commissione – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Il lobbying e le istituzioni dell’Unione Europea (Caffé Geopolitico) http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/il-lobbying-e-le-istituzioni-dellunione-europea-caffe-geopolitico/ Tue, 09 Sep 2014 21:54:33 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2338 (Giulia Tilenni) Conosciute soprattutto per il coinvolgimento nel sistema americano, le lobby (o gruppi di pressione) rivestono un ruolo importante anche nel contesto dell’Unione europea. Ma chi sono i lobbisti? E come si relazionano con il Parlamento e la Commissione?  

DEFINIZIONE E BASE GIURIDICA – La definizione “ufficiale” delle attività di lobbying nel contesto dell’Unione europea – proposta dall’articolo 8 dell’accordo interistituzionale che nel 2011 ha introdotto il Registro europeo per la trasparenza – le descrive come «svolte al fine di influenzare, direttamente o indirettamente, l’elaborazione o l’attuazione di politiche e il processo decisionale delle Istituzioni europee».

Nelle loro diverse formulazioni i Trattati dell’Unione hanno sempre previsto la possibilità di un dialogo diretto tra i cittadini e le Istituzioni secondo il principio della democrazia rappresentativa, come sottolineato dagli articoli 10 e 11 del Trattato sull’Unione europea attualmente in vigore. Se però il coinvolgimento dei gruppi di pressione nel sistema decisionale europeo è vecchio quasi quanto l’Unione, non si può dire lo stesso quanto a definizione e regolamentazione, sulle quali si è iniziato a lavorare dal 2006.

IL LOBBYING NELL’UE – Le lobby che agiscono a livello europeo sono portatrici di interessi transnazionali (legati a tematiche di svariato tipo), che vengono da esse rappresentati nel sistema dell’Unione: per questo loro “ruolo” vengono spesso definite «antenne del sistema democratico».
Non facendo parte della più classica competizione tra maggioranza e opposizione – ed essendo proseguite per lungo tempo in assenza di regolamentazione – il lobbying sulle Istituzioni dell’Unione europea ha posto e pone a tutt’oggi diversi interrogativi. Tra le questioni più rilevanti si ha senza dubbio la presunta “contrapposizione” tra chi ritiene che tale processo abbia incrementato la partecipazione democratica al processo legislativo dell’Unione europea e chi sostiene che questo meccanismo – spesso appannaggio di soggetti o industrie particolarmente influenti – leda gli interessi dei cittadini, mostrandosi come una vera e propria ingerenza esterna sui decisori europei, e, indirettamente, sulle leggi da essi emanate.

I LOBBISTI E L’UNIONE EUROPEA – Si stima che i lobbisti operanti intorno al sistema Unione europea – considerando sia i singoli sia quelli facenti parte di lobby – siano circa 30mila, quasi un migliaio in meno del personale della Commissione europea. Nella pratica la loro attività consiste nell’esercitare pressione su europarlamentari e commissari, cercando di influenzare le loro posizioni con il fine ultimo di avvicinare la legislazione europea alle proprie esigenze (è vero anche il contrario, ovvero l’Unione europea trae da questo processo preziose informazioni sulle necessità del proprio tessuto economico). Il lobbying si esercita più o meno direttamente e con i metodi più disparati – dall’organizzazione di incontri, eventi, forum e campagne alla divulgazione o presentazione di rapporti su uno specifico argomento, passando per la partecipazione a consultazioni pubbliche indette dalle Istituzioni dell’Unione. Tra i caratteri più controversi del processo di lobbying si ha l’utilizzo, ai fini del “reclutamento”, del meccanismo della “revolving door”, la porta girevole: poiché per essere un buon lobbista è necessaria, tra le altre, una buona conoscenza delle politiche, dei processi e dei soggetti che operano in un determinato ambito, i professionisti del settore sono spesso scelti tra le fila di ex parlamentari, burocrati e consulenti o dirigenti di società rilevanti nel settore in questione. Va da sé che la presenza di un meccanismo del genere sollevi dubbi su possibili conflitti di interessi derivati da queste strette interconnessioni tra pubblico e privato.

LA REGOLAMENTAZIONE EUROPEA DEL LOBBYING – Con l’ampliamento del campo di azione delle lobby, che hanno iniziato a esercitare la loro influenza sui parlamentari, oltre che sui commissari, ci si è interrogati sulla necessità di disciplinare meglio le loro attività, intervenendo principalmente sulla loro trasparenza. Le prime azioni concrete in questa direzione hanno avuto luogo dal 2006, anno di diffusione del Libro verde sull’iniziativa europea per la trasparenza redatto dalla Commissione. Il testo, oltre ad abbozzare una prima definizione di lobbying specificamente collegata al contesto europeo, sottolinea sia l’importanza dei gruppi di pressione nel coadiuvare i decisori europei, sia la necessità dell’adozione di misure che possano rendere più trasparente questa pratica. Come riaffermato in una comunicazione quadro del 2008 – emanata sempre dalla Commissione, – la soluzione individuata per risolvere il problema della trasparenza è l’introduzione di un apposito registro corredato da un codice di condotta comune e da meccanismi di controllo e sanzione da applicare in caso di violazioni.
L’accordo interistituzionale tra il Parlamento e la Commissione del luglio 2011 ha decretato l’istituzione del Registro per la trasparenza, al quale coloro che conducono attività di lobbying possono registrarsi per via telematica, aderendo anche al relativo codice di condotta.

IL REGISTRO EUROPEO PER LA TRASPARENZA – Il Registro, oltre a definire che cosa è l’attività di lobbying, identifica le sei categorie (con relative sottocategorie) nelle quali le «organizzazioni, persone giuridiche e lavoratori autonomi impegnati nell’elaborazione e nell’attuazione di politiche dell’Unione» possono registrarsi. Seguendo l’ordine previsto dallo stesso Registro si hanno: società di consulenza specializzate, studi legali e consulenti indipendenti; lobbisti interni e associazioni di categoria professionali; organizzazioni non governative; centri di studio, istituti accademici e di ricerca; organizzazioni rappresentative di chiese e comunità religiose; organizzazioni rappresentative di amministrazioni locali, regionali e comunali, altri enti pubblici o misti.
Si possono identificare almeno due criticità legate al Registro e al suo funzionamento. La prima riguarda i soggetti che dovrebbero effettuare la registrazione – che è attualmente prevista su base volontaria. In particolare, la questione è connessa ai soggetti che non sono tenuti alla registrazione: chiese e partiti politici, così come Autorità locali, regionali e municipali sono escluse dalla registrazione, esattamente come i Governi degli Stati membri, i Governi terzi, le organizzazioni intergovernative e i membri delle rappresentanze diplomatiche. La seconda riguarda gli effetti della volontarietà della registrazione. A parere della Commissione la sola presenza di un registro, anche se questo non include la totalità dei soggetti e degli organismi che esercitano lobbying sulle Istituzioni europee, rappresenta di per sé una garanzia della trasparenza del processo. I critici, però, rilevano come molti attori – anche influenti – abbiano deliberatamente scelto di rimanere fuori dal Registro (che comprenderebbe i due terzi dei soggetti e delle società che esercitano lobbying), non sottoscrivendo così il codice di condotta a questo collegato.

L’IMPATTO SULLE ATTIVITÀ DELL’UNIONE – Secondo alcune stime, il lavoro delle lobby influenza circa il 75% delle decisioni prese dalla Commissione e dal Parlamento. Basta consultare l’elenco dei soggetti iscritti al Registro per la trasparenza per comprendere quanto sia ampio lo spettro di attività in cui le lobby sono impegnate a livello dell’Unione. Si va infatti da settori come energia e tecnologia, tabacco (con la presenza di gruppi di pressione pro e contro l’approvazione di una legislazione orientata a diminuirne il consumo), protezione dei consumatori, cooperazione con i Paesi terzi, istruzione e immigrazione, solo per citarne alcuni.
Per completare il quadro riguardante l’impatto del lobbying sulle politiche dell’Unione occorre infine precisare che parti del processo, in aggiunta alle lobby di cui si è fin qui parlato, sono gli attori statali: i Governi dei Paesi membri e terzi, le organizzazioni non governative e il personale delle missioni diplomatiche, pur senza obbligo di adesione al Registro, cercano infatti di preservare i propri interessi attraverso una stretta collaborazione che coinvolge soprattutto i membri del Parlamento europeo.

Un chicco in più L’utilizzo del termine lobbying per indicare il lavoro dei gruppi di pressione deriva dal fatto che i parlamentari inglesi incontravano il pubblico all’ingresso – la lobby per l’appunto – della House of Commons. Uno dei luoghi di Bruxelles attualmente più gettonati per gli incontri tra lobbisti e assistenti degli europarlamentari è il bar del Parlamento europeo (ribattezzato Mickey Mouse bar per via della forma delle sedie, tra l’altro molto colorate). Pare che i diversi appuntamenti si susseguano in modo simile agli speed dating.

Fonte: Caffé Geopolitico

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Lobby UE: gli advisory group danno la linea http://www.lobbyingitalia.com/2014/03/lobby-ue-gli-advisory-group-danno-la-linea/ Mon, 24 Mar 2014 17:57:53 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2232 Mille gruppi di ‘saggi’ aiutano la Commissione Ue a decidere la linea. Ma il 90% dei consulenti esterni arriva dalle industrie.

Cosa succede quando le aziende, anziché influenzare il processo legislativo delle istituzioni europee, decidono quale esso debba essere prima ancora che sia iniziato?
Se a Bruxelles la battaglia per la trasparenza del registro delle lobby ha iniziato a dare qualche risultato, quella sulla selezione degli advisory group – i gruppi di esperti che si occupano di suggerire proposte legislative alla Commissione – è ancora tutta da combattere.

1.000 GRUPPI DI SAGGI. Sapere quanti e quali sono questi ‘saggi’ non è difficile: esiste infatti un registro istituito dalla Commissione che certifica le entità che contribuiscono «alla preparazione degli atti delegati, delle proposte legislative e iniziative politiche (diritto di iniziativa della Commissione)», nonché «all’attuazione della legislazione», come è scritto nei documenti ufficiali. In tutto ci sono circa 1.000 gruppi (tra formali, informali, temporanei e permanenti), formati da oltre 30 mila esperti, che si riuniscono almeno 85 volte all’anno per formulare pareri, consigli, segnalazioni.

Il 90% dei gruppi esterni alla Commissione è rappresentato dalle industrie

Nell’elenco si trovano sia i gruppi di esperti interni alla Commissione sia quelli consultivi che non sono stati istituiti dalla Commissione, ma che hanno un ruolo simile o addirittura identico.
Tutti, infatti, possono «proporre che l’esecutivo si occupi di una determinata questione», come si legge nel sito della Ue. E sebbene la Commissione «non sia vincolata da pareri del gruppo», è specificato, «li prende molto sul serio».

TUTTI I GRUPPI SONO SCHEDATI. Per ogni gruppo, il registro fornisce informazioni standard su come è stato scelto: qual è la sua missione, quali le sue attività e l’appartenenza. Ed è su quest’ultimo dato che Alter Eu (Alliance for lobbying transparency and ethics regulation), l’associazione che lotta per una maggiore trasparenza del registro delle lobby e vigila sul conflitto di interessi dei politici europei, ha iniziato la propria battaglia.
Su 1.000  gruppi, «500 sono formati da stakeholder esterni, e tra questi il 90% è rappresentato dalle industrie», spiega a Lettera43.it Paul De Clerck, membro del direttivo Alter Eu.«Ciò vuol dire che c’è una voce dominante che influenza la Commissione ancora prima che questa scriva le leggi».

GLI INTERESSI PRIVATI DELLE INDUSTRIE. Per quanto infatti l’esecutivo eruropeo sostenga che i gruppi riuniscono i rappresentanti dei vari interessi sociali ed economici, e che cerchi «per quanto possibile, di garantire una rappresentanza equilibrata delle parti interessate», nel gruppo di “esperti indipendenti” «più della metà rappresentano solo grandi interessi economici», continua Olivier Hoedeman, membro Alter Eu e coordinatore di Corporate Europe observatory.
Non quindi società, associazioni, Ong, sindacati, università, istituti di ricerca, organismi dell’Ue e organizzazioni internazionali, ma imprese. «Ciò vuol dire che nel momento in cui questi gruppi fanno una proposta legislativa tuteleranno più gli interessi degli industriali», dice Hoedeman. Che, peraltro, alla Commissione ha più volte chiesto di inserire anche la propria associazione di cani da guardia del potere in uno degli advisory group, ma senza risultati.

Tra gli esperti soltanto l’1% appartiene al mondo dei sindacati

Anche in questo caso, poi, come nel registro delle lobby, fornire i propri dati è solo un’iniziativa volontaria. Così per esempio, ancora nel 2013, «i gruppi di esperti della Commissione Mercato interno non risultano iscritti», denuncia l’associazione.

SI FA POCO L’INTERESSE PUBBLICO. Non solo. «Nella direzione generale fiscalità e unione doganale (Taxud), responsabile della lotta contro i paradisi fiscali, quasi l’80% di tutte le parti interessate rappresentano grandi interessi economici, solo il 3% le piccole e medie imprese e appena l’1% i sindacati. Nel segretariato generale gli interessi corporativi sono rappresentati per il 64% e nella direzione generale le imprese per il 62%».
Nell’analisi fatta dal Alter Eu spicca un altro esempio: «Il gruppo di esperti sull’Iva, che lavora sotto la direzione generale competente in materia fiscale, non solo conta numerosi rappresentanti di grandi aziende, ma anche esperti ‘indipendenti’, che in realtà lavorano per le stesse imprese già presenti». Tra queste Alter Eu cita: Deloitte (due dipendenti presenti però a titolo personale ), Ernst & Young e Kpmg (uno ciascuno).

NESSUN MIGLIORAMENTO DAL 2012. In pratica in tutti i gruppi recentemente creati dalla Commissione «vi sono più rappresentanti delle grandi imprese di tutti gli altri soggetti interessati uniti», conclude Alter Eu, che nel suo rapporto 2013 non ha rilevato nessun miglioramento rispetto al 2012. Anno in cui, esaminando la sola composizione del gruppi di esperti della direzione generale Imprese e industria aveva contato 482 lobbisti contro solo 11 rappresentanti sindacali. Ma allora come oggi, oltre alla denuncia, i watchdog (cani da guardia) possono solo continuare a ringhiare.

Leggi la prima e la seconda parte dell’inchiesta

Fonte: Antonietta Demurtas, Lettera43.it

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Unione europea, lobby e porte girevoli http://www.lobbyingitalia.com/2014/03/unione-europea-lobby-e-porte-girevoli/ Wed, 19 Mar 2014 18:26:54 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2235 I funzionari a fine mandato passano ai gruppi di pressione. Le revolving door del conflitto d’interesse. In vista del voto.

A Bruxelles le lobby non crescono solo all’interno delle istituzioni ma anche nelle aiuole. In rue Wiertz, appena fuori dal parlamento europeo, c’è un albero. A piantarlo nel 2001 è stata la Society of european affairs professionals (Seap), l’organizzazione che riunisce i lobbisti europei. Alla sua base una targa celebra l’importanza della discussione nel processo decisionale.
E per raggiungere l’obiettivo, si legge, sono necessarie «determinazione, pazienza e dedizione». Le stesse qualità che gli attivisti di Alter Eu (Alliance for lobbying transparency and ethics regulation) usano per ricordare ogni giorno ai politici europei il pericolo di essere comandati dalle lobby. E, soprattutto, di farne parte.

LA REVOLVING DOOR. Un rischio quanto mai reale soprattutto in questo periodo. Con le elezioni europee di maggio, infatti, il turnover al parlamento e alla commissione innesca l’attivazione di quello che i watchdog chiamano revolving door (le porte girevoli).
Un meccanismo ormai noto che vede il passaggio diretto di alcuni politici dalle poltrone delle istituzioni europee a quelle di multinazionali, società di consulenza e studi legali. Organizzazioni che spesso reclutano ex deputati, alti funzionari e commissari proprio per sfruttarne il know how e la loro influenza nei palazzi del potere.

Da commissari a lobbisti: la finestra dei 18 mesi

Il 18 dicembre 2013 Michel Petite, responsabile del servizio legale della Commissione e presidente del comitato etico dell’Unione europea si è dovuto dimettere  a causa di un conflitto di interessi.Il 18 dicembre 2013 Michel Petite, responsabile del servizio legale della Commissione e presidente del comitato etico dell’Unione europea si è dovuto dimettere a causa di un conflitto di interessi.

Il network, infatti, è fondamentale per riuscire a fare lobbying e incidere efficacemente sulle decisioni che vengono prese in sede europea.
«Oggi, degli ultimi 28 ex commissari, sei lavorano per le lobby», dice a Lettera43.it Paul De Clerck coordinatore della Ong Friend of the Earth e membro del direttivo Alter Eu, l’associazione che non solo lotta per una maggiore trasparenza del Registro delle lobby, ma vigila sul conflitto di interessi dei politici europei.
In questi giorni Alter Eu sta inviando una lettera-memorandum a tutti e 28 i commissari per ricordare loro che, una volta lasciato l’incarico istituzionale, devono aspettare almeno 18 mesi prima di impegnarsi in un campo simile a quello in cui lavoravano a Palazzo. Così almeno stabilisce il codice di condotta, che Alter Eu chiede però di modificare estendendo il periodo a tre anni.
L’INDENNITÀ DI TRE ANNI. «La Commissione», ricorda De Clerk, «mette a disposizione un fondo per gli ex commissari che possono usufruire di una indennità transitoria per tre anni nel caso non trovassero un’altra occupazione». Una sorta di ammortizzatore che potrebbero utilizzare anziché decidere di lavorare per le lobby dopo appena 18 mesi.
I numeri spiegano meglio il fenomeno. In quattro anni ci sono stati almeno 343 casi in cui la Commissione ha esaminato i possibili conflitti di interesse. Nel solo 2011, ben 105 funzionari hanno richiesto l’autorizzazione per lavorare in un campo simile a quello in cui erano impegnati in Commissione. Ottanta casi hanno avuto il via libera, 24 sono stati autorizzati con restrizioni e condizioni, e solo uno è stato rifiutato. Nel 2012 su 108 richieste una è stata respinta; nel 2013, davanti a 133 possibili casi di conflitti di interessi, la Commissione ha imposto delle limitazioni solo a 30.
IL CASO DI MCCREEVY. Uno dei casi più noti è quello dell’ex commissario europeo per la regolamentazione del mercato finanziario Charlie McCreevy: fu assunto dalla Bank of New York Mellon (BNY Mellon) nell’aprile 2011, appena 12 mesi dopo aver lasciato la sua poltrona in Commissione. Poco prima era stata respinta la sua richiesta per un incarico presso il gruppo di investimenti Nbnk a causa di un conflitto di interessi.

I più corteggiati sono assistenti e funzionari

Alter Eu ha chiesto al presidente Barroso di mettere in atto nuove regole per impedire ai commissari europei di passare dopo le elezioni del 2014 attraverso la porta girevole.(© Alter Eu) Alter Eu ha chiesto al presidente Barroso di mettere in atto nuove regole per impedire ai commissari europei di passare dopo le elezioni del 2014 attraverso la porta girevole.

Il caso più recente, invece, è stato quello di Michel Petite, responsabile del servizio legale della Commissione e presidente del comitato etico dell’Unione europea. Incaricato di limitare l’influenza dei lobbisti e vigilare proprio sui casi di revolving door, il 18 dicembre 2013 Petite si è dovuto dimettere a causa di un conflitto di interessi. Durante il suo incarico come avvocato per lo studio Clifford Chance, aveva difeso davanti alla Commissione europea gli interessi della Philip Morris (cliente dello studio legale).
ABOU E LA CHIAMATA CINESE. A passare dall’altra parte della barricata è stato anche il francese Serge Abou, che dopo una lunga carriera nelle istituzioni europee, prima come direttore generale alle relazioni esterne poi come ambasciatore della Commissione in Cina, nel 2011 anziché godersi la pensione, ha iniziato a lavorare per la compagnia cinese della telefonia Huawei.
Infine, della prima commissione presieduta da Josè Manuel Barroso è passato attraverso la ‘porta girevole’ anche Günter Verheugen, ex commissario per l’Industria e l’impresa, che ha fondato assieme al suo ex capo di gabinetto (Petra Erler) la European experience company, una società di consulenza e lobbying.

FUNZIONARI E ASSISTENTI SALTANO IL FOSSO. Secondo Alter Eu non bisogna però preoccuparsi solo del futuro del presidente Barroso, una volta lasciata Bruxelles. Il passaggio attraverso le porte girevoli di commissari e deputati è infatti frequente, ma almeno viene monitorato con più attenzione. A sfuggire al controllo è invece quello di funzionari e assistenti.
Le lobby fanno un vero e proprio scouting tra gli assistenti dei politici, che spesso conoscono anche meglio dei deputati il funzionamento del sistema parlamentare, scrivono gli emendamenti, interagiscono con i gruppi di pressione. Alla porta dei quali vanno a bussare quando finiscono il mandato, passando da una busta paga da 1.800 euro al mese a stipendi che spesso sono anche il triplo.

IL REGOLAMENTO DISATTESO. Eppure nel codice etico è stabilito che al fine di evitare possibili conflitti di interesse le lobby devono ottenere il consenso preliminare del deputato prima di assumerne l’assistente e, successivamente, dichiararlo nel Registro per la trasparenza.
Richiesta, finora, disattesa. «Anche su questo ci siamo lamentati, ma nessuno ci ha preso in considerazione», conclude De Clerck.

Leggi la prima parte dell’inchiesta:

Fonte: Antonietta Demurtas, Lettera43.it

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Lobbying ad alta velocità sul Thalys http://www.lobbyingitalia.com/2013/10/lobbying-ad-alta-velocita-sul-thalys/ Fri, 25 Oct 2013 17:04:28 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=1793 Il treno che collega Parigi a Bruxelles è un concentrato delle elite politiche ed economiche che governano l’Ue. Per questo è il posto ideale per chi vuole avvicinare un funzionario o raccogliere informazioni indiscrete.

Le lobby hanno le loro regole. Quando a Bruxelles arriva uno nuovo, Pierre gli insegna due metodi infallibili per incontrare un funzionario europeo senza appuntamento, cogliendolo di sorpresa. Dopo più di dieci anni trascorsi nella capitale Ue per rappresentare gli interessi di un grande gruppo industriale, questo affabile cinquantenne conosce tutti i trucchi del mestiere.

Il sistema più economico per “imbattersi” in un eurocrate consiste nell’aggirarsi nei dintorni di piazza Schuman, punto nevralgico del quartiere europeo, crocevia tra la sede della Commissione e del Consiglio, e nel farlo intorno all’ora di pranzo, quando tutti sono alla ricerca di un panino o di un ristorante. L’altro sistema, più dispendioso, è acquistare un biglietto di prima classe del treno Thalys che collega la capitale belga e Parigi, e viaggiare a bordo di uno dei treni che consentono di arrivare in orario alla prima riunione del mattino.

Bruxelles è un piccolo mondo e Thalys ne è un concentrato. L’occhio inesperto forse non si accorgerà di nulla. Infatti gli eurocrati non portano al collo uno di quei badge con l’accredito che consente loro di entrare senza problemi al Parlamento europeo, alla Commissione o nella brutta sede del Consiglio. E tuttavia sulla banchina si riconoscono, si lanciano spesso sguardi, si fanno segno da una delle confortevoli poltrone della prima classe. Sono funzionari, parlamentari, avvocati, dirigenti o lobbisti, e in un modo o in un altro partecipano tutti insieme a produrre le direttivi comunitarie.

Tutti coloro che fanno parte dell’élite europea francofona a Bruxelles e a Parigi sono costretti prima o poi a salire su un Tgv che collega le due capitali in un’ora circa. Talvolta vi si incontra José Manuel Barroso, come il 26 novembre 2010, quando il presidente della Commissione europea, di ritorno a Parigi, rimase al telefono per tutto il tragitto. Chino sul tavolino al suo posto, con la mano sul ricevitore del cellulare, il portoghese cercava di definire con discrezione i dettagli del piano di salvataggio dell’Irlanda, in pieno tumulto finanziario. All’altro capo del telefono c’erano Angela Merkel, Nicolas Sarkozy e Jean-Claude Trichet. Se i suoi vicini a bordo del Thalys l’avessero saputo… In ogni caso quei borbottii a bassa voce sfociarono due giorni dopo in un piano definitivo per il bailout d Dublino.

Tutto sta nel comunicare e nel farsi notare

Chiuso per un’ora e venti in uno spazio così ridotto, questo piccolo condensato di persone parla. Spesso per comunicare qualcosa serve poco più di un minuto. Un’occhiata, una frase lasciata scivolare da una poltrona all’altra o su una delle banchine ferroviarie. Tutto sta nel comunicare e nel farsi notare, aspetto importante in un ambiente saturo di informazioni.

Nel decennio scorso una direttiva relativa al settore ferroviario è stata ritoccata dopo un viaggio in Thalys di Jacques Barrot, all’epoca commissario europeo ai trasporti. Barrot si era trovato seduto davanti un lobbista di un grosso gruppo europeo. La discussione era ben presto scivolata sulla famosa legge allo studio, un punto minore della quale poneva problemi a quel gruppo. Per caso o per coincidenza, quel punto spinoso è stato abrogato una volta per tutte dopo una breve chiacchierata sul treno, seguita da un intenso scambio epistolare online.

Certo, per fare gli incontri giusti non si deve sbagliare treno. Alle undici di mattina le possibilità di imbattersi in un pezzo grosso europeo sono alte. Ma in quel momento della giornata è altrettanto possibile ritrovarsi accanto a un evasore fiscale all’estero, erede di una grande famiglia di industriali francesi, che urla al telefono facendosi sentire da tutti a bordo del vagone che “bisogna ricordarsi di tirare fuori tre pernici e il Château Latour per la caccia del fine settimana”. I suoi vicini di poltrona se ne ricorderanno ancora.

No, se si deve dare la caccia all’eurocrate, allora è meglio salire sul Thalys Bruxelles-Parigi il venerdì sera dopo le 17, quando i francesi che fanno parte della Commissione rientrano a casa. In alternativa, va bene anche la domenica sera, ma in senso inverso. L’ideale, in ogni caso, è prendere un treno nei giorni feriali di primo mattino. “Quelli delle 7.13 o delle 7.37 tra Bruxelles e Parigi sono i più frequentati” dice un habitué.

Meglio il sudoku

Vedere riunito in uno spazio così ristretto un concentrato di Bruxelles ha i suoi vantaggi. Tuttavia qualche rischio c’è. Se un bandito di altri tempi desse l’assalto al treno, come avveniva con le diligenze di un tempo, ripartirebbe con le braccia stracariche di tutti i segreti della politica economica del continente. Un avvocato assicura di “tenere sempre prudentemente in grembo le carte”. “Sul Thalys passo il tempo facendo sudoku e le parole crociate. Ho paura di essere spiato se facessi altro”, dice un lobbista. Barroso preferisce prenotare un salottino privato in fondo al convoglio per poter preparare discretamente i suoi appuntamenti parigini. A meno che non si tratti di salvare l’Irlanda, ovviamente.

Le ragioni per preoccuparsi degli sguardi indiscreti non mancano. Alcuni anni fa un funzionario europeo si è messo a lavorare a bordo del Thalys a un grosso dossier sulla concorrenza di cui si occupava la Commissione. Se si fosse voltato avrebbe visto che dietro di lui era seduto un giornalista. Il giorno seguente, quando i suoi capi hanno visto che un’agenzia di stampa anglosassone aveva pubblicato a caratteri cubitali un articolo sugli sforzi di Bruxelles per mettere a punto quel dossier sulla concorrenza, lo sfortunato eurocrate per poco non ha perduto il posto.

Non sono a conoscenza di regolamenti specifici sulla sicurezza dei viaggi in Thalys”, confessa un funzionario europeo. Questa è la prova che l’opzione numero due di Pierre, il lobbista del gruppo industriale, pur essendo più cara porta i suoi frutti: non si è mai visto un eurocrate affamato spifferare qualche segreto mentre mangia di corsa un panino.

 

Fonte: Renaud Honoré – Les Echos

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SEL e il lobbying: “Istituire una Commissione”. Un’altra… http://www.lobbyingitalia.com/2013/07/sel-migliore-lobby-commissione-letta/ http://www.lobbyingitalia.com/2013/07/sel-migliore-lobby-commissione-letta/#comments Thu, 18 Jul 2013 10:24:31 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1702 (Franco Spicciariello) Continua il dibattito sulla regolamentazione dell’attività di lobbying, dopo il fallito (momentaneamente speriamo) tentativo del Governo Letta di intervenire con Disegno di legge, sui cui però non si è trovato un accordo in Consiglio dei Ministri.

L’ultima proposta (?) arriva da sinistra, da SEL, che con un’interrogazione dell’onorevole Gennaro Migliore, chiede al Governo l’approvazione di un disegno di legge che disciplini, per l’appunto, l’attività di lobbying “tenuto conto, come dichiarato dal Presidente del Consiglio dei ministri, delle modalità di regolamentazione del fenomeno da parte delle legislazioni di altri Paesi europei”.

Una discussione tanto più importante – secondo Migliore – se si tiene conto del fatto che, stando all’analisi riportata nel testo, “il finanziamento della politica e la regolamentazione dell’attività di lobbying costituiscono garanzia innanzitutto di indipendenza e democrazia, permettendo che ad accedere alla gestione della cosa pubblica siano tutti i cittadini, a prescindere dalle condizioni reddituali, così come stabilito dalla Costituzione”.

Il tema per SEL, come si ricava dall’interrogazione, ruota intorno principalmente alla questione del finanziamento della politica, sempre caldissimo, anche se Migliore sembra fare confusione tra la necessità di cambiare modello di finanziamento e i controlli stringenti necessari ad evitare l’utilizzo illecito di risorse statali previste per il finanziamento pubblico oggi esistente.

Un possibile cambiamento del sistema che come noto SEL sembra voler scongiurare in ogni modo, puntando il dito sulle fondazioni politiche che, spesso, diventano il fulcro di importanti approfondimenti, progetti e studi finanziati da rilevanti aziende pubbliche e private e da istituzioni finanziarie “nonché alla volontà di chiarire le modalità con le quali le lobby e i gruppi di pressione intervengono sui rappresentanti politici e sulle formazioni partitiche al fine di condizionarne le scelte”. il Parlamento europeo a settembre 2013 approverà un regolamento sul finanziamento dei partiti e delle fondazioni politiche europee, rispetto al quale la I Commissione (Affari costituzionali) della Camera dei deputati, nella XVI legislatura, ha espresso parere favorevole.

In sintesi SEL fa capire di avere poche idee ed abbastanza confuse sul tema. E lo conferma quando richiede che in attesa del completamento dell’iter legislativo delle proposte di revisione normativa, si ipotizzano provvedimenti temporanei a carattere parziale. Un Decreto Legge? Un DPCM? (magari!)

In conclusione, i deputati di Sel impegnano il Governo, nell’attesa dell’approvazione definitiva di nuove norme sul tema del finanziamento delle attività politiche, nonchè in vista della proposta governativa sul tema delle lobby “ad istituire una commissione di studio che approfondisca la materia del finanziamento della politica, del funzionamento e del finanziamento delle fondazioni legate alla politica, nonché dell’attività dei gruppi di pressione, con particolare riguardo a quanto previsto dalla legislazione degli altri Paesi europei, e che presenti una relazione finale al Parlamento entro tre mesi dalla sua istituzione”.

Si vede che SEL conosce poco la tematica, altrimenti si sarebbe ricordata che gli insegnamenti di alcuni vecchi lobbisti dicono che il modo migliore per affossare un provvedimento sia proprio quello di “istituire una commissione di studio”…

 

PS: qualcuno informi l’on. Migliore che solo negli ultimi 12 mesi sono state già due le commissioni speciali che si sono occupate di regolamentazione dell’attività di lobbying. Quella dei Saggi nominata dal presidente Napolitano, e in precedenza una presideuta dal prof. Tommaso Edoardo Frosini che ha elaborato un lavoro approfondito sul tema per conto della Presidenza del Consiglio.

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http://www.lobbyingitalia.com/2013/07/sel-migliore-lobby-commissione-letta/feed/ 1
Sen. Del Barba – Fare lobby http://www.lobbyingitalia.com/2013/07/sen-del-barba-fare-lobby/ Tue, 16 Jul 2013 14:11:31 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1677 L’interessante testimonianza – raccontata su Facebook – di un neo senatore del PD, Mauro Del Barba su come viene condotta l’attività di lobbying su alcuni temi in Senato

Lavorando in Senato ho avuto modo di stupirmi per le modalita’ di fare lobby da parte di alcuni territori o soggetti economici. Non avevo idea di quanto questa attivita’ potesse e dovesse essere perfezionata, almeno rispetto a quanto di mia conoscenza rispetto a pochi mesi fa.

Faccio un esempio nel caso della lobby legislativa.

Qualche settimana fa vengo raggiunto in corridoio da un collega che mi chiede: “sei in commissione bilancio?”.
Alla mia conferma mi informa di essere stato contattato dai rappresentanti di un certo territorio in merito ad un provvedimento di legge che li riguardava. Mi fanno avere le spiegazioni della bonta’ del provvedimento e da quel giorno vengo informato non solo ogni volta che il provvedimento sta per tornare alla mia commissione, ma di ogni passaggio nelle altre commissioni. Tali informazioni sono pubbliche, ma soggette a continui cambiamenti di calendario in base all’andamento dei lavori e dunque difficilmente conoscibili mentre si e’ impegnati nel lavoro d’aula o commissione.

In altre circostanze, vedi provvedimenti su bonus energia, legge europea, etc., le singole lobby hanno mostrato altre modalita’ di lavoro, fino alle audizioni continue in commissione, la presentazione copiosa di emendamenti, lo stazionamento nelle aule e nei corridoi per garantire pronti interventi.

Nel caso degli interventi per le zone terremotate l’azione di lobby si e’ costruita ancora diversamente, con mesi di riunioni preparatorie nelle regioni di provenienza, predisposizione di emendamenti e proposte, attivazione di linee di comunicazione continue tra parlamentari in aula e amministratori a casa, laddove cio’ si rendeva possibile in virtu’ del fatto che molti senatori erano Sindaci fino a pochi mesi fa e conoscevano nel dettaglio ogni singola richiesta, potendola a quel punto gestire telefonicamente.

Insomma, fare lobby e’ di piu’ e differente che il fare rete, l’avere idee e progetti. Richiede l’applicazione tecnica, differenziata caso per caso, per poter penetrare fin dentro ai luoghi di decisione. Non e’ una cosa che si improvvisi, ma e’ una cosa che possiamo fare.

Mi limito a quel poco che in due mesi di lavoro delle commissioni ho potuto vedere, ma non voglio tardare a segnalarlo come una opportunita’ di lavoro su cui per primo offro la mia disponibilita’.

C’e’ sempre modo di migliorare, o no?

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Lezioni d’Europa: Perissich svela i giochi dei lobbisti http://www.lobbyingitalia.com/2013/02/lezioni-deuropa-perissich-svela-i-giochi-dei-lobbisti/ Tue, 19 Feb 2013 14:43:58 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1505 Al via l’edizione 2013 delle ‘Lezioni d’Europa’, iniziativa promossa da presidenza del Consiglio dei Ministri e Parlamento e Commissione europei. ‘La rappresentanza delle imprese in Europa’, questo il titolo della lezione tenuta dal vicepresidente del Consiglio Italia-Usa Riccardo Perissich, centrata sulla figura, a tratti opaca per gran parte dell’opinione pubblica, del lobbista che opera in Italia e in Europa.

Una figura che, ammette Perissich, viene spesso confusa con quella del faccendiere o del corruttore. In realtà, il ruolo del lobbista è quello di rappresentare gli interessi di un comparto industriale, di un’associazione di imprese o del terzo settore, con l’obiettivo di influenzare i decisori istituzionali. E convincere questi ultimi a rendere un tema prioritario nell’agenda delle istituzioni stesse.

Una figura che si rivela spesso decisiva per chi opera nelle amministrazioni, poiché permette di comprendere meglio problematiche e opportunità connesse a una certa tematica. Peccato che, spiega Perissich, ”il lavoro dei lobbisti e l’atteggiamento collettivo nei confronti di questo lavoro cambi da paese a paese, e sia ancora diverso a Bruxelles’‘.

Dove ad avere maggior contatto con i rappresentanti degli interessi delle imprese – e non solo – sono soprattutto Commissione e Parlamento europeo. Da un lato, la Commissione, che dialoga con i lobbisti ”perché le facilitino i compiti”, e privilegia soprattutto ‘‘il dialogo con le associazioni di livello europeo”. Dunque, preferisce avere a che fare non con la Confindustria italiana, o con l’omologia francese, ma con i rappresentanti europei degli industriali. Discorso che, ovviamente, vale per tutte le categorie. Peccato che, nota Perissich, ‘‘tale sistema funziona solo parzialmente: è perfetto se si ha a che fare con settori tradizionalmente oligopolistici, come le industrie farmaceutiche o automobilistiche, perché si assiste a un’effettiva semplificazione degli scambi. Ma non funziona quando si ha a che fare con settori frammentati, come quello delle imprese agroalimentari: in questo caso, infatti, parlare con un lobbista equivale quasi a discutere con un burocrate”.

Nel caso del Parlamento europeo, i lobbisti si stanno avvicinando solo di recente a questa istituzione, che non a caso sta assumendo un peso sempre maggiore. E in questo caso, sottolinea Perissich, ”i primi a avvicinare gli europarlamentari sono stati i rappresentanti del terzo settore, soprattutto le associazioni ambientaliste”.

Di certo, esiste una differenza fra l’Ue e l’Italia per quanto riguarda il fare lobby. Lo fa notare il giornalista e moderatore dell’evento Gianluca Sgueo: ”in Italia le regole del lobbismo ci sono, ma sono poche e sparpagliate nel corpus normativo”. Mentre a Bruxelles la regolamentazione ha ripreso il modello statunitense, in cui le lobby hanno un ruolo molto importante, e si è sviluppata nel segno della trasparenza e dei registri. C’è da dire, comunque, che un primo passo in tal senso è stato fatto anche dal ministero delle Politiche agricole, che di recente ha istituito un registro dei lobbisti ispirato ai modelli Usa e Ue.

Le regole dunque ci sono, e ‘‘stanno diventando sempre più stringenti”. Sopratutto per evitare episodi di corruzione: ”anche a livello europeo si sta inasprendo la regolamentazione circa ciò che i politici possono accettare dai lobbisti e sui rapporti che gli è consentito intrattenere con questi ultimi”. Ma, conclude Perissich, ‘‘la buona regolamentazione non solo non c’è, ma è impossibile: siamo infatti di fronte a un sistema estremamente fluido, in cui molto dipende dall’etica collettiva del paese o del luogo in cui si opera’‘.

Fonte: EurActiv

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Operazione trasparenza sulle lobby http://www.lobbyingitalia.com/2011/06/operazione-trasparenza-sulle-lobby/ Fri, 24 Jun 2011 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2011/06/operazione-trasparenza-sulle-lobby/ Stretta sulle informazioni che dovranno essere fornite da chiunque operi per influenzare le politiche europee Bruxelles: legittimo avere dubbi su chi non si iscriverà. Finora sono registrate circa 350 organizzazioni italiane

Operazione trasparenza sulle lobby di Bruxelles, proprio mentre in Italia è sotto i riflettori la vicenda Bisignani. L’Europarlamento e la Commissione Europea hanno varato ieri un registro per la trasparenza, comune e pubblico, che conterrà informazioni sui soggetti che cercano di influenzare la politica Ue.

Il grado di opacità sarà notevolmente ridotto rispetto al passato. Il nuovo registro subentra a quello istituito dalla Commissione nel 2008, nel quale figuravano già più di 4 mila organizzazioni. I dati verranno gradualmente trasferiti nel registro comune per la trasparenza entro i prossimi 12 mesi. D’ora in poi il registro non si limiterà più a contenere dati riguardanti i lobbisti tradizionali, ma includerà anche studi legali, Ong, think tank e qualunque organizzazione o professionista autonomo che operi per influenzare l’attuazione della politica dell’Ue. «Si tratta di un passo fondamentale verso l’obiettivo di una democrazia più partecipativa», ha spiegato la Commissione.

I soggetti iscritti al registro dovranno fornire più informazioni rispetto al passato, come il numero di dipendenti che esercitano l’attività di lobbying, le principali proposte legislative che hanno sostenuto e gli importi dei finanziamenti dell’Ue ricevuti. Iscrivendosi al registro per la trasparenza, i soggetti in questione si impegneranno inoltre a rispettare un codice di condotta comune che li obbliga, ad esempio, a fornire sempre l’identità della società per cui lavorano e ad astenersi dall’ottenere informazioni in modo scorretto. Sono definiti anche un meccanismo di denuncia e misure da applicare in caso di violazione del codice di condotta. Un possibile punto negativo riguarda la non obbligatorietà dell’iscrizione nel registro. «Tutte le organizzazioni, se non hanno nulla da nascondere figureranno nel registro e metteranno a disposizione del pubblico e delle istituzioni le informazioni sul loro lavoro», ha commentato il vicepresidente della Commissione, Maro efcovic. «Quanto alle organizzazioni che invece non figureranno nel registro, la loro mancanza di trasparenza solleverà dubbi e il fatto di non comparirvi renderà il loro lavoro quotidiano più difficile».

Nonostante le novità introdotte ieri, l’iscrizione nei registri è da tempo una pratica diffusa a Bruxelles, dove «lobbista» è una parola che non ha un significato negativo. Finora sono inclusi negli elenchi circa 350 organizzazioni con sede in Italia. Tra queste Confindustria e Abi. ma anche Altroconsumo o Slow Food. Anche i giganti statali (Eni, Enel, Terna, Ferrovie dello Stato e Finmeccanica) sono registrati con i loro lobbisti. Presenti anche numerose società di Piazza Affari, come Unicredit, Intesa, Mps, Pirelli, Edison, Fiat, Italcementi e Lottomatica.

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Francesco Ninfole – Milano Finanza

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Sempre più lobby a Bruxelles intorno alla Commissione Europea http://www.lobbyingitalia.com/2007/06/sempre-piu-lobby-a-bruxelles-intorno-alla-commissione-europea/ Wed, 27 Jun 2007 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2006/07/sempre-piu-lobby-a-bruxelles-intorno-alla-commissione-europea/ Attualmente più del 50% di tutta la legislazione dei 25 paese membri dell’UE proviene da Bruxelles, e per quanto riguarda il campo ambientale la percentuale sale all’80%.
Si ritiene che vi siano circa 15.000 lobbisti che si dedicano a tempo pieno nell’azione di influenzare le istituzioni europee. Più del 70% di tali “corporati” rappresentano grandi imprese.
Il mondo della lobby industriale a Bruxelles è formato da più di mille gruppi di pressione, centinaia di imprese di relazioni pubbliche, numerosi studi legali di avvocati che offrono servizi di lobby, dozzine di laboratori “di idee” finanziati dall’industria, oltre a centinaia di imprese che possiedono un proprio dipartimento per le tematiche europee [1]. Il fatturato annuale dell’attività di lobby aziendale a Bruxelles raggiunge cifre tra 750 e 1.000 milioni euro [2].
I gruppi di pressione si sono precipitati a Bruxelles, in seguito all’unione, come mosche sul miele. Ma alcuni, in particolar modo la “Tavola Rotonda Europea degli Industriali” (ERT), si sono avvantaggiati e gomito a gomito con la Commissione Europea, hanno svolto un ruolo fondamentale nel disegnare ed accelerare il processo di unificazione [3]. A metà degli anni ’80 e nei primi anni ’90, questo gruppo formato dai capi di 45 delle maggiori imprese europee, ha rappresentato un ruolo chiave nel promuovere l’integrazione dei mercati, nel porre le basi delle riforme neoliberali che hanno tempestato l’Europa negli ultimi anni.

Una perfetta sincronia
A differenza degli Stati membri, a Bruxelles regna una cultura politica che fa in modo che l’attività di lobby sia la forma più comune di fare politica. I procedimenti complessi, la mancanza di un vero dibattito pubblico europeo e la relativa debolezza dei gruppi sociali in scala europea, creano le condizioni ideali del successo del “fare lobby” industriale. In tale contesto, non è un caso che i corsi sull’azione di lobby siano un settore in espansione. Un esempio abbastanza indicativo è rappresentato dal corso intensivo di una sera organizzato dal gigante delle relazioni pubbliche Burson-Marsteller e dal settimanale più letto della città, “European Voice”, celebrato nel luglio del 2004 [4].
“Ho bisogno di lobbisti, dipendo dai lobbisti”, diceva un eurodeputato (del Regno Unito) alle più di 100 persone che andavano spingendosi e comprimendosi in una stanza del Marriot Hotel, dopo aver pagato 300 euro cadauna. Gli eurodeputati sono schiacciati dalla quantità di temi sui quali devono decidere fino al minimo dettaglio, sviluppando spesso una dipendenza cronica dai lobbisti. Egli spiegava di non volere commenti generali, bensì correzioni di un testo da poter così presentare direttamente nei “comitati” o nelle sessioni plenarie del Parlamento affinché possano essere votati.
Disgraziatamente è un procedimento di routine, che ha come risultato che molti degli emendamenti redatti da parte dei rappresentanti dell’industria (ed occasionalmente dei gruppi della società civile) si convertano in legge. Gli eurodeputati corrono il rischio di convertirsi in meri intermediari che trasferiscono le richieste dell’industria alla macchina del processo decisionale. Molti di essi, dopo un periodo in cui esercitano la propria carica, passano al mondo della lobby aziendale. Un esempio è dato dai britannici Nick Clegg (liberale democratico) e David Bowe (laburista) che si sono uniti alla squadra di lobby del gruppo GPlus Europe, dopo aver lasciato il Parlamento Europeo nel 2004.
In seguito, al termine della loro carica, anche molti Commissari sono tornati a Bruxelles come corporati dell’industria. Un buon esempio è Leon Brittan, ex Commissario del commercio (1994-1999), che preparò la posizione dell’Unione nelle negoziazioni sui servizi del WTO (AGCS o GATS). Dal 2000 Brittan si è dedicato a premere sui suoi successori, Pascal Lamy e Peter Mandelson, in qualità di Presidente del Comitè LOTIS, un gruppo di pressione che rappresenta l’industria britannica dei servizi finanziari.
Più a destra
L’attività di lobby a Washington D.C. è famosa per i suoi modi aggressivi, in contrasto con il tono più conciliatorio di Bruxelles. Ma la differenza si va sempre più riducendo. Uno dei partecipanti al corso sulla lobby, svoltosi nel Marriot, era Chrissie Kimmons, che dirige uno delle centinaia di consultori sulle tematiche europee che vi sono a Bruxelles. Kimmons, che prima era lobbista per conto della GlaxoSmithKline, mostrava le principali strategie di lobby per le imprese a Bruxelles. Consigliava di iniziare “con un Kofi Annan”, combinato con un “terzo”. Nel suo gergo, fare un “Kofi Annan” vuol dire relazionarsi con i legislatori per ottenere un compromesso ed evitare così un risultato peggiore, mentre un “terzo” significa stringere un accordo con ONG e sindacati. Queste due strategie sono state usate notevolmente dalla lobby impresaria negli ultimi venti anni ma ultimamente si vanno imponendo tattiche più aggressive, come il “dentista” (togliere per prima il peggior dente – la parte che meno piace di una proposta – ed una volta eliminato dedicarsi al resto) o “l’elicottero da combattimento” (minacce – per esempio di ricollocamento – se non ritirano la proposta).
La posizione della padronale europea UNICE (Union of Industrial and Employers’ Confederations of Europe, ndt) costituisce un buon esempio di quello spostamento verso tattiche più ostili. L’UNICE chiede una moratoria di tutte le iniziative sociali fino a che si compia l’obbiettivo della “Agenda di Lisbona” (il blocco economico più competitivo del mondo). L’arrivo di Barroso alla Presidenza della Commissione nell’ottobre del 2004 ha fatto in modo che il discorso aziendale più duro si sia tolto la maschera della retorica sociale ed ambientale. Barroso ha annunciato chiaramente che gli obbiettivi di competitività dell’Agenda di Lisbona avrebbero goduto della priorità assoluta durante il suo mandato.
Le lamentele dell’industria sulle conseguenze della propria competitività impoveriscono, una dopo l’altra, le iniziative per proteggere la salute o l’ambiente. Un triste esempio è REACH (Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals, ndt), sistema proposto per registrare e testare sostanze chimiche. La proposta dell’Unione per migliorare la disastrosa normativa esistente sulle sostanze chimiche ha dato luogo alla più grande campagna di lobby industriale che si sia mai avuta in Europa fino ad oggi [5]. La campagna è stata condotta dal CEFIC, l’associazione europea dell’industria chimica, ed ha contato sull’appoggio deciso dell’industria chimica statunitense e dell’amministrazione Bush. Come risultato di tale campagna, nella quale si sono sprecati allarmismo, studi di impatto pieni di falsità e tattiche per ritardare il processo, REACH è andata perdendo impeto fino a diventare un’ombra della proposta originale.

Norme per l’attività di lobby?
Malgrado l’aumento spettacolare del numero di lobbisti e della crescente influenza politica delle grandi imprese, esistono poche norme che regolano la lobby alle istituzioni europee. Nel registro del Parlamento Europeo compaiono più di 5.000 lobbisti accreditati con pass, ma tale lista include solo il nome e l’organizzazione, non per chi lavorano, né in che campo, né con quale budget. Per quanto riguarda la Commissione Europea, è risultata abbastanza ostile alle proposte di regolamento del lobbing. Negli ultimi anni non solo è aumentato il numero di lobbisti, ma sono anche aumentate le richieste affinché si ponga un limite alla sua influenza.
Il grande scetticismo verso le istituzioni europee che impera tra la popolazione, spinge la Commissione a manovrare in cerca di legittimità. Nel marzo 2005 il vicepresidente della Commissione e Commissario per le tematiche amministrative, auditorio e lotta contro la frode, Sim Kallas, annunciò la messa in moto della Iniziativa Europea di Trasparenza (European Transparency Iniziative, ETI) [6]. In un discorso che colse molti di sorpresa, Kallas evidenziò l’influenza degli oltre 15.000 lobbisti a Bruxelles e lamentò “l’assoluta mancanza di norme sui rapporti ed i registri delle operazioni di lobby nell’UE…”. Per la prima volta si apriva una porta nella Commissione alla possibilità di rendere obbligatoria l’informazione sulle attività di pressione.
Ma l’opposizione è e sarà feroce. Tra gli oppositori si mettono in luce l’Associazione dei Professionisti di Tematiche Europee (Society of European Affair Professionals, SEAP), la cui ragion d’essere è stata, a partire dalla sua creazione nel 1997, prevenire qualsiasi tipo di regolazione vincolante sulla lobby, ed EPACA, la “European Public Affairs Consultancies Association”, creata nel gennaio del 2005 [7]. Oltre a questi gruppi più specializzati, neanche le lobby impresarie sono molto contente della proposta. Diversamente nella società civile sono numerosi i difensori. Nel luglio del 2005 si è formata l’Alleanza per la Regolazione sulla Trasparenza ed Etica della lobby (Alliance for Lobbying Transparency and Ethics Regulation, ALTER-EU), una coalizione di movimenti sociali, sindacati ed accademici per combattere per una ETI forte. Oltre a norme vincolanti per la trasparenza delle lobbies, ALTER-EU reclama anche un miglioramento del codice di condotta per i Commissari europei (che limiti la continua ricerca dei candidati nel mondo industriale) e la fine dell’acceso privilegiato a legislatori ed alte cariche delle quali usufruiscono i lobbysti dell’industria [8].
A partire dal primo discorso di Kallas, ed in seguito ad una feroce opposizione dell’industria e di gran parte della Commissione, sembra che i responsabili dell’ETI si siano allontanati dalla possibilità di norme vincolanti, esprimendo preferenza per codici volontari ed altre bellezze simili. Gli interessi impresari hanno scommesso, in gran parte, sulla volontarietà, quel filone che così tanti buoni risultati sta dando loro in altri campi. Sempre più frequentemente, invece di opporsi frontalmente agli obbiettivi sociali o ecologici che perseguono una regolazione potenziale, le imprese si dichiarano portavoce degli stessi, ma con la condizione che non vengano imposti obblighi e che si permetta loro di avere le mani libere. Il fatto che i codici di condotta e gli altri strumenti volontari si siano dimostrati, in modo crescente, assolutamente inefficaci, non sembra un ostacolo affinché la Commissione elimini una dopo l’altra la possibilità di norme vincolanti (uno degli esempi più recenti è quello relativo alla Responsabilità Sociale delle Imprese –CSR). Nel caso della ETI il risultato finale non è stato ancora deciso, ma è possibile che nasca un qualcosa così tanto “decaffeinato” che non permetta uno scrutinio efficace dell’influenza della lobby, e che, malgrado ciò, cercherebbe tentativi di legittimazione, facendo quindi più male che bene.
Delle buone norme potrebbero permetterci di accedere con una certa facilità ai loro dati che solo adesso è possibile osservare ma con sforzo. Nel renderli pubblici, la scandalosa grandezza delle risorse investite per gli interessi aziendali e le disastrose conseguenze sociali della loro influenza, possono far sì che si alimenti un gran rifiuto popolare, più di quanto abbiano fatto molte campagne fino ad oggi. Certamente tali norme non significherebbero la fine del potere delle imprese a Bruxelles, ma rappresentano un passo necessario, e da qui l’importanza di lottare per queste. Esponendolo alla luce del sole, aiuterà anche a porre termine alla simbiosi tra attori politici ed economici. E potrebbe portare la società a smettere di sacrificare il progresso sociale ed ecologico sugli altari della “competitività internazionale”, ed a esigere un controllo veramente democratico dell’economia.
NOTE:
[1] CORPORATE EUROPE OBSERVATORY (Julio 2005): Lobby Planet Guide, Brussels, the EU Quarter.
[2] EUROPEAN VOICE: “A spoonful of sugar makes the message go down”, Vol. 11 No. 33: 22 septiembre 2005.
[3] BALANYÁ, Belén; DOHERTY, Ann; HOEDEMAN, Olivier; MA’ANIT, Adam Y WESSELIUS, Erik (2002): Europa, S.A., Barcelona, Icaria Editorial, Colección Antrazyt.
[4] EUROPEAN VOICE Y BURSON-MARSTELLER: “Lobbying: developing the strategy – delivering the results”, 15 de julio de 2004.
[5] CORPORATE EUROPE OBSERVATORY (Marzo 2005): “Bulldozing REACH – the industry offensive to crush EU chemicals regulation”.
[6] KALLAS, Sim (3 de marzo de 2005): “ The need for a European transparency initiative”, European Foundation for Management, Nottingham Business School, Nottingham.
[7] Evoluzione del “Gruppo del Codice di Condotta”.
[8] ALTER-EU (19 de Julio de 2005): “Ending corporate privileges and secrecy around lobbying in the European Union”. Per altre informazioni riguardo il dibattito sulla regolazione delle
lobby nell’UE

Belèn Balanyà (Corporate Europe Observatory) – Pueblos

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