facebook – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Fri, 13 May 2016 14:04:46 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Anche twittare è lobbying? Per lo stato di New York, sì http://www.lobbyingitalia.com/2016/02/anche-twittare-e-lobbying-per-lo-stato-di-new-york-si/ Fri, 05 Feb 2016 11:51:32 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3157 La Joint Commission on Public Ethics – JCOPE dello stato di New York sta pensando di inserire le comunicazioni attraverso i social media tra le attività di comunicazione nei confronti del decisore pubblico da rendicontare come lobbying. La decisione, annunciata anche dal governatore Andrew Cuomo nel discorso annuale sullo stato dello Stato, fa parte di un quadro complessivo di nuova “eticizzazione” della politica di Albany dopo una serie di scandali. In particolare, tra le “mire” della Joint Commission coloro che svolgono attività di lobbying a tutti gli effetti, ma vengono considerati professionisti delle pubbliche relazioni e non delle relazioni istituzionali.

Negli scorsi giorni, lo stato del nordest degli USA ha inserito nella definizione di lobbista anche professionisti della comunicazione come social media strategist e PR. In un comunicato stampa della JCOPE si afferma come “i lobbisti [stiano] sempre più ricorrendo ai social media per portare avanti la loro attività di lobbying. Alla luce di questo è quindi richiesta chiarezza nei casi in cui l’uso di social media è diretto ad attività di lobbying e rendicontabile”. La Joint Commission ha aperto una consultazione pubblica valida fino al 19 febbraio, e da quel giorno saranno approntate le linee guida sull’uso dei social media per attività di lobbying. Tra le richieste anche opinioni su cosa può essere considerato grassroots lobbying, quale impatto possono avere le condivisioni di post o i retweet, quale importanza hanno le comunicazioni fatte ad un account social di un dirigente pubblico piuttosto che quelle recapitate alla mail o agli indirizzi di posta ufficiali.

Ovviamente non sono mancate le critiche da parte della community dei professionisti delle relazioni istituzionali, pubbliche ed esterne. L’accusa principale alla Commissione è quella di aver ecceduto nella propria competenza legislativa, violando il diritto ad esprimere liberamente la propria opinione. Un portavoce della Public Relations Society of America ha annunciato contributo fortemente critico da parte dell’associazione.Tra le altre associazioni contrarie, Citizens Union of the City of New York, New York Advocacy Association, New York Civil Liberties Union, la New York Press Association,  lo studio di avvocati Wilson Elser, le società di PR come Davidoff, Hutcher & Citron e West Third Group , diverse testate giornalistiche (come Crain’s New York).

Ogni violazione delle decisioni del Joint Committee costa 10.000 $. Questa, ed altre norme del Lobbying Act statale, secondo i professionisti del lobbying e quelli delle PR richiedono modifiche molto più urgenti rispetto a quelle derivanti dal nuovo orientamento dello stato di New York.

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Timmermans: “Cari lobbisti, noi vi ascoltiamo, ma voi non mentite!” http://www.lobbyingitalia.com/2015/04/timmermans-cari-lobbisti-noi-vi-ascoltiamo-ma-voi-non-mentite/ Tue, 28 Apr 2015 06:04:33 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2784 I lobbisti che mentono saranno buttati fuori dalla Commissione dell’UE, secondo le parole di Frans Timmermans, che sin da quando è entrato in carica ha promesso un registro obbligatorio.

In ogni caso, il piano finale non è produrre la regolamentazione stringente che molti chiedono, ma piuttosto un “gentlemen agreement” tra la Commissione e il Parlamento Europeo per non dare accesso ai lobbisti non registrati.

Il Commissario ha iniziato a portare avanti questo progetto a inizio anno, creando scompiglio tra le società e le imprese iscritte al cosiddetto “Registro per la Trasparenza”, che è tutto meno che trasparente.

ALTER-EU (the Alliance for Lobbying Transparency and Ethics Regulation) ha indicato che nel 2013 Goldman Sachs ha dichiarato una spesa per le attività di lobbying inferiore a 50.000€ per l’UE, davvero poco realistica se paragonata ai 3,6 milioni di $ negli USA.

Nel frattempo, la European Privacy Association, apparentemente innocua nella denominazione, attualmente rappresenta gli interessi di società come Facebook, Google e Yahoo! nel corso del dibattito sull’uso e la protezione dei “big data”. In base al Registro per la Trasparenza, l’EPA ha pochi impiegati e spende solo 450.000€ l’anno, una cifra che sembra non corrispondere a ciò che Microsoft ha ammesso spendere quest’anno: 4,75 milioni di €, dieci volte tanto. Apple dice di avere solo quattro lobbisti nell’Unione Europea, spendendo solo 250.000€.

Alla domanda su cosa farebbe per sanzionare queste società che fanno “interpretazioni creative della realtà”, Timmermans ha tuonato che i bugiardi non sono benvenuti nel suo ufficio. Ha detto che la sanzione dovrebbe essere non registrare del tutto (quindi nessun accesso ai decisori e nessun meeting con i commissari). Però non ha chiarito chi debba monitorare il registro o come si possa capire se le informazioni fornite fossero vere o false.

L’attuale registro volontario ha più di 8.400 registrati, ma è solo la punta dell’iceberg visto che molti attori dell’”industria del lobbying” boicotta il Registro, in particolare i grandi studi legali. Secondo la Commissione, chiunque faccia lobbying, rappresentanza di interessi o advocacy dovrebbe iscriversi al registro, ed è messo in evidenza più “cosa fai” che “chi sei”.

Olivier Hoedeman di ALTER-EU ha dichiarato: “Un Registro rivisto, basato su un accordo inter-istituzionale, farà perdere i meccanismi per verificare se le informazioni del Registro sono corrette, e significherà che non ci sarà possibilità di applicare sanzioni efficaci quando saranno realmente verificate le scorrettezze nelle informazioni”.

Fonte: The Register

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Ue, la carica dei 6.486 lobbisti. Ma i padroni sono tedeschi http://www.lobbyingitalia.com/2014/04/ue-la-carica-dei-6-486-lobbisti-ma-i-padroni-sono-tedeschi/ Wed, 09 Apr 2014 08:37:23 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2241 Ecco l’elenco dei gruppi di pressione europei. Dalla Germania centinaia di associazioni di settore

C’è anche la fondazione Brigitte Bardot, che perora instancabilmente la causa degli animali. Oppure spunta fuori la Chiesa luterana evangelica di Finlandia. Dall’Italia, poi, arriva l’Associazione dialoghisti adattatori cinetelevisivi. Sì, perché tra Bruxelles e Strasburgo, ossia tra le sedi di Commissione e Parlamento europeo, tutti vogliono poter dire la loro facendo legittime pressioni sui vari organi decisionali. Benvenuti nel poliedrico mondo dei lobbisti “regolarizzati”, con tanto di lista e codice di condotta. Ebbene, quello che spesso sfugge ai radar è che nel relativo elenco, ribattezzato “Transparency Register”, ci sono in tutto 6.486 lobbisti. Categoria, questa, all’interno della quale rientra un po’ di tutto, dai più importanti gruppi privati e pubblici a singole persone fisiche, passando per associazioni che a prima vista sembrerebbero rappresentare micro-interessi. Il tutto con sorprese non da poco.

Il registro è una realtà “codificata” dall’Eu ropa già da qualche anno, nel tentativo di rendere trasparente il modo in cui un gruppo di pressione si relaziona all’istituzione comunitaria per “influenzarne” in qualche modo le decisioni. Il problema è che, nonstante gli sforzi, l’obiettivo della trasparenza europea sembra a dir poco vacillante. Chi vince L’Europa è troppo schiava dei diktat della Germania? Chissà, magari sarà anche merito del fatto che in mezzo al gruppone dei 6.486 lobbisti i tedeschi sembrano farla da padrone. Basta consultare le griglie riportate on line in ordine alfabetico per rendersi conto di quante volte ricorrano organismi di volta in volta ribattezzati “bundesverband”, “bundesvereinigung”, “deutscher verband” e “arbeitgemeinschaft”.

Di cosa si tratta? Semplice, di centinaia e centinaia di associazioni e cooperative che si occupano di tutto e che rappresentano tutto: pasticcieri, apicoltori, tabaccai, ceramisti, agricoltori di ogni tipo e chi più ne ha più ne metta. Questo, naturalmente, accanto a grossi gruppi tedeschi di pressione che sono direttamente presenti all’interno dell’elenco, da E.On ad Adidas, passando per Deutsche Bank e Bayer. Ma i colossi internazionali, nella lista, sono anche tanti altri. Ci sono compagnie petrolifere come Chevron, Shell e Total, banche come Bofa, Bnp Paribas e Banco Bilbao, case farmaceutiche come Bristol-Myers Squibb, la già citata Bayer e Glaxo, maxi-fondi di investimento come BlackRock (che in Italia sta facendo man bassa di banche), e poi Air France, Facebook, Google, British American Tobacco, Philip Morris, Imperial Tobacco, Arcelor-Mittal, Alstom. Ma è chiaro che un elenco esaustivo non sarebbe possibile.

Le rappresentanze “lobbistiche” italiane, pur numerose, sembrano arrancare rispetto a quelle di altre paesi. Nell’elenco, tra le altre, ci sono Eni, Enel, Rai, Fs, Cassa Depositi, Fiat, Fincantieri, Finmeccanica e Mediaset. Ci sono associazioni di categoria come Legacoop (coop rosse), Confcommercio, Ance (costruttori), Ania (assicurazioni), Abi (banche), Unioncamere (le camere di commercio che ora Matteo Renzi vorrebbe abolire), Uil (il sindacato di Luigi Angeletti), Aiscat (i concessionari autostradali guidati da Fabrizio Palenzona). Spuntano pure enti pubblici come l’Ice, l’università di Bologna Alma Mater e l’Autorità portuale di Ancona. E altre associazioni come Arcigay e Altroconsumo.

La questione

Ma è efficace questo maxi-elen co con 6.486 lobbisti? La risposta potrebbe essere affermativa se la trasparenza fosse garantita. Teoricamente ogni lobbista dovrebbe indicare il fatturato che trae dalla sua attività e quali sono i clienti per i quali lavora. Nella pratica, però, molto spesso le schede informative non riportano questi dati. Per tale ragione molti osservatori credono che il registro in questione sia “tutto fumo e niente arrosto”. Anche perché i controlli sono ballerini e alcuni finiscono col chiedere l’ammissio ne all’elenco solo per questioni di marketing. Accanto a questi, però, ci sono organismi che invece sanno fare pressione, e anche molto bene. Tedeschi in primis.

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(La Notizia) @ssansonetti

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Sondaggio lobbying: IT e Telecomunicazioni al 4° posto per influenza http://www.lobbyingitalia.com/2013/10/sondaggio-lobbying-it-e-telecomunicazioni-al-4-posto-per-influenza/ Fri, 18 Oct 2013 21:10:33 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=1921 Chi sono i lobbisti? Come operano? Come vengono percepiti? Come le aziende italiane fanno lobbying e come si organizzano per svolgere questa attività? Quali sono i settori più attivi ?

Sono alcune delle domande cui prova a rispondere una ricerca realizzata da Public Affairs Advisors, società di consulenza, partecipata dal Gruppo Value Relations e specializzata nelle attività di lobbying, e dalla società di indagini demoscopicheAcqua Market Research, che ha intervistato circa 200 manager di grandi aziende italiane (tra amministratori delegati, direttori generali, responsabili affari istituzionali). I risultati della ricerca contribuiscono a illuminare i contorni di un ormai vasto mondo professionale che gradualmente sta “uscendo allo scoperto”, per proporre servizi studiati sulla base delle esigenze di aziende, associazioni o gruppi di interesse che necessitano di dialogare correttamente con la politica, le istituzioni e con i loro stakeholder.

Dalla ricerca emerge una nuova figura di lobbista, un professionista italiano ma di stampo anglosassone che finalmente pare liberarsi del retaggio storico di un’immagine poco cristallina, cucitagli addosso anche dai mezzi d’informazione“, afferma Giovanni Galgano, amministratore delegato di Public Affairs Advisors, che aggiunge “Chi opera oggi nelle relazioni istituzionali svolge un’attività trasparente, di elevata qualità, di cui le aziende hanno sempre più bisogno e che richiedono al mercato. Nel nostro paese esistono settori storicamente più inclini a svolgere questa attività come quelli della Sanità, della Farmaceutica e dell’Energia. Ma altri comparti si stanno organizzando in modo sempre più strutturato come quelli dei Servizi Finanziari, della Difesa ed Aerospazio, dell’IT e Telecomunicazioni“.

IDENTIKIT del LOBBISTA

Scorrendo il rapporto di ricerca, alla domanda “In chi identifica i lobbisti?” i manager italiani interpellati rispondono nelle agenzie di public affairs (82%), nelle associazioni di categoria (76%), nei professionisti indipendenti (57%), lasciando ai sindacati il quarto posto nella classifica, all’industria il quinto e ai think tank il sesto. Un implicito riconoscimento della funzione, del ruolo e della riconoscibilità dell’azione del lobbista professionista, anche fuori dall’azienda. Una specifica domanda della ricerca si focalizza sulle caratteristiche professionali che vengono richieste al consulente.  I manager interpellati sembrano maggiormente convinti da chi è in grado di costruire reti, relazioni e azioni di lungo periodo (67%): il “mordi e fuggi” non sembra premiare. Conoscenza del panorama politico e professionalità e reputazione del consulente sono gli altri aspetti che maggiormente le aziende ricercano in chi li deve affiancare nell’attività di lobbying, mentre spicca all’ultimo posto la risposta Brand dell’agenzia o del consulente (9%): la qualità del servizio viene ricercata a prescindere dal nome di chi lo realizza.

EFFICACIA E ASPETTI POSITIVI DEL “LOBBISTA DI PROFESSIONE”

Da rimarcare anche la risposta data al quesito “quali considera gli aspetti positivi del lobbying”, cui gli intervistati rispondono per la grandissima parte con l’integrazione costruttiva nel processo decisionale (80%), mentre minor peso viene dato ad altre attività tipiche del lobbista, come aumentare la risonanza locale e nazionale di un tema. In sostanza il top manager vuole influire sul processo decisionale, sulla formazione dei regolamenti e delle normative che lo potranno riguardare, conscio che senza un interscambio costante e professionale con i decisori difficilmente potrà raggiungere risultati apprezzabili. Ma come le aziende italiane si sono organizzate per svolgere l’attività di lobbying? A chi si affidano? Le risposte dei manager interpellati a questa domanda confermano una buona fiducia nell’associazione di categoria, che per il 58% degli intervistati rimane il primo interlocutore per le esigenze lobbistiche, ma allo stesso tempo ci dicono che le aziende si muovono direttamente – e pesantemente –  anche con i loro vertici manageriali (un analogo 58% di una domanda a risposta multipla).

 

Spicca con il 30% la società di consulenza, che viene delegata dalle aziende a curare tutti o alcuni aspetti delle attività di public affairs.  “Un risultato impensabile in Italia solo fino a qualche anno fa – dice Giovanni Galgano – quando la figura del consulente esterno veniva più che altro utilizzata per attività di generiche pubbliche relazioni”. Aggiunge Andrea Cimenti, direttore di Acqua Market Research “Non è una classifica dei poteri forti, ma una fotografia, o meglio un autoscatto realizzato da chi quotidianamente opera nell’arena del business e ne riconosce vincitori e vinti”. Rimanendo in tema di efficacia, i manager intervistati ritengono che lo “strumento più utile di pressione” sui decisori sia l’incontro one-to-one (per l’83% del campione), che quasi doppia l’importanza riconosciuta alla lobbying indiretta realizzata grazie alle campagne di comunicazione mirate sul bisogno aziendale (49%).

I risultati della ricerca – commenta Giovanni Galgano, amministratore delegato di Public Affairs Advisors – indicano chiaramente che in Italia c’è necessità crescente di lobbying professionale. Ma dicono anche che il portato negativo del concetto di lobby è duro a morire, e che lo si teme in quanto così percepito dal grande pubblico. Forse costruire un rapporto migliore tra cittadini e istituzioni, tra cittadini e politica, tra aziende e pubblica amministrazione passa anche da una trasparente regolamentazione delle attività di public affairs. A maggior ragione in un momento storico e politico come quello che stiamo vivendo“.

Fonte: Key4Biz

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Facebook, Google e gli altri. Ecco come investono nel lobbying i colossi dell’America hi-tech http://www.lobbyingitalia.com/2012/01/facebook-google-e-gli-altri-ecco-come-investono-nel-lobbying-i-colossi-dellamerica-hi-tech/ Mon, 23 Jan 2012 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2012/01/facebook-google-e-gli-altri-ecco-come-investono-nel-lobbying-i-colossi-dellamerica-hi-tech/ Facebook non risparmia nelle relazioni con la politica negli Stati Uniti: negli ultimi tre mesi dell’anno scorso ha speso 440mila dollari per attività di lobby presso il Parlamento, le authority e i ministeri. È un aumento del 30% rispetto al periodo equivalente nel 2010. E, come risulta da stime ricavate dai documenti trimestrali pubblicati nella banca dati “Lobbying Disclosure act”, raggiunge 1,35 milioni di dollari versati durante il 2011 a società di consulenza attive a Washington e dintorni: le cifre definitive saranno pubblicate nei prossimi giorni.

I report consegnati con cadenza trimestrale rivelano quali sono i temi che hanno spinto il social network ad aprire la cassa. Come la proposta di legge Sopa (Stop Online Piracy Act) sulla tutela del copyright e il contrasto alla pirateria informatica: negli ultimi giorni ha richiamato una protesta su internet guidata dall’enciclopedia Wikipedia e l’esame sulla bozza è stata rinviata a febbraio. La lista degli argomenti di interesse per Facebook è lunga: include privacy, commercio elettronico, libertà di espressione. In particolare, una nota segnala che ha investito anche su discussioni relative ai regolamenti della pubblica amministrazione e del Parlamento per «l’accesso ai social media e l’uso dei social media nell’interazione con i cittadini».

Altri colossi hanno speso di più nell’ultimo trimestre del 2011. Google, ad esempio, ha versato a gruppi impegnati nel lobbying 3,76 milioni di dollari: la singola voce più elevata, 150mila dollari, riguarda l’internet veloce con banda larga e la nuvola informatica (cloud computing). Le altre cifre sono destinate a un’ampia gamma di questioni, ad esempio libertà di espressione, riservatezza dei dati personali, censura. E ancora: YouTube, competizione online, pubblicità. Microsoft, invece, ha sborsato 1,88 milioni di dollari: il picco di 130mila dollari è stato erogato per temi relativi «a riforme sull’immigrazione di lavoratori qualificati negli Stati Uniti», segnala il documento. Anche in questo caso la lista di argomenti è molto ampia e comprende informatica nella pubblica amministrazione, tutela del copyright, software piratati.

Sotto la soglia di un milione di dollari sono Yahoo! con 630mila dollari e Amazon con 690mila dollari: in particolare, la libreria online ha investito su “vendite a distanza” e sulla banda larga, come evidenzia la nota nell’archivio digitale. Apple, invece, ha corrisposto poco più di Facebook nei tre mesi conclusivi dell’anno scorso, con una somma complessiva di 450mila dollari: tra le voci, un’autorizzazione per “scuole elementari e secondarie”, fondi destinati a “tecnologie educative”, e “sistemi di pagamento elettronico per i consumatori”.

Luca Dello Iacovo – IlSole24Ore.com

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