aumentare la risonanza locale e nazionale di un tema. In sostanza il top manager vuole influire sul processo decisionale, sulla formazione dei regolamenti e delle normative che lo potranno riguardare, conscio che senza un interscambio costante e professionale con i decisori difficilmente potrà raggiungere risultati apprezzabili.

Ma come le aziende italiane si sono organizzate per svolgere l’attività di lobbying? A chi si affidano? Le risposte dei manager interpellati a questa domanda confermano una buona fiducia nell’associazione di categoria, che per il 58% degli intervistati rimane il primo interlocutore per le esigenze lobbistiche, ma allo stesso tempo ci dicono che le aziende si muovono direttamente – e pesantemente – anche con i loro vertici manageriali (un analogo 58% di una domanda a risposta multipla). Spicca con il 30% la società di consulenza, che viene delegata dalle aziende a curare tutti o alcuni aspetti delle attività di public affairs. “Un risultato impensabile in Italia solo fino a qualche anno fa – dice Giovanni Galgano – quando la figura del consulente esterno veniva più che altro utilizzata per attività di generiche pubbliche relazioni”.

Rimanendo in tema di efficacia, i manager intervistati ritengono che lo “strumento più utile di pressione” sui decisori sia l’incontro one-to-one (per l’83% del campione), che quasi doppia l’importanza riconosciuta alla lobbying indiretta realizzata grazie alle campagne di comunicazione mirate sul bisogno aziendale (49%).

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