frosini – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Il Gratta e vinci in fuga a Londra rafforza i suoi lobbisti (La Notizia) http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/il-gratta-e-vinci-in-fuga-a-londra-rafforza-i-suoi-lobbisti-la-notizia/ Thu, 18 Sep 2014 18:24:55 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2483 (Carola Olmi) Difendere i vecchi privilegi, la missione dei lobbisti. Mai tanti gruppi di pressione su governo e parlamento. Con un obiettivo, far sparire scandali come Lottomatica. La società che gestisce i Gratta e vinci porta la sede fiscale a Londra Lo Stato però non revoca la concessione

L’elenco l’ha fatto ieri Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera. Gli avversari di Matteo Renzi sono ormai moltissimi. Dai parlamentari che andranno a casa se non votano le sue riforme ai “professionisti della tartina”, ai presunti esperti dei convegni”, alle “stanze di Bruxelles”, alla classe dirigente “rassegnata alla rassegnazione”, alla Rai (il premier non ha mai voluto incontrare il direttore generale), alle banche d’affari, ai sindacati, e alla magistratura che non vuole rinunciare neppure alle lunghissime ferie. L’elenco però non è finito, perché sin dalla prima ora il nostro Presidente del Consiglio aveva indicato uno dei più forti nemici del cambiamento nel Paese: le lobby.

DENTRO I CDA PUBBLICI Parole nette e sacrosante, alle quali però non sono seguiti i fatti. Anzi! AI contrario di quanto accadeva prima, quando le lobby — elementi di pressione a favore di specifici interessi — restavano su un livello di contrattazione con la politica e le grandi imprese pubbliche, adesso invece sono state fatte entrare direttamente nei Cda dei grandi gruppi industriali partecipati dallo Stato. Se questo vuol dire combattere le lobby…

REGALIE SOTTO BANCO Assistiamo così a un’esplosione senza precedenti dei gruppi lobbistici. Parlamenti e ministeri sono militarmente occupati da signori ufficialmente senza alcun ruolo, che non fanno altro se non baciare la pantofola a deputati e senatori. Soprattutto nelle commissioni che gestiscono la spesa, è ormai un assedio per blindare vecchi privilegi e ottenerne persino di nuovi. Loro, d’altronde, i lobbisti, sanno il fatto loro. E non a caso le aziende li pagano a peso d’oro. Basta un codicillo in una norma, un emendamento che salta all’ultimo minuto, un’azione di convincimento fatta a pranzo in qualche costoso ristorante ed ecco che spuntano (o si perdono) anche milioni. Ovviamente quattrini che come al solito mette Pantalone, cioè lo Stato attraverso quel mostro della spesa pubblica che gli italiani finanziano rassegnatamente con la fiscalità generale.

IL CASO GTECH Ma le lobby hanno anche altri compiti, come far sparire dal radar veri e propri scandali nazionali. Uno dei più clamorosi, alla luce del sole — e c’è da augurarsi presto anche della magistratura — è la mancata revoca delle concessioni dei Monopoli alla società che gestisce le lotterie istantanee. Tale società — la Lottomatica diventata poi Gtech (gruppo De Agostini) — aveva ottenuto tali concessioni dello Stato sulla base di un requisito non secondario: essere una società italiana. Gtech, però, ha appena avviato le procedure per scapparsene proprio dall’Italia, acquisendo per 6,4 miliardi di dollari un grande gruppo internazionale dello steso settore (la Igt, International Game Technologies) e con questo pretesto spostando la sede fiscale a Londra. Ora, visto che i ricavi delle lotterie sono mostruosi e il gioco è ormai una vera e propria tassa sulla povertà degli italiani, in un Paese normale lo Stato cancellerebbe in un secondo la concessione di Gtech. Ma questo non è un Paese normale e comunque a scanso di pericoli la società dei giochi proprio in questi giorni ha rafforzato – guarda caso! – la squadra dei lobbisti, portandosi dentro l’ex lobbista di Terna, Giuliano Frosini, ex uomo di fiducia di Massimo D’Alema e a capo della Fondazione Italianieuropei. Così, però, non c’è molto da sperare che l’Italia cambi verso.

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La carica delle lobby per fregare gli italiani (La Notizia) http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/la-carica-delle-lobby-per-fregare-gli-italiani-la-notizia/ Thu, 18 Sep 2014 07:49:30 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2479 (@SSansonetti) Una vorace pattuglia di pluripoltronati. Ecco i Richelieu con il piede in due e più staffe

Lobbisti voraci, il cui appetito di poltrone non sembra conoscere soddisfazione. E pazienza se spesso si cumulano poltrone pubbliche e private a palese rischio di conflitto d’interessi. Il tutto avviene con la massima tranquillità, come se niente fosse. I casi, con il dibattito generale concentrato sui temi politici ed economici, sfuggono sempre ai radar. Ma stanno spuntando fuori come funghi dopo la pioggia. Si pensi alla situazione di Simonetta Giordani, ex sottosegretario ai beni culturali all’epoca del governo guidato da Enrico Letta. Terminata l’esperienza, ha sfruttato l’ultima tornata di nomine nelle società di Stato riuscendo a strappare un posto nel consiglio di amministrazione delle Ferrovie guidate da Michele Mario Elia. Allo stesso tempo la Giordani, che prima della parabola governativa lavorava in Autostrade per l’Italia, si è apparecchiata anche un bel rientro nel gruppo dal quale proveniva.

L’INCROCIO
Si dà infatti il caso che abbia assunto un ruolo di responsabilità all’interno degli affari istituzionali di Atlantia, la holding della famiglia Benetton che ha evidenti interessi nel settore dei trasporti (controlla Autostrade e Aeroporti di Roma). In questa veste la Giordani, fanno sapere dal gruppo, si sta occupando di “sostenibilità ambientale”. Ma a quanto pare non è stato intravisto nessun rischio di attrito nel fatto che siede contemporaneamente in Fs e Atlantia. “Non ci sono norme che prevedono un’incompatibilità”, aggiungono dal gruppo, “né le due aziende hanno ravvisato ostacoli”. Certo, non c’erano dubbi. Chissà come l’ha presa Francesco Delzio, il grande capo delle relazioni istituzionali di Atlantia-Autostrade, altro lobbista che ha una certa dimestichezza con salotti e salottini. Oltre a essere presidente di Ad Moving, la concessionaria di pubblicità del settore autostradale, siede nel comitato scientifico della fondazione Symbola (presieduta dal Pd Ermete Realacci e sostenuta da colossi come Eni ed Enel Green Power), e nel comitato editoriale di Inpiù (pubblicazione on line che fa capo al presidente della Bnl Luigi Abete e al fratello Giancarlo). Nel consiglio di amministrazione delle Ferrovie, però, insieme alla Giordani siede Giuliano Frosini, anche lui lobbista con la specialità delle “revolving doors”. Fino a una manciata di giorni fa si trovava sulla poltrona di responsabile affari istituzionali di Terna. Situazione abbandonata perché insostenibile, se solo si considerano gli interessi sovrapponibili che Ferrovie e Terna hanno in materia di energia e reti ad alta tensione. Niente paura, però. Frosini è riuscito subito a sistemarsi a capo delle relazioni istituzionali di Gtech, l’ex Lottomatica per la quale aveva lavorato dal 2004 al 2011. Il colosso dei giochi, evidentemente, l’ha richiamato per farsi aiutare nella gestione di tutta una serie di patate bollenti. In primis la fase post acquisizione dell’americana Igt, operazione destinata a spostare all’estero il baricentro della società con tutta una serie di implicazioni fiscali e concessorie già all’attenzione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Di sicuro Frosini sarà in grado di mettere a frutto tutto il suo bagaglio di conoscenze. Basti pensare che è stato capo della segretaria particolare dell’allora ministro del lavoro Antonio Bassolino.

GLI ALTRI
E che dire di Paolo Messa? Già portavoce dell’ex vicepremier Marco Follini, è da tempo il factotum del periodico Formiche (estrazione folliniana). Ma vanta anche una collaborazione con il presidente di Finmeccanica Gianni De Gennaro. La società, contattata da La Notizia, ha precisato che Messa non è legato direttamente a Finmeccanica, “ma ha un rapporto con il presidente e il Centro studi americani”. Di quest’ultimo think tank, del resto, De Gennaro è presidente. E tra i finanziatori del pensatoio, oltre ad Acea, Bnl, Eni, Telecom, Unicredit, Vodafone e Wind, c’è proprio Finmeccanica. Ancora Finmeccanica è tra i soci ordinari di Italiadecide, altro think tank presieduto da Luciano Violante. E tra gli stessi soci ordinari, neanche a dirlo, c’è Messa. Il quale, però, esattamente come Delzio, siede pure nel comitato editoriale di Inpiù (fratelli Abete). Senza contare che è consulente di Invimit, la società immobiliare del Tesoro per ora guidata da Elisabetta Spitz, ex moglie proprio di Follini. Ma la stessa Spitz e il presidente Vincenzo Fortunato, a quanto pare, sono a un passo dall’uscita.

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Altro che conflitto d’interessi: ecco i lobbisti della poltrona (Il Giornale) http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/altro-che-conflitto-dinteressi-ecco-i-lobbisti-della-poltrona-il-giornale/ Mon, 08 Sep 2014 15:35:11 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2463 (Stefano Sansonetti) Hanno importanti amicizie bipartisan e si muovono tra società pubbliche e private in un groviglio di incarichi che va dai trasporti all’energia fino all’informazione

Non c’è niente da fare, sembra proprio una moda destinata a non tramontare mai. Il collezionismo di poltrone pubbliche e private, nonostante i richiami e le polemiche di un passato sin troppo recente, continua a prosperare indisturbato.

Ecco allora spuntare fuori una pattuglia di lobbisti che si sta muovendo con grande dimestichezza tra incarichi di ogni tipo. Il tutto con qualche dinamismo di troppo, a quanto pare, visto il consistente cumulo di strapuntini che pone alcuni di loro al centro di un autentico groviglio a rischio di conflitto d’interessi. A sorprendere, tra l’altro, è il fatto che incroci e sovrapposizioni finiscano quasi sempre per investire le stesse società pubbliche. Tra i casi più in vista c’è quello di Giuliano Frosini , ex capo della segreteria particolare dell’allora ministro del lavoro, Antonio Bassolino, e già collaboratore di un altro ex ministro del lavoro come Cesare Salvi. Frosini, che come si vede vanta una certa affinità con ambienti di sinistra, da qualche mese è entrato nel consiglio di amministrazione delle Ferrovie dello Stato, controllate al 100% dal Tesoro. Peccato, però, che nel frattempo si sia ben guardato dal lasciare un’altra poltrona pesante, quella di responsabile affari istituzionali di Terna, la società di gestione della rete di trasmissione elettrica che rientra nella sfera di controllo della Cassa depositi e prestiti. Ora, è appena il caso di far notare quali e quanti «argomenti» di interesse comune coinvolgano Ferrovie e Terna, a cominciare dalle reti ad alta tensione. Per non parlare di come il tema sia diventato ancor più sensibile dopo che il governo ha deciso di aumentare le tariffe elettriche per la trazione ferroviaria.

Nel consiglio di amministrazione di Terna, proprio dopo l’ultima tornata di nomine, ha fatto il suo ingresso Fabio Corsico , il quale è allo stesso tempo capo delle relazioni istituzionali del gruppo Caltagirone. Già, proprio la galassia che fa capo all’immobiliarista Francesco Gaetano Caltagirone e ha forti interessi nel mondo dell’energia (anche elettrica) visto che detiene il 16,3% in Acea, la multiutility controllata dal comune di Roma. All’interno del gruppo del costruttore, Corsico occupa un posto anche nei cda di Cementir, Energia e Il Gazzettino . In più, sempre in rappresentanza di Caltagirone, siede nel consiglio di Grandi Stazioni, società il cui pacchetto di maggioranza (in attesa di ulteriori cessioni) è in mano alle Ferrovie dello Stato. Senza contare il fatto che Corsico è senior advisor per l’Italia di Credit Suisse, la banca che da sempre assiste Terna su tutti i principali dossier. Insomma, una fila indiana di incarichi all’interno dei quali trova spazio pure uno scranno nel consiglio della Fondazione Crt, azionista forte di Unicredit (2,5%).

Ma tra le partecipazioni pesanti della fondazione torinese c’è pure un 5,06% in Atlantia, la holding della famiglia Benetton che controlla Autostrade per l’Italia. Ebbene, a capo delle relazioni istituzionali di Atlantia troviamo Francesco Delzio . Nel suo carnet di incarichi c’è la presidenza di Ad Moving (concessionaria di pubblicità del settore autostradale), un posto nel comitato scientifico di Inpiù (pubblicazione on line che fa capo al presidente della Bnl, Luigi Abete) e una poltrona nel comitato scientifico di Symbola, la fondazione presieduta da Ermete Realacci (Pd) che tanto si è attivata per favorire l’ascesa di Catia Bastioli alla presidenza di Terna.

Nel comitato scientifico di Inpiù spicca un altro profilo che del cumulo di scranni ha fatto il suo habitat naturale. Parliamo di Paolo Messa , nato con Marco Follini (ex Udc ed ex Pd), di cui è stato portavoce. Oggi Messa è consulente di Invimit, la società del Tesoro che dovrebbe valorizzare il patrimonio pubblico italiano. L’amministratore delegato di Invimit, curiosamente, è Elisabetta Spitz , ex moglie di Follini. Il lobbista tuttofare, però, spunta fuori anche tra i soci ordinari di Italiadecide, il pensatoio presieduto da Luciano Violante (Pd) e sostenuto, tra gli altri, da Autostrade e Terna. Per non considerare che Messa vanta pure un posto nel cda del Conai (Consorzio nazionale imballaggi) ed è amministratore della società editrice Lola Media Group. E non si può dimenticare come Messa sia il factotum di Formiche , la rivista di estrazione folliniana edita da una società che si chiama Base per Altezza . Nel cui cda, fino a qualche tempo fa, trovava spazio il quasi onnipresente Corsico. Come si vede un intreccio incredibile, un groviglio in cui i soliti noti si spartiscono decine di poltrone in posizioni non proprio da manuale.

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T.E.Frosini – La democrazia e le sue Lobbies http://www.lobbyingitalia.com/2013/06/la-democrazia-e-le-sue-lobbies/ Sat, 01 Jun 2013 16:36:27 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1453 (Tommaso Edoardo Frosini) – 1. Il tema dei gruppi di pressione – ovvero le lobbies – è cruciale per il buon funzionamento della democrazia di tipo liberale, per il semplice fatto che a esso è consustanziale la massima garanzia possibile della trasparenza del processo decisionale pubblico. Nelle democrazie pluraliste, il fenomeno di gruppi organizzati di individui che si fanno portatori di interessi particolari presso il decisore pubblico, nel tentativo di orientarne le scelte, rappresenta una realtà imprescindibile. E valga l’esempio statunitense, dove l’attività di lobbying è talmente connaturata al sistema politico-costituzionale, al punto da considerarla, come dicono gli americani, “as American as apple pie”. Peraltro, come noto, negli Usa il lobbying gode di protezione costituzionale al Primo Emendamento, quale libertà di parola per convincere il decisore pubblico (come sostenuto dalla Corte Suprema, a partire da U.S. v. Harris del 1954).

Va altresì detto, che sempre più spesso il decisore pubblico ha avvertito la necessità di acquisire informazioni e conoscenze da parte di portatori di interessi particolari, e ciò soprattutto al fine di deliberare su questioni altamente tecniche o specialistiche. In tal senso, la dottrina ha evidenziato l’azione positiva esercitata dai gruppi di pressione nel processo decisionale, in quanto fornitori di elementi indispensabili per la comprensione dell’impatto di determinate scelte, sebbene molto spesso essi siano le cause di normative oscure o dalla difficile interpretazione (v. per tutti, P.L. Petrillo, Democrazie sotto pressione. Parlamenti e lobby nel diritto pubblico comparato, Milano, 2011).

In molti ordinamenti tale attività di pressione – ovvero di lobbying, per usare un termine inglese – svolta da gruppi organizzati verso i decisori pubblici è sottoposta a una precisa regolamentazione volta ad assicurare la trasparenza del processo decisionale o anche la partecipazione dei gruppi di pressione (che rispettano precise regole) al processo decisionale stesso. In tali ordinamenti (Stati Uniti, Canada, Israele, Francia, Gran Bretagna, Australia, Ungheria, Polonia, Estonia, Lituania) si è avvertita, con sfumature profondamente diverse tra loro, la medesima esigenza di rendere conoscibili a tutti chi sono e quali sono i gruppi di pressione, definendo un assetto di regole volte, quanto meno, ad assicurare la trasparenza delle decisioni. Le analisi di diritto comparato evidenziano come nei sistemi in cui il Parlamento è “forte” –nel senso che gioca un ruolo chiave nei processi politici– esista una regolamentazione della rappresentanza parlamentare delle lobbies; all’opposto, al Parlamento debole corrispondono interessi oscuri. In tal senso, si è proceduto, da Petrillo nel lavoro prima ricordato, a classificare e comparare i “modelli” normativi sulle lobbies, con ricaduta in punto di forma di governo, come: “regolamentazione-trasparenza” (Gran Bretagna e Canada), “regolamentazione-partecipazione” (Usa e UE), “regolamentazione-strisciante” (Italia).

Prendiamo il caso italiano, dove mancano regole organiche in materia mentre esistono delle disposizioni, “disperse” fra norme di vario genere, che in qualche modo si riferiscono ai gruppi di pressione e alla loro lecita azione di orientamento della decisione pubblica. Si pensi, per esempio, alle norme del regolamento della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in materia di istruttoria legislativa, ovvero alle disposizioni relative all’Analisi di impatto della regolamentazione (AIR), che impongono il coinvolgimento di soggetti privati nella redazione dell’atto normativo. Tali disposizioni, tuttavia, non hanno avuto l’effetto di rendere palese il fenomeno lobbistico, né era il loro obiettivo quasi che in Italia si fatichi ad ammettere che le lobbies esistono; e questo anche perché si è mossi dalla preoccupazione che la disciplina dei gruppi di pressione possa equivalere alla loro legittimazione, dunque una curiosa ritrosia a riconoscere che il Re è nudo. Le lobbies sono divenute, di conseguenza, un vero e proprio tabù giuridico-costituzionale, un argomento noto alle cronache giornalistiche ma ritenuto non sufficientemente degno di essere sottoposto ad analisi giuridica. Tabù che invece si vuole qui sfatare, dedicando per la parte monografica di questo numero di Percorsi proprio alle lobbies nelle varie declinazioni: come problema e soluzione nello stato contemporaneo (Guzzetta); come rappresentanza di interessi (Colavitti); nella loro dimensione europea (Ferioli e Sassi); nell’attività delle organizzazioni religiose (Macrì) e come diritto costituzionale al lobbying (Petrillo). Un’ampia carrellata di focus stranieri – Usa (Mazzone), Francia (Meny), Israele (Tal), America Latina (Pizzolo) – offre un quadro chiaro del fenomeno lobby per un inquadramento nel diritto comparato.

2. Certo, nessuno ignora il fatto che le decisioni pubbliche assunte a tutti i livelli nel nostro sistema siano comunque il frutto di una negoziazione tra interessi differenti, la cui sintesi spetta all’Autorità chiamata a formalizzare la decisione. Ugualmente è noto che all’interno della grandi società operano direzioni generali competenti proprio in materia di lobbying (o, con espressione più “pudica”, di relazioni istituzionali) e che in Italia numerose sono le società il cui scopo principale è proprio l’esercizio del lobbying per conto di terzi soggetti. Tale attività, infatti, non soltanto richiede, per essere esercitata correttamente, una specifica competenza basata su conoscenze tecniche e scientifiche, ma ha assunto una sua funzione economica-sociale.

Con la crisi dei partiti politici, tradizionali mediatori degli interessi della società civile presso le istituzioni pubbliche, tale fenomeno ha assunto una dimensione maggiore, ed è sembrato configurarsi quale “succedaneo” della rappresentanza politica, se non addirittura alternativa a essa. Il punto è delicato e non posso certo trattarlo in questo breve spazio di presentazione, ma rimando senz’altro alla lettura dei contributi pubblicati in questo fascicolo, che prendono sul serio tema e problema.

Credo, però, che occorra partire da questa constatazione, relativamente alla crisi dei partiti, e dal presupposto che l’attività di lobbying non solo è lecita ma è anche utile e preziosa per il decisore pubblico, perché strumento indispensabile per acquisire informazioni tecniche, altrimenti difficilmente comprensibili, e prevenire impatti economicamente e socialmente insostenibili delle decisioni che si vogliono adottare. Il lobbying opererebbe, dunque, quale infrastruttura sociale ed economica in grado di unire, fermo restando le proprie rispettive responsabilità, soggetti privati e decisori pubblici.

La crisi che permea le istituzioni partitiche che erano i normali collettori di interessi collettivi, sollecita un intervento legislativo in tal senso. Non si può infatti negare che l’attività dei portatori di interessi sia sempre esistita ed esista in qualsiasi società evoluta. L’obiettivo che si deve raggiungere è quello di rendere trasparenti le attività, le finalità e gli scopi, i mezzi umani e finanziari impiegati, i gruppi che muovono tali interessi. Lo scopo, quindi, non è quello di istituire una nuova figura professionale o di imporre sui gruppi di interessi nuovi e maggiori oneri, ma quello di razionalizzare un’attività già presente ma non regolamentata, per fornire al decisore pubblico uno strumento e un supporto chiaro e con obiettivi e finalità ben definite e, al tempo stesso, garantire ai cittadini il diritto di conoscere le ragioni (non solo politiche) sottese alla decisione pubblica.

Peraltro, che oggi l’esigenza di “regolare gli sregolati”, per così dire, risulti senz’altro avvertita è dimostrato e confermato anche, e forse soprattutto, dalla critiche che vengono mosse all’azione oscura, in quanto «viaggiano a fari spenti, nella notte delle regole», delle lobbies, accusate, come scrive Michele Ainis in un recente libro, di divorare l’Italia. Per poi specificare, opportunamente: «come se il lobbying fosse un’attività criminosa, e non invece un veicolo d’informazione per le assemblee legislative, nonché di partecipazione per le categorie cui si rivolge la decisione del legislatore» (M. Ainis, Privilegium. L’Italia divorata dalle lobby, Milano, 2012). E allora: resta ferma l’esigenza di legittimare l’aggregazione e la sintesi degli interessi, ammettendoli a un’istruttoria procedimentale formale che non ha ovviamente l’obiettivo di favorire la nascita di un neo-corporativismo, ma che porterebbe certamente a una migliore compenetrazione con l’interesse pubblico per costruire una migliore decisione. In una battuta finale: la democrazia esige trasparenza e la trasparenza esige una legge sulle lobbies. Così è se vi pare.

 

Tommaso Edoardo Frosini – E’ stato Ordinario di Diritto pubblico comparato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Sassari e attualmente insegna all’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli. Coordinatore della rivista “Percorsi costituzionali”, fa parte del comitato scientifico della rivista “Diritto pubblico comparato ed europeo”. Ha pubblicato, tra gli altri, Sovranità popolare e costituzionalismo, Giuffrè 1997, Le votazioni, Laterza 2002, Il presidenzialismo che avanza, Carocci 2009.

Fonte: Percorsi Costituzionali 3-2012

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Lobby, il Re è nudo e i saggi di Napolitano se ne sono accorti http://www.lobbyingitalia.com/2013/04/lobby-il-re-e-nudo-e-i-saggi-di-napolitano-se-ne-sono-accorti/ Sat, 13 Apr 2013 16:00:40 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1439 E’ la 17.ma tra le proposte formulate dal gruppo di lavoro per le riforme istituzionali costituito dal capo dello Stato, ed è forse quella più innovativa: regolamentare le lobbies, introducendo un registro pubblico e trasparente, prevedendo regole per la loro partecipazione al processo decisionale e relazioni che esplicitino le ragioni delle scelte del decisore.

La prima notizia che emerge da questa proposta non è tanto la proposta in sé. La vera notizia è che, per la prima volta, in un atto formale di natura para-istituzionale non ci sono gi ri di parole: il paragrafo 17 si intitola “Lobbies”. Questa parola ha rappresentato per anni un vero e proprio tabù, anche giuridico: in tutti i disegni di legge presentati in Parlamento, compreso nell’unico elaborato dalla Commissione governativa all’epoca del secondo governo Prodi da me coordinata, si parla di portatori di interessi, di gruppi di pressione, di mediatori.

In Italia la parola “lobby” è utilizzata solo dalla stampa e solo in termini negativi. Per la prima volta i “saggi” affermano, invece, che l’azione delle lobbies è legittima e che il problema della nostra democrazia non è l’azione di pressione da loro svolta ma la mancanza di regole chiare e trasparenti.

Fatta questa premessa (molto più dirompente di quanto si possa immaginare), i saggi suggeriscono al Legislatore di ispirarsi ai modelli offerti dal Parlamento europeo e dagli Stati Uniti d’America. Scrivono “Parlamento europeo” e non “Unione Europea” non a caso: fino a giugno 2011, infatti, a livello comunitario
era presente un’unica regolament azione del fenomeno lobbistico, introdotta nel 1996 dal solo Parlamento. Queste norme prevedevano, per chiunque avesse voluto professionalmente influenzare il deputato, l’obbligo di iscriversi in un registro pubblico così da ottenere un tesserino di accesso al Parlamento dove poter incontrare il decisore.

Nel giugno 2011, dopo un lungo dibattito, queste norme sono state di fatto sostituite da un “interinstitutional agreement” in materia di lobbies e trasparenza si glato dal Parlamento e dalla Commissione europea: con le nuove disposizioni, ora vigenti, l’obbligo per le lobbies di iscriversi in un elenco pubblico si è trasformato in facoltà, con l’effetto che la stragrande maggioranza dei lobbisti europei non si registra più.

Il modello statunitense, invece, è quello più noto: è dal 1946 che esiste una legge specifica per le lobby, sebbene la Corte Suprema l’abbia dichiarata incostituzionale nel 1953, costringendo così il legislatore a modificarla. Entrambi questi modelli – non a caso richiamati dai “saggi” – rientrano nella modalità di regolamentazione del fenomeno lobbistico che si definisce “regolamentazione-partecipazione” (riprendo quanto già sostenuto in P.L. Petrillo, Democrazie sotto pressione, Giuffrè 2011).

I “saggi” sembrano guardare anche a quanto è stato già fatto dal governo Monti nel 2012: un anno fa, infatti, il Ministro delle Politiche Agricole ha costituito ha introdotto l’obbligo per chiunque voglia fare lobby sul Ministero di iscriversi in un pubblico registro. Chiunque, oggi, con un clic sul sito web del Ministero, può già conoscere i nomi dei lobbisti iscritti, gli unici abilitati ad essere coinvolti nel processo decisionale secondo una procedura che impone la massima trasparenza e la pubblicità sul sito di ogni passaggio.

La proposta dei “saggi” va, quindi, nella  direzione di estendere a Governo e Parlamento il “modello Mipaaf”. Ma la necessità di introdurre regole sul lobbying è dovuta anche all’introduzione, con la legge anti-corruzione dello scorso anno, del nuovo reato di “traffico illecito di influenza”: come ha evidenziato la Corte di Cassazione del novembre 2012, sarà impossibile per i magistrati applicare correttamente questa fattispecie se prima non si definisce la dimensione lecita dell’azione di influenza e di mediazione.

Ben venga, quindi, la proposta dei saggi. Ma basta? Non proprio. Non è possibile, infatti, regolamentare le lobbies senza regolamentare i decisori pubblici. Ed è quello che manca nella proposta dei saggi: non c’è traccia di norme che obblighino i decisori a rendere pubblici -e consultabili on line- i loro interessi, economici e non solo, come avviene in Gran Bretagna o negli Stati Uniti d’America o a Bruxelles. Non c’è nessuna proposta volta a rendere trasparente il finanziamento della politica da parte delle lobbies: l’Italia è l’unico paese in Europa in cui se verso meno di 50.000 euro al giorno ad un partito, non devo renderlo pubblico. In Gran Bretagna c’è l’obbligo di rendere pubblico ogni contributo superiore a 50 sterline!

Tutto ciò manca eppure le norme sulle lobbies sono efficaci solo se si introducono obblighi di trasparenza per chi decide. Non si può regolamentare solo una faccia della stessa medaglia. Qualche anno fa un illustre professore di diritto costituzionale, Tommaso Edoardo Frosini, così efficacemente scriveva: “in Italia il fenomeno lobbistico è stato pr aticamente ignorato non perché da noi le lobby non esistono – tutt’altro …- ma per la preoccupazione che la disciplina dei gruppi di pressione equivalga alla loro legittimazione, dunque una curiosa ritrosia a riconoscere che il Re è nudo“.

Ecco, a quanto pare i saggi si sono accordi di questo fatto e hanno deciso che è forse arrivato il tempo di confezionare un bel vestito al Re. Un vestito consono al suo rango di Re democratico e costituzionale. La speranza è davvero l’ultima a morire.

 

Pier Luigi Petrillo è professore di Teoria e tecniche del lobbying alla Luiss Guido Carli. Coordina l’Unità per la Trasparenza del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.

http://www.astrid-online.it/Forme-e-st/Rassegna-s/Petrillo_formiche_13_4_13.pdf

 

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