finanziamento – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Fri, 13 May 2016 14:04:46 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Regno Unito, il Lobbying Act 2014 scontenta ancora le ONG http://www.lobbyingitalia.com/2015/06/regno-unito-il-lobbying-act-2014-scontenta-ancora-le-ong/ Fri, 26 Jun 2015 13:10:11 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2837 Ci sono già molte proposte di riforma per la “relativamente nuova” normativa britannica sul lobbying.

Il Lobbying Act del Regno Unito, approvato a inizio 2014 con il royal assent della Corona, è stato definito “legge bavaglio” dalle organizzazioni “non-party” britanniche per aver previsto, nella seconda sezione (su tre: la dicitura completa è Transparency of Lobbying, Non-party Campaigning and Trade Union Administration Act 2014), misure molto restrittive sul finanziamento della politica nei loro confronti.

Anche la prima parte della regolamentazione, quella che riguarda la trasparenza delle lobby, ha deluso molto le aspettative prospettate dal governo Cameron: per prima cosa, le regole riguardano solamente i consultant lobbyists, ossia solo una minima parte dei lobbisti britannici, escludendo coloro che lavorano in-house presso le aziende maggiori, gli studi di consulenza legale o finanziaria e le fondazioni o associazioni. Inoltre, i pochi soggetti a registrazione non hanno grandissimi obblighi di trasparenza: nessun obbligo di rendere pubblici gli incontri, né il budget impiegato per le azioni di lobbying.

Sulla seconda parte, però, i soggetti interessati stanno proponendo degli emendamenti. La legge, infatti, ha imposto limiti molto bassi sul finanziamento della politica in fase pre-elettorale da parte delle associazioni di advocacy o delle ONG: 20mila £ in Gran Bretagna, e 10mila nelle altre parti del Regno Unito per ogni constituency. La Third Party Campaigning Review, a cura del Conservatore Lord Hodgson of Astley Abbotts, ha aperto negli scorsi mesi una consultazione pubblica che si è chiusa a inizio Giugno. Il prossimo step è un successivo questionario riservato ai soggetti interessati per presentare proposte in base a 33 argomenti, entro il prossimo mese di Luglio.

Secondo lord Hodgson, “sarà importante per il valore dell’inchiesta che aderiscano più soggetti politici da parte di tutta la società. Finora la review ha raccolto molto successo, e sarà importante che il lavoro fatto finora non vada perso. Spero che emergeranno dalla consultazione molti spunti”.

La review, prevista dall’art. 39 del Lobbying Act, è un istituto governativo che prevede il monitoraggio del processo elettorale subito dopo le elezioni. Il primo banco di prova si è avuto alle scorse elezioni politiche; il primo monitoraggio, in programma per il novembre 2016, potrebbe anche essere anticipato di diversi mesi. Molte organizzazioni, come la PRCA britannica, hanno già esposto la loro posizione in merito all’ultima campagna elettorale, in cui hanno avuto minore impatto sul finanziamento politico rispetto al passato, augurandosi che gli organi parlamentari competenti modificassero la norma.

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Donazioni online e sms: partiti disperati cercano soldi (Linkiesta) http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/donazioni-online-e-sms-partiti-disperati-cercano-soldi-linkiesta/ Tue, 02 Sep 2014 18:16:15 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2347 (Marco Sarti) Si avvicina la fine del finanziamento pubblico, ognuno si ingegna come può. Il caso americano

I dirigenti di Forza Italia hanno puntato tutto sul web. Per superare senza troppi traumi la riforma del finanziamento pubblico ai partiti, lo staff dell’ex Cavaliere ha studiato e messo in rete un apposito sito internet. L’home page è fin troppo esplicita. In basso, la grande fotografia di Silvio Berlusconi che stringe le mani ai suoi elettori. Poco più in alto, la richiesta di denaro. «Con la nuova legge mi hanno impedito di continuare a sostenere Forza Italia. Oggi ho bisogno dell’aiuto di chi, come te, condivide la mia “follia”». Antonio Palmieri, responsabile della comunicazione web del partito, non fa mistero di essersi ispirato a un sito di fundraising del presidente americano Barack Obama.

Dal web ai cellulari. Per intercettare la generosità dei militanti meno pratici di computer, i berlusconiani si affidano alle donazioni via sms. Una procedura prevista dall’articolo 13 della riforma – al momento non ancora applicato – che potrebbe aiutare a far quadrare i bilanci di Piazza San Lorenzo in Lucina. Nel frattempo il Partito democratico scommette sul 2X1000. È l’altra grande forma di finanziamento indiretto prevista dalla nuova legge. Il futuro dei dem passa da qui. «Anche perché oggi – racconta Antonella Trivisonno, giovane renziana e collaboratrice del tesoriere Francesco Bonifazi – il partito continua a dipendere per il 90 per cento dai finanziamenti pubblici». Dichiarazioni dei redditi e microdonazioni. La raccolta fondi alle feste democratiche un tempo era un’opportunità. «Presto – ammette – diventerà una necessità».

Intanto il conto alla rovescia prosegue inesorabile. La riforma voluta da Enrico Letta ridurrà i fondi pubblici ai partiti anno dopo anno. Dai 91 milioni del 2012 si passerà ai 22 milioni del prossimo anno. Fino a scomparire del tutto nel 2017. Al loro posto un sistema di donazioni fiscalmente incentivate – con un tetto di 100mila euro annui – e l’introduzione del 2×1000 che lascerà un rilevante potere di scelta ai cittadini. Stamattina i rappresentanti dei principali partiti ne hanno discusso a Roma in occasione dell’assemblea dei soci Ferpi, la Federazione Relazioni Pubbliche Italiana. Un’occasione per fare il punto sulle nuove forme di finanziamento alla politica – «Come associazione di categoria vogliamo offrire al sistema politico ed istituzionale spunti, informazioni e dati su cui fondare le nuove policy» spiega la presidente Patrizia Rutigliano – anche alla luce delle esperienze di altri Paesi. Quella statunitense in particolare.

In America, del resto, una recente sentenza della Corte Suprema ha praticamente tolto qualsiasi limite alle donazioni dei privati alla politica. Se prima la legge federale imponeva un tetto di 123mila dollari, ora il sistema permette ai donatori più generosi di finanziare candidati e comitati elettorali fino a quasi 3,5 milioni di dollari. Cifre da far impallidire il tetto di 100mila euro introdotto dal governo Letta.

Ecco perché la chiave di questo modello non può che essere la trasparenza. A confermarlo è uno dei lobbisti più influenti di Washington. Anthony Podesta, chiara origine italiana e, si dice, molto vicino alla Casa Bianca. Senza troppi giri di parole, il settimanale Newsweek lo ha semplicemente ribattezzato «the lobbyist». Fratello di John, stretto consigliere di Bill Clinton e di Obama, a scorrere i suoi principali clienti si finisce per ripassare buona parte della recente storia politica americana, da Ted Kennedy a George McGovern, fino a Michael Dukakis e lo stesso Clinton.

L’insegnamento di Podesta? Nel rapporto tra denaro e politica tanti paletti rischiano di essere controproducenti. «Perché i soldi sono come l’acqua – racconta citando due giudici della Corte Suprema – anche se provi a fermarli trovano sempre una via d’uscita». Certo, è impossibile evitare la presenza di troppi interessi attorno ai partiti. «In un paese moderno e democratico – ammette il lobbista americano – il governo prende decisioni importanti. E inevitabilmente c’è chi proverà a investire denaro per eleggere i politici che prenderanno quelle decisioni. I suoi soldi, proprio come l’acqua, troveranno sempre una via d’uscita». Ecco perché riformare il sistema introducendo procedure più stringenti non sempre funziona. «Le buone intenzioni non si trasformano necessariamente in buoni risultati. Specialmente quando il denaro incontra i politici». L’obiettivo primario diventa allora la trasparenza. «Le persone devono poter sapere da dove vengono i soldi, chi li prende e come vengono spesi».

Intanto negli Stati Uniti il costo delle campagne elettori cresce vertiginosamente. Un dato su tutti: alle ultime presidenziali tra Obama e Mitt Romney, i due avversari hanno raccolto la bellezza di un miliardo di dollari. Ciascuno. Il rischio che un ristretto gruppo di miliardari possa effettivamente controllare la politica è evidente. Anche per questo si impone la necessità di una sempre maggiore trasparenza. E se da noi la deriva oligarchica è ancora lontana – difficile controllare la politica con un tetto di 100mila euro – la chiarezza tra donazioni e partiti deve comunque rimanere un obiettivo primario. Il futuro della nostra politica passa dal fundraising? «Trasparenza e rendicontazione devono essere i punti irrinunciabili nella gestione del difficile rapporto tra denaro e politica» spiega il sottosegretario alla Semplificazione Angelo Rughetti. Non è più tempo di aspettare. Come auspica Andrea Romano, di Scelta Civica, entro questa legislatura possono essere approvate una legge sui partiti e una legge sulla rappresentanza di interessi.

Fonte: Linkiesta

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Berlusconi e la pubblicità: che c’entra il lobbying indiretto? http://www.lobbyingitalia.com/2014/01/berlusconi-e-la-pubblicita-che-centra-il-lobbying-indiretto/ Thu, 02 Jan 2014 08:21:32 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2061 Lo riporta uno lo studio dal titolo “Market-based Lobbying: Evidence from Advertising Spending in Italy”, pubblicato dal National Bureau of Economic Research degli Stati Uniti e ripreso da Repubblica.

Quando era presidente del Consiglio gli investimenti pubblicitari salivano, quando era all’opposizione calavano. Il guadagno di Silvio Berlusconi per gli spot trasmessi sulle reti Mediaset sarebbe, durante i diversi periodi di premierato tra il 1994 e il 2009, di un miliardo di euro.

Sarebbe questo il vero conflitto di interesse secondo il rapporto stilato da quattro economisti Stefano DellaVigna, dell’Università di California a Berkeley, Ruben Durante di Science Po a Parigi e Yale, Brian G. Knight della Brown University e Eliana La Ferrara della Bocconi di Milano, che hanno chiarito col conforto dei numeri come questo sia andato oltre la possibilità di usare il governo per favorire le proprie imprese.

I quattro però, parlano di lobbying indiretto, cioè “l’aumento della spesa in pubblicità sulle reti del premier da parte di gruppi di telecomunicazioni, del settore farmaceutico, della finanza o nell’industria dell’auto, per ingraziarsi Berlusconi e spingere il governo a prendere decisioni convenienti per loro“, scrive Repubblica.

Che c’entra il lobbying indiretto?

Una definizione però quella di lobbying indiretto (grassroots lobbying), che lascia perplessi. Il grassroots lobbying (o appunto indirect lobbying) è infatti l’attività di lobbying portata avanti con l’intenzione di influenzare il processo di decision-making. Esso differisce dal lobbying diretto perché portato avanti coinvolgendo il pubblico – in senso ampio -, intere comunità o gruppi sociali, nell’attività di influenza/pressione sui legislatori.

Nello studio invece si parla di acquisto di pubblicità sulle reti Mediaset da parte di gruppi nei settori regolamentati, sottolineando il fatto che negli anni in cui Berlusconi è al governo le cifre siano in continuo aumento, con in corrispondente calo sulle reti Rai. Secondo i quattro economisti le banche, compagnie assicurative o società di telefonia avrebbero così tentato di accattivarsi il favore dell’ormai senatore decaduto, comprando più spot (o spot più costosi) sulle sue reti. Un’affermazione che chiaramente esclude ogni classica attività di lobbying, e tanto meno qualsiasi coinvolgimento della comunità.

L’investimento pubblicitario aggira gli obblighi di trasparenza del finanziamento ai partiti, ma può rivelarsi molto efficace” dice Ruben Durante da Yale, uno dei quattro economisti che ha lavorato allo studio.

La relazione tra la quota di inserzioni riservata a Mediaset, rispetto alla Rai, e i mandati di governo del centrodestra balza subito all’occhio. In particolare si è impennata dal 62% al 66% con la discesa in campo del Cav nel 1994; salita al 69% con la legislatura partita nel 2001; poi scesa durante l’esecutivo di Romano Prodi fino al 2008 e risalita fino al 70% quando Berlusconi è tornato al governo nella scorsa legislatura.

Illecito finanziamento?

L’acquisto di pubblicità sulle reti Mediaset da parte di gruppi nei settori regolamentati, quelli cioè che dipendono maggiormente dalle scelte del governo nazionale (a esempio le assicurazioni, la farmaceutica, i media e l’editoria e l’auto) sarebbe quindi cresciuto in maniera inequivocabile proprio negli anni nei quali Berlusconi è stato al governo.

Sorprende però che quattro studiosi di tale livello non abbiano avuto il coraggio di utilizzare le giuste categorie per quelle che sono comunque delle accuse, e che non hanno molto a che fare col lobbying, tanto più con quello indiretto. Il tema dello studio infatti, rileva più rispetto all’eventuale aggiramento delle norme sul finanziamento dei partiti, e sarebbe interessante se oltre un freddo studio sui numeri ci fosse un’approfondita inchiesta giornalistica a capire se dietro certi aumenti di spesa ci sia stato altro.

Visti i risultati di questo studio, forse sarebbe il caso che il Decreto legge sul finanziamento dei partiti in corso di conversione possa possa essere occasione di riforma oltre che del rapporto tra soldi e politica anche per regolamentare l’attività di lobbying, diretta o indiretta, visto e considerato che sono passati mesi da quando il governo Letta ha fallito nel tentativo di dare un quadro regolamentare al lobbying. Il tutto sperando che magari almeno i professori universitari nel frattempo inizino ad utilizzare la terminologia giusta.

Scarica lo studio SSRN in pdf

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Georgia, al via i nuovi limiti per i lobbisti http://www.lobbyingitalia.com/2014/01/georgia-al-via-i-nuovi-limiti-per-i-lobbisti/ Wed, 01 Jan 2014 18:14:48 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2050 Dopo una lunga discussione, durata per gran parte della sessione legislativa, è entrata in vigore oggi la riforma della normativa sul lobbying nello stato della Georgia (USA), e più in generale una serie di spetti connessi all’etica pubblica. La scadenza delle vecchie norme ieri ha consentito a molti deputati di ricevere grossi regali dell’ultimo minuto.

Tra le nuove previsioni approvate dall’assemblea statale, vi è la previsione di limiti di spesa per i lobbisti, anche se rimangono numerose questione in relazione all’applicabilità della norma.  La State Ethics Commission avrà il compito di interpretare la norma e fissarne le linee guida per il rispetto, un processo questo che però potrebbe prendere mesi

Secondo le nuove norme, i lobbisti non potranno spendere più di $75 per volta (ad es. per cene, eventi sportivi, ecc.), mentre sino a ieri non esistevano limiti. Ma una previsione del genere lascia ampio spazio ad elusioni, visto che, ad esempio, non vi rientrano gli eventi in cui sono ospitati  gruppi alla presenza di membri (anche solo invitati) della General Assembly. inoltre, il tetto di $75 ricade sui lobbisti, e non sui deputati, e sicuramente è probabile che un lobbista si faccia accompagnare per dividere la spesa e superare il limite previsto.

La norma sul lobbying in Georgia risale nell’ultima versione al 2011, all’interno di una regolamentazione generale relativa al finanziamento della politica. Essa definisce lobbista ogni individuo pagato o che spenda almeno $1.000 l’anno nel cercare di influenzare soggetti pubblici, prevedendo però tutta una serie di esclsuioni e limiti (ad es. se si è convocati, o si lavora su gare d’appalto, ecc.). In sintesi, lo spirito della norma è quello di gettare luce su tutti i rapporti tra privati e amministrazione.

Previsto un registro (con tassa annua di $300) e sanzioni (fino a $1.000 per i ritardi nell’aggiornamento dei dati, $2.000 per false dichiarazioni) che possono arrivare sino all’esclusione dal registro stesso. Ai lobbisti tocca poi la redazione di una rapportistica periodica accurata. Previsto anche un limite alla revolving door per un anno per gli ex funzionari pubblici.

Interessante anche la nuova norma imposta ai vendor, che entro l’1 febbraio 2014 dovranno presentare una dichiarazione relativa ai regali fatti ad impiegati della pubblica amministrazione nel caso sia stato superato il tetto complessivo di $250.

Le norme della Georgia arrivano dopo anni di critiche alla general Assembly, che avevano visto lo Stato del sud precipita all’ultimo posto della classifica dell’Integrity Index redatta dal Center for Public Integrity.

 

 

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Zanetto: Per le aziende meglio finanziare il lobbying che la politica http://www.lobbyingitalia.com/2013/07/zanetto-per-le-aziende-meglio-finanziare-il-lobbying-che-la-politica/ Thu, 25 Jul 2013 11:44:51 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1744 È un lobbista, Paolo Zanetto, 34 anni, comasco. Avvocato bocconiano, nel 2005 ha aperto uno studio con Alberto Cattaneo e oggi, con 21 addetti fra Milano, Roma e Bruxelles, sono la società di lobbying leader in Italia, con 3,4 milioni di fatturato nel 2012. «In crescita per il 2013», dice soddisfatto.

Da anni rappresenta i legittimi interessi di aziende in diversi settori, dall’energia ai trasporti, dalla salute alla tecnologia. Con trasparenza, essendosi persino dotato di un auditing (controllo) esterno, codice etico, e modello organizzativo in base alla legge 231/2001, quella sulla responsabilità amministrativa delle società. Essendo lobbying e finanziamento della politica, di cui si torna a parlare, parenti stretti, gli abbiamo rivolto qualche domanda.

Domanda. Del finanziamento alla politica si parla, perlopiù dell’abolizione di quello pubblico.

Risposta. Si dovrebbe invece parlare di più di trasparenza, che è la parola chiave, perché ce n’è un dannato bisogno. Da tutti i lati. Infatti è stato importante che il governo abbia annunciato due riforme in parallelo: quella del finanziamento e quella per regolare le lobbies.

D. Perché?

R. Perché si tratta di due pilastri dello stesso edifico. Se si vuole recuperare un rapporto, laico e sereno col tema del costo della democrazia, riconoscendo appunto che un costo c’è, bisogna chiudere col sistema opaco che ha governato sin qui.

D. Regolare, in Italia, si traduce sempre con un’espressione: «Mettere lacci e lacciuoli»…

R. No, si tratta appunto di introdurre regole, non di avere l’ansia di correre a porre tetti a destra e a manca. Laddove c’è la tangente che passa di mano in mano, o c’è una busta di contante, il tetto non c’è e siamo, appunto, nell’illegalità.

D. Trasparenza, in questo caso cosa significa?

R. Significa dare a chiunque, cittadino, giornalista, osservatore civile, agli watch dog, come dicono negli States, gli elementi per capire quanto il politico di turno sia influenzato da soldi del privato. Devono essere chiare le interazioni fra donatori e politici. Ci sono organizzazioni, negli Stati Uniti che hanno creato piattaforme, come MapLight.org, in grado di incrociare i finanziamenti ai singoli membri del Congresso e la loro attività legislativa. E poi, naturalmente, ci vuole la trasparenza del lavoro lobbying.

D. In Italia si parla molto del finanziamento, complice quel tweet di Letta che annunciava l’accordo per la sua abolizione, anche se la strada, come vediamo, è un po’ più lunga. Della legge sulle lobbies, invece, si sa poco_

R. È stata esaminata in Consiglio dei ministri, ma non ancora approvata. Si parla di un registro pubblico su modello di quanto avviene a Bruxelles e della necessità di dichiarare per conto di chi si opera, con quale tipo di finanziamento, su quali temi, e nei confronti di quali decisori. Modello che funziona bene all’estero e non si vede perché non possa farlo anche da noi. Questo modello consentirebbe di mettere a disposizione in formato grezzo, secondo il principio degli «open data», (dati aperti, ndr), cioè la rivoluzione che i governi e la politica stanno affrontando e che sta permettendo, altrove, le mille idee intelligenti, come quella già citata.

D. In un suo recente paper pubblicato per l’Istituto Bruno Leoni, di cui lei fa parte, lei osserva che sin qui il finanziamento privato alla politica sia stato poco praticato dalle aziende e che sia un fatto più di singoli privati…

R. Sì. I dati ufficiali sulle dichiarazione dei redditi 2012 dimostrano che dei 43,6 milioni di donazioni private alla politica solo 6,3 milioni provenivano dalle imprese e cioè il 14% del totale. La gran parte, cioè 37,3 milioni venivano da 14mila singoli cittadini che hanno versato mediamente 2.700 euro a testa.

D. Perché le aziende donano così poco?

R. Come negli Stati Uniti, le imprese sanno che il finanziamento per «comprare» influenza serve a poco. Pensi che nel 2000, quando negli Usa fini al fotofinish fra George W. Bush e Al Gore, furono raccolti 3 miliardi di dollari quando, appena lo 0,1% di quello che il governo federale spese quell’anno: 2,6 trilioni di dollari. E una ricerca dell’Mit, del 2003, mostra come le donazioni siano notevolmente limitate rispetto al valore dei settori dove le aziende operavano.

D. Per esempio?

R. Le aziende del settore difesa versarono in quegli anni 13,2 milioni ai politici e gli investimenti del Pentagono furono 134 miliardi, un rapporto uno a 10mila. Semplicemente le aziende donano pochissimo e usano quei danari per ottenere un po’ della visibilità di cui i singoli politici godono, essendo diventati autentiche celebrità televisive..

D. Che significa?

R. Che negli Stati Uniti si preferisce investire molto più nel lobbying perché tra l’altro, sempre in base ai medesimi studi, si è visto che, per la pressione e il controllo della pubblica opinione, grazie alla trasparenza, può accadere che i politici finanziati finiscano anche per votare diversamente dai desiderata dei loro finanziatori, come è accaduto nel Tobacco Control Act: il senatore texano John Cornyn, pur avendo ricevuto 785mila dollari dalle aziende del settore, ha votato a favore. Capita di continuo, in tutti i settori industriali.

D. Quindi, lei dice, le aziende anche in Italia non donano per lo stesso motivo?

R. Esatto. Non si «compra» influenza. Viceversa la si può costruire in maniera competente e trasparente con le società di lobbying.

D. E chi donerà, allora, se passeremo al nuovo sistema?

R. La politica dovrà puntare sulle persone che si mobilitano, come i tre milioni che hanno partecipato alle primarie del centrosinistra, molti senza essere iscritti al Pd o agli altri partiti di quella coalizione, o ai tanti che partecipano alla vita del M5s. È un problema culturale: finché resta il finanziamento pubblico, questo potenziale di donazioni non si libera.

D. Anche se proprio alle primarie del centrosinistra, la campagna di Renzi, con tantissimi micro donazioni, ha mostrato che cosa potrebbe derivare.

R. Ma sì bisogna immaginare dei cittadini appassionati che, in un momento di grande partecipazione, donano i 30-40-50 euro.

D. E le imprese e i loro legittimi interessi?

R. Fatti valere verso la politica, in maniera regolata e trasparente, attraverso soggetti, le lobby, a loro volta pubblici e trasparenti.

 

Fonte: Goffredo Pistelli, ItaliaOggi

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IBL – Finanziamento alla politica, lobby e trasparenza http://www.lobbyingitalia.com/2013/07/finanziamento-alla-politica-lobby-e-trasparenza/ Wed, 24 Jul 2013 11:58:01 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1748 Non sono tanto le leggi o i ‘lacci’ ai donatori che creano un sistema politico sano. Quello che fa la differenza nella qualità del processo di policy making è la forza vincolante dei watchdog.

La proposta di iniziativa governativa di abolire il finanziamento pubblico diretto dei partiti ha nuovamente acceso i timori circa l’influenza degli interessi particolari sugli eletti, riaprendo un dibattito non particolarmente originale sui contributi privati all’attività dei partiti.

Nel focus “Investire in democrazia. Finanziamento alla politica, lobby e trasparenza” (PDF), Paolo Zanetto, fellow onorario dell’Istituto Bruno Leoni – ricorda che “non sono tanto le leggi o i ‘lacci’ ai donatori che creano un sistema politico sano – una bustarella in contanti sarà sempre data al di fuori di qualsiasi regola. Quello che fa la differenza nella qualità del processo di policy making è la forza vincolante dei watchdog.”
Ciò che manca – prosegue Zanetto – è un vero clima di trasparenza e accountability, che consenta effettivamente all’elettore di prendere atto dei rapporti economici tra politica e imprese – e di come questo influenzi le scelte degli eletti, nel processo di policy-making. I watchdog non mancano, anche in Italia. Hanno solo bisogno di strumenti”.

Il Focus “Investire in democrazia. Finanziamento alla politica, lobby e trasparenza” di Palo Zanetto è liberamente disponibile qui (PDF).

 

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La bolla subrime colpa dei lobbisti? http://www.lobbyingitalia.com/2009/06/la-bolla-subrime-colpa-dei-lobbisti/ Mon, 01 Jun 2009 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2009/06/la-bolla-subrime-colpa-dei-lobbisti/ Nel corso dell’ultimo decennio i 25 principali emittenti di titoli subprime hanno speso 370 milioni di dollari in attività di lobbying allo scopo di tenere alla larga qualsiasi provvedimento di regolamentazione del settore. Lo ha rivelato il Financial Times citando uno studio condotto dal Center for Public Integrity (CPI), un’organizzazione no profit attiva nel giornalismo d’inchiesta.

La vicenda assume contorni ancora più inquietanti di fronte alla scoperta dei nomi delle grandi eminenze grigie della situazione. Le 25 società in questione, oggi quasi tutte fallite, appartenevano o erano largamente finanziate dalle maggiori banche del Paese: Citigroup, Goldman Sachs, Wells Fargo, JPMorgan e Bank of America. Tutte insieme le prime 25 banche USA coinvolte nei mutui subprime avrebbero speso negli ultimi 10 anni la bellezza di $370 milioni in attività di lobbying per influenzare la regolamentazione del proprio settore.

L’aspetto più inquietante, ovviamente, risiede nel fatto che queste ultime sono oggi le principali beneficiarie del pacchetto di fondi statali (leggasi dei contribuenti) da 700 miliardi di dollari. “Sono stati i loro contributi sfrenati e la loro massiccia attività di lobbying a creare quella mancanza di regolamentazione e di supervisione che ha portato alla crisi” ha affermato il direttore dell’indagine di CPI Bill Buzenberg.

Si calcola che nel triennio 2005-07 le top 25 abbiano emesso da sole circa 1 trilione di dollari di titoli subprime, più o meno il 75% del totale. In cima alla lista dei 25 c’è Countrywide Financial, che ha messo in circolo 97 miliardi di dollari in titoli subprime, e oggi controllata da Bank of America.

Con 11 milioni di dollari di donazioni tra il 1998 e il 2008, Countrywide è stata una delle società più attive nel lobbismo e nei contributi elettorali. Non bisogna dimenticare, nota il Financial Times, che nell’ultimo decennio l’intera industria finanziaria americana ha elargito 2,2 miliardi di dollari ai candidati presidenziali. Tra i principali beneficiari George W. Bush e Barack Obama che ha intascato 14 milioni di contributi proprio dagli operatori di Wall Street.

Franco Spicciariello – LI.Info

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