ferpi – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Lobby, per società norme necessarie. E sul registro c’è l’ok (PublicPolicy) http://www.lobbyingitalia.com/2015/02/lobby-per-societa-norme-necessarie-e-sul-registro-ce-lok/ Wed, 11 Feb 2015 07:52:44 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2713 I pareri di Ferpi, SEC, Il Chiostro, FB & Associati e Open Gate Italia

Regolamentare il settore, in maniera semplice e chiara per ottenere risultati concreti e non solo per aumentare la burocrazia. È un quadro articolato quello sulle lobby che esce dal ciclo di audizioni in commissione Affari costituzionali al Senato sul ddl “Disciplina dell’attività di rappresentanza di interessi particolari nelle relazioni istituzionali” in cui, però, abbondano i punti in comune. Sul registro obbligatorio tutti sono d’accordo (anche se con qualche sfumatura diversa), mentre emerge qualche distanza sulla gestione delle cosiddette ‘revolving door’, cioè il passaggio tra pubblica amministrazione e società di rappresentazione di interessi.

REGISTRO OBBLIGATORIO: OK QUASI UNANIME

Ferpi, Sec, il Chiostro, FB & Associati e Open Gate Italia, concordano sull’obbligatorietà del Registro a cui i portatori di interesse devono iscriversi, così come stabilito dal ddl. L’unica sfumatura è quella di Reti, per cui il Registro dovrebbe essere volontario e prevedere meccanismi di premialità. Secondo Sec, invece, per le società di consulenza il Registro dovrebbe essere ancora più ‘stringente’ perchè queste dovrebbero pubblicare anche i nominativi dei clienti per i quali svolgono l’attività e dei relativi compensi. Per il Chiostro, l’iscrizione dovrebbe essere consentita solo a chi rispetta determinati requisiti di onorabilità, mentre per FB dovrebbe essere accompagnato da un codice deontologico da sottoscrivere.

Anche per Open Gate gli iscritti al Registro dovrebbero essere tenuti al rispetto di un codice deontologico di condotta che possa rappresentare una codificazione di quelle best practices che i rappresentanti, ma anche i decisori pubblici, dovranno seguire. Molti rappresentanti hanno poi espresso la necessità che anche le associazioni di categoria, come sindacati, Confindustria o l’Anci, siano comprese, e quindi regolati, come portatori di interessi. Quasi unanime anche la necessità che il Registro sia unico e non diviso per amministrazioni.

INTERVENTO NORMATIVO NECESSARIO

Su un punto tutte le società di lobbying si sono espresse all’unanimità: un intervento normativo è ormai necessario. L’opportunità fornita dal ddl all’esame della commissione è quella di superare un vuoto normativo, si legge nel documento depositato da Reti. “È importante raggiungere una regolamentazione completa ed esaustiva del settore perché una legislazione chiara permette di favorire la trasparenza e ridurre comportamenti opachi che danneggiano la classe politica e i cittadini”, è il punto di vista di Sec. “È opportuno che il disegno di legge valorizzi il ruolo delle società di consulenza come ‘rappresentanti di interessi particolari’ che spesso permettono anche a soggetti che non sono in grado di agire singolarmente, ad esempio perché di piccole dimensioni, di poter presentare direttamente le proprie proposte. Ai fini del ddl è rilevante – spiega ancora il documento – che vengano considerati decisori pubblici non solo parlamentari e relativi staff, ministri e uffici di diretta collaborazione, dirigenti generali dei ministeri, ma anche le Autorità indipendenti e i rappresentanti delle Amministrazioni locali“. Regolare per raggiungere una maggiore trasparenza è un concetto sottolineato da tutte le società. Ferpi e Sec, per esempio, sottolineano il ruolo delle consultazioni per un maggior coinvolgimento trasparente dei portatori di interesse.

REVOLVING DOOR: PROBLEMA RISOLVIBILE

Il tema del passaggio da ruoli di decisori pubblici a quello di portatori di interessi, non è un tema trattato dal ddl 281, ma è comunque uno degli argomenti sensibili per regolare il settore delle lobby. Per Ferpi è “necessario limitare il fenomeno delle ‘revolving doors’ per garantire trasparenza e parità di accesso e limitare viceversa i casi di concorrenza sleale”. Il Chiostro propone una finestra di 2-4 anni prima del passaggio da un ruolo pubblico a quello di lobby, mentre per Ogi sono sufficienti due anni. C’è poi chi, come Reti, non ritiene quello delle ‘revolving door’ un problema, ma un tema da affrontare, e risolvere, in chiave di conflitto di interessi.

È LA VOLTA BUONA?

I senatori hanno dimostrato molti interesse ai rilievi mossi dalle associazioni e dalle società, riferiscono alcuni partecipanti all’audizione. “Servono norme semplici, efficaci e durature”, sottolinea Patrizia Rutigliano, presidente Ferpi. “Abbiamo espresso questi concetti e i senatori li hanno fatti propri dimostrando la volontà di proseguire il lavoro intrapreso”, aggiunge.

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“Lobbying all’italiana”: il rapporto di Transparency International alla Camera http://www.lobbyingitalia.com/2014/11/lobbying-allitaliana-il-rapporto-di-transparency-international-alla-camera/ Wed, 05 Nov 2014 12:13:13 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2653 La presentazione del rapporto della sezione italiana di Transparency International “Lobbying all’italiana“, presso la Sala della Mercede della Camera dei Deputati, è stata l’ultima occasione di confronto e analisi del sistema lobbistico italiano per professionisti del settore e mondo politico.

I risultati del rapporto: bassi livelli di trasparenza, partecipazione, integrità

Il rapporto (qui il link), annunciato negli scorsi giorni, è stato elaborato da un team tutto italiano composto da professionisti del settore (lobbisti, comunicatori, professionisti del public affairs e delle relazioni istituzionali, tra cui Gianluca Sgueo e Francesco Macchia), esponenti del mondo accademico e membri italiani di Transparency International, ONG sempre attiva sul tema della lotta alla corruzione e della trasparenza che sta portando avanti un progetto di analisi dei sistemi lobbistici di tutti (o quasi) i sistemi europei (atteso per inizio 2015 il report comparativo finale dei 18 ordinamenti analizzati, chiamato “Lifting the Lid on lobbying“, cofinanziato dalla Commissione Europea).

Come per gli altri Paesi precedentemente analizzati, la conclusione dell’organizzazione è stata netta e impietosa: l’Italia necessita urgentemente di una regolamentazione del lobbying e si trova tra i Paesi con il più basso livello di trasparenza in base ai parametri utilizzati. Chiara Putaturo, membro del team di studio assieme a Susanna Ferro e Davide Del Monte per Transparency, ha illustrato i risultati della ricerca, in particolare riferendosi alla valutazione di tre principali indicatori.

Livello di trasparenza, 11%: livello bassissimo, che si spiega per l’assenza di un registro (presente in Italia solo nell’esperienza – ormai conclusa – del MIPAAF o – assai confusamente – a livello regionale). Il “decreto trasparenza” del 2013 ha avvicinato i cittadini alle istituzioni grazie alle previsioni sugli Open Data, ma sia il suo uso, che la sua applicazione, che la sua diretta fruibilità appaiono limitati.

Livello di integrità, 27%: emerge la necessità di codici etici adeguati per lobbisti e decisori. Attualmente, esiste un Codice etico per funzionari statali, mentre per i lobbisti si possono registrare solo le iniziative di Ferpi e de Il Chiostro, le principali associazioni di categoria del settore.

Ultimo indicatore, il livello delle pari condizioni d’accesso, 22%: in Italia sono previste dai regolamenti parlamentari delle consultazioni, che però risultano spesso informali, e per di più la consultazione dei gruppi non è bilanciata da regole che permettano la fruibilità dei risultati di audizioni o studi presentati ai decisori. Risultato finale: 20%.

In effetti, basterebbe citare una ricerca del Global Corruption Barometer del 2013 per comprendere la necessità di una regolamentazione: il 70% cittadini in Italia ritiene che poteri siano corrotti: ciò testimonia che i cittadini conoscono il fenomeno ma lo ritengono opaco. TI Italia definisce il lobbying come “qualsiasi forma di comunicazione da parte di un gruppo di pressione verso decisori per influenzare il processo decisionale”. Il problema essenziale è di natura culturale: più di 50 proposte legislative presentate nell’ultimo mezzo secolo non sono andate a buon fine, e hanno portato, secondo il rapporto, a un tipo di lobbying “ad personam” legato più a rapporti personali che alla discussione di contenuti, e alla convinzione che la figura del lobbista fosse affine a quella del faccendiere o massone. Il Registro Europeo per la Trasparenza è uno dei pochi strumenti in cui è possibile tener conto dei lobbisti che hanno sede in Italia (612 nell’ottobre 2014), ma il carattere volontario e non onnicomprensivo del Registro rende questo dato inconsistente. Il report contiene, infine, delle concrete proposte da parte di TI: un registro pubblico obbligatorio per lobbisti gestito dall’Autorità anticorruzione o dalla Presidenza del Consiglio; la trasparenza dell’iter legislativo; la pubblicità degli incontri e il controllo degli accessi ai decisori politici; un Freedom Of Information Act (con diritto di accesso agli atti pubblici); una regolazione del fenomeno delle revolving doors; un codice etico per i lobbisti (o l’attuazione di linee guida nazionali per la categoria); la tutela e l’indipendenza dei giornalisti, destinando in particolare maggiori risorse e tutele giudiziarie per giornalismo d’inchiesta e indipendente, per ostacolare il fenomeno dei giornalisti “parziali” nei confronti di eventuali finanziatori.

Ben più interessante il riscontro che l’analisi ha poi trovato nel confronto con esponenti, da un lato, del mondo politico e, dall’altro, dell'”industria” del lobbying italiano.

Il mondo politico: ottimi auspici, qualche imprecisione, poca determinazione

Il Sottosegretario di Stato al Ministero delle Riforme costituzionali e Rapporti con il Parlamento, Ivan Scalfarotto, ha considerato tre punti di forza del gruppo che fa lobbying: autorevolezza sociale del gruppo che preme (che deriva dalle maggiori risorse a disposizione, dal maggiore consenso di base o dalla maggiore professionalità sul campo); competenza specifica in un settore (in quanto spesso il lobbista ne sa più del decisore generalista); accesso privilegiato alle sedi delle decisioni (in due modi: conoscenza personale dei decisori maturata con esperienze precedenti; dimestichezza con le procedure decisionali e facilità nell’accesso ai luoghi di decisione). Scalfarotto ha individuato due problemi del fenomeno lobbying: la tenuta dei decisori, ossia la capacità di esporsi e documentarsi sull’argomento; la trasparenza dei lobbisti. Il Governo auspica, da parte propria, una rapida discussione sui ddl in esame alle camere. Punti focali dell’analisi di TI sono la “legge Severino”, che ha previsto piani anticorruzione da mandare a Cantone da parte degli attori pubblici; la statistica sui lobbisti in Italia, la cui attività è concentrata più sulla legislazione di settore che su affari generali e bilancio; la connotazione negativa dei lobbisti in Italia a causa essenzialmente dell’assenza di legislazione.

Anna Masera, responsabile della comunicazione per la Camera dei Deputati, ha espresso un monito sulla richiesta di trasparenza generica portata avanti negli ultimi tempi: secondo la sua opinione, spesso un resoconto scritto dei lavori di una Commissione è uno strumento migliore, più autorevole e professionalmente meglio fruibile di una diretta streaming dei lavori parlamentari, che forse presterebbe il fianco a strumentalizzazioni politiche inficiando la correttezza del processo decisionale.

Il viceministro per le Infrastrutture e i Trasporti e segretario nazionale del Partito Socialista Riccardo Nencini (autore, in particolare, della legge toscana sulle lobby all’epoca del proprio incarico come Presidente del Consiglio regionale),  ha annunciato piccoli passi avanti in materia di regolamentazione delle lobby in seno alle istituzioni nazionali: oltre alla presentazione di un coraggioso emendamento allo Sblocca Italia non ammesso (portato avanti dai deputati del Gruppo Misto – Partito Socialista Italiano (PSI) Pastorelli, Di Lello e Di Gioia), attualmente la Commissione competente del Senato (Commissione 1°, Affari Costituzionali) sta lavorando ai vari ddl sull’attività di rappresentanza di interessi (A.S. 281); inoltre, il 3 novembre scorso il Quirinale ha varato la legge delega sul Codice degli appalti che prevede la parola “gruppi di pressione/lobby” su una legge nazionale per la prima volta. Nencini si è concentrato su diverse questioni riguardanti il lobbying. Il tema decisivo, tralasciato da TI Italia, è la relazione tra gruppi di pressione e alti dirigenti dello Stato, non considerati (erroneamente) influenti quanto i decisori politici. Spesso, infatti, all’interno della struttura amministrativa dei dicasteri sono presenti decision makers più incisivi di chi occupa posizioni politiche pubbliche. Altro tema “caldo”: l’ipocrisia italiana, figlia di una cultura decennale (di stampo “cattocomunista”) che fa sì che ciò che appartiene al mondo del profitto sia nascosto. È la ragione madre per la quale, secondo Nencini non c’è ancora legge sulle lobby. C’è grande difficoltà, nella cultura italiana, di distruggere il campo dell’opacità, attraverso meccanismi presenti in altri ordinamenti. Fondamentale poi è anche l‘individuazione del campo semantico in cui inscrivere l’attività di lobbying: non si tratta solo di combattere meglio la corruzione. Il codice degli appalti è scritto soprattutto per dare efficienza, certezza, semplicità per la realizzazione di opere pubbliche e evitare costi eccessivi. Ulteriore questione urgente riguarda i partiti politici: in Italia non ci sarà più, nei prossimi anni, finanziamento pubblico ai partiti: l’urgenza è di avere maggiore trasparenza per comprendere i fenomeni di fundraising, in particolare il crowdfunding, che nei prossimi mesi si succederanno sul modello anglosassone. Infine: sarà importante offrire opportunità uguali in trasparenza e partecipazione: in particolare, va ridiscusso il rapporto di fiducia, ultimamente degenerato negli ultimi atti del Governo Renzi, molto spesso arrivati alla discussione alle Camere senza poi l’effettiva possibilità di modifiche al testo discusso.

Sono intervenuti alla discussione anche esponenti dell’opposizione all’attuale Governo, l’uno “esterno al partito” (il vicepresidente della Camera per il MoVimento 5 Stelle Luigi Di Maio) e l’altro “interno” (Giuseppe “Pippo” Civati) al partito che detiene l’attuale maggioranza parlamentare, il PD.

Di Maio ha ribadito la necessità, espressa già durante le discussioni sulla Legge di Stabilità 2014 e ribadita in occasione della conferenza con la promessa di documentare con foto “l’assalto alla diligenza” per la discussione della Stabilità 2015, di una maggiore regolamentazione degli accessi ai locali della Camera; si è però detto d’accordo sul che le lobby non siano il male, ma uno strumento fondamentale nel processo decisionale. Di Maio ha però dimostrato scarsa dimestichezza con il termine “lobbista”, forse a causa della ritrosia culturale che spesso porta a definire le “lobby” come esponenti del potere occulto e cattivo, e a confonderle con le attività portate avanti da altri soggetti, spesso definiti da stampa e politica come faccendieri (tirando in ballo anche, erroneamente, la vicenda-Scarpellini).

politiciTra le proposte, quella di sfruttare il principio dell’autodichia (spesso utilizzata dalla Camera e dal Senato per dichiarare illegittimo qualsiasi provvedimento che regolasse le due istituzioni, che detengono la competenza assoluta sull’argomento) per regolamentare l’accesso alle Camere direttamente nei regolamenti parlamentari, e in particolare vietare o registrare l’accesso di chi, in qualità di giornalista parlamentare o ex parlamentare o, ancora, invitato su discrezione di personale delle Camere o parlamentari, ha maggiori opportunità di influenzare il decisore rispetto a chi non possiede gli stessi strumenti di relazione. In realtà, a detta del vicepresidente della Camera, non è stato ancora messo all’ordine del giorno un provvedimento in materia (“per cui basterebbe il parere positivo di sole 20 persone nell’ambito della Presidenza della Camera”), ed è ravvisata una volontà politica rimasta inespressa all’interno del Parlamento.

Civati si è detto d’accordo ad attribuire il controllo dell’eventuale registro dei lobbisti all’antitrust, piuttosto che all’autorità anticorruzione, per dare sin dall’inizio un’immagine positiva all’attività di lobbying; si è detto altresì favorevole a regole di trasparenza per i politici. Non si è però mostrato fiducioso sul Governo (che non ha in programma un’iniziativa diretta, il che fa presupporre l’indisponibilità a produrre sul tema un decreto legge, attualmente principale fonte di produzione di norme in Italia), ponendo l’accento sulla questione della “disintermediazione” e del mancato bilanciamento tra Governo e Parlamento.

I lobbisti: bisogno di regole per crescere in autorevolezza

tavolo lobbistiLa parola è poi andata ai lobbisti, e in particolare ai rappresentanti delle due maggiori associazioni di settore: Giuseppe Mazzei, presidente de Il Chiostro – per la trasparenza delle lobby, e Patrizia Rutigliano, di FERPI.

Mazzei, nel ricordare che la propria associazione è stata tra le prime a proporre un codice etico volontario per chi esercita attività di pressione, ha specificato che la normativa sul lobbying non significa necessariamente anticorruzione, ma piuttosto partecipazione e miglioramento della qualità della normazione. “Se non c’è regolamentazione è colpa di lobby “occulte”, come quelle burocratiche. Va bene che vigili l’autorità anticorruzione, ma quando il legislatore si è occupato di questo ha realizzato un reato, il “traffico di influenze illecite”, rivelatosi una norma che è interpretabile troppo largamente e quindi inutile. Infatti, non si spiega cosa sia “indebitamente” e cosa sia illecito”, le sue parole. Mazzei si aspettava la diretta applicazione da parte del Governo di nuove regole sul lobbying, come contenuto del DEF 2014. Altro punto importante da affrontare è la lotta ai conflitti di interesse, in particolare all’accesso indebito di soggetti che rappresentano interessi privati in modo opaco (ex parlamentari, giornalisti). Ulteriore questione su cui focalizzarsi, infine, è il finanziamento della politica: “Deve essere chiaro che il finanziamento non è un corrispettivo per poi avere una decisione favorevole. Otto anni fa Il Chiostro ha applicato un codice etico per evitare di utilizzare il finanziamento come strumento di lobbying. Tutti gli iscritti lo devono rispettare. I lobbisti non sono quelli che fanno relazione, ma trasmettono contenuti, e una regolamentazione eviterebbe il lobbismo di relazione. Inoltre, le sanzioni devono essere non penali, ma pecuniarie e disciplinari. Il codice etico deve far parte della regolamentazione, con norme severissime per l’immagine dei lobbisti e del Paese. E qui richiamo anche i giornalisti: presentare le lobby come negative è lesivo per la cultura dell’Italia”.

Patrizia Rutigliano, presidente di FERPI, associazione che riunisce comunicatori e lobbisti, afferma che “anche la comunicazione finanziaria deve essere regolamentata per evitare generalizzazioni negative. Sono attività che servono per promuovere valori delle aziende. Aziende e PA spesso vanno insieme, per quanto riguarda i rapporti di consulenza. La regolamentazione deve tenere conto di tutti gli attori: ONG, sindacati, politici, aziende, associazioni. L’autorità super-partes non deve essere l’anticorruzione, perché ha la tendenza a bloccare ciò che si sviluppa, e porterebbe a distorsioni come il reato di traffico di influenze. Necessarie accountability e trasparenza, ma attenzione a quest’ultimo concetto: mettere tutto sul sito web in maniera disequilibrata può essere nocivo. A volte non si possono rendere pubblici elementi strategici dell’azienda, soprattutto per società quotate. Lo studio sulla regolamentazione deve contenere tutte le norme presentate dai parlamentari, ma bisogna ascoltare tutti i portatori di interessi per avere un’idea onnicomprensiva del fenomeno”.

Gianluca Comin, comunicatore, giornalista, lobbista, durante la propria carriera ha avuto modo di approfondire tutti gli aspetti del lobbismo italiano. Secondo Comin la regolamentazione della materia è necessaria per tre motivi: il nuovo modo di lavorare del lobbista, la richiesta portata avanti dai lobbisti stessi e le nuove regole sul finanziamento della politica. L’ex capo delle relazioni istituzionali di Enel ha affrontato due aspetti sempre più importanti nell’attività di relazione: il nuovo ruolo dei social e la necessità sempre maggiore di conoscere gli aspetti giuridici della materia. Punti fermi di una legge sulle lobby, affermati più da lobbisti che da decisori, secondo lui devono essere “la trasparenza reciproca (ad esempio, predisponendo un elenco con gli obiettivi di chi fa lobbying e una lista degli incontri dei decisori pubblici), necessaria al momento in cui i partiti faranno fundraising (tutto trasparente in America); la previsione di incompatibilità (per una migliore chiarezza dei ruoli sarebbe, ad esempio, auspicabile il metodo utilizzato per gli avvocati, che devono sospendere l’iscrizione all’albo per esercitare altre professioni). Chi deve controllare tutto? Antitrust, camere, anticorruzione, ma anche una commissione terza ex-novo come in Gran Bretagna. Legarsi all’anticorruzione però sarebbe danno di immagine, serve un soggetto terzo, serio e autorevole, e lo richiedono i lobbisti stessi”. Anche in questo caso, la raccomandazione finale al governo riguarda “il futuro problema del finanziamento di partiti e movimenti. È ipocrita essere eletti senza finanziamenti, di cui devono occuparsi dei professionisti, come accade per il no profit. Serve regolamentare il crowdfunding, per il quale sono necessarie l’autorevolezza di chi chiede i soldi e la professionalità nelle tecniche di fundraising”.

Lelio Alfonso, anch’egli con diverse esperienze professionali nel campo della politica (lobbista, politico, manager, docente universitario) ritiene “necessario riaprire il tema di riforma dei regolamenti parlamentari, abbandonato ultimamente, così come quello della semplificazione delle leggi e della burocrazia. Il Parlamento, poi, è troppo spesso svuotato della capacità di legiferare (i voti di fiducia hanno tagliato fuori il Legislativo). C’è la possibilità di cambiare i regolamenti, e tutto avverrebbe a costo zero; le due camere hanno regolamenti diversi e si sta cambiano quella col regolamento migliore. Ruolo ostativo da parte dei burocratici? No, sono professionisti che spesso aiutano i lobbisti per far capire meglio ai decisori la posizione. Riguardo le authority, meglio l’antitrust piuttosto che cercarne un’altra nuova, ce ne sono abbastanza. In ogni caso, il buon professionista aiuta a fare leggi migliori, e il Paese ne deve essere grato. Serve massima accountability per un’attività che non è assolutamente ostacolo alle scelte della collettività”.

zanettoUltimo tra i lobbisti a parlare è stato Paolo Zanetto, che ha partecipato al gruppo di lavoro di Transparency è ha espresso la necessità di una legge sul lobbying, “per due ragioni. La prima è storica: al momento la compensazione degli interessi è sempre più frequente, a causa del continuo ricorso al decreto legge governativo e alla poca abitudine del governo di utilizzare consultazioni pubbliche, il che crea necessariamente presupposto per azioni di lobbying a porte chiuse (nella fase di gestazione del provvedimento) o di molti emendamenti nella fase successiva dell’iter. Secondo, l’esigenza di trasparenza nel quadro del finanziamento della politica. Oggi la politica deve adattarsi in ottica della fine del finanziamento pubblico ai partiti (lo testimoniano le due cene di fundraising del PD). Se questa è la direzione intrapresa da quel partito, è necessaria la trasparenza. Non si parla di compliance, ma di atteggiamento culturale che sta cambiando. Anche Cattaneo & Zanetto presenterà a breve un’iniziativa sulla trasparenza”.

Conclusioni: un quadro ancora incerto, in attesa di passi concreti del Governo

In conclusione, il confronto è stato utile per ravvisare le principali problematiche del fenomeno lobbistico in Italia e le diverse istanze in merito. L’iniziativa di Transparency International Italia è risultata opportuna per la discussione però, in molti casi, non ha considerato alcuni aspetti dell’attività di lobbying (su tutti, il grande potere delle strutture ministeriali) che in Italia sono caratteristici e non possono essere affrontati come negli altri casi europei analizzati. Non sono state portate avanti proposte concrete sulla regolamentazione, in particolare sullo strumento da utilizzare per attuare una legge sulle lobby (decreto governativo? Disegno di legge di iniziativa parlamentare? Norme ministeriali? Regolamenti parlamentari?). Sono state ravvisate anche alcune imprecisioni, o forse imparzialità, nella definizione di lobbying (basta definire “comunicazione” ogni tipo di attività di lobby che va dall’articolo di giornale, alla commissione di uno studio a un think tank, alla vera e propria attività di presentazione degli emendamenti?), di lobbista (i sindacati sono lobby?) e di decisore pubblico (lo sono solo i ministri e parlamentari, o anche i membri del Gabinetto o delle Direzioni Generali dei ministeri?).

La richiesta, a più voci, è diretta soprattutto al Governo e punta ad un’iniziativa forte e decisa al di là di vuoti proclami lasciati poi irrealizzati. Si rende necessario un sostegno dell’iniziativa parlamentare da parte dell’Esecutivo, ormai in Italia vero e proprio fulcro decisionale, senza la quale la regolamentazione omogenea e nazionale del lobbying diventa irrealizzabile.

(GattoGiov)

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Convegno di Firenze su lobby e regolamentazione: tutti gli interventi http://www.lobbyingitalia.com/2014/10/nencini-lobby-regole-appalti-convegno-firenze/ Sat, 04 Oct 2014 17:09:27 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2588 Su Formiche raccontiamo – con la dovuta sintesi adeguata a quel sito – il convegno organizzato dal viceministro per le Infrastrutture e i Trasporti, Riccardo Nencini, in quel di Firenze

Di seguito invece ecco tutto ciò che è stato detto dai presenti al dibattito sul tema “Regolamentazione dell’attività di lobby”.

Tutto esaurito al Palazzo Medici Ricciardi per ascoltare il dibattito sulla “Regolamentazione dell’attività di lobby” organizzato dal Viceministro per le Infrastrutture e i Trasporti Riccardo Nencini, che per l’occasione ha chiamato in Italia Tony Podesta, il “super lobbista” (cit. Newsweek) a raccontare “il modello americano di lobbying”

Dopo il saluto del padrone di casa, il Presidente della Provincia (ma quindi esiste ancora!) Andrea Balducci, il benvenuto a Podesta lo dà in un ottimo inglese Chiara Moroni, ex deputata PdL (da parlamentare ha presentato varie proposte sul lobbying) ed oggi docente di comunicazione e oggi lobbista, che spiega cosa sia e cosa forse debba essere l’attività di lobby, e racconta.

Perché in Italia non si è mai fatta [la regolamentazione del lobbying]? Innanzitutto la pressione più forte è arrivata sempre dall’apparato pubblico. Quando ad esempio in una mia proposta oltre agli obblighi per i lobbisti inserii anche diritti in termini di trasparenza (accesso agli atti, ecc.). A quel punto gli uffici della Camera si opposero affermando che per l’autodichia la Camera non poteva gestire il processo legislativo in totale trasparenza. Bene quindi la regolamentazione, ma si faccia però attenzione a non finire in un eccesso di regolamentazione, che rischierebbe di spingere a continui aggiramenti. Un approccio molto italiano: sappiamo che non sappiamo ben controllare e allora normiamo tutto. Ma è un sistema che non funziona, tanto meno nelle relazioni tra istituzioni e sistemi produttivi. Trasparenza e reciprocità sono le parole da cui partire, oltre a superare una diffusa cultura anti impresa, perché le imprese sono in grado di aiutare la politica a legiferare”.

Il guru dei lobbisti (definizione della moderatrice, la giornalista dell’Huffington Post Claudia Fusani) a Washington controlla tutto, è uno che conosce stanze e corridoi. Tra i suoi ultimi clienti anche il governo dell’Iraq. Ma più che dal Congresso Podesta sembra colpito dagli affreschi della splendida sala della Provincia.

L’Italia ha avuto un governo all’anno dal 1948, ma sono convinto che il Governo Renzi possa reggere, e possa davvero cambiare le cose. Ha ricevuto un mandato chiaro, simile a quello che ricevette Obama nel 2008: ‘Hope and Change’. Un messaggio davvero potente. Nei primi anni ’90 Tangentopoli cambiò completamente il sistema. Anche negli USA si parla continuamente del tema della corruzione, riferendosi anche al lobbying. A Washington ci sono 18.000 lobbisti registrati, qualcuno suggerisce che siamo come scarafaggi. A Roma non saranno così tanti. Il numero dei lobbisti sta crescendo ancora a DC e lo stesso sta accadendo nelle capitali degli Stati. Tutti hanno lobbisti: anziani, bambini, poveri, ricchi. Chiunque ha qualcuno che rappresenta i suoi interessi a Washington. La maggior parte dei lobbisti rispetta le regole, lavora in modo etico per conto dei soggetti che rappresentano. Ci sono ovviamente lobbisti corrotti, come c’è corruzione in ogni altra istituzione americana: dal mondo del business a quello della legge, dalla chiesa all’educazione. Nessun settore è puro. Gli USA stanno tentando di regolare il lobbying attraverso un sistema di disclosure, che obbliga i lobbisti a redigere un report su ogni cliente, con inclusa la cifra che ricevono per rappresentarli. L’Amministrazione Obama ha provato a dire che non avrebbe assunto alcun lobbista registrato. La conseguenza è stata che i lobbisti hanno smesso di registrarsi! Diventando persone quindi che non rispettano le regole, o che trovano scappatoie, ma che possono essere assunte dall’Amministrazione. Il capo dello staff era un lobbista sino ad un paio di giorni fa. E il numero dei lobbisti registrati per la prima volta ha iniziato a scendere, a dimostrazione che le riforme possono portare ad aggirare la legge. Un’area grigia è nel finanziamento della politica, un tema sul quale siamo passati attraverso riforme a ondate. Recentemente la Corte Suprema ha deciso di dare il via ai finanziamenti da parte di individui e corporation senza limiti”.

Podesta poi riparte dal Watergate: “Gola profonda disse a Woodward e Bernstein del Washington Post ‘Follow the money’. E anche oggi seguire i soldi è il modo migliore per capire alcuni passaggi politici. In Italia il rapporto tra soldi e politici a Roma esiste da millenni. Non so se l’esperienza americana possa essere di aiuto, ma la definizione di lobbying dovrebbe coprire tutto ed essere pienamente trasparente. Va evitato in ogni modo che ci sia una parte trasparente ed una no, tanto più per il finanziamento della politica, cosa che invece accade in America oggi”.

Claudia Fusani poi si perde nel parlare dei lobbisti, principalmente “ragazzetti che riportano”, che si appropinquano davanti alle Commissioni più gettonate (Bilancio, Industria, ecc.). Si dimentica però di dire che lei e i suoi colleghi fanno esattamente la stessa cosa, e come in realtà non sia quello il lobbying vero.

Palla al viceministro Nencini, che da presidente del Consiglio Regionale riuscì ad ottenere la prima (discutibile) norma italiana sul lobbying, per quanto diversa da quella che avrebbe voluto lui, e che ora ci riprova cercando di passare attraverso la riforma del Codice degli Appalti inserita in una legge delega in corso di discussione alle Camere.

Perché non si è normata l’attività di lobbying? Dobbiamo partire dall’ipocrisia delle due culture [cattolica e comunista] che hanno governato il paese per 50 anni. Due culture per le quali del profitto non si poteva parlare, e quindi anche l’interlocuzione ufficiale con il mondo degli affari era considerata disdicevole. Basti dare un’occhiata ai vecchi Statuti regionali, il cui unico riferimento all’impresa era quasi solo a quella cooperativa per la sua ‘funzione sociale’. Le lobby in Italia ci sono, hanno nome e cognome, ti chiedono appuntamenti e promettono regalie [ma chi incontra, signor viceministro? NdR]. Siamo ormai senza una norma sul finanziamento pubblico della poltiica, oggi ancora più impellente. Senza finanziamento pubblico l’unico modo per i partiti di finanziarsi è rivolgersi ‘al mercato’. È quindi necessario rendere trasparente il sistema. Che fare? Per rendere trasparente il percorso ci sono varie modalità. A Camera e Senato ci sono varie proposte, una anche mia. La trasparenza è quindi in testa agli obiettivi, a pari merito con le ‘pari opportunità’ di accesso delle diverse lobby. Va superato il concetto di Governo amico. Guardate come è aumentato il numero dei decreti legge e l’apposizione della fiducia. Un sistema che restringe n gran parte al solo Governo, ai ministri, la normazione. Ma mettere la fiducia su un atto, l’atto uscito dall’organo decisore non è modificabile. Di conseguenza devi intervenire prima, sul Governo. C’è chi può? Certo che c’è, e spesso non chiede nemmeno per favore. È necessario avere un Registro, anche se – come ha spiegato Podesta – negli USA il numero dei lobbisti registrati sta diminuendo. Rispetto all’esperienza USA vanno quindi fatti dei correttivi, accompagnati da un’approfondita analisi dell’impatto della norma [ma l’AIR non esiste già? NdR].

Poi Nencini inizia a parlare in toscano e in terza persona, in omaggio a Benigni: ‘Pole non pole un alto dirigente incontrare un’impresa? E se pole, come pole’, facendo riferimento agli alti burocrati dello Stato. Perché la cosa da regolamentare non è l’incontro del Nencini, in quanto senza regolare l’incontro dell’alto burocrate – che resta lì anche quando il Nencini se ne va – non serve. Vanno quindi create, anche meglio applicando Codici Deontologici che già esistono, norme più accuminate. Il codice degli Appalti certo non esaurirà il tema della regolamentazione delle lobby, che dovrà coordinarsi con le proposte in Parlamento, ma in ogni caso  dimostra che il tema è nell’agenda del governo Renzi. ”.

Claudia Fusani ricorda come il tentativo di Enrico Letta fu bloccato in Consiglio dei Ministri “dopo aver sentito le grandi imprese” (non è andata proprio così…). Inevitabile quindi la chiamata in causa di Patrizia Rutigliano (Direttore Relazioni Istituzionali e Comunicazione di SNAM, e presidente di FERPI) che ricorda subito a quanti codici e procedure debbono seguire le imprese, specie quelle grandi, nelle loro operazioni.

Codice etico, normativa ex 231, compliance, procedura rapporti PA, procedura sponsorizzazioni, Anti Bribery Act, Anti-Corruption Act. Inoltre ci sono controlli e audit continue. Sono tutte regole che dovrebbero essere seguite con lo stesso rigore al decisore pubblico. Ciò che infatti ha portato non arrivare mai ad una decisione – ricordando ad es. il caso del ddl Santagata – è stata sempre l’opposizione del decisore pubblico, che deve prendere una decisione ma farlo in maniera trasparente. Reciprocità è la parola giusta. Il problema è dalla parte del pubblico. Servono regole per l’accesso alla professione. Un processo trasparente poi porta ad una riduzione dei tempi di decisione. Infine, se tutto fosse trasparentemente accessibile via web si avrebbe un forte snellimento burocratico. Il digitale e i rapporti istituzionali sono i servizi più richiesti dalle imprese”.

Ralph Fassey, amministratore delegato di Lundbeck Italia, società farmaceutica.

Dobbiamo facilitare i rapporti non coi politici, ma nel nostro caso con un’agenzia che regola i farmaci, che non consente il contatto con le singole aziende. Il farmaceutico fa il 70% della ricerca mondiale, e se stiamo bene e viviamo più a lungo è grazie a questi investimenti. Ci sono fabbisogni sanitari pazzeschi sulle malattie più diverse, campi dove non c’è la cura definitiva. I nostri farmaci, fortemente regolamentati, hanno bisogno di 12 anni per arrivare sul mercato, con un costo di ricerca di circa un miliardo di euro. Fatta la registrazione europea, il problema poi arriva in Italia, che rivaluta tutto e poi decide sulla rimborsabilità. In questo processo, gestito dall’AIFA, è vietato ogni confronto tra i 12 esperti delle agenzie e i rappresentanti delle aziende. Un sistema ottuso! Gli esperti non possono essere ‘tuttologi’, e quindi ci sono dei buchi nelle competenze della Commissione Unica del Farmaco, gente scelta per motivi politici e anche per ‘assenza di conflitti di interessi’ con le aziende. Ma le aziende lavorano solo coi migliori, non come persone medie. Dopo la CUF tocca alle Regioni, dove le competenze peggiorano ancora. Serve quindi l’accesso delle aziende per spiegare il lavoro di ricerca fatto. Negli altri paesi si parte dal via libera dell’EMA (diretta dal prof. Rasi), l’autorità europea che definisce con le aziende già i protocolli di sviluppo clinici. Un’operazione anche a rischio per le aziende, ma necessario. Un lavoro che viene fatto a livello UE, ma anche in Spagna, Francia, Germania, ecc. Le autorità lì debbono incontrare le aziende per conoscere il farmaco. In Italia mi sono ritrovato di fronte un noto farmaco-economista che mi ha detto ‘ho letto su internet questa mattina che il vostro farmaco non è un granché’. Ecco ciò che ci ritroviamo davanti. Il dialogo, a livello nazionale e locale, è alla base di ogni processo. Basta poco”.

Dopo la Moroni ecco un altro esempio di revolving door con Simone Crolla, Consigliere Delegato dell’American Chamber of Commerce in Italy e per breve tempo deputato nella scorsa legislatura.

Sono un lobbista, e non è una colpa. Lo sono perché nello statuto della mia organizzazione c’è scritto che devo fare gli interessi delle aziende americane iscritte, rappresentandole nei confronti delle istituzioni italiane. Vedo lobbisti in sala, ma secondo la legge Severino potremmo avere dei problemi di traffico di influenze! Corruzione e relazioni sbagliate non c’entrano nulla con la lobby, gli Appalti non c’entrano. Gli americani parlano infatti di ‘disclosure’, trasparenza. Ben venga quindi il Registro. Il rischio regolatorio in Italia è un documento dell’AmCham che abbiamo redatto con le aziende iscritte. Gli investitori sentono che il peso della regolamentazione è cresciuto in maniera esponenziale, e tutte sentono la necessità di dotarsi di lobbisti. Le aziende americane dicono che il decisore pubblico è il secondo maggior elemento ad influire il business. Si devono prevenire certi fenomeni. Perché non dovrebbe esserci un Albo dei lobbisti? Sono persone che rappresentano interessi in maniera trasparente. In America tutto ciò è previsto addirittura nel I Emendamento del Bill of Rights, la liberta di espressione [poi cita la frase apocrifa di Kennedy, Ndr]. Perché il Parlamento non ha mai preso una decisione? È la conseguenza della perdita di credibilità della politica, che non decide. La proposta Nencini è però un ottimo punto di partenza.”

Simone Bemporad (Direttore Comunicazione e Relazioni Esterne del Gruppo Generali).

Il problema è culturale. Non si possono imporre regole che fanno parte di altre culture. Il presidente americano Ulysses Grant si riferiva alle persone che lo aspettavano nell’ingresso [lobby in inglese] dell’hotel Willardt di Washington come “quei maledetti lobbisti“, probabilmente dando origine al termine come lo intendiamo oggi. Oggi il lobbista non rappresenta solo la grande impresa, ma ce l’hanno tutti, come in America, come ha ben spiegato podesta. Usciamo dall’astrazione negativa del termine. Serve ad avvicinare la politica alla società: si pensi a Greenpeace, potentissima dal punto di vista lobbistico sui suoi temi. Regolamentare le lobby è fondamentale, istituzionalizzarlo vuol dire al rispondere al bisogno di una politica più vicina ai bisogni della società. Cosa impedisce farlo in Italia? Intanto la trasparenza del processo decisionale a tutti i livelli. C’è il tema dei grandi valori condivisi oltre gli interessi particolari. L’ideologia prevale sempre. Ecco, recuperare – come fanno gli USA – certi valori condivisi diverrebbero un ostacolo ad ogni distorsione derivante dagli interessi particolari. C’è poi l’invadenza eccessiva della magistratura, al sua tendenza a criminalizzare. Difficile partecipare a dei sistemi in cui fare la compliance diventa un qualcosa su cui la magistratura poi accende i riflettori, come dimostrato da episodi su cui si sono aperte indagini senza bisogno o solo per bisogno di visibilità di alcuni. Un problema è anche l’incertezza del concetto di sanzione, che vanno applicate velocemente. Servirebbe forse un sistema con meno controlli non dovuti e sanzioni certe e veloci. Si ricordi che negli USA chi viola le regole finisce in prigione e in rovina. Il tema culturale è fondamentale. Cultura ce n’è poca e di regole ancora meno, proviamo almeno a partire da queste. Un ottimo esempio è quello delle autorità (Agcom, Agcm, Consob, ecc.) che decidono, ma non muovono un passo se non hanno prima sentito l’opinione dei soggetti su cui poi si riverserà la loro decisione. ”.

Prossima puntata a Milano, a dicembre, in cui Nencini annuncia che presenterà il primo “lavorato” di un organo costituzionale.

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Podesta: regolare il flusso di denaro per non annegare la democrazia (Ferpi) http://www.lobbyingitalia.com/2014/07/podesta-regolare-il-flusso-di-denaro-per-non-annegare-la-democrazia-ferpi/ Fri, 04 Jul 2014 15:00:55 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2446

Il modello americano di finanziamento alla politica contrapposto a quello italiano, l’importanza della trasparenza e il ruolo del lobbying. Una “lezione di democrazia” di Tony Podesta, keynote speaker dell’incontro organizzato da Ferpi in occasione dell’Assemblea romana.

di Tony Podesta – Scarica la versione pdf

Thank you for inviting me here at this extraordinary time for Italy and for Europe. Italy has a new government. Of course, Italy has had about a government a year since 1948.

But this time is different. The Renzi government’s mandate can be summed up in one word: “change”. Remembering that President Obama’s campaign slogan in 2008 was “Hope and Change,” I know how powerful that word can be.

Change isn’t easy. Not in the United States. And not in Italy.

As you know, this isn’t the first time that the Italian people have demanded change, and the political system has tried to respond.

In the early ‘90s, the “Clean Hands” inquiries triggered a political upheaval. Traditional parties disappeared. The electoral system was overhauled. New leaders emerged. The “Second Republic” was born.

Since then, governments have lasted somewhat longer, and governance became more important than ideology.

While the political earthquake of the ‘90s was triggered by corruption, the central issue today is how effectively public money is spent. Inevitably, public financing of political campaigns is coming under fire. Why should the taxpayers be subsidizing political campaigns? But, if these campaigns depend completely on private donors, how can we keep the special interests from controlling politics and policymaking?

Americans have been struggling with these questions for four decades or more. I can’t offer easy answers. But I can share our experience with campaign finance reform.

Big Point

The American experience was summed up by two Justices of the US Supreme Court — Sandra Day O’Connor and John Paul Stevens. As they wrote in a decision upholding a campaign finance reform law: “Money, like water, will always find an outlet.”

In a modern, democratic country such as the United States – or Italy – the government makes important decisions. People and organizations of all kinds will try to spend money to elect the officials who make these decisions. And their money, like water, will always find an outlet.

Looking back over the last four decades, campaign finance reform has followed the same pattern, over and over again. When the American people believe that campaign funding and spending has become an intolerable scandal, reforms are enacted.

But then these reforms are, if you’ll forgive my using that word again, watered down. And then, there are new reasons for Congress to enact new reforms.

In short, campaign finance reform laws end up exemplifying another law: “the law of unintended consequences.” No initiative ever turns out as originally planned. This is something you should remember as you reform your political system. Good intentions do not necessarily translate into good results, especially when money meets politics.

Watergate and Reform

For most of American history, campaign finance was like the Wild West – without a sheriff. As recently as the 1960s and 70s, Herman Talmadge, a Democratic Senator from Georgia used to collect cash contributions from his supporters and keep the money in a large inside pocket of his overcoat. In 1979, the Senate Ethics Committee investigated his use of campaign money. In his memoirs, published in 1987, Talmadge wrote, “I wish I’d burned that damned overcoat.”

And then came Watergate. Watergate wasn’t just a burglary and a cover-up. It was a financing scandal. “Deep Throat” — the FBI official who gave the journalist Bob Woodward important tips to uncover the scandal – famously advised him, “Follow the money.” The money trail showed that the Watergate break-in and, later, the “hush money” were financed with secret campaign contributions.

In 1974, in the wake of Watergate, Congress passed amendments to bolster a relatively weak law enacted two years earlier.

The 1974 amendments were the strongest and widest-ranging campaign finance reforms in American history to that point. These amendments restricted the influence of wealthy individuals by limiting the dollar amounts for individual donations to candidates for President and Congress. And they provided public financing of presidential campaigns, together with spending limits for candidates accepting public financing;

Unintended Consequences: The Growth of PACs

But political money, like water, will find an outlet. By restricting the amount of money individuals could contribute directly to congressional campaigns, the campaign finance reform had an unintended consequence: the growth of the Political Action Committees. PACs pool campaign contributions from their members and donate these funds to campaigns.

Most PACs are sponsored by corporations, trade associations, and labor unions. Because PACs have higher contribution limits than individual donors, political money went to the PACs, not directly to the candidates.

Currently, about 4,000 PACs contribute money to campaigns for federal office and they account for about 23 percent of all contributions to candidates for the US House and Senate.

Equating Campaign Spending with Free Speech

Almost as soon as campaign finance reforms were put in place, they were challenged from the political right and left. New York Senator James Buckley, a conservative Republican, and former Minnesota Senator Eugene McCarthy, a liberal Democrat, filed a lawsuit claiming the law was unconstitutional.

In its decision, the Supreme Court ruled that limiting spending by candidates, their committees and independent expenditures imposed “direct and substantial restraints on the quantity of political speech.”

This ruling established the idea that money equals speech, protected under our First Amendment. That idea that has since been used to weaken other restrictions on campaign contributions and spending.

Another Unintended Consequence: Soft Money = More Spending

After 1976, political campaigns became increasingly dependent on “soft money”: money without a specific purpose given to political parties. Because this money wasn’t directly used to support a specific federal candidate, it wasn’t regulated.

Overall, total presidential campaign spending increased from $66.9 million in 1976 to $343.1 million in 2000.

A New Campaign Finance Reform: McCain-Feingold

Once again, there was a growing public demand for campaign finance reform. The next major law co-sponsored by Sen. Russ Feingold, a Wisconsin Democrat, and Sen. John McCain, an Arizona Republican, was enacted in 2002.

The law, known as McCain-Feingold:

  • Banned national political party committees from soliciting or spending “soft money”; and
  • Barred issue ads mentioning a candidate’s name — known as electioneering — that were financed by corporate or union money within 60 days of a general election.

Once again, political money, like water, found an outlet. Activity in tax-exempt nonprofit groups outside the parties increased, because their spending wasn’t regulated.

Weakening Campaign Finance Reform: Citizens United and other Court Decisions

And, once again, the Supreme Court watered down campaign finance reform. In 2007, the Supreme Court struck down McCain-Feingold’s ban on issue ads that did not expressly support election or defeat of a candidate.

In 2010, in Citizens United v. FEC, the Supreme Court ruled that the First Amendment protected independent expenditures of corporations and unions and allowed them to advocate for or against candidates, such as funding political ads within 60 days of an election.

While still not allowed to contribute directly to federal candidates and national party committees, corporations can now fund political activity and advocacy from their treasuries.

Russ Feingold lost his Senate seat in 2010 to Republican Ron Johnson, who did not bind himself to the limits on campaign spending that Feingold imposed on himself. And John McCain lost the Republican presidential nomination in 2000 to George W. Bush and the presidency in 2008 to Barack Obama. Unlike McCain, Bush and Obama refused public financing and spending limits.

Unintended Consequence: The Growth of Super PACs

The Citizens United ruling gave rise to Super PACs. Super PACs can raise unlimited money from individuals, corporations or unions and can expressly advocate for a candidate.

While Super PACs aren’t supposed to coordinate with candidates or their campaigns, former campaign staff frequently run PACs that generally support that candidate.

Partly because of Super PACs, campaign spending in the 2012 presidential election reached unprecedented levels. Super PACs also extended the Republican primary season by keeping candidates such as former Speaker Newt Gingrich and former Pennsylvania Senator Rick Santorum in the race long after Mitt Romney had become the clear frontrunner.

Weakening Campaign Finance Reform: Wealthy Donors Can Give More Money

Meanwhile, it’s harder and harder to build barriers against political money.

On April 2, 2014, the Supreme Court struck down aggregate limits on how much an individual can contribute in a two-year period to all federal candidates, parties, and political action committees, combined.

While individuals are still limited in how much they can give to any single candidate or party directly for each election, now an individual can give the maximum allowed contribution amount to each and every candidate.

This decision was widely reported as benefiting large donors who can give more money than before. But some of us may not appreciate that we can no longer tell fundraisers, “Sorry, but I’m maxed out.”

Public Financing Declines

In the US as in Italy, public financing of political parties is declining. 2012 was the first presidential election since President Nixon’s re-election in 1972 when neither major party candidate accepted public financing and the spending limits that come with it. Instead, spending by the presidential campaigns topped $2 billion (Obama, $1.123 billion; Romney $1.019 billion). On top of that, Super PACS supporting Romney spent $292 million, and Super PACS supporting Obama spent $258 million.

With the growth of Super PACs – and with President Obama creating an independent apparatus — the formal party organizations are relatively less important. Instead, independent organizations are setting the agenda for the national debate.

Disclosure Requirements for Lobbyists

Now you may be wondering, what about lobbyists?

Unlike campaign finance, where the water has to find a new outlet, there are no limits on the amount spent on lobbying. Corporations, organizations, and individuals can spend as much—or as little, unfortunately — as they want on lobbying activities.

Total spending on lobbying has more than doubled in the past 15 years, from $1.46 billion in 1998 to $3.23 billion in 2013—-and that’s down from $3.55 billion in 2010.

Lobbying Disclosure Act

As with campaign finance, lobbyists must register and must disclose their spending and activities. For many years, lobbying registration was lax and infrequently observed. In 1995, Congress passed the Lobbying Disclosure Act, requiring lobbyists to file reports twice a year to be disclosed publicly and with the Congress. These include:

  • Estimates of their income and spending;
  • The names of individuals, agencies and houses of Congress lobbied;
  • And issues lobbied to be disclosed publicly with the Congress.

As we’ve seen before, scandal begets reform. After the Jack Abramoff lobbying scandals of 2006, Congress strengthened the Lobbying Disclosure Act to require disclosure every three months, also including:

  • Previous government positions;
  • Federal campaign contributions and donations benefiting government officials
  • And more stringent criminal penalties for noncompliance.

Foreign Agents Registration Act

For lobbyists representing foreign governments, the disclosure requirements are even more stringent.

Enacted in 1937 to combat Nazi sympathizers, the Foreign Agents Registration Act requires private individuals advising or representing a foreign government or political party before the US government or public to register with the US Department of Justice.

“Agents” must disclose their home address, year of birth, country of citizenship, all political contributions, the US officials or media they contacted and the topics they discussed, as well as how much they earned and how much they spent on behalf of a foreign client. Also, any “informational materials” disseminated broadly must be submitted to the Department of Justice within 2 days.

Lessons for Italy

So what does this all mean for Italy? Here in Italy, the strongest demand for change comes from the people themselves. The combination of top-down awareness and bottom-up expectations creates a rare opportunity.

The inevitable nexus between politics and money – which Rome has known for 2,500 years – is coming under strict scrutiny. People want to know: where the money comes from; who gets the money; and how they spend it.

Regulation of campaign financing should be clear, understandable and, above all, enforceable. It should create a system of transparency and accountability, not rigid limitations that would not be respected anyway.

Otherwise – and this is the lesson to be drawn from the American experience – the law of unintended consequences will inexorably kick in.

Political money, like water, will find an outlet. But we need to regulate the flow of funds so they do not drown our democracies.

Fonte: Ferpi

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Il re dei lobbisti: Soldi ai partiti, limiti inutili, serve trasparenza (Corriere della Sera) http://www.lobbyingitalia.com/2014/07/il-re-dei-lobbisti-soldi-ai-partiti-limiti-inutili-serve-trasparenza-corriere-della-sera/ Tue, 01 Jul 2014 14:51:41 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2442 Tony Podesta uno degli uomini più ricchi e potenti degli Stati Uniti è a Roma invitato dalla Ferpi, la federazione relazioni pubbliche, per parlare di “ fundraising in politica”.

I soldi sono come l’acqua, anche se provi a imbrigliarli, trovano sempre la loro strada”, sa il fatto suo “the lobbyst”, il lobbista, come lo ha definito il Newsweek. Americano ma con nonni italiani di Chiavari.

La sua presenza in Italia per un importante confronto tra Italia e Stati Uniti. Podesta oltre ad essere un grande lobbista potrà offrire anche il suo punto di vista anche nella veste di fratello di John, ex capo di gabinetto di Bill Clinton e poi direttore del Transiton Team di Barack Obama. Parlando di Obama viene immediato il parallelismo con Renzi. “ Hanno molto in comune, sono più giovani dei loro predecessori, sono entrambi molto ambiziosi e pieni di energia. Renzi come Obama, vuole cambiare il sistema e renderlo più trasparente e stabile”. Così Podesta.

Alla domanda: quanto i valgano i soldi in politica e se le regole attuali del finanziamento riescano realmente a contrastare l’influenza delle lobby, Tony sorride e poi commenta:
Negli Usa siamo stati a lungo come il Far West, ma senza lo sceriffo. Ancora negli anni 70 il senatore democratico Herman Talmadge era solito mettere in una larga tasca del cappotto i soldi dei finanziatori”. Molte leggi, come quella del 74’, hanno provato a limitare le donazioni: “Ma quando i soldi incontrano la politica le buone intenzioni non bastano”.
Visione cinica ma molto realistica di come stanno le cose. Una recente sentenza della Corte Suprema ( il caso McCutcheon). Che toglie il tetto di spesa complessivo per le donazioni di privati. Aumentando l’appetito dei finanziatori ma anche della politica. “ Alcuni di noi non apprezzano. Era meglio un limite. Anche perché non potremo più rispondere a chi ci chiede altri soldi: mi dispiace ma non si può”.

Il pensiero va così al Watergate e il famoso “follow the money”, seguire il flusso dei soldi, fà capire molto. “L’unico modo per avere una reale competizione, è che ogni partito abbia lo stesso numero di ricchi a sostenerlo. Obama e Romney nell’ultima campagna hanno speso la stessa cifra circa un miliardo di dollari”. Poi c’è la “parte” dei lobbisti: “Conoscete i fratelli Koch? In due hanno speso 25 milioni di dollari per sconfiggere 7-8 candiati democratici al Senato. Davvero difficile conoscere i veri finanziatori. “ C’è un tetto solo per i finanziamenti ai candidati., ma non ci sono limiti a quanto si dà ai gruppi indipendenti, che poi finanziano i politici. E sono importi che non sono soggetti a rendicontazione”.

Ma allora la politica può mantenere la propria autonomia navigando fra miliardi di dollari?
“ Sì. Guardate quello che è successo nel 2008. Obama aveva grandi fondi da Wall Street. Poi ha fatto la riforma bancaria, la borsa si è ribellata e i fondi sono passati al repubblicano Romney. Però le elezioni le ha vinte lo stesso. Morale: non sempre i soldi controllano la politica.

In Italia parte ora il sistema della contribuzione volontaria e lo stop progressivo del finanziamento pubblico. Staremo a vedere. Anche negli States c’era un sistema di finanziamento pubblico: “Obama l’ha fatto fuori. Perché pensava di raccogliere molti più soldi dai privati, più dei 70 milioni pubblici previsti. Non l’ha fatto per motivi ideali: voleva vincere.
Davvero difficile pensare che gli italiani abbiano intenzione di dare soldi ai partiti, che non godono affatto di popolarità: “Non è che siano così amati neanche da noi. Ma la gente i soldi li dà a Obama, non al partito.” Il problema è che in Italia i lobbisti sono visti di cattivo occhio e spesso vengono etichettati come persone poco serie. “ Noi diamo solo informazioni e punti di vista. E siamo controllati: dobbiamo fare una relazione trimestrale sui nostri conti clienti e sull’oggetto della nostra attività. Da voi manca la trasparenza”.

Vogliamo pensare che sicuramente non esiste neanche a Washington la trasparenza assoluta. Siamo viziati dalla serie televisiva House Of Cards? O forse ci fa comodo pensarlo perché con regole chiare funzionerebbe anche in Italia?
Nel dubbio si potrebbe cominciare a pensare ad processo di regolamentazione di una professione che esiste a tutti gli effetti e alla quale bisognerebbe guardare con più attenzione ed apertura senza il solito sospetto “all’ italiana” sempre e comunque laddove i flussi di denaro sono più corposi.

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Registro dei lobbisti MIPAAF: prime reazioni positive http://www.lobbyingitalia.com/2012/02/registro-dei-lobbisti-mipaaf-prime-reazioni-positive/ Thu, 02 Feb 2012 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2012/02/registro-dei-lobbisti-mipaaf-prime-reazioni-positive/ Si chiama “decreto lobby” il testo presentato dal Ministro delle Politiche Agricole, Mario Catania, ieri a Roma, per “rendere completamente trasparente l’attività di interazione tra il Ministero e il mondo delle lobby – spiega il Ministro – e il modo in cui si arriva alle decisioni”. Il suo Ministero è il primo a dotarsi di una politica per i lobbisti: per presentare i loro punti di vista sull’attività regolamentare, associazioni e imprese dovranno iscriversi a un apposito registro e sottoporsi al controllo di un’“Unità per la trasparenza”. Si tratta di un nuovo ufficio a cui parteciperanno a titolo gratuitoil Ministro ci tiene a sottolineare che “tutto sarà a costo zero” – sia dipendenti del Ministero che personale esterno, avrà il compito di comunicare ai lobbisti i regolamenti e i disegni di legge allo studio del Ministero, raccogliere i loro punti di vista, le osservazioni e le proposte e di stilare, in seguito all’approvazione dei testi normativi, un’analisi di impatto. Questo materiale sarà disponibile, in parte, anche ai singoli cittadini. “E’ delicatissimo il confine che intercorre tra il comportamento dell’amministrazione e l’attività di lobby – sottolinea Catania – è un’attività necessaria e utile ma che può sconfinare in atteggiamenti non corretti. Noi stiamo facendo uno sforzo per renderla trasparente, e immagino che potremo essere seguiti da altre amministrazioni”.

Sorpresa e accoglienza positiva da parte dei lobbisti

Per il presidente di Open Gate Italia, società di servizi iscritta al Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea, Tullio Camiglieri, il “decreto lobby del Ministero delle Politiche agricole “è un ottimo esempio che potrebbe portare presto alla creazione un albo nazionale dei lobbisti, come succede già in molti Paesi nel mondo. Trasparenza e regole precise non possono che aiutare il mercato e il Paese – aggiunge Camiglieri – in modo da rendere chiaro il rapporto tra le società di lobby e il potere politico. Per fare questo servono anche delle professionalità specifiche – aggiunge – il ricorso agli studi legali non basta più, ma sono necessarie figure professionali ben precise che rappresentino gli interessi legittimi dei soggetti coinvolti e che si occupino in maniera specifica di dialogare con il potere”.

Fabio Bistoncini, titolare della società di lobbying Fb&Associati, definisce "singolare" l’iniziativa del Ministro Catania di lanciare un registro dei lobbisti nel settore agricolo, sottolineando però come la stessa sia "lodevole se non rimane isolata", e che "urge, a questo punto, una norma quadro".

Via libera anche dal mondo universitario

Apprezzamento per la decisione del Ministero arriva anche dal mondo universitario. Franco Spicciariello, docente di “Teorie e tecniche del Lobbying”, coordinatore del Master in Public and Parliamentary Affairs presso la facoltà di Giurispriudenza dell’Università LUMSA di Roma: "Con questo decreto l’Italia compie un primo passo verso un quadro normativo già presente da tempo in Paesi quali gli USA, il Canada e l’Australia, adottato anche dalle istituzioni europee e più recentemente da altri Paesi come Francia, Germania, Austria, Polonia, Georgia, Slovenia, Lituania, Macedonia, Messico, Taiwan, Perù e Colombia. In Italia, negli ultimi 40 anni si sono avute oltre 30 proposte di regolamentazione dell’attività di lobbying ma, ad oggi, il Parlamento italiano non ha ancora approvato nessuna norma di legge specifica sulla materia. In tre Regioni, Toscana, Abruzzo e Molise, si è istituito un albo dei portatori di interesse, tuttavia i risultati sono stati poco incisivi. Sicuramente è un porimo – importante – passo verso la trasparenza. Sicuramente un buon inizio per offrire regole chiare nel rapporto tra chi decide e chi influenza le decisioni e per legittimare una professione sempre più in ascesa nel nostro Paese".

Il parere delle associazioni di professionisti

I lobbisti riuniti nell’associazione “Il Chiostro-per la trasparenza delle lobby” hanno espresso grande soddisfazione e apprezzamento per la decisione del ministro delle Politiche Agricole Mario Catania che ha istituito il primo registro dei lobbisti nella storia dei governi italiani.“E’ un precedente importante che segna una svolta irreversibile nella battaglia che da anni Il Chiostro conduce per riconoscere e regolamentare l’attività di rappresentanza di interessi – ha dichiarato Giuseppe Mazzei presidente del Chiostro”.“Auspichiamo che la Presidenza del Consiglio emani una direttiva affinchè tutti i Ministeri istituiscano registri obbligatori per i lobbisti che intendono interloquire con i loro uffici. Chiediamo anche che venga prevista l’adozione di un codice etico, corredato da sanzioni per chi non lo rispetta-ha aggiunto Mazzei “Ora tocca al Parlamento. Proponiamo che venga istituito subito presso la Camera e il Senato un registro obbligatorio per i lobbisti che devono dialogare con senatori e deputati, con obbligo di rispetto di un codice etico. Si potrebbe inserire un emendamento in questo senso nel disegno di legge anticorruzione in corso di approvazione”- ha concluso Giuseppe Mazzei.

“Il decreto ministeriale presentato oggi da Mario Catania, Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali per regolamentare la partecipazione dei gruppi di interessi ai processi decisionali del Ministero è certamente innovativo e utile – ha detto Patrizia Rutigliano, Presidente Ferpi-Federazione Relazioni Pubbliche Italiana. La proposta del Ministro garantisce maggiore accesso trasparenza del processo di formazione delle norme, avvicinandoci così alla normativa europea. Confidiamo che l’attuazione di questo decreto che per ora riguarda solo un Ministero – ha concluso Patrizia Rutigliano – sia propedeutica per avviare una più ampia riflessione normativa, comune a tutto il Governo e, perché no, anche al Parlamento. Come Federazione dei professionisti delle relazioni pubbliche (e quindianche di coloro che si occupano di rapporti con le Istituzioni) siamo disponibili a confrontarci con Governo e Parlamento per condividere la nostra proposta di regolamentazione del settore per contribuire così alla trasparenza del processo decisionale, nel rispetto delleIstituzioni, dell’opinione pubblica e dei nostri colleghi"

Focus – Il “decreto lobby” in sintesi

1) Unità per la Trasparenza
Il Decreto sulle lobby istituisce, presso il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, l’Unità per la Trasparenza. L’Unità sarà composta da 5 persone che svolgeranno tale incarico a titolo gratuito e sotto lo stretto coordinamento del Capo di Gabinetto.

2) La consultazione trasparente
Compito primario dell’Unità è curare le procedure di consultazione, obbligatorie per legge, dei lobbisti del settore agroalimentare nelle fasi di elaborazione dei disegni di legge e dei regolamenti ministeriali di competenza. A tal fine, i lobbisti del settore che desiderino partecipare a tali consultazioni sono tenuti ad iscriversi in un Elenco pubblico (“Elenco dei portatori di interessi particolari”). L’Elenco, al pari di tutti i documenti prodotti dalle lobbies, saranno consultabili da chiunque sul sito internet del Ministero (www.politicheagricole.it).

3) L’Elenco dei lobbisti
In tale Elenco i portatori di interessi particolari dovranno indicare: a) i dati anagrafici e il domicilio professionale del portatore o dei portatori di interessi particolari, nonché le eventuali ulteriori attività professionali comunque svolte; b) i dati identificativi del datore di lavoro, ovvero i dati identificativi del soggetto committente; c) l’interesse o gli interessi particolari che si intendono rappresentare; e) le risorse economiche e umane di cui si dispone per lo svolgimento dell’attività di rappresentanza.

4) Le relazioni annuali: un altro strumento di trasparenza

I soggetti iscritti potranno, inoltre, trasmettere ulteriori proposte, studi, documenti, ricerche all’Unità per la Trasparenza al fine di rappresentare i propri interessi. Vi è l’obbligo per i soggetti iscritti di presentare, ogni anno, una relazione sintetica dell’attività svolta. In caso di mancata presentazione della relazione, il soggetto sarà cancellato e non potrà più partecipare alle consultazioni. Il Ministro delle Politiche Agricole riferirà annualmente al Parlamento, nell’ambito della più generale relazione sullo stato di attuazione dell’analisi di impatto della regolamentazione (Air), sullo stato di attuazione del Decreto e sull’attività di lobbying posta in essere al Ministero.


Rassegna stampa "Decreto Lobby"

Melanie J. Nicholls – LI.Info

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