europa – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Il lobbying dei (e per) i buoni http://www.lobbyingitalia.com/2016/01/il-lobbying-dei-e-per-i-buoni/ Sat, 09 Jan 2016 08:40:17 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3116 (Francesco Angelone) L’attività di lobbying come indicatore di deficit democratico e come strumento per restituire nelle mani dei cittadini il potere decisionale. Sembrerebbe una contraddizione in termini ma non lo è se a cambiare è il soggetto di tale attività. È quello che sostiene la Wake Up Foundation, organizzazione no-profit impegnata, con la campagna Wake Up Europe!, nel tentativo di ridistribuire in maniera più equa il potere politico in favore dei cittadini. La fondazione, presieduta e guidata dalla giornalista e regista italiana Annalisa Piras e dal giornalista inglese Bill Emmott, co-autori del documentario Girlfriend in a Coma uscito nel 2012, nasce proprio con l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo le “pericolose tendenze attualmente in corso nelle società occidentali”.

La campagna Wake Up Europe! scaturisce da un secondo docu-film diretto dalla Piras ed uscito nel 2015, The Great European Disaster Movie, che affronta il tema della crisi europea. Nel documentario, ambientato in un futuro prossimo, l’Unione Europea è solo un ricordo. Su un aereo che affronta turbolenze durante il volo e che non riesce ad atterrare su nessuna pista, un archeologo (scelta emblematica) spiega ad una bambina di essere in ritardo per una conferenza sull’Unione Europea nella quale deve intervenire. La bambina gli chiede cosa sia l’Unione Europea e a quel punto comincia un viaggio nel passato, un passato dove i nazionalismi e gli indipendentismi hanno messo la parola fine al sogno dei padri fondatori. L’Europa oggi, secondo il team di Wake Up Foundation, è a rischio implosione e lo è soprattutto per la scarsa consapevolezza dei cittadini su quanto sta accadendo.

Il lobbying allora che ruolo ha in tutto ciò? In un contesto politico come quello dell’Unione Europea, che appare a molti troppo poco trasparente e distante dai cittadini, che non vedono come poter entrare in contatto con le istituzioni europee, cresce lo spazio per il corporate lobbying che finisce per dominare il processo legislativo. Tanto ignari sembrano essere i cittadini dei diritti forniti loro dalla legislazione europea quanto consapevole il mondo degli affari sembra essere dei propri.

Bruxelles, il luogo dove vengono prese le decisioni, è chiaramente una postazione privilegiata per osservare quanto accade in Europa. Nella capitale del Belgio e d’Europa sono attivi circa 30 mila lobbisti se si contano anche quelli non iscritti al Registro per la trasparenza di Commissione e Parlamento, un esercito pari per numero solo a quello dello staff in servizio presso la Commissione europea. Figurano in questa stima anche le ONG, spesso mal equipaggiate per rappresentare gli interessi dei cittadini europei per carenza di personale, per la natura stessa degli interessi che devono rappresentare e per il budget di cui dispongono. Ne consegue che, seppure parlino a nome di molti, la loro voce non arriva forte come quella della di pochi più attrezzati alle orecchie dei decisori pubblici europei.

Oggi, però, per sovvertire questa tendenza i cittadini hanno a disposizione una serie di strumenti forniti dalla rivoluzione informatica ma anche uno strumento più tradizionale come quello della collaborazione, anche pro-bono. Negli Stati Uniti è in pieno svolgimento il fenomeno per cui appassionati e volontari qualificati forniscono la propria esperienza, strategie, marketing e risorse umane di cui le organizzazioni hanno bisogno. In Europa il fenomeno, più irregolare e frammentato, sta comunque guadagnando slancio.

the good lobby

Per far incontrare la domanda e l’offerta di know-how, le ONG e i volontari qualificati, la Wake Up Foundation ha istituito The Good Lobby, una piattaforma online dove studenti, accademici e chiunque voglia può fornire assistenza per le attività di advocacy di cui si occupano le ONG. Per mettere a disposizione le proprie skill di diritto comunitario, comunicazione e sviluppo delle policy è sufficiente iscriversi alla piattaforma. Saranno le ONG a rivolgersi alla piattaforma per trovare le competenze di cui hanno bisogno e questa favorirà l’incontro di domanda e offerta e la loro collaborazione.

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Europarlamento, ai socialisti non piacciono i lobbisti delle multinazionali http://www.lobbyingitalia.com/2015/10/europarlamento-ai-socialisti-non-piacciono-i-lobbisti-delle-multinazionali/ Fri, 23 Oct 2015 14:53:22 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3008 Messi al bando dall’Europarlamento i lobbisti delle multinazionali dichiarate non gradite: Fiat Chrysler, Amazon, Ikea, Mc Donald’s, Facebook, Google, Coca Cola, Ikea, Philip Morris, Wal-Mart, Walt Disney, Barclays Bank Group e Hsbc.

I socialisti europei hanno messo al bando i lobbisti delle multinazionali dall’Europarlamento. Il gruppo dei socialisti e dei democratici (S&D) ha stilato l’elenco delle 14 società dichiarate non gradite e che pertanto non potranno partecipare ai meeting di questa famiglia politica perché, pur convocate, non si sono presentate alle audizioni del comitato speciale Taxe, istituito sull’onda dello scandalo LuxLeaks e incaricato di far luce sugli accordi fiscali tra gli Stati membri e le multinazionali.

La lista delle società interessate include Fiat Chrysler (reduce dalla bocciatura Ue dell’accordo di tax ruling con il Lussemburgo), Amazon, Ikea, Mc Donald’s, Facebook, Google, Coca Cola, Ikea, Philip Morris, Wal-Mart, Walt Disney, Barclays Bank Group e Hsbc. Come sottolinea il presidente del gruppo S&D, Gianni Pittella, la scelta anticipa la decisione al riguardo che sarà presa dal Parlamento europeo. La proposta era stata avanzata dalla stessa commissione Taxe, presieduta dal popolare francese Alain Lamassoure.

fonte: Milano Finanza

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Lobby legittima e trasparente, le regole in Europa http://www.lobbyingitalia.com/2015/09/lobby-legittima-e-trasparente-le-regole-in-europa-futuroeuropa-it/ Wed, 23 Sep 2015 07:31:07 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2952 Lobby è il termine inglese con cui si identifica un gruppo di persone titolari di un legittimo diritto, rappresentanti quindi un interesse materiale o immateriale, che svolgono azione di pressione presso le istituzioni designate a governare per ottenere benefici per i loro rappresentati. Al di là della corposa bibliografia e filmografia sull’argomento, l’azione svolta da questi rappresentanti è legale e legittima quando si esplicita con i normali mezzi di comunicazione, il che si intende esporre le proprie ragioni in sedi appropriate evidenziando i vantaggi che verrebbero alla comunità dall’adozione di quanto proposto dalla lobby.

Al di là del lessicale che definisce la lobby e la sua azione, appare chiaro che se, ad esempio, l’industria del tabacco evidenzia i vantaggi in termini di aumento del Pil derivante dalla vendita di sigarette, altrettanto cercherà di far passare in secondo piano i danni alla salute ed i relativi costi. Spetta poi alle istituzioni ed ai rappresentanti eletti valutare e decidere nella maniera migliore per i cittadini senza lasciarsi fuorviare. Quando, come purtroppo è capitato, l’azione di lobbying si svolge tramite l’elargizione di omaggi, benefit o altri sistemi simili, si passa ad un’attività di corruttela che cade quindi nel campo di azione della magistratura.

Con il Libro Bianco del 2001 l’Europa è passata da un sistema di government fortemente centralizzato ad una governance quanto più possibilmente condivisa, il cambio di rotta ha prodotto un Libro Verde di Iniziativa sulla Trasparenza che ho condotto, nel 2011, alla creazione di un Registro della Trasparenza dove si iscrivono i rappresentanti degli interessi (si può andare dal tabacco all’ambiente), che aderiscono in questo modo ad un preciso codice di condotta.

Alcuni limiti del Registro sono subito evidenti, la Registrazione non è obbligatoria come invece lo è negli Stati Uniti, ad ogni aumento dei poteri europei corrisponde una proporzionale crescita dei gruppi di interesse che aprono sedi e rappresentanze in tutti i luoghi deputati al processo decisionale. Su di una stima di almeno 15.000 lobbisti, gli iscritti sono solo un terzo. In mancanza dell’obbligatorietà si è cercato di invogliare l lobbisti ad iscriversi garante una serie di incentivi, come l’accesso al Parlamento Europeo. Secondo quanto ebbe a dichiarare l’allora commissario europeo in carica per gli Affari Amministrativi, gli Audit e la Lotta antifrode, l’estone Siim Kallas si era comunque cambiata la cultura, i parlamentari si sono dimostrati più restii a parlare ed incontrare membri dei gruppi di pressione non registrati.

Il sistema del Registro della Trasparenza viene gestito dal Joint Transparency Register Secretariat, un organismo composto da alcuni dei membri dei segretariati generali del Parlamento Europeo e della Commissione Europea. Tale organismo effettua controlli a campione per verificare la correttezza dei dati inseriti nel sistema, per una media di circa ottocento controlli all’anno. Gli iscritti che non aggiornano i dati richiesti o ostacolano i controlli vengono bloccati dal sistema, il responsabile politico è il Primo Vicepresidente della Commissione Europea Frans Timmermans.

Per comprendere la potenza di fuoco delle associazioni di categoria e degli stakeholder interessati in qualche maniera, basti pensare che la sola industria del tabacco conta ben 97 lobbies con oltre 200 addetti a Bruxelles, e che per influenzare il processo decisionale sul settore che si è svolto nel mese di febbraio scorso, ha destinato all’uopo la cifre di tre milioni di euro. Altre azioni per evidenziare interessi specifici si sono avute con l’ingresso dei paesi orientali nella UE, volte a modificare l’azione europea che si basava su presupposti attinenti il mondo occidentale. A volte si assiste perfino allo scontro tra diversi lobbies, rimane storico e perenne quello tra il BEUC (Bureau Europeo delle Organizzazione dei Consumatori) e le aziende TLC sul roaming dei cellulari.

di Maurizio Donini, FuturoEuropa.it

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L’Europa governata dalle lobby (Internazionale) http://www.lobbyingitalia.com/2015/07/leuropa-governata-dalle-lobby-internazionale/ Thu, 23 Jul 2015 15:42:25 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2864 (Antonio Pollio Salimbeni) Tre parlamentari europei – tra cui l’ex ministro dell’interno austriaco Ernst Strasser, del Partito popolare, poi condannato – pizzicati a chiedere centomila euro a dei giornalisti che si spacciavano per lobbisti in cambio della presentazione di alcuni emendamenti a una direttiva europea. Poi, nel 2012, il caso del commissario europeo alla salute e consumatori, il maltese John Dalli, accusato di aver tenuto all’oscuro la Commissione della sua partecipazione a riunioni informali con rappresentanti dell’industria del tabacco nei giorni in cui stava elaborando una direttiva sul settore. Il maltese ha dovuto dimettersi quasi subito. Poi gli emendamenti “copia e incolla” alla direttiva sulla protezione dei dati: un eurodeputato ne ha presentati 158 per difendere una posizione contraria al diritto alla privacy e arrivavano direttamente dai documenti delle imprese interessate. Infine la pratica durata fino al 2009: gli esperti mandati dalle aziende alla Commissione, la sola istituzione che può elaborare e proporre una legge.

La storia dell’Unione europea è piena di episodi del genere, ma sono casi estremi. Il problema riguarda la normalità dei rapporti tra il business e le istituzioni europee, che non hanno mai ispirato così poca fiducia ai cittadini. Un rapporto di Trasparency international rimette il dito sulla piaga: anche se la Commissione di Jean Claude Juncker ha fatto dei passi avanti, deve fare ancora molta strada per assicurare una trasparenza effettiva e una completa eguaglianza di accesso alle istituzioni europee.

Bisogna precisare che l’attività di lobbying e l’influenza indebita non sono necessariamente sinonimi. La prima è certamente volta a influenzare le decisioni pubbliche per conto di un cliente o di un gruppo d’interesse, ma se è svolta alla luce del sole e rappresenta interessi legittimi in modo trasparente non pone alcun problema etico o politico. La seconda invece è un’attività opaca, subdola, volta esplicitamente a condurre un gioco sleale. È un processo discriminatorio perché favorisce solo determinati interessi a scapito di altri, e può portare a varie forme di corruzione.

Il lobbismo va considerato parte del funzionamento di una democrazia, e così la pensa anche Trasparency international. Ma spesso una parte dei processi attraverso cui vengono influenzate le decisioni pubbliche resta nascosto e passa attraverso canali informali. E qui cominciano i rischi e aumenta la vulnerabilità delle istituzioni. Capita che emergano conflitti di interesse o che certi gruppi godano di un accesso privilegiato a chi prepara e prende le decisioni.

Dopo Washington, Bruxelles è la città al mondo con la maggiore concentrazione di lobbisti. Non stupisce: nella capitale belga si prendono decisioni che condizionano più del 60 per cento della produzione legislativa degli stati dell’Unione. I lobbisti sono tra 15mila e 30mila, ovvero da 1,3 a 2,6 per ciascun funzionario europeo. Tenendo conto che a preparare, redigere e approvare le proposte di legge e le normative sono poche migliaia di funzionari, la sproporzione è ancora più forte.

Nel registro europeo della trasparenza sono attualmente iscritte 7.821 organizzazioni, di cui 4.879 dichiarano di avere come obiettivo influenzare le decisioni politiche delle istituzioni per conto delle aziende. Exxon Mobil, Shell, Microsoft e Deutsche Bank sono in cima alla lista delle imprese che spendono di più nell’attività di lobbying: le prime tre 4 milioni e mezzo di euro, la banca tedesca 3,9 milioni. Dominano i settori della farmaceutica, della finanza, delle telecomunicazioni e dell’energia.

Il peso di un cartellino

La spesa annuale in attività di lobbying è un indicatore fondamentale, come lo è anche il numero di badge, i cartellini che permettono di entrare nel parlamento europeo e avere accesso ai deputati, agli assistenti, e agli esperti dei gruppi politici. In genere i lobbisti delle imprese ne hanno pochi (Microsoft ne ha quattro, Shell ne ha sette, ExxonMobil cinque, Google otto, Siemens dieci), mentre le organizzazioni di categoria hanno accesso più facile: BusinessEurope ha a disposizione 23 badge, il Wwf 10, Eurocommerce 13, l’European Chemical Industry Council 24, Greenpeace 13, Oxfam 12, il Bureau européen des unions de consommateurs 24.

Nell’Unione europea l’iscrizione al registro è volontaria e questo getta un’ombra pesante sul livello di trasparenza: 14 dei 20 studi legali più grandi del mondo che hanno una sede nella capitale belga (tra cui Clifford Chance, Whitye&Case, Sidley Austin) non sono nella lista ma undici di queste sono registrati come lobby organisations a Washington, dove la registrazione è obbligatoria. In Europa solo 88 studi legali sono registrati.

A dominare la scena a Bruxelles sono i lobbisti che rappresentano associazioni di imprese e del commercio. I settori a più alta intensità lobbistica sono l’energia, il clima, l’economia digitale, i mercati finanziari e i trasporti. In fondo alla lista troviamo politiche regionali, bilancio, affari interni, aiuti umanitari e le politiche per la periferia dell’Unione europea. Più del 75 per cento dei 4.318 incontri con esterni della Commissione europea tra il dicembre del 2014 e il giugno del 2015 ha riguardato lobbisti di imprese, gli incontri con le organizzazioni non governative sono stati il 18 per cento, quelli con istituti di ricerca e vari think tank il 4 per cento, quelli con autorità locali il 2 per cento.

Vigilare in casa propria

Bisogna preoccuparsi oppure no? Certamente bisogna vigilare, perché il rischio di alterare il processo decisionale è elevato. Ma non bisogna esagerare. Trasparency international pubblica una graduatoria sul grado di trasparenza, sulle salvaguardie contro l’influenza indebita e sulle regole etiche nei sistemi politici di 22 paesi europei, da cui risulta che la Commissione europea è in seconda posizione con una quotazione del 53 per cento dopo la Slovenia (55 per cento). Il parlamento europeo ha il 37 per cento, il consiglio il 19 per cento. L’Italia si trova al 20 per cento, la Germania al 23 per cento, la Francia al 27 per cento, la Spagna al 21 per cento.

Ciò dimostra che l’influenza delle lobby non è solo un problema europeo, ma pervade i sistemi politici nazionali. Un caso recente è stata la difficilissima trattativa sulla vigilanza bancaria unica sotto l’egida della Banca centrale europea. Sull’estensione dei poteri della Bce ci sono state aspre contese sia nel Consiglio sia nel parlamento, e la Germania ha gettato tutto il suo peso nel negoziato. L’obiettivo era difendere le Sparkassen (casse di risparmio) e le Landesbanken (banche regionali di proprietà pubblica). Nella repubblica federale le banche sono “la cinghia di trasmissione tra la politica e l’economia”. Due anni fa Die Zeit ha fatto i conti concludendo che su 620 parlamentari tedeschi 126 facevano parte del consiglio di sorveglianza di almeno una società. La maglia degli interessi è intricatissima, sia a Bruxelles sia nelle capitali europee, e spesso i fili sono gli stessi.

Fonte: Internazionale

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Così le lobby fermano le riforme: nuovo rapporto di Transparency International (Repubblica.it) http://www.lobbyingitalia.com/2015/04/cosi-le-lobby-fermano-le-riforme-nuovo-rapporto-di-transparency-international-repubblica-it/ Wed, 15 Apr 2015 14:45:12 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2763 L’associazione stila la classifica europea dei paesi con maggiore trasparenza. Italia al terz’ultimo posto. Peggio di noi solo Cipro e l’Ungheria. E online una petizione per chiedere a Parlamento e governo l’approvazione di una normativa.

Influenze nascoste. Accessi privilegiati e opachi ai decisori pubblici. Un terreno dove la trasparenza è solo una pia illusione. Lobby, siamo ancora al punto zero. Perché il quadro che emerge da “Lobbying in Europe”, l’ultimo rapporto di Transparency International, mostra che in Europa solo sette paesi possiedono forme di regolamentazione dei fenomeni lobbistici. E l’Italia è al terz’ultimo posto tra le diciannove nazioni analizzate. Una primato negativo. Superabile solo con la messa in essere di norme che prevedano  –  e sono queste le richieste della sezione italiana di Ti – un registro pubblico e obbligatorio dei lobbisti, chiarezza negli incontri tra i lobbisti e i membri del Parlamento o i pubblici ufficiali, e la “regolamentazione del fenomeno delle porte girevoli”. Norme necessarie anche per combattere la corruzione.


Un freno per le riforme. Peggio di noi, solo Cipro e l’Ungheria. Nel rapporto si legge: “L’Italia, insieme a Portogallo e Spagna, è tra i cinque Paesi con i punteggi peggiori e dove le pratiche di lobbying e i rapporti tra il settore pubblico e finanziario sono particolarmente a rischio”. Pratiche che possono mettere a rischio l’intero impianto delle riforme istituzionali ed economiche. Per Transparency International, infatti, esse sono state “significativamente ridimensionate anche a causa dell’azione e delle pressioni dei maggiori attori del settore”. Pressioni che “creano terreno fertile per una cerchia ristretta di poteri in grado di far valere in maniera indebita i propri interessi particolari”, dice Virginio Carnevali, presidente di TI.

I casi negativi. Tra le cattive pratiche di lobbying segnalate in Italia, quella dell’industria del gioco d’azzardo, “nelle cui file dirigenziali non è difficile trovare ex-politici”. Che grazie alla loro influenza sugli attuali membri del Parlamento hanno fatto sì che “le riforme del settore che andavano a favore dell’interesse pubblico” venissero ritirate. Altro caso, quello dei trasporti. Ancora dal rapporto di TI: “La totale assenza di regole sul lobbying ha impedito negli anni una liberalizzare del settore dei taxi”. E, anche in questo caso, “regole chiare e maggior trasparenza avrebbero potuto garantire a tutti i portatori di interesse pari opportunità di partecipazione al processo decisionale”.

Porte girevoli. Nota dolente, il passaggio dal sistema pubblico a quello privato e viceversa. Una dinamica non regolata che consente da un lato di sfruttare “informazioni pubbliche” per favorire interessi privati e dall’altro di “incidere grazie alle conoscenze acquisite” sulle decisioni pubbliche anche se oramai non si è più dirigenti dello Stato. Dinamica così spiegata nel rapporto: “In Italia in particolare è abbastanza facile passare dal settore pubblico al privato e viceversa, consentendo in questo modo a ex-pubblici ufficiali di andare ad esercitare attività di lobbying nei confronti dei loro passati datori di lavoro”.

La questione del finanziamento ai partiti. E una legislazione sul lobbying diventa sempre più necessaria anche in relazione alla migrazione da un sistema pubblico di finanziamento alla politica a uno prevalentemente privato. “A fronte di moltissime proposte di legge, in questi anni è stato invece fatto pochissimo nel concreto: sono i diritti e gli interessi basilari dei cittadini che vengono chiamati in causa e che necessitano di essere protetti con una norma ben scritta”, dice Davide Del Monte, direttore di Transparency International Italia.

La petizione. Infine, le raccomandazioni. Cinque passi verso una maggiore trasparenza. Cinque regole necessarie anche per impedire l’aumento di fenomeni legati alla corruzione. Si va dall’adozione di “un ampio e completo sistema di regolamentazione del lobbying” fino all’introduzione di “registri obbligatori dei lobbisti”. Passando dalla “tracciabilità e la pubblicizzazione di tutti gli interessi che hanno influenzato una legge”, dallo stabilire “periodi di attesa minimi durante i quali non sia consentito ai pubblici ufficiali e agli ufficiali eletti esercitare attività di lobbying” e dalla pubblicazione dei loro “legami politici”. Raccomandazioni sostenute anche dai cittadini italiani. Transparency International ha infatti lanciato la petizione Trasparenza nel lobbying, disponibile su Change.org.

FONTE: Carmine Saviano – Repubblica.it

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Anche in Francia il lobbying è poco trasparente: lo dice Transparency International http://www.lobbyingitalia.com/2014/10/anche-in-francia-il-lobbying-e-poco-trasparente-lo-dice-transparency-international/ Thu, 23 Oct 2014 18:00:03 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2629
(Giovanni Gatto) Dopo la
Spagna, anche la Francia è passata al setaccio di Transparency International, ONG che si occupa della lotta alla corruzione e della domanda di trasparenza dei processi decisionali pubblici in giro per il mondo. Anche in questo caso, i risultati sono disastrosi: il Paese transalpino ottiene un punteggio di 2,7 su 10, risultando ancora molto arretrato per quanto riguarda il livello di regolamentazione del fenomeno lobbistico.

Il rapporto ha testimoniato come la Francia sia molto indietro per quanto riguarda la definizione delle relazioni tra portatori di interesse e politici, salvo che nel caso dell’Assemblea Nazionale. Qui infatti è già presente un Registro dei rappresentanti di interesse che raggruppa aziende, associazioni di categoria, ONG e società di consulenza. Il registro (Tableau des représentants d’intérêts) è nato da un progetto portato avanti dal deputato del Partito Socialista Christophe Sirugue, che nel luglio del 2012 istituì un gruppo di lavoro interno all’Assemblea francese (composto dai deputati Marie-Françoise Clergeau, Pascale Got, Arlette Grosskost, Marc Le Fur e Bernard Perrut) appoggiato anche dall’associazione francese dei lobbisti (Association française des conseils en lobbying). Pascal Tallon, presidente dell’Associazione, auspicava che in questo modo “tutti potessero scoprire che non c’è nulla da scoprire”.

Il formulario d’iscrizione al registro dei lobbisti è, lodevolmente, molto dettagliato: sulla scorta del modello anglosassone, richiede dettagliate informazioni per l’iscrizione come il volume d’affari dell’ente, l’obiettivo nei confronti dei decisori e le persone registrate per nome dell’azienda o organizzazione. Unica pecca (non da poco) la non obbligatorietà della registrazione per avere l’accesso esclusivo al decisore pubblico, caratteristica che rende il sistema simile a quello europeo, in cui non vi sono enti preposti al controllo stringente delle iscrizioni al registro (come, ad esempio, avviene in Canada o negli USA). Il Registro è entrato in vigore il 1° Ottobre 2013.

In realtà l’Assemblea Nazionale è stata la sola ad essersi interessata della trasparenza del processo decisionale francese, tanto da aver già applicato delle regole sul lobbying sin dal 2009: in particolare un registro pubblico e dei codici di condotta, poi rinforzati col provvedimento del 2013. In entrambi i casi Transparency International France ha portato avanti (insieme all’altra associazione francese Regards Citoyens) una vera e propria azione di lobbying anche attraverso audizioni parlamentari. Il lavoro del bureau presieduto dal deputato Sirigue non è stato però recepito anche dall’altra camera parlamentare francese, il Senato, né dalle istituzioni governative. Questa è la maggior motivazione per la quale la Francia sia stata “bocciata” da TI, insieme all’interpretazione “europea” del registro per la trasparenza in senso non obbligatorio. L’ONG, come per gli altri rapporti pubblicati, si è basata sulla valutazione di tre variabili: integrità, tracciabilità e partecipazione al processo decisionale. Riguardo l’integrità, il rapporto ha denunciato il mancato rispetto dei codici condotta e, in alcuni casi, la loro mancata applicazione; l’assenza di un organo di controllo indipendente sul registro per la trasparenza; il punteggio totale degli adempimenti ha raggiunto solo il 30%.

“Insufficiente e disequilibrata” è stata invece considerata la tracciabilità del processo legislativo: difficile conoscere dall’esterno quali e quanti siano i locali frequentati da portatori di interesse particolare, ad esclusione del Palais Bourbon (sede dell’Assemblée), e ancor più difficile comprendere il fenomeno delle revolving doors (in francese “pantouflage”), ossia del passaggio da pubblico a privato o viceversa. Ad esempio, ha destato scandalo la nomina di Xavier Musca, segretario generale all’Eliseo ai tempi di Sarkozy, alla carica di direttore generale di Crédit Agricole, o il consigliere dell’ex Primo Ministro Jean-Marc Ayrault, Nicolas Namias, nei quadri dirigenziali di Natixis. La valutazione degli strumenti di controllo, verifica e sanzione delle patologie non democratiche nel processo decisionale ha raggiunto solo il 10%. Per quanto concerne l’equità nell’accesso al processo decisionale, l’accusa rivolta da TI France all’establishment francese è quella di non avere chiare regole riguardo la formazione di comitati consultivi, che spesso restano chiusi all’esterno e non pubblicano i lavori o quanto meno la loro composizione interna.

Secondo Anne-Marie Ducroux di TI France, il problema è essenzialmente culturale: ancora in Francia la parola “lobbying” è considerata tabù (meglio parlare di “rappresentanza di interesse”), la legge è vista ancora come “calata dall’alto” in nome della volontà generale di rousseauviana memoria, senza la possibilità per attori economico-sociali di influire sul processo decisionale dell’Esecutivo il quale, a sua volta, non avrebbe la necessità di rendere conto dei propri atti in virtù del principio di separazione dei poteri. La legge Le Chapelier, poi, già nel 1791 (curiosamente l’anno in cui negli Stati Uniti veniva inserita l’attività di lobbying tra i diritti costituzionali…) aveva sancito l’abolizione delle corporazioni e di tutti i tipi di corpi intermedi[1], facilitando l’accentramento decisionale pubblico transalpino. L’interesse generale trascende “per tradizione”, quindi, gli interessi particolari, che non sono autorizzati ad intervenire nella decisione pubblica.

La Francia, quindi, è stata dipinta come una “cattiva alunna”, non avendo compreso la “lezione” delle principali democrazie rappresentative anglosassoni in meno alla necessità di una regolamentazione delle lobby per garantire concorrenza e maggior produttività all’intero processo economico. Ciò che incoraggia, nel caso francese, sono i passi decisi portati avanti da una minoranza parlamentare e dalle associazioni, che hanno portato alla concreta regolamentazione del fenomeno in seno all’Assemblea. Un passo avanti che ancora molti Paesi non hanno fatto. Tra questi, l’Italia, che rimane in attesa del rapporto di Transparency International previsto per il prossimo Novembre.

 

[1] Cfr. P.L. Petrillo, “Democrazie sotto pressione”, Giuffrè editore, Siena, 2011.

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Philip Morris numero uno per investimenti in lobbying nell’UE http://www.lobbyingitalia.com/2014/10/il-gigante-del-tabacco-philip-morris-e-stata-la-compagnia-che-nellultimo-anno-ha-investito-maggiormente-in-lobbying-a-livello-europeo/ Thu, 02 Oct 2014 13:45:44 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2574 Il gigante del tabacco Philip Morris è stata la compagnia che nell’ultimo anno ha investito maggiormente in lobbying a livello europeo.

La Philip Morris ha speso circa 5.25 milioni di euro, superando la compagnia petrolifera ExxonMobil, la quale ha investito 5 milioni di euro.

La Philip Morris ha aumentato le proprie spese nelle attività di lobbying di 1,25 milioni di euro nel 2012 durante il periodo di discussione della nuova Direttiva Europea sui prodotti del tabacco.

Parlamentari europei e attivisti per la trasparenza hanno criticato la Commissione Europea per aver implementato le regole di trasparenza riguardo i contatti tra i decisori pubblici e l’industria del tabacco.
Il Difensore Civico europeo ha avviato un’investigazione riservata, secondo quanto riportato, riguardo gli incontri tra i funzionari europei e l’industria del tabacco. Questo ha portato, nell’ottobre del 2012, il Commissario europeo per la salute John Dalli ad essere invitato a rassegnare le dimissioni in seguito ad un “trattativa” illecita con la Swedish Match, per cui avrebbe dovuto influenzare le revisioni della direttiva sul tabacco.

Dati assunti dal Registro europeo per la trasparenza

I dati sono desunti dal Registro europeo per la trasparenza che però, come sostiene LobbyFacts si tratta di un registro inaffidabile poiché i dati vengono inseriti volontariamente dagli iscritti. Basti pensare che colossi come Goldman Sachs e Time Warner non sono iscritti a registro. “Quello che si vede è solo la punta dell’iceberg”, sostiene Natacha Cingotti di Friends of the Earth Europe.

L’attuale registro riguarda la Commissione europea e il Parlamento Europeo, ma non il Consiglio europeo. Il neo eletto Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha fissato come priorità del nuovo esecutivo l’istituzione di un registro obbligatorio riguardante tutte e tre le Istituzioni europee.

 

Avvocati, lobbisti e associazioni di imprenditori

LobbyFacts ha pubblicato online un database che per rendere note le spese sostenute in attività di lobbying a Bruxelles.

Queste cinque società di consulenza hanno un volume di affari maggiore di 60 milioni di euro all’anno, e 130 lobbisti accreditati.

D’altra parte vi sono anche le associazioni di categoria che, solo considerando le prime dieci per dimensioni, spendono circa 52 milioni di euro all’anno in lobbying.

Oltre questi attori vi sono anche alcuni importanti studi legali che svolgono attività di rappresentanza a Bruxelles, dove i cinque principali hanno un giro di affari di 25,5 milioni di euro.

Fonte: http://www.euractiv.com/sections/public-affairs/philip-morris-tops-ngos-lobbying-spending-table-308820

 

 

 

 

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Le lobby (opache) d’Ungheria (Formiche.net) http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/le-lobby-opache-dungheria-formiche-net/ Wed, 24 Sep 2014 19:51:14 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2497 Parliamo spesso – e giustamente – dell’opportunità e dei rischi di regolare l’attività lobbistica in Italia. Altrettanto spesso, ci invitiamo vicendevolmente a guardare i casi stranieri, che generalmente citiamo come esempi virtuosi.

Questo binomio virtuoso (loro)-vizioso (noi) vale soprattutto per il confronto tra Italia e democrazie di matrice anglosassone. Perde di spessore quando mettiamo l’Italia a confronto con i propri vicini europei. Qui la situazione si fa molto più complessa e, in genere, molto meno virtuosa.

Parliamo dell’Ungheria, ad esempio. Il problema dell’opacità delle lobby – ma si potrebbe dire dell’intero sistema politico – ha radici recenti. Nasce nel 1989, subito dopo la transizione dal regime socialista, verso un regime politicamente più variegato. é in questi sistema di confine, scarsamente regolamentato e attento più alla segretezza del dato pubblico rispetto alla sua divulgabilità, che sono cresciute le attuali oligarchie politiche. Per crescere, e finanziarsi, il sistema ha dovuto fare della segretezza dei rapporti tra politica ed economia un requisito essenziale.

E difatti oggi in Ungheria non è disponibile praticamente alcuna informazione (di rilievo, almeno) sui finanziamenti che la politica riceve dai privati. Esistono iniziative private che monitorano e riportano i casi più eclatanti, ma le risorse con cui operano sono limitate e al massimo possono aprire uno spiraglio su una realtà sconosciuta al grande pubblico. Una tra queste iniziative è K-Monitor (QUI). Un’altra iniziativa è promossa dal capitolato locale di Transparency International e si chiama Kepmutatas (QUI).

Gli analisti politici ci dicono che le cause del sistema attuale, non solo opaco, ma a tratti apertamente anti-democratico (nel senso che respinge le istanze di partecipazione promosse dai cittadini comuni) dipendono per gran parte dal lavoro di Fidesz, oggi primo partito, che ha agito mosso dalla necessità di recuperare il terreno sui socialisti, tornati a vincere nel 2008 e nel 2010.

Come spiega bene la SunLight Foundation (QUI) il partito di Orban non ha oggi alcuna intenzione di migliorare, né dal punto di vista della trasparenza istituzionale, né da quello della partecipazione delle istanze provenienti dalla società civile. Perché dovrebbe? L’opposizione alla disclosure ha consentito di riorganizzare le finanze del partito in tempi brevi e di contenere in modo sostanzialmente indolore le pressioni degli attivisti. Un paradiso, o un inferno, a seconda di come vogliate vederla, per i lobbisti. Una situazione dalla quale avremmo comunque da imparare. Non nel senso di prendere l’esempio su come intervenire per disciplinare la materia. Ma un ottimo esempio per capire quanto sia rischioso non intervenire.

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Lobbisti a Bruxelles, il Parlamento vuole l’obbligo di iscrizione al registro (Il Fatto Quotidiano) http://www.lobbyingitalia.com/2014/04/lobbisti-a-bruxelles-il-parlamento-vuole-lobbligo-di-iscrizione-al-registro-il-fatto-quotidiano/ Sun, 20 Apr 2014 11:19:31 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2383 (Alessio Pisanò) Per aumentare la trasparenza il Parlamento Ue chiede regole più stringenti per i lobbisti attivi a Bruxelles. Solo in campo finanziario sono 1.700. La decisione spetta alla Commissione. Oggi un’organizzazione su quattro agisce nell’anonimato

L’iscrizione nel registro dei lobbisti presso le istituzioni europee deve essere obbligatoria. Sembra quasi una richiesta d’aiuto quella degli eurodeputati che, a Strasburgo, hanno approvato a larghissima maggioranza l’appello alla Commissione europea per rendere più vincolanti le regole che tutelano la trasparenza. Ad oggi si stima che solo il 75% di tutte le organizzazioni collegate alle imprese e circa il 60% delle Ong che operano a Bruxelles abbiano messo la propria firma sul registro. Tutte le altre operano nell’anonimato, incontrando periodicamente deputati e alti funzionari e influenzando in questo modo il processo legislativo europeo senza dover rendere conto a nessuno. Il Parlamento europeo cerca così di mettere una pezza alla discussa proposta della Commissione, che vuole mantenere la volontarietà per l’iscrizione al registro dei lobbisti unificato delle istituzioni Ue. Scontata la domanda: a che serve introdurre la registrazione, se non è obbligatoria per esercitare pressioni nei confronti dei policy maker europei? “Un registro più forte e più vincolante è uno strumento essenziale per garantire la trasparenza del processo legislativo europeo ed avere un maggiore controllo delle attività lobbistiche”, ha detto Roberto Gualtieri (Pd), relatore della risoluzione.

I lobbisti a Bruxelles sono un vero e proprio esercito: secondo l’associazione Corporate Europe Observatory, che monitora da vicino la loro azione, soltanto la grande finanza ne impiega nella “capitale d’Europa” 1.700, un rapporto di uno a quattro rispetto ai funzionari Ue che si occupano di questioni finanziarie (i numeri sono nello studio The fire power of the financial lobby pubblicato il 9 aprile). Parliamo di 120 milioni di euro annui spesi a fronte dei quattro impiegati, nel complesso, da organizzazioni sindacali, associazioni dei consumatori e Ong. Insomma, trenta volte tanto. Il paradosso è che, sempre secondo l’associazione, colossi bancari come Goldman Sachs, UBS, HSBC, Banco Santander e RBS non risultano registrati. Ecco perché la proposta approvata a Strasburgo chiede l’obbligatorietà di iscrizione entro il 2016 e prevede una serie di “incentivi” per i lobbisti registrati: sarebbero garantiti solo a loro l’accesso al Parlamento, l’autorizzazione a organizzare eventi, la partecipazione come oratori alle audizioni pubbliche e la possibilità di chiedere il patrocinio del Parlamento per le proprie iniziative.

Naturalmente l’attività di lobby non è “sbagliata” o “pericolosa” a priori. Rientrano in questa categoria anche le associazioni ambientaliste come Greenpeace, umanitarie come Amnesty International e di categoria come i sindacati. In secondo luogo, la loro consulenza ed esperienza è indispensabile a Parlamento e Commissione, spesso a corto di personale e conoscenze specifiche, per fare il proprio lavoro legislativo. Ciò non toglie, sostengono i deputati, che queste consultazioni dovrebbero avvenire in modo trasparente. Da qui il bisogno di un registro pubblico. “Il continuo boicottaggio da parte di molte grandi banche e aziende che esercitano lobby nei confronti delle istituzioni Ue mostra come l’approccio volontario abbia fallito”, ha sottolineato Olivier Hoedeman di Corporate Europe Observatory. “È arrivato il momento di usare il pugno duro nei confronti delle lobby segrete”. Il momento a cavallo della legislatura è cruciale, tanto che proprio in questi giorni è stata lanciata la campagna “Politics for People” che chiede ai candidati alle prossime elezioni europee un impegno a continuare a far pressione nei confronti della Commissione europea, l’istituzione che sulla materia avrà l’ultima parola.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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Essere lobbisti in Europa http://www.lobbyingitalia.com/2014/01/essere-lobbisti-in-europa/ Tue, 21 Jan 2014 16:24:44 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2178 Con l’aumento dell’attività parlamentare a Bruxelles e Strasburgo cresce l’attività dei gruppi di pressione agevolati dalla mancanza di una regolamentazione della loro attività che consente loro di agire sui singoli parlamentari come avviene in Italia dove dal ’45 ad oggi si è cercato per 41 volte di regolare quest’attività senza riuscirci

Che significa essere un «lobbista»? Animalismo attivo prova a dare una definizione il più possibile chiara. Il lobbista non è altro che il membro di un gruppo di pressione che agisce sulla politica influenzando quella che è l’attività dei membri del parlamento i quali vengono chiamati a sostenere gli interessi delle persone che rappresentano.

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CHI È UN LOBBISTA – Il dibattito è entrato improvvisamente nel vivo dopo che sul blog del Corriere della Sera, Solferino 28, si è parlato dell’opportunità di regolamentare quest’attività che già a livello anglosassone è ben codificata. Nello specifico veniva presentata la testimonianza di Fabiana Nacci, 25enne impegnata con «Utopia Lab – Relazioni istituzionali, comunicazione & lobbying», società che si occupa appunto di lobbying e che viene chiamata a «modificare, introdurre o eliminare disposizioni che interessano i nostri clienti». In sostanza si studiano le proposte di legge e ci si attiva nei confronti di quelli che sono definiti i «decision-makers» per spingere quelle che sono le necessità dei singoli clienti. Si tratta quindi, per l’appunto, di un gruppo di pressione. 

IL REGISTRO PER LA TRASPARENZA – Come dicevamo, l’attività nel mondo anglosassone è regolamentata dalle leggi, cosa che non avviene in Italia ed in Europa, dove l’attività dei gruppi di pressione è indirizzata da un testo non vincolante, il Registro per la Trasparenza. L’obiettivo di Bruxelles, attraverso questo documento, è quello di garantire un’interazione tra le istituzioni europee e le associazioni dei cittadini come delle Ong, delle imprese, delle associazioni commerciali e di categoria, dei sindacati e dei centri di studi. Il lobbismo, inteso secondo quest’accezione, viene definito legittimo e necessario per «difendere la democrazia e per permettere alle istituzioni stesse di realizzare politiche adeguate che rispondano alle esigenze e alla realtà del momento».

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UN PERCORSO CHIARO – Un processo di pressione che secondo le intenzioni di Bruxelles dev’essere chiaro e trasparente. Inoltre deve svolgersi nel rispetto dei principi etici evitando le pressioni indebite. Ed a questo scopo è nato il Regolamento che, ricordiamo, non è vincolante. Quindi viene proposto ai cittadini un regolamento che li garantisca ma che di fatto non rappresenta la legge nel suo complesso. Vengono proposti i profili delle associazioni registrate e quali sono le proprie attività, gli interessi che perseguono, i modi con cui influenzano il processo decisionale dell’Unione Europea e quali sono le risorse investite. Parliamo quindi di un indirizzo al quale teoricamente dovrebbero sottoporsi tutte le associazioni impegnate in attività di lobbying ma che, in sostanza viene disatteso.

VOGLIA DI REGOLAMENTAZIONE – Nella sezione «interrogazioni parlamentari», l’ultimo documento in ordine di tempo è del 13 marzo 2013 ed è firmato dal deputato Keith Taylor che propone a sua volta gli esiti di un sondaggio sul tema del lobbismo condotto in Austria, Repubblica Ceca, Francia, Paesi Bassi e Regno Unito, con il risultato che l’80 per cento dei 6.000 partecipanti ha chiesto un regolamento obbligatorio che regoli un rapporto bilanciato tra i diversi interessi coinvolti nei movimenti di pressioni. Un risultato che sposa appieno la risoluzione del Parlamento Europeo approvata nel 2011 nella quale si chiedeva l’istituzione di un registro obbligatorio dei lobbysti.

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5.800 SOGGETTI REGISTRATI – Nel documento poi viene ricordato che il registro di trasparenza, istituito nel 2011, doveva essere rivisto dopo due anni trasformandolo appunto in un qualcosa di obbligatorio e legalmente vincolante. Ma tutto questo non è ancora stato fatto. Ed ovviamente la mancanza di un registro obbligatorio crea una serie d’imbarazzi a livello continentale. Francesco Delzio, co-fondatore e co-direttore del master di secondo livello in «in Relazioni istituzionali, lobby e comunicazione d’impresa» ha dichiarato al Corriere della Sera che a Bruxelles sono iscritte oltre 5.800 imprese specializzate nell’ambito, di cui 503 italiane. Tuttavia Luigi Rossi, intervenuto all’Assemblea generale dei Gergofili a Firenze lo scorso 17 dicembre, ha dipinto un quadro più preoccupante.

20.000 ENTITÀ REALI – Nella relazione diffusa dalla Fidaf emerge che tale attività esiste a tutti i livelli di governo ed ha un impatto sostanziale sui risultati politici, dalle assemblee locali a quelle internazionali. Per l’Unione Europea il lobbismo è una parte legittima del sistema democratico anche se viene propota da aziende per conto terzi. E questo non può far altro che scatenare il dibattito sulle forme di lobbismo e sulla loro legittimità. Come detto, i lobbisti accreditati sono 5800 ma mancando l’obbligo, si stima che quelli realmente presenti a Bruxelles siano 20.000. E sempre secondo le stime, il 75 per cento di loro è intenzionato a fare affari mentre solo il 25 per cento rappresenta i reali interessi dei cittadini. Ed in tutto questo l’Italia appare attardata. Il che, se vogliamo, spiegherebbe la scarsa dimistichezza della politica italiana dalle parti di Bruxelles e Strasburgo.

L’ATTIVITÀ DEI GRUPPI DI PRESSIONE SUL FRACKING – Per questo motivo, il 28 novembre 2013 la Trasparency International, organizzazione che si batte contro la corruzione, si è rivolta al Commissario per le Relazioni inter-istituzionali Maros Sefcovic, chiedendo una forma di regolamentazione dell’attività dei lobbisti almeno quasi-obbligatoria, in modo da regolare l’attività dei gruppi di pressione sotto una forma quantomeno etica, impedendo ai gruppi non accreditati di partecipare alle attività delle singole commissioni. L’allarme è stato lanciato anche dal New York Times che ha spiegato come la società di lobbying Covington & Burling, di base a Washington, negli Usa, si sia attivata al fianco di multinazionali come Chevron e Statoil per fare pressioni su Bruxelles per dare il via libera al Fracking.

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LO SCONTRO TRA AZIENDE – Inoltre viene riportato lo scontro tra aziende specializzate, con i membri della Burson-Marsteller che hanno accusato i concorrenti di lavorare nell’ombra anche a causa della loro capacità di attirare avvocati, parlamentari ed esponenti della Commissione, oltre ad ex diplomatici come Jean De Ruyt, oggi advisor alla Covington. Segno che dalle parti di Bruxelles si assiste allo scontro tra lobbisti con la conseguenza che il volume delle discussioni diventa inevitabilmente destinato a salire, su temi che oltretutto sono invisi alla maggior parte dell’opinione pubblica. Tuttavia la storia raccontata dal New York Times dimostra che il sistema a modo suo funziona e che comunque è opportuno regolamentare l’attività dei gruppi di pressione.

LA QUESTIONE DEL POLLINE OGM – E non si tratta certo dell’unico caso. Eunews ci spiega che sulle etichette dei barattoli di miele non verrà segnata la presenza di polline Ogm perché questo non verrà più considerato un ingrediente ma un componente. Il polline contenuto in un barattolo di miele non supera lo 0,5 per cento e secondo la normativa europea sugli Ogm, questo va segnato solo se il valore supera lo 0,9 per cento. Ed il deputato Bart Staes ha spiegato che questo voto rappresenta «uno schiaffo ai consumatori e agli apicoltori europei che hanno chiesto a più riprese trasparenza nelle regole di etichettatura» e che gli eurodeputati sono stati influenzati da «un’intensa campagna di lobby portata avanti dagli importatori di miele» perché ora sarà impossibile capire se è stato usato mais Ogm, la cui coltura è stata autorizzata da Spagna e Romania, paesi produttori di miele.

IL CORSO PER DIVENTARE LOBBISTI – Ma stiamo comunque parlando di un’attività legale che al momento non è regolamentata. E con l’aumento dell’attività dell’europarlamento ecco che aumenta anche il numero dei lobbisti necessari a gestire le esigenze dei gruppi di potere. E contestualmente nascono corsi di formazione per aspiranti lobbisti. Parliamo di Europeanlobby, un istituto che si propone di preparare all’attività d’influenza dei «policy-makers». Il corso è organizzato dalla Camera di Commercio italo-belga a Bruxelles e si pone come obiettivo quello di fornire una solida base di conoscenza in ambito lobbyista, offrendo la possibilità ai due migliori alunni del corso che si terrà dal 7 all’11 aprile di passare tre mesi in stage in una di queste aziende.

I DUBBI INEVASI – Quindi sappiamo che a Bruxelles esiste una galassia potenzialmente infinita di gruppi di pressione che agiscono sule singole commissioni spingendo l’adozione di emendamenti o di provvedimenti che possano soddisfare i clienti delle società di lobbying. Di per sé potrebbe non essere un male perché spesso i desiderata dei singoli cittadini fanno fatica ad arrivare nelle sale in cui si decidono le leggi. Tuttavia, come riportato da Luca Rossi, solo il 25 per cento di quanto viene deciso a Bruxelles ha un reale interesse per il cittadino. Il resto riguarda i desiderata delle aziende o dei grandi gruppi. Il fatto poi che non vi sia una registrazione obbligatoria porta ad un’attività di lobby quasi infinita. In Italia invece non esiste alcuna regolamentazione sul tema, con la questione che è stata sollevata nel corso della discussione sulla Legge di Stabilità.

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LA NECESSITÀ DI UN CONTROLLO – L’agenzia Asca ha ripreso la voce di Pino Pisicchio, presidente del gruppo Misto alla Camera e Vicepresidente di Centro Democratico, secondo cui, all’epoca, era «necessario procedere alla regolazione del lobbismo. La legge di stabilità ancora una volta mette in luce la necessità di regolare il rapporto tra gruppi di interesse e parlamentari. Tutto si può fare, purché sia alla luce del sole. Per questo dobbiamo dare priorità all’approvazione di una legge che, come in tutti i parlamenti democratici, regolamenti l’azione informativa dei gruppi di interesse». Ma quello che non si sa è che dal 2008 al 2012 sono stati presentati 14 (quattordici) disegni di legge nei quali si chiedeva la regolazione delle attività dei gruppi di pressione.

I 41 TENTATIVI DI REGOLAMENTAZIONE ITALIANA – Openpolis ci spiega che nello specifico i 14 disegni di legge sono stati presentati nel 2012 da Anna Maria Bernini (Pdl, da approvare alla Camera), da Raffaele Ranucci (Pd, da approvare al Senato), da Nunzia De Girolamo (Pdl, da approvare alla Camera), da Jole Santelli (Pdl, da approvare alla Camera), da Marina Sereni (Pd, da approvare alla Camera), e così via per quattro anni. Peraltro lo stesso Pisicchio aveva presentato nel 2008 un tentativo di disciplina della revisione dell’attività istituzionale, ma rimase fermo alla Camera. E certo non finisce qui. Diritto.it ci ricorda che dal 1945 al 2008 sono stati 27 i tentativi di regolamentare il rapporto tra politica e gruppi di pressione. E quindi vuol dire che dalla nascita della Repubblica ad oggi i tentativi andati a vuoto sono complessivamente 41.

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I REGOLAMENTI REGIONALI – A differenza di quanto accade a Roma, nelle regioni l’attività di lobbying è già istituzionalizzata da anni. La prima a mettere nero su bianco il rapporto tra gruppi di pressione e politica è stata la Toscana nel 2002. Tuttavia la norma limita l’azione del Consiglio ma non quella della Giunta, ma rappresenta un primo passo perché, come spiegato dall’articolo 4, è vietato «esercitare nei confronti dei consiglieri regionali e delle rispettive organizzazioni, forme di pressione tali da incidere sulla libertà di giudizio e di voto». E nel 2009, nonostante fossero iscritti nel registro fossero 115, fino al 2006 non vi era stato nessun documento depositato. Il Molise ha proposto una legge uguale, approvata nel 2004, mentre le Marche nel 2013 hanno realizzato una propria proposta di legge.

QUESTO È LOBBISMO – Infine, per dare un’idea di che significhi davvero fare lobbying, proponiamo gli obiettivi pubblicati sul blog Animalismo attivo nel quale si spiega in maniera esemplare quelli che sono gli obiettivi di un lobbista:

Quali possono essere gli obiettivi della vostra attività di lobbying? Per esempio:

• Vietare i test di sostanze tossiche sugli animali.

• Cambiare la legge per vietare le esportazioni di animali vivi.

• Vietare l’uso di trappole e tagliole per catturare gli animali selvatici.

• Vietare la produzione e la vendita di foie gras, di vitelli e di altre parti del corpo di animali.

• Introdurre sanzioni più rigide e adeguate in caso di abusi e maltrattamenti di animali.

• Cambiare la legge sul trasporto di animali.

• Vietare l’importazione e il commercio di animali selvatici vivi e/o parti del loro corpo.

• Proporre nuove leggi per regolamentare gli allevamenti.

• Vietare la mutilazione di animali per scopi cosmetici ed economici.

• Regolamentare o rendere illegale la detenzione di animali selvatici e non domestici.

Bisognerà identificare su quali rappresentanti politici fare lobbying per raggiungere questi obiettivi. Ma anche se l’attività di lobbying è spesso associata ai rappresentanti politici, in realtà è possibile fare lobbying con qualsiasi persona abbia contatti con responsabili politici e legislatori, cioè tutti i titolari di varie posizioni di potere, sia locali sia nazionali. Ma si può anche fare lobbying nei confronti di istituzioni e aziende le cui attività incidono nel bene e nel male sulla vita degli animali, come per esempio persuadere il vostro supermercato a cambiare la sua politica in materia di vendita di prodotti di allevamento, come uova, polli e galline. Analogamente, si potrebbe fare lobbying nei confronti della mensa dell’azienda in cui lavorate affinchè elimini dal menù prodotti provenienti da allevamenti intensivi e proponga piatti vegetariani, o far pressione sul collegio dei docenti della vostra scuola perchè organizzi corsi di etica animale. I rappresentanti di organizzazioni private, a differenza dei nostri rappresentanti politici, non sono obbligati ad assecondare le nostre richieste, ma potrebbero farlo per tutelare la propria immagine pubblica.

Ed il fatto stesso che una simile attività non sia regolamentata né in Europa né in Italia (nonostante 41 tentativi) dimostra l’importanza che ricoprono i gruppi di pressione sul lavoro quotidiano della Politica e quali possano essere i rischi di un confronto privo di paletti tra i vari attori di un settore che si sta espandendo sempre di più, agevolato dalla mancanza di registri e regole vincolanti. (Photocredit Wikipedia / Repertorio)

Fonte: – di Maghdi Abo Abia – 21/01/2014 – Giornalettismo

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