eni – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 La dura vita del lobbista per rifare la legge di stabilità http://www.lobbyingitalia.com/2015/11/la-dura-vita-del-lobbista-per-rifare-la-legge-di-stabilita/ Mon, 16 Nov 2015 17:33:31 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3042 Quest’anno li hanno relegati in una stanza apposita. Ma non è servito a molto, perché li lasciano borse e giacconi e poi vanno in giro come prima, stazionando davanti alla porta della commissione Bilancio. Parliamo dei lobbisti. Ovvero i rappresentanti di enti e associazioni chiamati a fare pressione su parlamentari e partiti affinché, nella legge di Stabilità, passino norme che interessano alle diverse categorie professionali.

Davanti alla commissione negli anni passati era una solta di suq arabo, specie durante le sedute notturne, quando succedeva di tutto, con emendamenti che saltavano fuori come funghi alle due del mattino, per poi magari sparire alle prime luci dell’alba. E i lobbisti fuori a controllare, monitorare, suggerire, sussurrare. «Senatore dove siete arrivati con la votazione?››. «Onorevole, quell’emendamento allora è passato?››. Per il troppo caos lo scorso anno Laura Boldrini ha deciso di vietare l“accesso ai lobbisti al piano dove lavora la commissione Bilancio. «Ma le vie del signore sono infinite, E anche i corridoi di Montecitorio. ..››, sorrido un rappresentante di Terna.

Così ora, anche a Palazzo Madama, Pietro Grasso ha posto delle restrizioni: ma la stanza a loro adibita è a soli trenta passi dalla commissione Bilancio. In realtà, complice il cortile, i capannelli si sprecano.

Con una variegata fauna composta da giornalisti, portaborse, rappresentanti degli uffici legislativi dei ministeri, commessi e, appunto, lobbisti, Che qui svolgono solo la parte finale del loro lavoro: verificano il raggiungimento del risultato. La vera attività di lobbying inizia molto prima. «Innanzitutto c’è un lavoro di monitoraggio su tutto quello che esce dal palazzo: dichiarazioni, tweet, proposte e disegni di legge, emendamenti. Così, quando un cliente ci contatta, noi sappiamo già a chi chiedere», racconta Andrea Rosiello. rappresentante di una società di «monitoraggio legislativo e relazioni istituzionali», che qui sta rappresentando notai e Confprofessioni, «Una volta individuati gli interlocutori», continua, «si chiede un incontro, durante il quale si sottopone la questione. E li si vede se il parlamentare e sensibile al tema oppure è meglio cambiare cavallo». La regola è quella di avere contatti con tutte le forze politiche. A volte sono meglio i peones e i piccoli gruppi, altre no.

Davanti alla porta della commissione Bilancio c‘è un po’ di tutto. Confindustria, Terna, Enel, Eni, Lottomatica, rappresentanti di categorie, professioni. Tra le lobby più potenti ci sono gli ambientalisti. Capitale, grandi gruppi, ma anche società civile. L’Anci, per esempio, sta spingendo per l’inserimento di una norma che, se approvata, solleverà cori di proteste: l’abolizione della possibilità di pagare le multe scontate del 30 per cento se saldate entro un tot numero di giorni. Niente sconto, più soldi nelle casse dei Comuni. «Basta guardare la filiera degli emendamenti per capire chi sono i maggiori gruppi di pressione», spiega Silvana Comaroli, senatrice della Lega.

E qui siamo sull’altro fronte, quello dei politici. Spesso sono loro a rendersi disponibili a essere avvicinati. «Se un senatore fa tre comunicati stampa sui problemi dei negozianti. allora vuol dire che quel settore gli interessa e se ne vuole fare carico», racconta un altro lobbista. Il ritorno, poi, è politico/elettorale: davanti a quella categoria potrà vantarsi di aver fatto il loro interesse sperando di incamerare voti.

Regali? Mazzette? Pacchi giganti a Natale? Qui entriamo nel penale. «Tutto è possibile, per carità. Ci sono quelli più disponibili e quelli meno, ma oggi stanno tutti molto più attenti. Le marchette si riconoscono subito». Le vere pressioni, d’altronde, avvengono altrove, nei ministeri, 0 direttamente a Palazzo Chigi, «Il termine lobbista ha sempre un’accezione negativa e la vicenda Chaouqui non ha aiutato, ma chi fa davvero questo mestiere deve essere serio, competente e preparato», racconta uno dei decani, rappresentante di Confindustria. Lui ieri non c’era. l suoi colleghi più giovani, invece, si preparano a fare tardi: la terza sessione della giornata in commissione Bilancio inizia alle 20:30.

Gianluca Roselli, Il Fatto Quotidiano

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Cambiamenti climatici, il peso delle lobby nell’Ue [Lettera 43] http://www.lobbyingitalia.com/2015/11/cambiamenti-climatici-il-peso-delle-lobby-nellue-lettera-43/ Thu, 05 Nov 2015 11:41:25 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3023 Settore auto e aziende energetiche in pressing. Rinnovabili e Ong trascurate. Così l’Unione europea si fa influenzare sull’ambiente. La denuncia di ”Ceo”.

C’è grande attesa per la conferenza Onu sui cambiamenti climatici (Cop21) in programma a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre. Un mix di speranza e ottimismo che deve però fare i conti con il fallimento della conferenza Cop15 di Copenaghen nel 2009, quando ci fu un accordo non vincolante dal quale sparirono completamente gli obiettivi di riduzione delle emissioni-serra. I governi questa volta sembrano davvero intenzionati a firmare un accordo globale per combattere i cambiamenti climatici fino al 2050. Ma le Organizzazioni non governative (Ong) già intravedono un compromesso al ribasso: davanti alla possibile catastrofe climatica c’è una scarsa ambizione da parte degli storici inquinatori a cambiare davvero. E l’Unione europea, come denuncia l’Ong Corporate europe observatory (Ceo), tende a mettere le esigenze delle industrie davanti alla salute della gente e del Pianeta.

COMMISSARI MONITORATI. Una denuncia che i watchdog di Ceo hanno deciso di fare dopo aver monitorato l’attività politica dei commissari europei. A partire da quella di Miguel Arias Cañete che a Parigi sarà il capo negoziatore per l’Ue. Il commissario per l’azione per il clima e l’energia ha infatti già detto che se l’accordo di Parigi non porterà, come già deciso a Lima, a mantenere la temperatura media globale al di sotto di 2°C in modo vincolante, «non sarebbe comunque un fallimento», precisando che sì «vorremmo avere un accordo vincolante, ma l’Onu ha bisogno dell’unanimità e non possiamo fare l’errore che abbiamo fatto a Kyoto», quando il Protocollo pur essendo un accordo internazionale vincolante che impegnava i paesi a obiettivi di riduzione delle emissioni, non fu firmato da paesi grandi emettitori come Usa, India e Cina. Anche a Parigi quegli stessi Paesi potrebbe abbassare i target aiutati dalle grandi industrie. A preoccupare le Ong è infatti la tendenza crescente verso un loro coinvolgimento nei negoziati.

CONTRIBUTI DAL BUSINESS. A Parigi la presidenza francese, in collaborazione con la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), ha deciso di creare una sezione speciale per i contributi del mondo del business, che saranno affiancati a un eventuale testo negoziale (originariamente chiamato Lima-Paris Action Plan e ora the Agenda for Solutions). Aziende che già giocano un ruolo fondamentale all’interno del processo decisionale europeo. Con la loro attività di lobbying e la presenza all’interno degli expert group (ex advisory group) dell’esecutivo europeo sono infatti coinvolte nel processo legislativo comunitario sin dal primo step.

LINEE PER LA TRASPARENZA. Per evitare una influenza eccessiva, all’inizio del suo mandato la Commissione Juncker ha scritto delle nuove linee guida sulla trasparenza, che obbligano non solo di pubblicare tutti gli appuntamenti dei commissari e dei loro gabinetti, ma richiede agli stessi che gli incontri siano equilibrati.

Il rapporto Ceo: le grandi aziende di energia sono favorite

Una richiesta che secondo Ceo non è stata rispettata dal commissario per l’azione per il clima e l’energia Miguel Arias Cañete e dal vice presidente e commissario per l’Unione energetica Maros Šefčovič nel loro primo anno di carica.

RAPPORTI PRIVILEGIATI. Nel rapporto Ceo pubblicato il 5 novembre dal titolo Cooking the planet: Big Energy’s year of privileged access to Europe’s climate commissioners (leggi il documento integrale in pdf), si vede come le grandi aziende di energia e di combustibili fossili godono fin troppo di un accesso privilegiato agli uffici dei commissari europei che si occupano di politica climatica. Il dato più sconcertante dello studio è che nel loro primo anno di attività a palazzo Berlaymont, dal novembre 2014 all’ottobre 2015, l’80% degli incontri fatti da Cañete, Šefčovič e dai loro rispettivi gabinetti è stato con i lobbisti dell’industria. Si tratta in tutto di 516 incontri: 413 con le imprese, 79 con aziende di interesse pubblico, 24 alla voce ‘altro’. L’unione energetica è il tema più caldo per i lobbisti, tanto che è stato affrontato con i due commissari e i rispettivi gabinetti in 329 incontri (77 con Ong, 229 con industrie, 23 altri).

RINNOVABILI? SNOBBATE. Ma a colpire è il fatto che il 74% degli incontri avuti tra i due commissari e l’industria energetica per discutere le politiche climatiche, sono stati con le aziende dei combustibili fossili (come British Petroleum, E.on, Statoil e Shell), mentre le aziende che si occupano di energie rinnovabili hanno potuto appena dare un sguardo dentro la stanza dei bottoni. Šefčovič per esempio ha avuto 34 incontri con le cosiddette industrie della dirty energy (dell’energia sporca), e uno solo con il settore delle energie rinnovabili. Facendo un calcolo, per ogni incontro avuto con il settore delle rinnovabili, Cañete (ex presidente di due compagnie petrolifere, Petrolifera Ducar e Petrologis Canarias) ne ha avuto altri 22 con l’industria dei combustibili fossili. Nel complesso, le imprese energetiche ‘sporche’ costituiscono circa il 30% degli incontri con questi commissari e i loro gabinetti.

«DATI PREOCCUPANTI». «Dati estremamente preoccupanti visto i temi sensibili di cui questi commissari si occupano», dice a Lettera43.it Pascoe Sabido, ricercatore e attivista Ceo che avverte «è soprattuto sul gas che il lavoro delle lobby è più forte e concentrato». Nell’ultimo anno Šefčovič e Cañete si sono occupati delle politiche industriali sulle emissioni delle auto, di unione energetica, di Ets (Emissions Trading Scheme, ovvero il sistema europeo di scambio di quote di emissione), e dei negoziati Onu sul clima della 21esima Conferenza di Parigi 2015 (Cop21).

CONFLITTO DI INTERESSI. «Abbiamo registrato un livello preoccupante di facile accesso ai decisori da parte dei rappresentanti delle aziende energetiche», continua Sabido, «coloro che causano i problemi legati all’inquinamento non dovrebbero decidere né suggerire come risolvere il problema e legiferare».

L’accusa: la Commissione Ue si muove in direzione sbagliata

Invece, «mentre la scienza ci dice che dobbiamo urgentemente e drasticamente ridurre le emissioni di gas a effetto serra, aumentare le energie rinnovabili e l’efficienza energetica, la Commissione si sta tristemente muovendo nella direzione opposta», continua Sabido.

SETTORE AUTO IN PRESSING. Un ruolo nella decelerazione del processo legislativo europeo lo gioca l’industria automobilistica, uno dei corresponsabili del cambiamento climatico: il 12% delle emissioni di gas serra in Europa sono dovute all’uso di auto. La riduzione delle emissioni è uno degli obiettivi maggiori dell’Ue che sta lavorando a un nuovo regolamento per il 2017, data già posticipata al 2019 proprio a causa delle pressioni dell’industria.

FRENO CONTRO I TEST SEVERI. La lobby automobilistica ha iniziato la mobilitazione contro il tentativo di mettere limiti di emissione più severi e regolare meglio i test ancora prima che scoppiasse lo scandalo Volkswagen. Negli ultimi 11 mesi ci sono stati 44 incontri tra il mondo dell’auto e i commissari interessati alla materia, in particolare 31 meeting con l’industria dell’auto, 40 con l’industria a esso legata e 4 con Ong e sindacati.

SPESI 18 MILIARDI IN LOBBYING. D’altronde l’industria automobilistica è una delle più potenti lobby di Bruxelles: secondo il Registro per la trasparenza, le case automobilistiche e le loro associazioni di categoria hanno speso oltre 18 milioni di euro nel 2014 in attività di lobbying nelle istituzioni Ue. Al primo posto c’è Volkswagen con 43 lobbisti e 3 milioni e 300 mila euro spesi nel 2014. Seguono Daimler, l’associazione di categoria automobilistica tedesca Vda (Verband der deutschen Automobilindustrie), l’associazione di categoria europea Acea (Association des Constructeurs Européens d’Automobiles) e Bmw.

Incontri quadruplicati, ma non con società di pubblico interesse

Aziende che prima ancora che al parlamento europeo mirano all’organo esecutivo e promotore del processo legislativo, ovvero la Commissione. Durante i suoi primi 11 mesi in carica Cañete ha quasi quadruplicato il numero di di incontri rispetto a Šefčovič: 205 per lo spagnolo di cui 131 con aziende e 63 con società di pubblico interesse, 11 con altri; sono invece 62 per Šefčovič, di cui 48 aziende, 10 pubblico interesse e 4 altri. Mentre il gabinetto di Cañete ha più del doppio degli incontri fatti dal gabinetto di Šefčovič: 460 (339 business, 96 pubblico, 25 altro) rispetto a 200 (151, 33, 16).

SPAGNOLO CON SPAGNOLI. Come se non bastasse c’è anche il conflitto di interessi nazionale: il 22% di tutti gli incontri di Cañete sono con aziende spagnole, solo il 2% degli incontri di Šefčovič sono stati con gruppi del suo Paese di origine, la Slovacchia. Inoltre il 40% degli incontri che Cañete e il suo gabinetto ha avuto con l’industria spagnola sono avvenuti proprio in Spagna. Nemmeno uno è stato con Ong e sindacati.

ONG IN GRUPPI DISPERSIVI. Dati che dimostrano come le aziende abbiano un accesso più agevolato rispetto alle società che rappresentano interessi pubblici, anche se Ceo ha osservato come Cañete in previsione della Cop21 negli ultimi mesi abbia intensificato gli incontri con le Ong, ma organizzando gruppi più grandi rispetto a quelli per incontrare le imprese, che hanno più spesso la possibilità di avere vertici one-to-one con i livelli più alti della Commissione. In otto meeting sono stai incontrati 210 rappresentanti di Ong, in quattro meeting 34 lobbisti delle aziende.

I FOSSILI IN PRIMO PIANO. E ad avere la meglio sono sempre i rappresentanti dell’industria dei combustibili fossili. Dei 669 incontri fatti con le aziende, 282 sono con loro, 383 con industria dell’energia e 4 altri. Cañete in particolare ne ha avuti 78 con l’industria dell’energia, 66 con quella dei combustibili fossili, e il suo gabinetto rispettivamente 180 e 129. Šefčovič invece 34 e 29; il suo gabinetto 91 e 58.

BP ED E.ON SONO DI CASA. Negli ultimi 11 mesi, tra i protagonisti del settore dei combustibili fossili, di casa a palazzo Berlaymont è stato il gigante del petrolio Bp ed E.on: ciascuno dei due colossi ha avuto 15 incontri; segue Statoil con 14, Shell, Engie e Iberdrola con 12 ciascuno, GasNatural Fenosa con 11, Enel 10, Rwe 8, Edf e Eni 7, Repsol e Vattenfall 6, Fortum, Alstom e OMV 5. Per contro, secondo quanto risulta a Ceo, non una sola riunione è stata fatta con aziende energetiche che lavorano esclusivamente nel settore delle rinnovabili, mentre solo sei associazioni di energia rinnovabile hanno avuto incontri.

Tra i temi caldi sul tavolo c’è l’unione energetica

Su 15 incontri con Bp, i temi trattati con il commissario spagnolo e con quello slovacco sono stati: unione energetica, corridoio meridionale del gas, sicurezza degli approvvigionamenti. Nei 15 meeting con E.on si è parlato di sicurezza dell’approvvigionamento di gas, unione energetica e mercato interno dell’energia, investimenti in Algeria, legislazione sui mercati finanziari, stoccaggio del gas, unione energetica e dei colloqui sul gas russo-ucraini. Ma è sui cambiamenti climatici che aziende come Bp ed E.on sono maggiormente focalizzate nel loro lavoro di lobbying. E non stupisce che la potenza di fuoco di queste aziende sia enorme: Bp ha dichiarato una spesa di lobbying per il 2014 di circa 3 milioni di euro, E.on circa 2,3 milioni.

BALKE, FUNZIONARIO AMICO. E come se non bastasse alla Commissione europea, in particolare nel gabinetto di Cañete, i lobbisti E.On hanno un funzionario di riferimento: Joachim Balke. Su sette incontri avuti con il gabinetto, Balke era presente a cinque, in quattro di loro era l’unico membro del gabinetto. Un’attenzione che non è sfuggita ai watchdog di Ceo, che hanno così studiato con attenzione il profilo di Balke.

EX IMPIEGATO DI E.ON. Dopo aver lavorato al parlamento europeo, Balke è stato impiegato di E.on per 4 anni (2004-2008) poi è entrato alla Commissione, dove è passato dalla direzione generale Fiscalità e unione doganale a quella energia con Cañete. Non stupisce così che il primo incontro con il mondo dell’industria avuto dal commissario spagnolo è stato con l’amministratore delegato di E.on, Johannes Teyssen.

LENTZ, CONSIGLIERE FEDELE. Infine Guy Lentz, il consigliere speciale del Commissario Cañete, è un membro del consiglio di amministrazione di Enovos Lussemburgo e lavora anche al ministero dell’economia come coordinatore del Lussemburgo sulle questioni energetiche europee e internazionali. In precedenza ha lavorato alla Shell per otto anni (1993 al 2000). Enovos, che non appare nel registro per la trasparenza, è la più grande società di distribuzione dell’energia del Lussemburgo, opera anche in Germania, Francia e Belgio. Genera elettricità, gas naturale e le energie rinnovabili per aziende e case. Un conflitto di interessi denunciato alla Commissione dall’Ong Ceo. Ma per ora palazzo Berlaymont sembra non voler vedere.

Fonte: Antonietta Demurtas, Lettera 43 (@antodem)

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Lobby & Stato: Pistelli-Eni, revolving doors inappropriate? http://www.lobbyingitalia.com/2015/07/lobby-e-stato-pistelli-eni-revolving-doors-inappropriate/ Sat, 04 Jul 2015 14:05:40 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2843 In molti hanno criticato la scelta di Lapo Pistelli, passato da un seggio parlamentare a una scrivania dei piani alti di Eni. Per ovviare alle critiche, basterebbe una norma sulle revolving doors in una legge sulle lobby: che però rischia di essere accantonata dopo le dichiarazioni della senatrice Finocchiaro.

Lapo Pistelli, viceministro degli Affari Esteri del governo Renzi, lo scorso 15 giugno ha annunciato di voler lasciare il PD e la politica per diventare senior Vice President dell’Eni. A 51 anni, l’ex candidato sindaco di Firenze (sconfitto proprio da Renzi, suo ex collaboratore negli incarichi da assessore al Comune di Firenze, alle primarie per la candidatura comunale del 2009) passa dal pubblico al privato diventando un lobbista, a tutti gli effetti, della società del cane a sei zampe. “Mi occuperòspiegadi promuovere il business internazionale e di tenere i rapporti con gli stakeholders, in Africa e in Medio Oriente, e dei progetti sulla sostenibilità”.

Sin dai tempi di Enrico Mattei, Eni è uno dei maggiori strumenti di “diplomazia economica” dello Stato italiano (sebbene l’azienda sia una società per azioni dal 1992), in particolare nei principali poli petroliferi mondiali (Baltico, Nordafrica, Asia-Pacifico). Eni, a partire dagli anni Sessanta, ha contribuito a molte scelte di policy estera dei governi italiani, che molto spesso hanno creato imbarazzi con le diplomazie occidentali nell’ottica del conflitto bipolare (basti pensare all’avvicinamento ai “Paesi non allineati” nel secondo dopo guerra, o alla Libia negli anni Ottanta fino alla fine del regime di Gheddafi), con logiche tipiche del realismo politico e della diplomazia parallela a quella statale, che hanno portato anche a spiacevoli dubbi sulla trasparenza (si veda, ad esempio, l’inchiesta di Report del 2012). Ciononostante, la compagnia petrolifera rimane uno dei fiori all’occhiello dell’industria italiana, e le nomine dei vertici spesso sono fotografia della situazione politica nazionale.

La scelta di Pistelli ha destato interesse all’interno del settore delle relazioni istituzionali, in particolare in merito al pericolo del cosiddetto fenomeno delle “revolving doors”, ovvero del passaggio (spesso immediato, se non a volte addirittura solo formale ad attestazione di una evidente commistione tra interessi pubblici e privati) dall’attività politica a quella privata, o viceversa. Il dibattito sulle revolving doors e sulla trasparenza dei rapporti tra gruppi di pressione e decisori politici è attuale in tutto il mondo (uno dei più recenti articoli di Politico ne parla in merito all’Unione Europea, ma se ne discute anche negli USA, nel Regno Unito, in Germania).

Al momento dell’annuncio di Pistelli, che segue l’altro “non-renziano” Enrico Letta nella scelta di lasciare la politica per lavorare nel settore privato (l’ex premier ha detto sì alla prestigiosa università parigina della Sorbona), molte forze politiche hanno espresso la preoccupazione di una sovrapposizione tra gli interessi statali e quelli petroliferi. Il deputato di Sel Giulio Marcon ha presentato una interrogazione parlamentare con i deputati di Sel Scotto, Airaudo e Palazzotto, per chiarire quali rapporti intercorressero tra l’ad di Eni Descalzi e Pistelli quando deteneva la carica di viceministro. Il MoVimento 5 Stelle ha votato “no” alle dimissioni di Pistelli dalla carica di deputato, definendo il suo nuovo incarico “immorale” e proponendo un emendamento alla delega sulla Pubblica Amministrazione proprio per inserire l’incompatibilità di incarico negli enti pubblici o controllati a chi nei 5 anni precedenti ha ricoperto incarichi di governo o è stato parlamentare. A tutti gli effetti un periodo di “cooling-off”, a dire il vero molto lungo rispetto a quanto previsto nelle normative più avanzate in materia di conflitto di interessi. Maurizio Gasparri, di Forza Italia, ha definito la nomina di Pistelli ad Eni un “contentino” da parte del premier per non aver assegnato al concittadino la poltrona di Ministro degli Esteri (non senza indiscrezioni polemiche).

Il costituzionalista Andrea Pertici ha invece segnalato che la legge Frattini del 2004 sul conflitto di interessi prevede un periodo di “raffreddamento” di 12 mesi, che però spesso viene aggirato a causa di interpretazioni molto estensive della norma (legge che secondo  secondo l’Ocse è scritta male e viene applicata peggio). Ma l’autorità Antitrust “non ha ravvisato problemi nel passaggio diretto da viceministro degli Esteri a manager del gruppo petrolifero”, in quanto non esisterebbero legami sostanziali tra l’incarico precedente e quello successivo di Pistelli. La nuova nomina è invece stata ben accolta dalla maggioranza di governo: Pistelli, un’ottima carriera nei principali ministeri dello Stato, diventa quindi un asso della manica nella società delle cui azioni lo Stato detiene ancora la maggioranza, in un momento in cui è in atto un rimescolamento degli incarichi delle principali partecipate e, in particolare, anche interno ad Eni (è notizia recentissima l’uscita dal management della petrolifera dell’economista Zingales, scelto proprio da Renzi).

Facendo una prima riflessione, l’ex viceministro Pistelli non è censurabile giuridicamente (come del resto riconosciuto dall’AGCM) per aver accettato un incarico prestigiosissimo in un settore economico strategico per l’Italia, nella società leader nazionale. Ha la giusta esperienza a livello politico, un background accademico di tutto rispetto, una reputazione ed un bagaglio tecnico su cui non possono essere mosse obiezioni. Ci si chiede, però, se un passaggio diretto di questo genere sia eticamente appropriato, senza un periodo di “raffreddamento” e con una carica politica ancora in corso. Un esempio virtuoso, uno dei pochi che si ricordi, è ad esempio quello del deputato di Forza Italia Alberto Giorgetti, sottosegretario all’Economia in tre governi (Berlusconi, Monti e Letta), con affidata la delega ai Monopoli (incluso quindi il gioco d’azzardo). Anche in quel caso, un gigante del settore (Lottomatica) pare avesse promesso una poltrona al sottosegretario nel giugno 2014, rifiutata da Giorgetti, anche per evitare polemiche che erano subito montate . Una mossa eticamente encomiabile.

Un’altra possibile riflessione può essere fatta sulla possibilità di prevedere una norma efficace sulle revolving doors nell’ordinamento nazionale, magari all’interno del provvedimento sulle lobby. Che però ieri ha visto l’ennesima battuta d’arresto, stanti le dichiarazioni della presidente della 1° commissione Affari Costituzionali del Senato Anna Finocchiaro sull’attuale ddl in discussione, con il testo-base del senatore ex M5S Orellana. Dopo settimane di rinvio della discussione, infatti, è stato annunciato che “per l’esame nel merito del disegno di legge di regolazione delle lobby bisognerà aspettare settembre, nonostante il ddl lobby non sia un tema divisivo”. L’ennesimo passo indietro per una regolamentazione richiesta a gran voce dai professionisti del settore, che sembrava arrivata ad una svolta dopo l’indiscrezione della virata su un testo governativo (il ddl Verducci), che sarebbe stato discusso dopo l’approvazione della riforma del terzo settore. Anch’essa, però, rinviata a settembre. La normativa renderebbe il passaggio tra incarichi trasparente e motivato, e favorirebbe lo spostamento del focus della discussione politica dal pericolo dello spettro della corruzione al premio del principio di meritocrazia.

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Lobbyfacts,ecco il registro delle grandi lobby (Repubblica.it) http://www.lobbyingitalia.com/2014/10/lobbyfactsecco-il-registro-delle-grandi-lobby-repubblica-it/ Sun, 05 Oct 2014 16:05:40 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2608 Il sito www.lobbyfacts.eu censisce costi e sforzi delle aziende per avere norme e controlli comunitari più adeguati ai loro business. Primeggiano le banche popolari francesi Bpce, forti le multinazionali americane. In Italia vince il gruppo di serie tv Alcuni con 1,7 milioni l’anno

Voilà, il registro dei lobbisti d’Europa è in rete. Ed emerge quel che si sospettava: gli interessi tedeschi e francesi sono ottimamente rappresentati a Bruxelles, ma le aziende a stelle e strisce fanno la parte del leone. Le aziende italiane non sembrano particolarmente attive. Il gruppo più attivo è la società trevigina Alcuni, casa di produzione di audiovisivi e cartoni animati nota per la serie tv Cuccioli. Alcuni srl ha un lobbista alla Comunità europea con capacità di spesa stimata in 2 milioni di euro l’anno, poco in confronto ai 7,75 milioni della banca francese Bpce, ma molti rispetto alle grandi società italiane, tutte con spese stimate dal mezzo milione in giù.

Tutti i dati sono pubblicati su www.lobbyfacts.eu, il nuovo registro in rete da oggi e che per la prima volta tenta di raggruppare informazioni sull’attività lobbistica di aziende, organizzazioni, consulenti e studi legali in Europa.

Ai vertici dell’attività di relazioni istituzionali censita dal nuovo sito stanno alcune multinazionali e altri nomi meno noti. Dopo le banche popolari francesi che primeggiano che la Cemafroid, sempre francese e operante nel raffreddamento (5,25 milioni). Poi la Philip Morris (5,25 milioni), Exxon (5 milioni), Microsoft (4,75 milioni), Shell (4,5 milioni), la tedesca Siemens (4,35 milioni), Gdf Suez (4 milioni), l’americana General Electric (3,5 milioni) e la spagnola Astramatic (3,25 milioni), attiva nel trattamento delle acque. All’undicesimo posto la prima cinese, la telefonica Huawei con 3 milioni.

Il primo gruppo italiano è quasi ignoto ai più. Si tratta del gruppo Alcuni, una srl con un solo lobbista ma con capacità di spesa stimata in 2 milioni di euro l’anno, che la pone al 26° posto tra i gruppi più attivi nel lobbying continentale. Seguono, tra le aziende domestiche, Enel con sette lobbisti e una spesa stimata in 500mila euro, Unicredit (7 operatori, 450mila euro), Fiat e Cnh (3 operatori, 450mila euro), Eni (5 operatori, 400mila euro), Ferrovie dello Stato (3 operatori, 400mila euro), Mediaset (5 lobbisti, 350mila euro), Edison (3 lobbisti, 350mila euro), Barilla (6 lobbisti, 300mila euro).

Circa il 60% dei lobbisti europei rappresenta gli interessi delle aziende mondiali, e quelle statunitensi sono prevalenti. Ma il nuovo contenitore di dati, e tutti gli altri del genere, sono necessariamente parziali e incompleti. Molte grandi società, infatti, non lasciano tracce né sono iscritte nei registri di categoria, perché l’attività di questi facilitatori del business e delle normative correlate è scarsamente trasparente. E’ opaca, ma è ricca: le 10 maggiori multinazionali spendono circa 39 milioni di euro l’anno in attività di lobby. Ci sono cinque società di consulenza forti di 130 operatori accreditati presso il parlamento europeo.

Fonte: Andrea Greco – Repubblica.it, 4 ottobre 2014

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Eni: quel pregiudizio tutto italiano contro le lobby http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/eni-quel-pregiudizio-tutto-italiano-contro-le-lobby/ Fri, 12 Sep 2014 23:44:50 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2400 (Ruben Razzante) La Procura di Milano sta indagando su una presunta corruzione internazionale che coinvolgerebbe Eni. Secondo i pm milanesi, sarebbe stata pagata una maxi-tangente sul miliardo e 92 milioni di dollari spesi da Eni per l’acquisto della concessione del giacimento petrolifero nigeriano Opl-245, che rappresenta uno dei maggiori potenziali minerari non sviluppati. Chi indaga ipotizza che ottocento milioni di dollari sarebbero stati ripartiti tra alcuni politici e intermediari africani, mentre circa 215 milioni sarebbero stati destinati a mediatori e manager italiani ed europei. I pm sarebbero riusciti a bloccare una parte della presunta tangente da 193 milioni di dollari, grazie al sequestro in Svizzera, mesi fa, di 110 milioni e grazie al blocco a Londra (su richiesta italiana) di 83 milioni riconducibili a un mediatore nigeriano.

Le riserve di petrolio scoperte in Nigeria sono ingenti, pari a 500 milioni di barili di petrolio equivalente (boe). Per l’ipotesi di corruzione internazionale, la Procura di Milano ha iscritto nel registro degli indagati il nuovo amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, all’epoca dei fatti contestati (2011) responsabile della divisione Exploration & Production del “cane a sei zampe”, l’ex ad Paolo Scaroni e il mediatore, Luigi Bisignani. L’Eni ha diffuso un comunicato stampa per sottolineare la sua assoluta estraneità ai fatti contestati e per ribadire la sua completa disponibilità a collaborare con la magistratura. Ha altresì precisato di aver stipulato accordi solo con il governo nigeriano e con la compagnia petrolifera Shell.

Dalla vicenda, ancora in corso e destinata a riservare ulteriori sorprese, originano alcune riflessioni. La prima riguarda l’azione della magistratura. I pm “azzoppano” la prima azienda italiana, proprio mentre gli investitori stranieri mettono l’occhio sulle eccellenze italiane e il governo Renzi sembra aprire alle privatizzazioni di quote di aziende italiane, al fine di attirare capitali da altri Stati. I nostri competitors stranieri esultano per quest’ennesima iniziativa giudiziaria destinata a lasciare campo libero ai voraci francesi (e non solo), pronti a fare incetta di milionari business energetici. L’Eni, peraltro, annaspa in Libia e Algeria, mentre la situazione internazionale dei rapporti tra gli Stati europei e la Russia è quella che è e gli affari dell’Eni nel regno di Putin sono anch’essi a rischio.

Il “cane a sei zampe” zoppica e questo rappresenta una fonte di preoccupazione non secondaria per Renzi, che forse aveva nominato Descalzi al posto di Scaroni proprio per garantire una continuità nella gestione di alcune “partite” decisive per l’economia del Paese. Significative in tal senso le dichiarazioni del Premier, che anche ieri ha difeso Descalzi, dichiarando che lo rinominerebbe ad di Eni. Il secondo elemento di riflessione è costituito dall’enfasi mediatica (forse eccessiva) riservata all’inchiesta Eni-Nigeria dal Corriere della Sera, il cui direttore (ormai in uscita) Ferruccio De Bortoli avrebbe un conto in sospeso con il mediatore Luigi Bisignani. Ancora una volta il diritto dei cittadini ad essere informati viene sacrificato sull’altare di vendette, regolamenti di conti e logiche estranee alla deontologia giornalistica.

Infine, la questione della trasparenza degli interessi. Un’azienda ha tutto il diritto di esercitare la propria influenza sulle autorità pubbliche di un altro Paese. Lo fanno tutte le aziende di Paesi concorrenti, ma i giornali italiani non lo scrivono. Nell’inchiesta in corso, non è ancora stato dimostrato nulla. Non ci sono le prove della corruzione, che si realizza solo quando si paga indebitamente un pubblico ufficiale. Se un’azienda si serve di un intermediario per rappresentare i suoi interessi e perseguirli, e questa prestazione viene fatturata e compresa nel costo dell’operazione, non commette alcun illecito. In Italia, a differenza che in molti altri Stati europei ed extraeuropei, la regolamentazione delle lobbies è ancora una chimera. E le norme vigenti in materia di corruzione vengono interpretate attraverso il filtro deviante di un pregiudizio tutto italiano, quello in base al quale ogni attività di intermediazione cela sempre e comunque una condotta illecita. La prima versione della legge Severino, per fortuna superata dalle variazioni successive, introduceva il reato di traffico di influenze illecite, che praticamente inibiva ogni attività di rappresentanza di interessi e allontanava ogni speranza di riconoscimento delle attività di lobbying. Sembrava quasi la minaccia di spedire in galera tutti i responsabili delle relazioni istituzionali delle grandi aziende per il solo fatto di intrattenere rapporti con i decisori istituzionali finalizzati a influenzarli in modo lecito sulla gestione di alcune operazioni.

È un pregiudizio tutto italiano quello sulle attività di intermediazione, considerate sempre e comunque condotte illecite e fonti di corruzione. Proprio per allontanare ombre e sospetti, che finiscono per appannare l’immagine delle grandi aziende e per danneggiare gli interessi nazionali, occorrerebbe maggiore trasparenza nelle attività di rappresentanza degli interessi. Una legge urge. Il governo Letta l’aveva promessa, ora Renzi potrebbe finalmente condurla in porto. Sarebbe la vera riforma da fare, perché, tra le altre cose, restituirebbe piena legittimità alla figura dei lobbisti, professionisti che negli Usa e in altri Stati godono di un’autorevolezza sociale e professionale assolutamente sconosciuta in Italia, dove vengono considerati a priori personaggi loschi e affaristi senza scrupoli.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

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