corruzione – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Flick (ex giudice della Consulta): «Sulle lobby è ora di legiferare» http://www.lobbyingitalia.com/2016/04/flick-lobby-legge/ Sun, 03 Apr 2016 07:01:59 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3201 «Prendo atto della richiesta di una maggiore trasparenza nei rapporti tra politica e interessi privati, e la condivido pienamente. Reputo per esempio che una seria regolamentazione dell’attività lobbystica sia ben più che auspicabile, infatti è stata più volte tentata, senza esito. Ma attenzione: i nostri problemi non possiamo immaginare di risolverli solo con le leggi. Il vero cambiamento, prima che con le norme, avviene con l’affermazione di una autentica e diffusa cultura della reputazione, da parte di chi ricopra incarichi nella gestione dello Stato».

Per Giovanni Maria Flick, classe 1940, il diritto è pane quotidiano da mezzo secolo. Magistrato, poi avvocato penalista, professore ordinario di diritto penale, quindi il passaggio nel cuore delle istituzioni come Guardasigilli nel primo governo Prodi e successivamente la nomina nella Corte Costituzionale che ha poi presieduto tra il 2008 e il 2009. Flick non entra nel merito della vicenda Guidi, che è al vaglio della magistratura, ma fornisce le sue riflessioni su alcuni aspetti che la questione solleva.

Presidente Flick, le dimissioni del ministro Guidi pongono certamente il tema del conflitto tra interessi privati e decisione politica.

«Un tema ahimé ricorrente nella nostra storia, se già Giolitti sosteneva che “le leggi per gli amici si interpretano, per tutti gli altri si applicano”. Tuttavia dobbiamo considerare le ultime, giuste modifiche che sulla corruzione sono state introdotte, anche con riferimento alla nuova fattispecie di reato del “traffico di influenze” che dovrebbe consentire di bonificare quella zona grigia dove informazione e pressione rischiano di produrre illecite sovrapposizioni. Parliamo però di norme che in principio possono funzionare, ma in concreto, essendo molto recenti, devono ancora offrire una dimostrazione di come funzionino».

Si parla di necessità di regolamentare le lobby. Che ne pensa?

«Il nostro Paese ha una struttura assai corporativa, dove sono cresciuti numerosi corpi intermedi. Che compiono una attività giusta e doverosa, se lecita, di informare e comunicare i problemi e i bisogni della propria categoria. È evidente che invece la pressione contra legem va sanzionata, per quanto sia però sempre molto difficile da dimostrare; inoltre il giudice penale non può sindacare sulle decisioni assunte dal Parlamento, che è sovrano. Se l’influenza diventa condizionamento, e l’opera di rappresentanza scivola nella corruzione o nel millantato credito o nel traffico di influenze, siamo davanti a un problema da risolvere. Ma è bene fare molta attenzione».

Si spieghi.

«La richiesta di trasparenza è bene non si risolva in una operazione puramente burocratica in cui dall’opacità si passa al suo polo opposto del sovraccarico di informazioni. Gilbert Keith Chesterton, che molti ricorderanno per l’invenzione di Padre Brown, diceva che il modo migliore per nascondere un cadavere sia un campo di battaglia, per un sasso una spiaggia, per una foglia una foresta. Ecco, evitiamo che si possa nascondere un’informazione utile in una foresta di informazioni inutili».

Occorrerebbe o no allora secondo lei una legge? 

«Ben vengano le leggi, a patto però di ricordarci di quelle che già abbiamo. Il punto non è tanto intervenire sui reati, ma come non arrivare ai reati. Si dovrebbe riuscire a instaurare una “cultura della reputazione” rifacendoci alle regole auree della nostra Costituzione sui pubblici funzionari, stabilite nell’articolo 54, in cui si parla del “dovere di essere fedeli alla Repubblica” e dovere di adempiere alle funzioni pubbliche con “con disciplina ed onore”, nel 97 dove si stabilisce l’obbligo del “buon andamento, della legalità e l’imparzialità dell’amministrazione”, nel 98, dove il servizio alla Nazione è il primo principio esclusivo per chi abbia incarichi pubblici».

Come si può intraprendere un controllo e una tutela di questi principi? 

«Il controllo avviene attraverso un’azione triplice: un’azione personale, in cui il metodo è dettato dalla propria coscienza, e di coscienza purtroppo o per fortuna ognuno ha la sua; istituzionale, e sappiamo che la nostra pubblica amministrazione e la nostra giustizia non funzionano sempre esattamente come dovrebbero; e, soprattutto direi, sociale, cioè attraverso la pubblica opinione. A patto che abbia i giusti strumenti per conoscere e quindi per decidere».

A che si riferisce?

«Ad esempio, uno delle conseguenze preoccupanti della vicenda giudiziaria sul petrolio lucano che ha portato alle dimissioni del ministro Guidi è la sovrapposizione polemica che si cerca di fare con il referendum del 17 aprile sulle trivellazioni in mare. Cercare e stabilire un legame tra queste due questioni in sé diverse mi sembra sbagliato. Devo confessare che nemmeno io sento di avere una esatta cognizione del quesito proposto nella consultazione. Immagino che valga per molti milioni di italiani, cui intanto andrebbe spiegato per bene che se volessero dire sì dovrebbero scegliere il no, e viceversa naturalmente».

In autunno ci aspetta un altro referendum.

«Che è ancora un’altra partita, totalmente diversa e più importante».

Qual è la sua opinione al riguardo?

«Trattandosi di una riforma costituzionale, ci sarebbe da fare un più lungo discorso. Sento però di dire che mi ha destato perplessità questo ridisegno della struttura costituzionale. Intanto perché credo che il primo passo di una vera riforma della Carta sia rileggerla, perché spesso vi si trovano già le risposte che si cercavano nel modificarla. Inoltre non ho condiviso come il dibattito sia stato più politico che giuridico: ci sono i voti oppure no, che maggioranza c’è… Un referendum costituzionale non può trasformarsi in una valutazione sull’operato di un governo: per quello ci sono le elezioni. Inoltre il modo in cui si è superato il bicameralismo perfetto rischia di produrre conflitti tra la Camera e questo nuovo Senato a investitura mista, il tutto poi aggrovigliato a questa nuova legge elettorale chiamata Italicum. Senza contare il mancato chiarimento dei rapporti Stato-Regioni. Ripeto: ho qualche perplessità».

Fonte: Il Mattino – http://goo.gl/rdiYHE

 

 

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Min. Orlando ribadisce: serve norma per regolamentare le lobby http://www.lobbyingitalia.com/2015/10/min-orlando-ribadisce-serve-norma-per-regolamentare-le-lobby-ansa/ Wed, 07 Oct 2015 07:49:58 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2975 Rappresentanza di interessi parte integrante del processo legislativo. Obiettivo di dotarsi di procedure trasparenti e tracciabili. Necessità di portare a un punto di approdo finale le proposte di legge attualmente in discussione in Parlamento.

Ieri a Roma nella sede della Banca d’Italia, durante la presentazione del Rapporto Onu sulla lotta alla corruzione in Italia, nel convegno organizzato dal Ministero della Giustizia e dall’Autorità nazionale Anticorruzione, il ministro Orlando si è focalizzato su questi punti nella (ennesima) promozione di una norma sul lobbying in Italia.

Nella formazione delle decisioni pubbliche è da sempre parte integrante del processo politico legislativo (sia locale che nazionale) la rappresentanza di interessi particolari. Le democrazie devono dotarsi di procedure trasparenti e tracciabili di rappresentanza degli interessi a ridosso del processo decisionale, ciò che è tanto più necessario in quanto il nostro Paese è ancora di recente intervenuto in materia di finanziamento pubblico ai partiti politici, abolendolo nella forma diretta“.

Sono state approvate in questa materia leggi regionali (in Toscana, in Molise, in Abruzzo) e sono in
discussione in Parlamento varie proposte. Abbiamo bisogno di portare questa discussione a un punto di approdo finale“.

L’ultima indiscrezione sul passaggio in aula del ddl lobby attualmente depositato in commissione Affari Costituzionali risale allo scorso settembre.

 

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Bruxelles corrotta, Europa infetta | L’Espresso http://www.lobbyingitalia.com/2015/10/bruxelles-corrotta-europa-infetta-lespresso/ Fri, 02 Oct 2015 13:42:28 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2957 Nuova inchiesta de L’Espresso, molto negativa sul mondo del lobbying comunitario.

Tangenti. Sprechi. Inefficienza. Istituzioni al servizio di lobby potenti e occulte. Ecco tutti i pubblici vizi della capitale. Che affossano la fiducia nell’Unione.

È UN TOUR TRA GLI EDIFICI più importanti della città: dalla residenza reale al museo di belle arti, dagli uffci ministeriali alle carceri, dall’osservatorio astronomico al palazzo di giustizia. Sono maestosi, coperti di marmi e statue a testimoniare la solidità della virtù pubblica. Eppure per dieci anni a gestirli è stata una cricca: ogni appalto una mazzetta, altrimenti non si lavorava. Tutti sapevano, nessuno ha mai denunciato la rete criminale che ha trasformato il cuore del Paese in una vera Tangentopoli. Non stiamo parlando della gang romana di Mafia Capitale, questa è Bruxelles: due volte capitale, del Belgio e dell’Europa. E due volte corrotta, nell’intreccio d’affari tra poteri locali e autorità continentali. Qui non si decide soltanto la vita di una nazione lacerata dalle tensioni tra valloni e fiamminghi, ma il destino di mezzo miliardo di persone, cittadini di un’Unione che mai come in questo momento si mostra debole e inconcludente. Dall’inizio del millennio la fiducia degli italiani, come evidenzia il sondaggio Demopolis, è crollata e solo uno su quattro crede ancora nell’Europa. Bruxelles però è anche il laboratorio in cui la corruzione si sta evolvendo. La mutazione genetica delle vecchie bustarelle in un virus capace di intaccare in profondità la reputazione delle istituzioni europee, diffuso silenziosamente da quei soggetti chiamati lobby. Realtà estranee alla tradizione democratica dei nostri Stati nazionali e molto diverse dai modelli statunitensi, perché qui non ci sono leggi che le regolino, né sanzioni che le spaventino: le lobby sono invisibili e allo stesso tempo appaiono onnipotenti.

LA GIUSTIZIA IMPRIGIONATA Il simbolo è Place Poelaert, la grande piazza panoramica affacciata sul centro storico di Bruxelles. Da un lato c’è il palazzo di giustizia, con la cupola dorata che svetta sull’intera città: una muraglia di impalcature lo imprigiona da cima a fondo, soffocando le colonne dietro un gigantesco castello di assi che marcisco no tristemente. Il cantiere dei restauri è abbandonato da otto anni, da quando i titolari sono stati arrestati, assieme ad altri 33 tra imprenditori e funzionari accusati di avere depredato l’intero patrimonio immobiliare statale. Proprio di fronte al palazzo della giustizia impacchettato c’è uno splendido complesso rinascimentale, con un giardino impeccabile. È la sede del Cercle de Lorraine, “the business club”, come recita la targa: l’associazione che raccoglie gli industriali più prestigiosi del Paese, baroni e visconti da sempre padroni del vapore assieme ai manager rampanti della new economy. Lì, tra sale affrescate e camerieri in livrea, promuovono i loro interessi. Insomma, sono una lobby. Una delle oltre seimila che presidiano la capitale europea, con più di 15 mila dipendenti censiti mentre altrettanti si muovono nell’oscurità. A Bruxelles il colore degli affari rispecchia il cielo perennemente coperto: si va dal grigio al nero. Non a caso, la frase magica della cricca degli appalti era «bisogna che il sole splenda per tutti».

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IL CANTIERE INFINITO Oggi la città è tutta un cantiere. Sono centinaia. Dall’aeroporto al quartiere generale della Nato, dalla periferia al centro storico si vedono ovunque gru e ruspe all’opera. Per non essere da meno, anche il Parlamento europeo vuole abbattere l’edificio dedicato a Paul-Henri Spaak, completato nel 1993 con un miliardo di spesa: il progetto prevede altri 750 uffici per i deputati del presente e del futuro, rappresentanti delle nazioni che aderiranno all’Unione negli anni a venire. Se però dal Palazzo di Giustizia si va verso il Parlamento percorrendo la chaussée d’Ixelles, la frenesia cementizia si mostra in una luce diversa. La lunga arteria è stata completamente rifatta nel 2013, solo che al momento dell’inaugurazione c’è stata una sorpresa: i marciapiedi erano troppo larghi e gli autobus finivano per incastrarsi l’un contro l’altro. Hanno ricominciato da capo, di corsa. Appena riaperta al traffico, però, la pavimentazione allargata non ha retto al peso dei pulmann e si è riempita di buche, manco fosse Roma. E giù con la terza ondata di lavori: ora la strada sembra una chilometrica sciarpa rattoppata. Ixelles è un comune autonomo, perché Bruxelles in realtà è un insieme di diciannove piccoli municipi indipendenti, ciascuno con il suo borgomastro. In questo periodo il meno sereno è il sindaco di Uccle, che per undici anni è stato pure presidente del Senato belga. Come avvocato ha difeso una masnada di magnati kazaki, ottenendone l’assoluzione. In cambio ha ricevuto 800 mila euro. «Compensi professionali», ha spiegato Armand De Decker. Il sospetto invece è che la scarcerazione degli oligarchi sia il tassello di un intrigo internazionale: una clausola del patto segreto tra il presidente kazako Nazarbayev e l’allora collega francese Sarkozy per la vendita di elicotteri, in cui era previsto anche «di fare pressione sul senato di Bruxelles». Un’accusa formulata dagli inquirenti parigini, perché le procure locali si guardano bene dall’indagare. Gli investigatori belgi non hanno fama di efficienza né di indipendenza. La storia recente del Paese è costellata di scandali che si perdono nel nulla, tra trame occulte e massoneria: i parallelismi con l’Italia sono forti e anche qui prospera una cultura del sospetto, che porta i cittadini a diffidare della giustizia. L’inchiesta sulla tangentopoli capitale è partita nel 2005, le sentenze di primo grado ci sono state solo quattro mesi fa. I dieci dirigenti della Régie des Batiments, che per un decennio hanno intascato almeno un milione e 700 mila euro, se la sono cavata con condanne irrisorie. «I fatti sono gravi, ma ormai antichi», ha riconosciuto la corte.

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IL BAROMETRO DELL’ONESTA’ Questa giustizia lenta e spesso inefficace è anche arbitro di parecchi dei misfatti che avvengono nei palazzi della Ue. Sono le magistrature nazionali a procedere penalmente contro i corrotti, perché le agenzie europee possono minacciare soltanto sanzioni amministrative: la punizione massima è il licenziamento, una rarità, mentre più frequenti sono le retrocessioni di grado e soprattutto le lettere di richiamo. Di certo, non un grande deterrente per rinsaldare la moralità dei commissari, dei 751 deputati e dei 43 mila funzionari che gestiscono ogni anno oltre 140 miliardi di euro e scrivono leggi vincolanti per 28 Paesi. Mentre anche dalla loro onestà dipende la credibilità di un organismo sempre meno rispettato. L’istituto statistico più autorevole, Eurobarometro, due anni fa ha lanciato l’allarme: il 70 per cento dei cittadini ritiene che la corruzione sia entrata nelle istituzioni europee. Lo credono 27.786 persone, selezionate scientificamente per rappresentare l’intera popolazione dell’Unione. È un dato choc. La Commissione ha reagito annunciato una crociata contro le tangenti in tutto il Continente. Ovunque, tranne che nei suoi uffici: nel 2014 il primo rapporto anti-corruzione nella storia della Ue ha sezionato i vizi di ogni Paese, senza però fare cenno ai peccati dentro casa: quella che la Corte dei Conti europea ha definito nero su bianco «un’infelice e inspiegabile omissione». D’altronde la presidenza di Jean-Claude Juncker è cominciata nel peggiore dei modi. Le rivelazioni di LuxLeaks – pubblicate in Italia da “l’Espresso” – hanno messo a nudo il suo ruolo nel trasformare il Lussemburgo nel Bengodi delle aziende in cerca di tasse irrisorie. Per riscattarsi, Juncker ha promesso una sterzata contro l’iniquità fiscale legalizzata. «Ma finora la Commissione è stata passiva su questa materia», sottolinea Eva Joly, per anni il giudice istruttore più famoso di Francia, che ha portato alla sbarra i crimini delle grandi aziende, ed ora è eurodeputato verde: «La follia è che abbiamo al vertice dell’Europa l’uomo che ha arricchito il Lussemburgo grazie alle tasse rubate agli altri, con guadagni che continuano a crescere. Nel Parlamento i verdi hanno imposto la creazione di un comitato speciale: il primo rapporto sarà pronto tra un mese e sarà molto duro. Anche i conservatori ora hanno capito e c’è la volontà di piegare i paradisi fiscali: sono convinta che il Lussemburgo dovrà adeguarsi o uscire dall’Unione».

Espresso Bruxelles 4IL GRANDE CIRCO Quello che Juncker costruito in Lussemburgo, a Malta lo ha realizzato John Dalli, il ministro che ha fatto dell’isoletta una piazzaforte finanziaria, graditissima agli investitori italiani più spregiudicati e ai miliardi rapidi delle scommesse. Poi nel 2010 Dalli è entrato nel governo dell’Unione: come commissario per la salute ha avuto in mano dossier fondamentali, incluso il via libera alle coltivazioni ogm. Finché la sua carriera non si è trasformata in circo. Letteralmente. Il suo vecchio amico Silvio Zammit, pizzaiolo e impresario circense part-time, è andato in giro chiedendo soldi per conto del «boss». Ha prospettato a una holding svedese la possibilità di spalancare il mercato eu ropeo a un prodotto che piace molto agli scandinavi: lo snus, il tabacco da masticare. Una passione da pirati e cowboy, fnora proibita nel resto della Ue, con potenzialità miliardarie: rimpiazza le sigarette anche dove il fumo è vietato. In cambio Zammit ha chiesto una somma niente male: 60 milioni di euro, poco meno della storica tangentona Enimont. La questione è arrivata sul tavolo dei detective dell’Olaf, l’unità antifrode eu ropea guidata dall’italiano Giovanni Kessler. Con investigatori provenienti dalla Guardia di Finanza, perquisendo di notte l’uffcio del commissario, sono stati trovati «indizi plurimi» del coin volgimento personale di Dalli. Nell’ottobre 2012 l’allora presidente Barroso ha obbligato il maltese alle dimissioni, frmate molto controvoglia. Tant’è che quando, dopo la sostituzione del capo della polizia, l’indagine penale nell’isola è stata archiviata, Dalli ha cominciato a sparare denunce dichiarandosi vittima di un’ingiustizia. E il parlamento ha criticato l’azione dell’Olaf: «Dal rapporto dei supervisori emergono molti dubbi sui metodi del nostro istituto antifrode più importante, che nei resoconti manipola le statistiche per presentare risultati migliori del reale», sancisce l’eurodeputato verde Bart Staes, membro di spicco del comitato che vigila sul budget, altro ca posaldo del sistema di controllo. L’Olaf si è trovata ai ferri corti pure con la Corte dei conti, a cui ha contestato appalti oscuri. Che a sua volta ha rimandato le accuse al mittente. Insomma, un tutti contro tutti, con esiti abbastanza deprimenti per l’affidabilità dei custodi di Bruxelles. Oggi l’Europa sembra avere tanti cani da guardia litigiosi. E tutti con la museruola: abbaiano, ma non mordono. Il loro compito infatti si limita a suggerire provvedimenti. Fuori dai palazzi della Commissione, non hanno poteri e devono invocare l’aiuto delle polizie nazionali. Che – tra interessi patrona li e differenze normative – non sempre collaborano. I detective europei hanno bisogno di un’autorizzazione pure per ascoltare i testimoni. All’Olaf ogni indagine è affidata a una coppia di ispettori, senza assistenti: si fanno da soli pure le fotocopie e passano più tempo a difendersi da tiro incrociato delle altre autorità che non a investi gare. Il feeling che si respira è negativo, come se la lotta alla corruzione interna non fosse una priorità, anzi, dei primi eletti del movimento anti-europeo inglese: nei comizi urlava contro il malaffare di Bruxelles, poi falsificava le note spese. Janice Atkinson, sempre dell’Ukip, a marzo si è fatta triplicare la ricevuta dopo il cocktail con la moglie del leader Nigel Farage – 4350 euro invece di 1350 – mentre la sua assistente si vantava: «È un modo di riportare a casa i nostri soldi». E quando nel 2011 un reporter del “Sunday Times” si è finto lobbista, offrendo denaro in cambio di emendamenti a sostegno della sua società, tre deputati hanno abbocca to subito. Due – un austriaco e uno sloveno – si sono dimessi e sono stati condannati in patria. Il terzo, l’ex ministro degli Esteri romeno Severin, è ancora al suo posto mentre l’istruttoria a Bucarest langue. Distinguere tra lobbisti veri e falsi non è facile. A Bruxelles è stato istituito un registro per queste figure, senza vincoli né sanzioni: chi vuole si accredita. L’attivissima sezione europea di Transparency International un mese fa ha dimostrato che metà delle 7821 dichiarazioni ufficiali delle lobby era no «incomplete o addirittura insensate». E in tanti si sottraggono al censimento, a partire dagli studi legali: un’armata che esercita un’influenza nascosta. La soluzione? «Rendere obbligatoria l’iscrizione al registro», spiega Carl Dolan di Transparency. «E bisogna vietare ogni contatto con chi non è iscritto», aggiunge Staes: «Devo ammettere però che in Parlamento non esiste una maggioranza favorevole al registro obbligatorio. Noi verdi, come i 5 stelle italiani e alcuni esponenti socialdemocratici, ci stiamo battendo, molti invece sono contrari».

PORTE GIREVOLI Tra i palazzi delle istituzioni e quelli dei potentati economici ci sono tante porte girevoli. Si passa dagli uffici della Commissione a quelli delle corporation e viceversa. Figure come Lord Jonathan Hill, con trascorsi in società di lobby della City, imposto dal governo Cameron al vertice della strut tura Ue che si occupa di mercati finanziari. O il caso sensazionale di Michele Petite, il direttore europeo degli affari legali che si tramuta in consigliere della Philip Morris e poi rientra come presidente del comitato etico che dirime i confitti d’interesse nella Ue. Ma queste sono le pedine sullo scacchiere di una partita più complessa. Le manovre dei lobbisti intrecciano network che possono seguire la geopolitica dei governi, dei Partiti o semplici reti di conoscenze trasversali adeguatamente retribuite. Il terreno di caccia favorito è la zona grigia in cui i grandi propositi dei legislatori europei si trasformano in regolamenti, spesso modesti. Uno dei passaggi più opachi avviene nei “gruppi di esperti” che studiano i dossier caldi. Una ong ha appena svelato che il 70 per cento degli esperti incaricati di valutare la questione del fracking, la discussa tecnica di estrazione petrolifera, hanno relazioni con le compagnie del settore. Non si tratta di un’eccezione, ma di un andazzo molto diffuso. L’Ombudsman europeo, l’autorità etica più piccola e dinamica, apre un’istruttoria dietro l’altra. Senza spezzare la cortina di ferro che protegge gli intrallazzi. «Bisogna incrementare al massimo la trasparenza, deve esserci sempre una traccia scritta di chi interviene nelle discussioni interne», sintetizza Carl Dolan. I confitti di interessi pullulano: nel 2012 sono stati segnalati 1078 dipendenti europei con incarichi extra. Quelli sanzionati sono una ventina, quasi sempre con reprimende scritte o verbali. L’impunità è pressoché certa. Per anni il funzionario Karel Brus ha fatto sapere in anticipo agli emissari di due colossi dei cereali, l’olandese Glencore e la francese Univivo, i prezzi stabiliti dall’Europa per gli aiuti agricoli: notizie d’oro, che permettevano di investire a colpo sicuro. In cambio si ipotizza che abbia incassato almeno 700 mila euro. Prima della condanna penale però sono passati dieci anni e il travet è sparito in Sudamerica. E per le due società c’è stata solo una multa: mezzo milione, inezie rispetto ai profitti.

LA NUOVA CORRUZIONE La Commissione ha in mano un’arma micidiale: può bandire le aziende corruttrici da tutti i contratti europei. Misura applicata solo due volte negli ultimi anni. Perché la volontà di fare pulizia sembra labile. Prendiamo il dieselgate di Volskwagen: gli uffici tecnici dell’Unione avevano segnalato i trucchi della casa tedesca da parecchi mesi, ma la denuncia è rimasta lettera morta fino all’intervento delle autorità statunitensi. «Questa è la nuova corruzione. Ed è il nuovo mondo, in cui si agisce tramite logaritmi che falsifcano i dati dei computer: la realtà si riduce a schermate digitali, mentre Volskwagen otteneva fondi per produrre auto ecologiche e contribuiva ad aumentare l’inquinamento che uccide migliaia di persone», tuona Eva Joly: «Ma la portata dello scandalo è ancora più grave, perché dimostra che il rispetto delle regole non è più un valore. La Germania, il Paese della legge e dell’ordine, ha ingannato tutti; la loro azienda simbolo ha mentito per anni. Le nazioni che hanno costruito questa Unione stanno perdendo credibilità e non capiscono quanto ciò peserà sul futuro delle nostre istituzioni». In quello choccante 70 per cento di cittadini che percepisce un’Europa corrotta si proietta una sfiducia più vasta. «È un dato che nasce dallo sconcerto per la debolezza della reazione davanti ai problemi: la crisi economica, il tracollo greco e adesso l’esodo dei migranti», commenta Bart Staes: «La gente sente i racconti sulle pressioni delle lobby, si diffonde il sospetto che l’Unione serva più per tutelare gli interessi economici che i cittadini. C’è la necessità di riforme profonde, che non sono nell’agenda di Juncker. Ma soprattutto bisogna dare risposte concrete: fatti, non storytelling. Partiamo dalla Volskwagen: quasi tutti i produttori di auto sfruttano i buchi nella legislazione per alterare i test, noi verdi abbiamo proposto di cambiare le regole e punire chi mente. Se agisci e la gente vede che i guasti vengono risolti, allora avrà di nuovo fiducia».

CORSI E RICORSI STORICI Un professore dal cognome altisonante, David Engels, in un saggio ha paragonato il declino dell’Unione al crollo della repubblica nella Roma antica. Oggi come allora, l’allargamento troppo rapido dei confini, il confronto con un’economia globalizzata, la crisi dei modelli religiosi – all’epoca i nuovi culti importati nell’Urbe, adesso l’Europa cristiana alle prese con l’Islam – e il contrasto tra i privilegi dei patrizi e l’impoverimento dei ceti popolari, logorano le istituzioni democratiche. Un’analisi che riecheggia le parole scritte da Altiero Spinelli nel 1941, in quel manifesto di Ventotene che ha partorito l’idea di Europa unita. «La formazione di giganteschi complessi industriali e bancari… che premevano sul governo per ottenere la politica più rispondente ai loro particolari interessi, minacciava di dissolvere lo Stato stesso. Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si valevano per meglio sfruttare l’intera collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione che solamen te lo stato totalitario, potesse in qualche modo risolvere i confitti di interessi». Era la situazione che ha fatto trionfare le dittature e spinto il continente nel baratro della guerra. L’Europa unita è nata da questa lezione, che ora sta dimenticando.

Espresso Bruxelles 5Eravamo i più convinti di tutti. Quindici anni fa, l’alba del nuovo millennio vedeva l’Italia piena di euro-entusiasti: oltre il 53 per cento di cittadini. Ci credevamo più dei tedeschi e molto più dei francesi. Da allora la fiducia nella Ue si è sgretolata. E i dati Demopolis dimostrano che non è colpa della moneta unica. La picchiata del consenso è cominciata con la recessione economica internazionale e si è intensificata con la crisi greca, toccando il minimo a giugno: soltanto il 27 per cento degli italiani dava ancora credito al sogno europeo. Adesso il sondaggio, condotto dall’istituto diretto da Pietro Vento su un campione di mille persone, mostra una minuscola ripresa del consenso, ma solo di un punto. Nota informativa L’indagine è stata condotta nel settembre 2015 dall’Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento, su un campione stratifcato di 1.000 intervistati, rappresentativo dell’universo della popolazione italiana maggiorenne. Metodologia ed approfondimenti su: www.demopolis.it

soru lobby ue

Gianluca Di Feo, L’Espresso

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Ucraina, così non va: Venduti seggi del Parlamento a lobbisti http://www.lobbyingitalia.com/2015/08/ucraina-cosi-non-va-venduti-seggi-del-parlamento-a-lobbisti/ Fri, 28 Aug 2015 06:38:42 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2920 I seggi del Parlamento ucraino (Verchovna Rada) alle ultime elezioni parlamentari sono stati acquistati da imprenditori e uomini d’affari al prezzo di 3-10 milioni di dollari, ha dichiarato in un’intervista con “Der Spiegel” l’imprenditore ucraino Tomáš Fiala.

Secondo Fiala, nelle ultime elezioni legislative dell’Ucraina il presidente Petr Poroshenko e il premier Arseniy Yatsenyuk hanno messo ai primi posti delle loro liste gli “eroi di guerra” e gli attivisti di Maidan più popolari e “presentabili”. Tuttavia nelle liste elettorali è finito un gran numero di uomini d’affari.

Secondo Fiala, gli imprenditori hanno acquistato i seggi parlamentari “per fare lobby e difendere i propri interessi” nel Parlamento ucraino.

L’associazione degli imprenditori ritiene che i leader ucraini siano ricorsi alla compravendita dei seggi per potersi finanziare la loro campagna elettorale.

Yatsenyuk non aveva proprie risorse finanziarie. Poroshenko preferisce non attingere dal suo patrimonio. Alla fine sono diventati ostaggi del vecchio sistema. Questi fatti sono ben noti in Ucraina e in conversazioni private lo ammettono entrambe le parti, sia i compratori dei seggi sia i leader dei partiti,” — ha riferito al giornale Tomáš Fiala.

Inoltre Fiala ha sottolineato che uno dei principali problemi in Ucraina è la corruzione.

Al posto di combatterla, 19mila funzionari pubblici “si sono fatti travolgere.”

Fonte: Sputnik News

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Malta: non siamo tutti John Dalli http://www.lobbyingitalia.com/2015/07/malta-non-siamo-tutti-john-dalli/ Wed, 29 Jul 2015 19:47:09 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2903 Uno dei maggiori (e più eclatanti) scandali legati al lobbying a livello comunitario è il cosiddetto “Dalligate”. Si tratta di un caso di corruzione da parte di una società svedese leader mondiale del mercato del tabacco da masticare, Swedish Match, nei confronti del commissario europeo alla Salute della Commissione Barroso John Dalli. John Dalli era maltese, e la corruzione purtroppo è un grave problema anche nella sua terra di origine.

Il ruolo sempre maggiore dell’attività di lobbying in politica ha infatti portato anche Malta a chiedersi se la regolamentazione dell’attività di lobbying possa essere un tassello fondamentale per la crescita economica. Una crescita, finora, frenata da diversi casi di corruzione che hanno fatto perdere credibilità alla politica isolana. In una società dove “dialogo e consultazione sono diventati sinonimi”, le relazioni istituzionali sono dominate dal rapporto di concertazione tra governo, da un lato, e organismi corporativi come associazioni di categoria, sindacati, camere di commercio e confederazioni industriali dall’altra. La creazione del Consiglio per lo sviluppo economico e sociale ha poi istituzionalizzato questo tipo di relazione tra decisore e portatore di interesse, con il risultato che un gruppo di persone molto ristretto decide sulle linee politico-economiche generali. C’è poco spazio per ONG e per soggetti meno strutturati.

In una recente intervista il deputato Carmel Cacopardo, vice-presidente di Alternattiva Demokratika (i Verdi maltesi) di professione architetto e ingegnere civile, da’ un proprio punto di vista sulla regolamentazione del lobbying maltese.

“Il lobbying rischia di causare corruzione. Stabilire norme chiare di comportamento nella vita pubblica dovrebbe includere la regolamentazione del lobbying, ma lo Standards in Public Life Bill attualmente all’ordine del giorno del Parlamento ignora completamente questa importante questione.

Potenzialmente, il lobbying non è un’attività illecita, anzi: è perfettamente legittimo per qualsiasi cittadino, gruppo di cittadini, aziende o anche le ONG cercare di influenzare il processo decisionale. È fatto continuamente e comporta la comunicazione di opinioni e informazioni ai legislatori e agli amministratori da parte di coloro che hanno interesse a informarli degli impatti delle decisioni in esame. È perfettamente legittimo che gli individui, agendo per conto proprio o conto terzi, devono cercare di garantire che i responsabili delle decisioni siano ben informati prima di prendere le decisioni necessarie. Ovviamente, il lobbying non dovrebbe essere il processo attraverso il quale decisori permettono ai rappresentanti delle aziende di prendere il loro posto.

Non si è a conoscenza del motivo per cui il comitato ristretto parlamentare, guidato dall’On. Angļu Farrugia, non ha identificato il lobbying quale materia che richiede una regolamentazione nel quadro delle norme dello Standards in Public Life Bill. Dalla lettura della relazione finale del 24 marzo 2014, così come i verbali del comitato, non rivelano alcuna indicazione che la questione sia stata mai nemmeno menzionata nelle deliberazioni del Comitato. Infatti, dai lavori parlamentari si deduce indirettamente che il lobbying sia una delle questioni che dovevano essere esaminate.

Il lobbying richiede una dose notevole di trasparenza. Ha bisogno di essere sciolto dalle catene della segretezza. Il lobbying può essere regolato in due modi: regolando le attività lobbistiche e regolando il potenziale destinatario del lobbying. Le attività del lobbista possono essere regolate sia attraverso una registrazione obbligatoria oppure con una rivelazione regolare dei nomi di coloro che svolgono attività di lobbying.

Malta richiede anche norme che regolino l’attività di lobbying che si realizza attraverso le revolving-doors. A volte, questo è il modo più semplice per i gruppi di interesse che reclutano ex ministri, così come gli ex funzionari di alto livello in materia, immediatamente alla conclusione del loro mandato per sfruttare il loro accreditamento diretto presso le istituzioni. In questo modo, cercano di sfruttare i contatti e un accesso quasi diretto a informazioni di estrema sensibilità. Succede anche in senso inverso, quando il settore pubblico assume lobbisti direttamente nella pubblica amministrazione, senza prima aver lasciato tempo sufficiente per il cooling off, in modo che gli ex lobbisti così reclutati siano come cavalli di Troia nelle aree del settore pubblico che in precedenza li regolavano.

Se siamo davvero seri sulla lotta alla corruzione alla radice, sarebbe meglio che la regolamentazione dell’attività di lobbying sia considerata urgentemente. Insieme alla legislazione in materia di finanziamento dei partiti politici appena approvate dal Parlamento, la regolamentazione delle attività di lobbying creerebbe una migliore atmosfera per la lotta alla corruzione”.

D’altronde, non tutti sono John Dalli. Per fortuna..

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Ungheria, il Consiglio d’Europa chiede passi decisi contro la corruzione http://www.lobbyingitalia.com/2015/07/ungheria-il-consiglio-deuropa-chiede-passi-decisi-contro-la-corruzione/ Sun, 26 Jul 2015 20:16:19 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2891 Il Gruppo di Stati contro la Corruzione (GRECO), composto da membri del Consiglio d’Europa, ha chiesto all’Ungheria di rafforzare la legislazione anti-corruzione, in particolare regolamentando i rapporti tra lobbisti e decisori e limitando le immunità dei pubblici ufficiali. Sono richieste anche misure giudiziarie nei confronti dei soggetti governativi protagonisti negli ultimi anni di caso di corruzione.

Il report pubblicato dal GRECO il 22 luglio scorso richiede alle autorità ungheresi misure su tre macro aree: un codice etico per i parlamentari, misure legate alla corruzione per i decisori pubblici e una nuova modalità di azione per giudici e pm nei confronti delle immunità degli eletti. E il Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Thorbjorn Jagland, ha dichiarato la lotta alla corruzione “essenziale per tutti gli Stati membri del Consiglio”.

La richiesta di una maggiore trasparenza nel processo legislativo ungherese coincide con le critiche da parte dei sostenitori anti-corruzione locali, che hanno evidenziato alcuni esempi recenti sospetti, come ad esempio la distribuzione di contratti a lungo termine per l’utilizzo di terreni agricoli di proprietà dello Stato e l’assegnazione di licenze esclusive di vendita di tabacchi, secondo l’Associated Press.

Negli ultimi tempi l’Ungheria è stata scossa da un pesante caso di corruzione. La Presidente dell’Autorità fiscale magiara (NAV) Ildikó Vida, alla quale stato proibito di entrare negli Stati Uniti a causa di accuse di corruzione, si è dimessa nel maggio scorso. Era una dei sei ungheresi a cui è stato proibito di entrare negli Stati Uniti a causa di presunti collegamenti alla corruzione. Sotto la pressione del primo ministro Viktor Orban, la Vida è stata coinvolta in un giudizio da un inviato degli Stati Uniti, M. André Goodfriend, ma la causa per diffamazione che chiede il risarcimento di 5 milioni di fiorini è stata abbandonata a causa della sua immunità diplomatica. Il governo ungherese non ha condotto un’investigazione su Vida o il resto delle accuse di corruzione, dicendo che non aveva ricevuto alcuna evidenza da Washington circa i presunti misfatti.

Per quanto riguarda il ramo legislativo, il gruppo chiede una maggiore trasparenza. Il coinvolgimento di terze parti non è percepito come sufficientemente trasparente dal momento che non esiste una regolamentazione sul lobbying a livello parlamentare.

La relazione sottolinea la necessità di elaborare codici di etica o condotta per i membri del parlamento per integrare i regolamenti esistenti, in particolare nelle situazioni in cui i parlamentari si trovano ad affrontare interessi contrastanti.

Entro la fine del mese di settembre 2016 le autorità ungheresi dovranno riferire sulle misure adottate per attuare 18 raccomandazioni contenute nella relazione. Il GRECO poi dovrà valutare l’attuazione delle raccomandazioni in un “rapporto di conformità”, nella prima metà del 2017.

Tra le raccomandazioni del GRECO, quelle riferite ai parlamentari riguardano:

  • l’apertura del processo decisionale ai soggetti interessati e la trasparenza delle informazioni riguardanti l’iter legislativo, in particolare dei rapporti con i lobbisti o le associazioni o chiunque altro influenzasse il processo decisionale;
  • l’attuazione di un codice di condotta per parlamentari e staff, con norme sui regali, le donazioni, le revolving doors di fine mandato;
  • norme previste per l’eventuale emersione di conflitti di interesse, per evitare che ci siano giuste procedure per la verifica e la sanzione di comportamenti illeciti;
  • la trasparenza dei redditi e degli interessi di ogni parlamentare, e la pubblicità dei loro dati;
  • il monitoraggio e l’effettiva attuazione delle normative anti-corruzione.

L’opacità del sistema ungherese è da sempre segnalata come un problema endemico. Nel rapporto di Transparency International su 19 ordinamenti europei “Lifting the Lid on Lobbying”, l’Ungheria era stata segnalata come Paese a bassa competitività interna tra diversi interessi. Il Governo, infatti, tendeva a sviluppare rapporti stretti con poche, potenti associazioni di imprese creando un danno alla competitività dell’intero sistema e, conseguentemente, dando largo impulso alla corruzione e alla lottizzazione delle cariche pubbliche e delle grandi poltrone private.

Secondo Jozsef Peter Martin, managing director di Transparency International Hungary, la legge sulle lobby non solo aiuterebbe a limitare la corruzione nei pubblici uffici, ma soprattutto sarebbe la condizione necessaria per migliorare la competitività dell’intera economia danubiana.

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Così le lobby fermano le riforme: nuovo rapporto di Transparency International (Repubblica.it) http://www.lobbyingitalia.com/2015/04/cosi-le-lobby-fermano-le-riforme-nuovo-rapporto-di-transparency-international-repubblica-it/ Wed, 15 Apr 2015 14:45:12 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2763 L’associazione stila la classifica europea dei paesi con maggiore trasparenza. Italia al terz’ultimo posto. Peggio di noi solo Cipro e l’Ungheria. E online una petizione per chiedere a Parlamento e governo l’approvazione di una normativa.

Influenze nascoste. Accessi privilegiati e opachi ai decisori pubblici. Un terreno dove la trasparenza è solo una pia illusione. Lobby, siamo ancora al punto zero. Perché il quadro che emerge da “Lobbying in Europe”, l’ultimo rapporto di Transparency International, mostra che in Europa solo sette paesi possiedono forme di regolamentazione dei fenomeni lobbistici. E l’Italia è al terz’ultimo posto tra le diciannove nazioni analizzate. Una primato negativo. Superabile solo con la messa in essere di norme che prevedano  –  e sono queste le richieste della sezione italiana di Ti – un registro pubblico e obbligatorio dei lobbisti, chiarezza negli incontri tra i lobbisti e i membri del Parlamento o i pubblici ufficiali, e la “regolamentazione del fenomeno delle porte girevoli”. Norme necessarie anche per combattere la corruzione.


Un freno per le riforme. Peggio di noi, solo Cipro e l’Ungheria. Nel rapporto si legge: “L’Italia, insieme a Portogallo e Spagna, è tra i cinque Paesi con i punteggi peggiori e dove le pratiche di lobbying e i rapporti tra il settore pubblico e finanziario sono particolarmente a rischio”. Pratiche che possono mettere a rischio l’intero impianto delle riforme istituzionali ed economiche. Per Transparency International, infatti, esse sono state “significativamente ridimensionate anche a causa dell’azione e delle pressioni dei maggiori attori del settore”. Pressioni che “creano terreno fertile per una cerchia ristretta di poteri in grado di far valere in maniera indebita i propri interessi particolari”, dice Virginio Carnevali, presidente di TI.

I casi negativi. Tra le cattive pratiche di lobbying segnalate in Italia, quella dell’industria del gioco d’azzardo, “nelle cui file dirigenziali non è difficile trovare ex-politici”. Che grazie alla loro influenza sugli attuali membri del Parlamento hanno fatto sì che “le riforme del settore che andavano a favore dell’interesse pubblico” venissero ritirate. Altro caso, quello dei trasporti. Ancora dal rapporto di TI: “La totale assenza di regole sul lobbying ha impedito negli anni una liberalizzare del settore dei taxi”. E, anche in questo caso, “regole chiare e maggior trasparenza avrebbero potuto garantire a tutti i portatori di interesse pari opportunità di partecipazione al processo decisionale”.

Porte girevoli. Nota dolente, il passaggio dal sistema pubblico a quello privato e viceversa. Una dinamica non regolata che consente da un lato di sfruttare “informazioni pubbliche” per favorire interessi privati e dall’altro di “incidere grazie alle conoscenze acquisite” sulle decisioni pubbliche anche se oramai non si è più dirigenti dello Stato. Dinamica così spiegata nel rapporto: “In Italia in particolare è abbastanza facile passare dal settore pubblico al privato e viceversa, consentendo in questo modo a ex-pubblici ufficiali di andare ad esercitare attività di lobbying nei confronti dei loro passati datori di lavoro”.

La questione del finanziamento ai partiti. E una legislazione sul lobbying diventa sempre più necessaria anche in relazione alla migrazione da un sistema pubblico di finanziamento alla politica a uno prevalentemente privato. “A fronte di moltissime proposte di legge, in questi anni è stato invece fatto pochissimo nel concreto: sono i diritti e gli interessi basilari dei cittadini che vengono chiamati in causa e che necessitano di essere protetti con una norma ben scritta”, dice Davide Del Monte, direttore di Transparency International Italia.

La petizione. Infine, le raccomandazioni. Cinque passi verso una maggiore trasparenza. Cinque regole necessarie anche per impedire l’aumento di fenomeni legati alla corruzione. Si va dall’adozione di “un ampio e completo sistema di regolamentazione del lobbying” fino all’introduzione di “registri obbligatori dei lobbisti”. Passando dalla “tracciabilità e la pubblicizzazione di tutti gli interessi che hanno influenzato una legge”, dallo stabilire “periodi di attesa minimi durante i quali non sia consentito ai pubblici ufficiali e agli ufficiali eletti esercitare attività di lobbying” e dalla pubblicazione dei loro “legami politici”. Raccomandazioni sostenute anche dai cittadini italiani. Transparency International ha infatti lanciato la petizione Trasparenza nel lobbying, disponibile su Change.org.

FONTE: Carmine Saviano – Repubblica.it

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Lobby e corruzione: “Urgenti norme chiare” (Repubblica.it) http://www.lobbyingitalia.com/2015/03/lobby-e-corruzione-urgenti-norme-chiare-repubblica-it/ Mon, 16 Mar 2015 13:30:30 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2743 Tra pochi mesi non si potrà più farne a meno. Perché l’assenza di una legge sul lobbying rischierà di incidere in modo negativo sul sistema degli appalti pubblici. Le nuove norme, infatti, sono contenute in un disegno di legge delega presentato dal governo e in discussione al Senato che recepiscono tre direttive europee: la 2014/23, la 2014/24 e la 2014/25. Tra i principi contenuti in queste direttive si prevede la “partecipazione di portatori qualificati d’interesse nell’ambito dei processi decisionali finalizzati all’aggiudicazione di appalti e concessioni pubbliche”. Vale a dire: lo Stato potrà coinvolgere privati nella stesura stessa dei provvedimenti che danno il via ai lavori.

La legge sui gruppi di interesse diventa quindi essenziale: è inimmaginabile, infatti, non mettere al corrente l’opinione pubblica circa i rapporti tra istituzioni e portatori d’interesse in relazione alla realizzazione di opere pubbliche. E’ necessario prevedere registri consultabili, agende e resoconti degli incontri. Apparentemente: niente di più semplice se i nuovi strumenti di cui si avvale anche la comunicazione politica fossero presi sul serio: la pubblicità che la rete può fornire è enorme. Un veicolo di trasparenza. E la regolamentazione delle attività lobbistiche è un’esigenza avvertita anche – e soprattutto – dall’Anac, l’Autorità Anti Corruzione presieduta da Raffaele Cantone. Il cui team sta lavorando a un Libro Bianco da presentare al governo. Proposte e indirizzi per migliorare la gestione della cosa pubblica.

Michele Corradino è uno dei quattro consiglieri di Cantone. E non utilizza mezze misure: “Dobbiamo parlarci chiaro: le lobby entrano nelle stanze della politica, nei luoghi dove vengono prese le decisioni che riguardano la totalità dei cittadini”. E più i gruppi di pressione sono forti “più riescono a incontrare interlocutori che sono ai vertici delle istituzioni”. Una proporzione diretta: al massimo di forza economica corrisponde la massima capacità di influenzare il decisore pubblico. Una legge che regolamenti questi incontri, che riesca a mettere in luce il percorso incontrato da una legge diventa quindi essenziale anche in relazione alla lotta contro la corruzione: “Abbiamo stabilito una sorta di equazione, accettata da tutti: l’arma migliore per combattere la corruzione è la trasparenza”. E se la trasparenza è un metodo, questo metodo non può essere circoscritto alla retorica politica.

L’Anac: “Indispensabile regolamentare l’attività lobbistica”

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Il report di Transparency Italia sul lobbying: una legge per i “gruppi di pressione” (Repubblica.it) http://www.lobbyingitalia.com/2014/11/il-report-di-transparency-italia-sul-lobbying-una-legge-per-i-gruppi-di-pressione-repubblica-it/ Tue, 04 Nov 2014 13:08:25 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2645 Transparency International presenta il suo report sulla rappresentanza degli interessi in Italia. Tra dati allarmanti  –  solo l’11% dei rapporti tra politica e “gruppi di pressione” è in chiaro  –  e le proposte per approvare finalmente una legge sul “traffico d’influenze”

Ci hanno provato cinquanta volte, dalla nascita della Repubblica a oggi, con altrettanti disegni di legge. Ma non c’è mai stato verso: qualche discussione in commissione, qualche passaggio in Aula. Nulla da fare: il velo che nel nostro Paese copre e protegge il lobbying non è mai stato alzato. E i gruppi di pressione che cercano di orientare l’attività politica, di influire sui processi di formazione delle decisioni pubbliche, si sono sempre mossi nell’ombra, in un’opacità poco tollerabile per le istituzioni democratiche. Parte da questa fotografia “Lobbying e Democrazia. La rappresentanza degli interessi in Italia,” il report preparato dalla sezione nostrana di Transparency International, l’associazione che in tutto il mondo lotta contro la corruzione.

I numeri e l’etica pubblica. A voler utilizzare la statistica, i dati sono allarmanti: il livello di accesso da parte dei cittadini italiani alle informazioni sui gruppi di pressione è valutato intorno all’11%, nulla. Mentre gli “standard etici” raggiunti nel rapporto tra lobbisti e decisori pubblici arriva al 27%: tre quarti delle loro “frequentazioni” sono fuori dai canoni dell’etica pubblica. E va ancora peggio se ci si sofferma a considerare l’eguaglianza di rappresentanza e partecipazione ai processi decisionali. Qui, altro che democrazia: solo il 22% delle scelte pubbliche riesce a raggiungere, in questo contesto, standard adeguati.

Il lobbyng ad personam. Il punto centrale indicato da Transparency International è proprio la mancanza di regolazione, l’assenza di una legge che consenta, per lo meno, di tracciare i binari sul quale far muovere la rappresentanza degli interessi. E se si può parlare, senza pericolo di smentite, di un “caso Italia”  –  siamo quasi gli unici nel mondo occidentale a non avere una legge in materia  –  allo stesso tempo bisogna evitare di confondere ciò che appare da ciò che accade: perché anche se per il nostro ordinamento i lobbisti non esistono, la realtà è diversa: fatta di un lobbying ad personam che troppo spesso, basta ricordare le inchieste su Expo 2015 o sulla P4, sfocia nella totale noncuranza delle leggi e dell’interesse pubblico.

Il modello europeo. Basterebbe alzare un attimo gli occhi, verso Bruxelles. Perché in Europa, un elenco dei gruppi di pressione esiste eccome. Si chiama Registro per la Trasparenza, ed è stato adottato nel 2011 dalla Commissione Europea: a ottobre 2014, erano censiti 612 lobbisti italiani. E basta scorrere i nomi per rendersi conto che al “traffico di influenze” partecipano tutti: associazioni, Ong, rappresentanti delle industrie che si occupano di telecomunicazioni, energia, tabacco. Poi le fondazioni bancarie, le aziende farmaceutiche.  Interessi di parte, tutti legittimi: ma che sono costretti, da un vuoto normativo, a muoversi alla luce del sole in Europa ma nell’ombra delle Aule parlamentari italiane.

Virtuosi nel deserto. Qualche esempio virtuoso esiste comunque nel nostro Paese. Bisogna abbandonare il livello statale e passare a quello regionale: in Toscana, Molise e Abbruzzo esistono dei registri, in queste regioni il lobbying non è più un’attività che si fa a porte chiuse. Nella consapevolezza che rendere trasparente “chi chiede cosa” aiuta a separare la rappresentanza legittima degli interessi dall’alveo concettuale della corruzione. Insomma, fare una legge è possibile: ad oggi le proposte in questo senso presentate in Parlamento sono nove e lo stesso governo Renzi definisce come una sua priorità la messa a punto di una normativa efficace.

Cinque passi per una legge. Infine, le proposte di Transparency International. Si parte dall’istituzione, da parte del governo, di un registro pubblico dei lobbisti, garantito da un’autorità super partes. Poi l’apertura al pubblico del processo legislativo, soprattutto nelle prime fasi, quando vengono raccolte quelle “informazioni” che poi orienteranno l’iter delle leggi. Poi, l’obbligo per i parlamentari di rendere pubblici i dettagli dei loro incontri con i lobbisti: basta bar e ristoranti al centro di Roma o le sale d’attesa degli aeroporti. Ancora: l’adozione del Freedom of Information Act e la regolamentazione del “Revolving Doors”: impedire, per un determinato periodo di tempo, che chi ha fatto parte delle istituzioni possa poi passare senza soluzione di continuità alla rappresentanza di interessi particolari. Sfide difficili, ma alla portata di una democrazia moderna e matura. Ovvero quella che vuole evitare che i gruppi di pressione diventino il fattore dominante del sistema politico.
Fonte: Carmine Saviano – Repubblica.it

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Eni: quel pregiudizio tutto italiano contro le lobby http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/eni-quel-pregiudizio-tutto-italiano-contro-le-lobby/ Fri, 12 Sep 2014 23:44:50 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2400 (Ruben Razzante) La Procura di Milano sta indagando su una presunta corruzione internazionale che coinvolgerebbe Eni. Secondo i pm milanesi, sarebbe stata pagata una maxi-tangente sul miliardo e 92 milioni di dollari spesi da Eni per l’acquisto della concessione del giacimento petrolifero nigeriano Opl-245, che rappresenta uno dei maggiori potenziali minerari non sviluppati. Chi indaga ipotizza che ottocento milioni di dollari sarebbero stati ripartiti tra alcuni politici e intermediari africani, mentre circa 215 milioni sarebbero stati destinati a mediatori e manager italiani ed europei. I pm sarebbero riusciti a bloccare una parte della presunta tangente da 193 milioni di dollari, grazie al sequestro in Svizzera, mesi fa, di 110 milioni e grazie al blocco a Londra (su richiesta italiana) di 83 milioni riconducibili a un mediatore nigeriano.

Le riserve di petrolio scoperte in Nigeria sono ingenti, pari a 500 milioni di barili di petrolio equivalente (boe). Per l’ipotesi di corruzione internazionale, la Procura di Milano ha iscritto nel registro degli indagati il nuovo amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, all’epoca dei fatti contestati (2011) responsabile della divisione Exploration & Production del “cane a sei zampe”, l’ex ad Paolo Scaroni e il mediatore, Luigi Bisignani. L’Eni ha diffuso un comunicato stampa per sottolineare la sua assoluta estraneità ai fatti contestati e per ribadire la sua completa disponibilità a collaborare con la magistratura. Ha altresì precisato di aver stipulato accordi solo con il governo nigeriano e con la compagnia petrolifera Shell.

Dalla vicenda, ancora in corso e destinata a riservare ulteriori sorprese, originano alcune riflessioni. La prima riguarda l’azione della magistratura. I pm “azzoppano” la prima azienda italiana, proprio mentre gli investitori stranieri mettono l’occhio sulle eccellenze italiane e il governo Renzi sembra aprire alle privatizzazioni di quote di aziende italiane, al fine di attirare capitali da altri Stati. I nostri competitors stranieri esultano per quest’ennesima iniziativa giudiziaria destinata a lasciare campo libero ai voraci francesi (e non solo), pronti a fare incetta di milionari business energetici. L’Eni, peraltro, annaspa in Libia e Algeria, mentre la situazione internazionale dei rapporti tra gli Stati europei e la Russia è quella che è e gli affari dell’Eni nel regno di Putin sono anch’essi a rischio.

Il “cane a sei zampe” zoppica e questo rappresenta una fonte di preoccupazione non secondaria per Renzi, che forse aveva nominato Descalzi al posto di Scaroni proprio per garantire una continuità nella gestione di alcune “partite” decisive per l’economia del Paese. Significative in tal senso le dichiarazioni del Premier, che anche ieri ha difeso Descalzi, dichiarando che lo rinominerebbe ad di Eni. Il secondo elemento di riflessione è costituito dall’enfasi mediatica (forse eccessiva) riservata all’inchiesta Eni-Nigeria dal Corriere della Sera, il cui direttore (ormai in uscita) Ferruccio De Bortoli avrebbe un conto in sospeso con il mediatore Luigi Bisignani. Ancora una volta il diritto dei cittadini ad essere informati viene sacrificato sull’altare di vendette, regolamenti di conti e logiche estranee alla deontologia giornalistica.

Infine, la questione della trasparenza degli interessi. Un’azienda ha tutto il diritto di esercitare la propria influenza sulle autorità pubbliche di un altro Paese. Lo fanno tutte le aziende di Paesi concorrenti, ma i giornali italiani non lo scrivono. Nell’inchiesta in corso, non è ancora stato dimostrato nulla. Non ci sono le prove della corruzione, che si realizza solo quando si paga indebitamente un pubblico ufficiale. Se un’azienda si serve di un intermediario per rappresentare i suoi interessi e perseguirli, e questa prestazione viene fatturata e compresa nel costo dell’operazione, non commette alcun illecito. In Italia, a differenza che in molti altri Stati europei ed extraeuropei, la regolamentazione delle lobbies è ancora una chimera. E le norme vigenti in materia di corruzione vengono interpretate attraverso il filtro deviante di un pregiudizio tutto italiano, quello in base al quale ogni attività di intermediazione cela sempre e comunque una condotta illecita. La prima versione della legge Severino, per fortuna superata dalle variazioni successive, introduceva il reato di traffico di influenze illecite, che praticamente inibiva ogni attività di rappresentanza di interessi e allontanava ogni speranza di riconoscimento delle attività di lobbying. Sembrava quasi la minaccia di spedire in galera tutti i responsabili delle relazioni istituzionali delle grandi aziende per il solo fatto di intrattenere rapporti con i decisori istituzionali finalizzati a influenzarli in modo lecito sulla gestione di alcune operazioni.

È un pregiudizio tutto italiano quello sulle attività di intermediazione, considerate sempre e comunque condotte illecite e fonti di corruzione. Proprio per allontanare ombre e sospetti, che finiscono per appannare l’immagine delle grandi aziende e per danneggiare gli interessi nazionali, occorrerebbe maggiore trasparenza nelle attività di rappresentanza degli interessi. Una legge urge. Il governo Letta l’aveva promessa, ora Renzi potrebbe finalmente condurla in porto. Sarebbe la vera riforma da fare, perché, tra le altre cose, restituirebbe piena legittimità alla figura dei lobbisti, professionisti che negli Usa e in altri Stati godono di un’autorevolezza sociale e professionale assolutamente sconosciuta in Italia, dove vengono considerati a priori personaggi loschi e affaristi senza scrupoli.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

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