commissione ue – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Wed, 18 May 2016 18:10:09 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Commissione UE, verso una riforma del Registro per la Trasparenza http://www.lobbyingitalia.com/2016/03/commissione-ue-registro-trasparenza/ Tue, 01 Mar 2016 16:38:21 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3174

Nuova consultazione della Commissione sul Registro per la Trasparenza delle lobby. La domanda principale è: sarebbe opportuno renderlo obbligatorio per tutte le istituzioni dell’UE?

Il 1º marzo la Commissione avvierà una consultazione pubblica di 12 settimane per raccogliere contributi sull’attuale regime di registrazione per i rappresentanti di interessi che cercano di influenzare il lavoro delle istituzioni dell’UE e sulla sua evoluzione verso un registro obbligatorio dei lobbisti esteso al Parlamento europeo, al Consiglio dell’Unione europea e alla Commissione.

Il primo Vicepresidente della Commissione Frans Timmermans ha dichiarato: “L’attuale Commissione sta modificando il nostro modo di lavorare, che evolve verso un maggior coinvolgimento dei soggetti interessati e una maggiore trasparenza a proposito di chi incontriamo e perché. Dobbiamo andare ancora oltre e stabilire un registro obbligatorio, valido per tutte e tre le istituzioni, che garantisca la piena trasparenza sui lobbisti che cercano di influenzare l’elaborazione delle politiche dell’UE. Per riuscire a mettere in pratica correttamente questa proposta ci auguriamo di ricevere il maggior numero di contributi possibile da cittadini e soggetti interessati di tutta Europa sul funzionamento dell’attuale sistema e sulla sua evoluzione. Un’Unione europea più trasparente e responsabile è un’Unione in grado di fornire risultati migliori ai cittadini.

La Commissione ha elaborato una consultazione in due parti che consentirà di raccogliere le opinioni di un’ampia gamma di soggetti interessati, della società civile e dei cittadini. La prima fase della consultazione, che non richiede una conoscenza approfondita dell’attuale registro per la trasparenza, consente ai non esperti di rispondere a domande sui principi e sull’ambito di applicazione; la seconda sezione intende invece raccogliere pareri sul funzionamento pratico dell’attuale sistema da parte di coloro che lo utilizzano. I documenti della consultazione sono disponibili in tutte le lingue dell’UE per consentire un ampio feedback. La consultazione terminerà martedì 24 maggio.

Il nuovo sistema, che la Commissione intende presentare come proposta di accordo interistituzionale, costituirebbe un’evoluzione rispetto al registro attuale, gestito congiuntamente dal Parlamento europeo e dalla Commissione ma non obbligatorio e non esteso al Consiglio. Le riforme interne alla Commissione hanno già determinato un netto aumento delle iscrizioni al registro per la trasparenza: al 1º marzo nel registro figurano 9.286 iscritti rispetto ai 7.020 del 31 ottobre 2014, prima cioè dell’entrata in funzione della Commissione e delle sue riforme. La Commissione ritiene che lavorare insieme ai colegislatori del Parlamento europeo e del Consiglio sia determinante per consentire ai cittadini di avere una visione d’insieme su quali rappresentanti di interessi cercano di influenzare il processo legislativo. La consultazione pubblica servirà da base per la proposta che la Commissione presenterà nel corso dell’anno.

Contesto

La Commissione ha già intrapreso importanti riforme della propria organizzazione interna per promuovere una maggiore trasparenza. In base ai metodi di lavoro della Commissione Juncker, i commissari non possono più riunirsi con organizzazioni che non figurano nel registro per la trasparenza. In linea con l’iniziativa per la trasparenza, introdotta nel novembre 2014, tutte le riunioni tra rappresentanti di interessi e commissari, membri dei gabinetti e direttori generali della Commissione devono essere rese pubbliche entro due settimane dal loro svolgimento.

Nel suo primo anno di attività la Commissione ha pubblicato informazioni su oltre 6.000 riunioni (delle quali circa 5.500 con commissari e membri dei gabinetti e 600 con direttori generali). L’introduzione di questo nuovo sistema ha di fatto reso l’iscrizione nel registro per la trasparenza un requisito obbligatorio per qualsiasi soggetto intenzionato a incontrare i più alti responsabili politici e funzionari dell’UE.

L’impegno della Commissione di presentare la proposta di un registro per la trasparenza obbligatorio esteso a tutte le istituzioni europee figura anche negli orientamenti politici del presidente Juncker e nel programma di lavoro 2016 della Commissione. La Commissione ritiene che i cittadini abbiano il diritto di sapere chi cerca di influenzare il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione nel processo legislativo.

Le modifiche previste per il registro per la trasparenza sono parte di un più ampio progetto di riforma del modo di elaborare le politiche nell’UE. Nella sua agenda “Legiferare meglio, presentata nel maggio 2015, la Commissione si è assunta l’impegno di aprire ulteriormente il processo di elaborazione delle politiche al controllo e al contributo dei cittadini. Sono già stati istituiti nuovi meccanismi di feedback che consentono ai soggetti interessati di manifestare alla Commissione il loro punto di vista fin dall’inizio dell’elaborazione di un’iniziativa, sulla base di tabelle di marcia e valutazioni d’impatto iniziali, e in seguito all’adozione di una proposta da parte della Commissione, in modo da contribuire al processo legislativo in seno al Parlamento e al Consiglio.

Altri strumenti che consentono ai soggetti interessati di presentare osservazioni sulla legislazione esistente sono previsti nel quadro del programma REFIT. Il sito web “Ridurre la burocrazia — dite la vostra!” è già operativo e consente ai cittadini di fornire un feedback su norme dell’UE esistenti. I contributi ricevuti vanno ad alimentare l’operato della piattaforma REFIT, che offre consulenza alla Commissione sugli ambiti legislativi che andrebbero riesaminati per rendere la legislazione dell’UE più efficace ed efficiente.

Nel novembre 2014 la Commissione ha infine adottato una comunicazione che delinea una maggiore trasparenza nei negoziati per il partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP). La Commissione ritiene fondamentale garantire che l’opinione pubblica abbia accesso a informazioni accurate ed esaurienti sulle intenzioni dell’UE nell’ambito dei negoziati.

La consultazione pubblica sarà aperta fino all’1 giugno 2016 al seguente link.

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Trasparenza, i lobbisti pronti all’assedio dell’Europarlamento (Il Fatto QUotidiano) http://www.lobbyingitalia.com/2014/05/trasparenza-i-lobbisti-pronti-allassedio-delleuroparlamento-il-fatto-quotidiano/ Thu, 22 May 2014 14:44:11 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2365 (Andrea Valdambrini) Banche e finanza, grandi aziende farmaceutiche, colossi dell’industria alimentare o del tabacco, ma anche giganti della tecnologia e del web come Google, Yahoo o Apple. Sono circa 3.000 le cosiddette lobby – o forse sarebbe più chiaro chiamarle ‘gruppi di interesse’ – che fanno pressione sull’Europa e sulle sue strutture legislative, Parlamento per primo, che regolano la vita di mezzo miliardo di consumatori nel Vecchio Continente. Attraverso la presenza di un esercito di lobbisti, stimati in circa 30.000 dal Corporate Europe Observatory, le lobby provano a modificare l’iter di una legge, soprattutto nel passaggio decisivo, quello attraverso le commissioni parlamentari di Bruxelles. E ci riescono, a quanto sembra, in circa il 75% dei casi. Ufficialmente questi gruppi di interessi agiscono presentando dossier agli eurodeputati, organizzando convegni informativi, cene, aperitivi. I regali che un tempo venivano fatti ai parlamentari sono stati vietati già da un po’ dopo una serie di scandali. Esiste il cosiddetto “registro della trasparenza”, attraverso cui l’attività dei gruppi di interesse dovrebbe venire alla luce. Ma perché l’iscrizione al registro è solo facoltativa?

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È ciò che si chiedono a Transparency International ong che si batte per una maggiore chiarezza del rapporto tra politica e affari. “Il Parlamento non è riuscito a convincere le altre istituzioni europee dell’obbligatorietà del registro. Per questo noi cittadini non possiamo mai sapere quando un eurodeputato ha un incontro con i lobbisti, o quali input riceve da parte sua”, spiega Ronny Patz dell’ufficio di Transparency a Bruxelles.

Da parte nostra abbiamo invece chiesto l’introduzione di un’‘impronta’ che possa tracciare il percorso” che va dal lobbista al legislatore. I gruppi di interesse, continua Ronny, esistono in tutto il mondo, e fare lobby non è un male di per sé. Ammesso però che si tratti di un’attività svolta in modo etico e il più possibile controllabile. Per questo servono regole: “Le nostre ricerche mostrano come rimangono significativi i rischi di corruzione. La causa risiede nella mancanza di regole precise riguardo alle lobby come anche in un’assenza di supervisione dei conflitti di interesse dei parlamentari. Insomma, il malaffare è presente nei singoli parlamenti nazionali come in quello europeo”, non si scappa. Tra l’altro Strasburgo è diventata tanto più bersaglio dei gruppi di interesse quanto più, durante gli anni, ha accresciuto il proprio potere. E come ha detto Heter Grabbe di Open Society – la fondazione di Soros – c’è il rischio che l’europarlamento assomigli maledettamente da vicino a una congrega di lobbisti.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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Revolving door: il problema del ‘cooling off’. Parte 1/2 http://www.lobbyingitalia.com/2014/01/revolving-door-il-problema-del-cooling-off-parte-12/ Sun, 12 Jan 2014 10:53:43 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2070 Ronald Pofalla, 54 anni, ormai ex Capo di Gabinetto del governo Merkel, inaspettatamente declassato dalla Cancelliera a semplice deputato. Ora si capisce il perché: Mr. Pofalla, per un cospicuo cachet, entrerà nel cda di Deutsche Bahan, la società della rete ferroviaria tedesca, in parte proprietà dello Stato. Il braccio destro della Merkel ha precisato inoltre che non è intenzionato a rinunciare alla carica di deputato del Cdu. A seguire il suo esempio sarà anche uno dei suoi vice, il sottosegretario Klaeden, che lascia il suo posto per diventare capo dell’ufficio lobby della compagnia automobilistica Daimler.

Timo Large, portavoce di LobbyControl, società impegnata per la regolamentazione del lobbying, in relazione ai fatti, ha ovviamente sollevato il problema del cooling off, quel periodo di inattività che i decisori pubblici dovrebbero rispettare prima di passare al settore privato e del lobbying.

Ma i casi sono molteplici, sempre in Germania, ad esempio, quando il socialdemocratico Gerard Schroder, perse le elezioni del 2005 contro la Merkel, non aspetto più di due settimane prima di diventare presidente del cda della Gazprom, azionista di maggioranza per la costruzione di North Stream, il progetto del gasdotto che, attraverso il Baltico, fa arrivare il gas direttamente dalla Russia in Germania.

Se ci volessimo spostare a livello europeo, come non citare il recente caso Thimann, che in questi giorni, da consigliere di Mario Draghi, presso la BCE, ha assunto il ruolo di capo dell’ufficio strategico e delle relazioni istituzionali per AXA, la grande compagnia assicurativa.

Le revolving door

E’ definita così:

il continuo movimento di individui fra attività politica (ad esempio come legislatori), attività come funzionari in enti di regolamentazione, attività economica nelle industrie coinvolte e lobbying per le stesse industrie. In alcuni casi, lo stesso individuo svolge più di un ruolo contemporaneamente. Molti politologi sostengono che questa pratica può causare lo sviluppo di rapporti tra settore privato e governo basati sul clientelismo (vedasi capitalismo clientelare) o sul conflitto di interessi. Tali rapporti indebiti vanno a discapito dell’interesse generale; inoltre, possono causare una generale soggezione dei supervisori alle industrie regolamentate, detta regulatory capture (vedy OpenSecrets.org).

La revolving door è una delle condizioni più favorevole con cui i lobbisti possono influenzare i decisori pubblici ed in particolare l’agenda politica europea.

La mancanza di una regolamentazione adeguata ha portato, nel 2012, alla vicenda di Gayale Kimberley che adesso è sottoposta al RevolvingDoorWatch. Infatti, Kimberley, avvocato per il Consiglio europeo, durante un anno sabbatico, si è impegnata nell’attività lobbistica con la Swedish Match, restando coinvolta in uno scandalo tra la società di tabacco e il Commissario europeo della sanità Dalli. Vincenzo Salvatore invece, prima di lavorare per Sidley Austin LLP come consulente sulle procedure europee che regolano l’industria farmaceutica, era capo dell’ufficio legale dell’Agenzia europea per i medicinali. Come Salvatore, anche Thomas Lonngren dall’EMA è passato alla Pharma Executive Consulting Ltd. Derek Taylor da direttore generale per energia e trasporti nella Commissione europea è andato a lavorare, sempre in campo energetico, per la società di lobbying Burson-Masteller.

In Canada e Gran Bretagna è previsto l’obbligo di far trascorrere un periodo di cooling off dai 2 ai 5 anni prima di passare dal settore pubblico a quello privato. Nonostante ciò, nel dicembre scorso, il capo della Canadian Security Intelligence Service, Chuck Strahl si è registrato con la sua società  (Chuck Strahl Consulting)  come lobbista provinciale. Tutto ciò perché l’agenda di governo prevedeva la Joint Review Panel del National Energy Board del progetto Enbridge Northern Gateway Pipeline, dove la società energetica di Engridge risulta essere cliente della C. Strahl Consulting.

Negli Stati Uniti, appena Obama salì alla presidenza, firmò due executive orders per limitare ulteriormente il fenomeno del revolving door rispetto a quanto stabilito dall’Honest Leadership and Open Governament Act del 2007: cooling off di un anno per i membri della Camera e di due per quelli del Senato, di otto anni per i capi di S.E.C. e F.D.I.C..

Da quest’anno 250 ex dipendenti del Congresso americano, possono intraprendere legalmente l’attività lobbistica. Il problema è che già collaboravano con le società di K Street. Questo perché non vi è l’obbligo di registrarsi come lobbisti se la propria consulenza non supera il 20 per cento di tempo lavorativo per ogni singolo cliente. Questo consentiva loro di fare lobbying e contemporaneamente avere i privilegi del passeggiare tranquillamente nei corridoi del Congresso. Così, Cliff Stearn, dalla Commissione per l’Energia e il Commercio si è messo a fare consulenza privata nel settore delle telecomunicazioni e tecnologia; Norm Dicks, membro della commissione Stanziamenti, figura addirittura come consulente anziano della Van Ness Feldman, e ci sono tanti altri esempi come loro.

E in Italia?

(segue)

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Il senso di Philip Morris per il lobbying a Bruxelles http://www.lobbyingitalia.com/2013/10/il-senso-di-philip-morris-per-il-lobbying-a-bruxelles/ Sun, 06 Oct 2013 21:28:47 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1754 Alcuni documenti della Philip Morris International (PMI) sono filtrati e giunti sino agli occhi di alcune ONG, che hanno deciso di rendere pubbliche strategie, cifre e impegno a livello di lobbying da parte della multinazionale del  tbacco in riferimento alla TPD 2, la revisione della cd Direttiva Tabacco attualmente in corso a Bruxelles.

La campagna ha avuto come obiettivo i membri del Parlamento UE, influenti membri della Commissione UE e anche i singoli governi del Consiglio Europeo.

La strategia di lobbying

Obiettivo Commissione

Per il primo semestre 2010, la stratgeia generale della campagna di lobbying di Philip Morris International era “Push” (ad esempio attraverso la presentazione di emendamenti), “Delay” (rinviare) la Direttiva, o anche “block” le proposte in arrivo dalla Direzione Generale salute, la DG Sanco, che ha incario la proposta di revisione.

A questo fine, PMI ha impiegato una strategia a due vie, politica e tecnica, assicurandosi di ottenere quanti più pareri negativi da parte di altre DG della Commissione, affiancati dalle posizioni e dall’impegno di altri Commissari UE “business-friendly” contro una legislazione etichettata come “eccessiva”.

PMI ha identificato alcuni messaggi chiave nella propria campagna, specialmente in relazione alla Inter-Service Consultation tra le varie direzioni, sollevando la necessità di “break” nel “silo” della Commissione UE. I principali messaggi lobbistici usati PMI erano relativi all’assenza di basi legali, evidenze scientifiche, logica e analisi di mercato.

Come già accaduto nella lotta contro le proposte sui punti vendita, il gigante del tabacco ha anche messo in evidenza il problema del contrabbando, e ciò nonostante il suo noto ruolo proprio in relazione ad un tema così scottante

La compagnia ha poi fatto in modo di avere Commissari o i loro consiglieri senior pronti a esprimersi con opinioni negative, coinvolgendo anche soggetti influenti ad alto livello per ingaggiare gli stessi Commissari.

Il ruolo delle terze parti

Le società del mondo del tabacco – ma non solo – hanno alle spalle una lunga esperienza nell’uso delle “third parties” nelle loro attività di lobbying, usando appunto organizzazioni terze o persone per influenzare il dibattito per conto dell’industria.

La strategia anti-TPD di PMI non ha fatto eccezione. I documenti rivelano come la campagna sui media social e tradizionali sia stata proprio guidata da terze parti.

Tra queste i “tobacco growers” (i coltivatori), i negozianti e le piccole e medie imprese coinvolte nella distribuzione, organizzazioni di rappresentanza, fornitori, organizzazioni per la difesa della proprietà intellettuale e persino associazioni di consumatori.

E come l’industria ha utilizzato i retailers su temi come punti vendita e Plain Packaging nel Regno Unito, gli stessi sono stati centrali nella campagna lobbistica di PMI sulla TPD. E’ infatti molto più persuasivo per i giornalisti sentire parlare il modno delle piccole e medie impresa di perdita di posti di lavoro che confrontarsi direttamente con Big Tobacco.

PMI ha evidenziato come i retailers avrebbero dovuto fare lobby su altre parti della Commissione “promuovendo eventi per guadagnare visibilità” per la campagna. E si parla sia di retailers con base a Bruxelles che quelli associati all’interno dei vari paesi membri.

Altri soggetti con ruolo chiave nella campagna sono stati i coltivatori e i trasformatori. PMI ha organizzato dei meeting tra le organizzazioni dei coltivatori, come ad esempio UNITAB, la European Association of  Tobacco Growers, Fetratab, e la European Federation of Tobacco Processors, con alcuni importanti funzionari della Commissione, incluso un incontro col Gabinetto del presidente della Commissione Manuel Barroso.

“Attivare” i parlamentari UE

La strategia di PMI sul Parlamento include proprio l’uso dei negozianti per “attivare i parlamentari”.

Ma molta dell’attività di lobbying è stata portata avanti direttamente da PMI o da suoi consulenti. Fino a metà 2012, quasi un terzo dei parlamentari UE (233 per la precisione) avevano avuto contatti con PMI. Da allora alcuni membri del Parlamento hanno incontrato in maniera regolare PMI fino a quattro o cinque volte. Il documento di PMI mostra come quasi la metà del PPE e e dei gruppi di centro-destra abbia incontrato la multinazionale del tabacco. 

“Spaccare ENVI”

Al Parlamento UE la società ha focalizzato i suoi sforzi su due commissioni influenti: ENVI e IMCO. L’ENVI committee – abbreviazione per Environment, Public Health and Food Safety – aveva il compito di sovrintendere la TPD lungo il suo iter parlamentare. PMI ha quindi messo un piedi una strategia per fare in modo di toglere all’ENVI il pieno controllo sul dossier.

Al riguardo è partita un’attività di lobbying nei confronti dei vari capi delle delgazioni nazionali e sui “pesi massimi” di ogni gruppo politico, cercando di trovare un accordo politico attraverso il supporto di contatti politici ai massimi livelli.

Il Consiglio Europeo

PMI ha poi fatto lobbying sul Consiglio per creare una maggioranza di blocco contro qualsiasi misura a protezione della salute pubblica considerata estrema. 

“Neutralizzare” la Germania

Una di queste misure è il divieto di utilizzo previsto dalla TPD di alcunia aromi, incluso il mentolo. Obiettivo di PMI era di escludere il mentolo dalla TPD, e per riuscirci ha cercato di coinvolgere i vari Stati membri din cui il mentolo è maggiormente diffuso per fare in modo che si opponessero al divieto. Per riuscirci voleva però neutralizzare alcuni paesi guida sul dibattito sul mentolo, quali ad es. la Germania.

Preoccupazioni

La campagna multimilionaria messa in piedi da PMI attraverso l’uso di una iriade di soggetti e organizzazioni a supporto delle sue attività per minare la TPD solleva tutta una serie di questioni:

Violazione dell’aricolo 5.3 della FCTC

Il fatto che PMI abbia avuto un così vasto accesso alla Commissione e a centinaia di parlamentari apre la questione del rispetto della Framework Convention on Tobacco Control.

L’articolo 5.3 della Convenzione richiede ai paesi firmatari di proteggere le proprie campagne sanitarie “da interessi commerciali” dell’industria del tabacco. Ma a seguito della pubblicazione di altri documenti PMI da parte dell’Observer, il capo dell’OMS ha accusato PMI – nel corso di una conferenza in India – di cercare di “sabotare” le misure di salute pubblica. 

PMI e la (poca) trasparenza

PMI ha sottoscritto la Transparency Initiative, e registra quanti lobbisti impiega e quanti soldi spende a Bruxelles. Ma i documenti giunti a TobaccoTactics.org rivelano come PMI abbia usato un notevole numero di lobbisti e consulenti. Una tabella parla di ben 161 persone coinvolte sulla TPD. Sempre per il primo semestre 2012, i documenti parlano di € 1.25 milioni spesi per consulenze e spese per combattere la proposta.

Il problema però è che PMI dichiara solo 9 lobbisti sul Transparency Register, e per tutto il 2012 la società ha stimato le sue spese in lobbying tra €1 milione e €1.25 milioni. Che considerando quest’ultima essere stata la spesa per un semestre e per una sola campagna, evidente è la distonia.

Ma dov’è il problema?

Una premessa: a PMI fanno semplicemente il proprio lavoro, in maniera presumibilmente, e per difendere un business legittimo e molte migliaia di posti di lavoro da una direttiva che da più parti appare assolutamente inadeguata per l’obiettivo di ridurre il numero di fumatori in Europa.

Certamente qualche problema di trasparenza risulta, ma il problema in realtà deriva proprio dalla natura volontaria e limitata del registro della trasparenza UE, incapace di dare un quadro reale dell’attività di lobbying a Bruxelles. Saremmo infatti curiosi di conoscere anche tutte le attività, il numero di persone impiegate e i soldi spesi dalle stesse in attività lobbistiche in favore della TPD e di contrasto alle multinazionali. E magari aiuterebbe sapere anche da dove arrivano i loro finanziamenti. Ma non è dato.

In ogni caso martedì 8 ottobre si capirà se il lavoro di PMI (e di altre società) sulla TPD oltre che ben pianificato riuscirà anche ad ottenere risultati.

 

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Il paradigma del lobbying nell’UE cambia con il trattato di Lisbona http://www.lobbyingitalia.com/2013/07/il-paradigma-del-lobbying-nellue-cambia-con-il-trattato-di-lisbona/ Tue, 02 Jul 2013 11:22:14 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1593 Con il trattato di Lisbona sono cambiate definitivamente le condizioni generali per una comunicazione efficace tra economia e politica: le strutture del processo decisionale europeo all’interno dell’Unione europea e dei suoi Stati membri sono diventate sempre più impenetrabili anche per le grandi imprese internazionali. All’atto pratico le imprese non mancano di competenze di contenuto, quindi di buoni argomenti per far valere quanto sta loro a cuore. Sussiste piuttosto una domanda crescente di una competenza di processo, vale a dire della conoscenza completa dei processi decisionali formali e informali e dell’effettiva possibilità di prenderne parte.

Con il trattato di Lisbona sono cambiate definitivamente le condizioni generali per una comunicazione efficace tra economia e politica: le strutture del processo decisionale europeo all’interno dell’Unione europea e dei suoi Stati membri sono diventate sempre più impenetrabili anche per le grandi imprese internazionali. All’atto pratico le imprese non mancano di competenze di contenuto, quindi di buoni argomenti per far valere quanto sta loro a cuore. Sussiste piuttosto una domanda crescente di una competenza di processo, vale a dire della conoscenza completa dei processi decisionali formali e informali e dell’effettiva possibilità di prenderne parte.

A tal proposito il Dr. Klemens Joos, amministratore di EUTOP International GmbH, osserva: “Il trattato di Lisbona impone, in special modo, un cambiamento di paradigma per quanto concerne la rappresentanza delle parti interessate: sono necessari contenuti e argomenti. Tuttavia è sufficiente limitarsi a darne comunicazione ai legittimi destinatari al momento opportuno e nel luogo opportuno, comunicazione che, alla luce della crescente complessità della procedura e delle diverse fasi decisionali a livello europeo e degli Stati membri, costituirà sempre più una sfida. Ne consegue che, per una comunicazione politica efficace, la competenza di processo è importante almeno quanto la competenza di contenuto. Senza la competenza di processo la rappresentanza delle parti interessate sul piano politico si rivelerà un fallimento”.

Ciò è quanto emerge, in pratica, a esempio dei profondi cambiamenti introdotti dalle modifiche del trattato di Lisbona nel processo decisionale europeo. Pertanto, per quanto riguarda le decisioni del Consiglio, finora prevaleva il principio dell’unanimità. Ora, il trattato di Lisbona ha introdotto ex novo il principio della maggioranza in molti ambiti. Fino a oggi un’impresa poteva convincere, in seno al Consiglio, i rappresentanti del proprio Stato membro di quanto le stava a cuore, senza che fosse possibile prendere decisioni contro i suoi interessi. Dopo Lisbona tutto ciò è passato: applicando il principio della maggioranza, i voti di uno o anche pochi Stati membri esercitano un potere piuttosto debole senza il raggiungimento di una minoranza di blocco.

La rivalutazione del processo di codecisione ha effetti simili sull’iter legislativo ordinario e sullo strumento legislativo abituale dell’Unione europea: con il relativo coinvolgimento stringente del Parlamento Europeo in quasi tutte le misure legislative dell’Unione europee rilevanti per le imprese, una semplice rappresentanza delle parti interessate a livello nazionale risulta, de facto, destinata al fallimento. Ciò è rafforzato dal fatto che, a differenza di quanto accade per gli Stati membri, l’operato del Parlamento non si orienta sull’esecutivo.

Per ogni richiesta devono essere ideate nuove coalizioni estese ai gruppi parlamentari e agli Stati membri. Non esistono gruppi di governo o di opposizione.

Già verso la fine degli anni ’80 il Dr. Klemens Joos ha individuato il principio base di un approccio processuale europeo e l’importanza della competenza di processo nella rappresentanza delle parti interessate, mettendolo successivamente in pratica con la creazione di EUTOP international GmbH nel 1990. Con la sua tesi pubblicata nel 1997 (“Rappresentanza delle parti interessate delle imprese tedesche nelle istituzioni dell’Unione europea”, discussa presso la facoltà di Economia aziendale della Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco), Joos ha posto le basi scientifiche per lo sviluppo del modello di servizio EUTOP, proprio in un’epoca in cui l’Unione europea non contava che 15 Stati membri ed era ancora ampiamente accettato il principio dell’unanimità del Consiglio e si attuava una procedura di codecisione solo per pochi atti legislativi. Nel suo libro “Il lobbying nella nuova Europa: la rappresentazione ottimale delle parti interessate dopo il trattato di Lisbona”, pubblicato nel 2010, Joos approfondisce questo principio alla luce delle ampie innovazioni introdotte dal trattato di Lisbona.

La tesi proposta da Joos sulla competenza di processo è stata poi ampiamente ripresa da altri autori, recentemente anche da Daniel Guéguen, che nella sua pubblicazione “Rimodellare il lobbying a livello europeo” opera un distinguo tra “componenti tecniche” (conoscenza dei contenuti fondamentali) e “componenti di processo” (conoscenza dei processi e degli iter decisionali), ponendo le due categorie di componenti su un piede di parità ai fini del successo di una strategia di rappresentanza delle parti interessate (fornendo, a sostegno della sua teoria, esempi di procedure).

La tesi di Joos e, quindi, l’approccio di servizio di EUTOP trovano conferma sul piano empirico nel successo, ormai più che ventennale, dell’impresa.

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A Bruxelles Confindustria fa scuola di lobby http://www.lobbyingitalia.com/2013/06/a-bruxelles-confindustria-fa-scuola-di-lobby/ Thu, 06 Jun 2013 15:17:59 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1576 A scuola di lobby per imparare ad avere peso in Europa. Mentre a Bruxelles si tiene la conferenza sulla Politica industriale europea con il presidente José Manuel Barroso e il commissario di riferimento Antonio Tajani e tra i 400 partecipanti c’è anche il numero uno di Confindustria Giorgio Squinzi, in contemporanea in modo più ridotto oggi e domani la delegazione di Viale dell’Astronomia all’Unione europea ospiterà un seminario per cercare di fornire alla trentina di partecipanti a pagamento (275 euro per gli associati, 350 euro per gli altri) gli «strumenti per un’efficace azione di lobby in sede europea».

Nel programma anche le tecniche di influenza e gli strumenti per costruire un progetto di lobby, e le strategie per «approcciare le opportunità di finanziamento della Ue», oltre a insegnamenti su come funziona la Commissione Ue e il Parlamento europeo. Ormai è il quinto anno che Confindustria organizza questo seminario.

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Caratteri e incidenza del lobbismo a Bruxelles http://www.lobbyingitalia.com/2000/07/caratteri-e-incidenza-del-lobbismo-a-bruxelles/ Sat, 01 Jul 2000 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2000/07/caratteri-e-incidenza-del-lobbismo-a-bruxelles/ Già alla fine degli anni ’80, l’attenzione di alcuni studiosi, soprattutto anglosassoni, si è rivolta all’analisi della crescita esponenziale del fenomeno del lobbismo presso le istituzioni dell’Unione europea, confermando l’osservazione di Wyn Grant che, per questo aspetto, in Europa “Bruxelles è la capitale più simile a Washington” (1).

Il primo elemento che è stato sottolineato è che il sistema stesso dei meccanismi decisionali comunitari porta al moltiplicarsi delle lobbies e di fatto favorisce – nonostante le diverse dichiarazioni di intenti e le norme sulla trasparenza recepite negli anni ’90 – i poteri forti in grado di agire con tempestività, assidua presenza ed elevata competenza tecnica.

È una valutazione ormai consolidata che, nel corso degli anni ’80 e in particolare dopo l’Atto Unico Europeo, la Commissione abbia cercato di rafforzarsi rispetto al Consiglio ed agli Stati nazionali “in a corporate fashion, through coalition building with European interest association” (2) attraverso la creazione di centinaia di Euroquangos, vale a dire organismi consultivi con rappresentanti delle organizzazioni di interesse e delle istituzioni comunitarie.

Da un lato si trattava di fare fronte all’esigenza tecnica di raccogliere i dati, le informazioni e anche cercare le possibili mediazioni in un contesto particolarmente complesso quale l’armonizzazione delle situazioni normative degli Stati nazionali, dall’altro si trattava di una scelta conseguente alla necessità di un potere tecnocratico di garantirsi un consenso in assenza di un reale potere politico-parlamentare.

L’informalità ha finora regolato le procedure del lobbying nonostante alcune misure promosse in seguito alla Comunicazione del 2 dicembre 1992, con la quale la Commissione ha presentato le sue indicazioni di regolamentazione dei rapporti con i gruppi. Tale documento ha riconosciuto che “la Commissione è nota per la sua accessibilità ai gruppi di interesse, una caratteristica che, senza dubbio, deve essere conservata. È nel suo stesso interesse, infatti, comportarsi in tal modo, poiché i gruppi di interesse possono fornire ai servizi informazioni tecniche e consigli costruttivi“.

Il documento contiene direttive miranti a garantire “pari opportunità” nell’informazione e propone l’adozione di codici di condotta che, basati su alcuni principi generali suggeriti dalla Commissione, dovrebbero essere formulati da parte dei diversi gruppi. Una sorta di autoregolamentazione che, tuttavia, senza la definizione di precise sanzioni, potrebbe restare a livello di dichiarazione di intenti.

I caratteri dell’interazione fra decisori e rappresentanti degli interessi sono emersi in tutta evidenza da una serie di interviste condotte a Bruxelles, nell’ambito di una ricerca finanziata dal CNR, a testimoni privilegiati, rappresentanti di grandi gruppi industriali, di ambientalisti, consumatori e funzionari della Commissione. L’analisi dei contenuti di quelle interviste, di documenti e studi sul policy-making ha portato a delineare i principali elementi descrittivi del fenomeno (3).

Sulla funzionalità del lobbying come efficiente canale di informazione su diverse realtà nazionali e normative convergono pareri concordi di lobbisti e funzionari. È stato chiaro in proposito il parere espresso da un funzionario del Segretariato Generale della Commissione: “La Commissione auspica e favorisce il dialogo con le organizzazioni di interesse perché ritiene che esse possano fornire importanti inputs al suo lavoro, soprattutto per quello che concerne i dettagli tecnici della legislazione comunitaria, necessari ai funzionari in sede di redazione per mantenere un livello realistico di legislazione. D’altra parte, secondo la Commissione, i lobbisti svolgono anche l’importante ruolo di intermediazione tra il decisore e la società perché sono in grado di segnalare gli effetti delle policies comunitarie con un certo anticipo e di renderle realistiche. In questo senso è molto importante il cosiddetto livello grass-root del lobbying, perché contribuisce a creare consenso attorno alle proposte della Commissione: di conseguenza la Commissione favorisce tutti i gruppi di interesse maggiormente rappresentativi a livello europeo e con uno spettro di interessi il più possibile diffuso” (4).

Per quanto riguarda il Parlamento europeo si è chiuso nell’estate del 1996 il travagliato iter legislativo iniziato nell’ottobre del 1992 con una raccomandazione della Commissione per il Regolamento. Nella motivazione della relazione presentata dall’on. Glyn Ford sono state sottolineate chiaramente le linee guida: una normativa del settore è stata considerata necessaria per la “proliferazione dei gruppi di interesse che agiscono presso le istituzioni europee“; l’assenza di controlli su questa attività “attribuisce a quest’ultima un carattere di semi-clandestinità che dà luogo a voci suscettibili di discreditare il Parlamento e taluni suoi membri“; viene ribadita “l’utilità, anzi la necessità che gruppi di interesse operino presso gli organi legislativi dell’Unione europea“, ma in termini di “trasparenza”.

Il diritto di accesso al Parlamento deve essere controllato da un lasciapassare personale annuale, ottenuto con l’iscrizione ad un registro, rinnovabile dopo la presentazione di una dichiarazione di attività che contenga l’elenco di tutti gli interventi effettuati presso i parlamentari o i funzionari. Il comportamento non conforme, ferme restando le eventuali responsabilità penali, comporta la possibile sanzione, di competenza del Collegio dei Questori, di sospensione o revoca del diritto di accesso.

I confini di rappresentanza e le difficili mediazioni nelle “organizzazioni-ombrello”

Se ridurre in categorie definite la molteplicità del fenomeno lobbistico è compito quanto mai arduo, sulla professionalità del lobbista esiste ormai una manualistica basata soprattutto sul modello degli Stati Uniti, dove il fenomeno è riconosciuto, studiato e accettato da decenni. Alcuni suoi caratteri sono trasferibili anche all’esperienza europea che tuttavia, come suggeriscono gli analisti, necessita di uno “stile” meno aggressivo e più apparentemente rivolto all’interesse dell’attuazione del mercato unico.

Una volta individuato il tema su cui mirare l’intervento, ecco come è stato descritto in un’intervista il lavoro del lobbista: “La strategia richiede una lista delle persone coinvolte nel caso, delle persone sulle quali occorre fare pressione e di tutti i tipi di interferenza che possono intervenire da altri settori e che possono influenzare i decision makers; poi si prepara uno scadenzario per controllare i risultati ottenibili dai possibili avversari. Evidentemente ogni strategia deve essere studiata in relazione al caso specifico (5). Il lobbying comunitario è bene che si presenti sotto la veste della cooperazione europea; “in qualche modo bisogna cercare di coinvolgere nella propria strategia di rappresentanza quanti più soggetti possibile, attraverso continue mediazioni degli interessi propri con quelli di altri Paesi o altre aziende“; è quindi importante saper agire “attraverso il filtro delle organizzazioni-ombrello. È molto meglio risolvere al di fuori delle sedi istituzionali i potenziali conflitti di interesse e presentarsi alla Commissione o al Consiglio con una posizione unitaria” (6).

Il problema del riconoscimento della rappresentatività di un’organizzazione e della conflittualità fra organizzazioni è una conseguenza scontata quando i centri decisionali delle politiche pubbliche praticano una strategia di apertura al dialogo ed alla consulenza di rappresentanze esterne: nuove professioni ed interessi che si associano, richiesta di maggior peso decisionale da parte delle piccole unità produttive che hanno scoperto più tardi rispetto alle grandi imprese e associazioni la necessità di essere presenti sullo scenario europeo.

Per quanto riguarda l’Unice, capofila delle cosiddette “organizzazioni-ombrello”, le difficoltà di mediazione, rendono complessa l’elaborazione di una piattaforma accettabile a settori diversi e a diverse dimensioni aziendali: “Il difetto di questo tipo di macro-organizzazioni è che spesso le posizioni comuni che ne derivano sono edulcorate e quindi a volte prive di quella portata innovativa di cui la Commissione ha bisogno nella predisposizione delle politiche industriali (7)”.

Le difficoltà di coordinamento nelle confederazioni europee derivano anche da una “iperattività” dispersiva in mille rivoli di partecipazione: “L’Unice si occupa di tutto; vi sono cinque Commissioni politiche e settanta gruppi di lavoro interni sulle questioni più specifiche. Tale dispiego di forza ed energie si paga in effettività dell’azione di rappresentanza” (8).

Le azioni sono spesso dispersive, mentre le caratteristiche del lobbying efficace a Bruxelles, come è stato più volte rilevato, sono di proporsi con precisione, sintesi, tempestività, competenza tecnica, presenza assidua e rapidità di risposta, giocando d’anticipo sui tempi. Questa alta professionalità è tuttavia strettamente collegata alle risorse finanziarie occorrenti per gestire un lobbying efficace ad una distinzione spesso sottolineata tra interessi forti e interessi deboli.

Tra gli interessi forti, oltre naturalmente agli interessi lobbisticamente ben sostenuti dei forti produttori agricoli, industriali e finanziari, si devono annoverare anche i rappresentanti di aree e Regioni particolarmente sviluppate: ad esempio, da tempo, l’Unioncamere della Lombardia ha creato un’”antenna” a Bruxelles in via di potenziamento ed inoltre mantiene “rapporti privilegiati” con altre Regioni del gruppo dei quattro motori d’Europa: la Catalogna, il Baden-Württemberg e il Rhône-Alpes. Molte aree regionali hanno istituito rappresentanze presso la Comunità e si può anche ricordare che già nel giugno del 1990 era stato firmato un accordo da parte di otto Regioni – due spagnole (Valencia e Catalogna), tre francesi (Languedoc-Roussillon, Provence, Côte d’Azur) e tre italiane (Liguria, Piemonte, Lombardia) – per un disegno di high tecnology route, un network tecnologico di collegamento tra Valencia, Barcellona, Toulouse, Montpellier, Marseille, Genova, Torino, Milano. Si tratta a volte di operazioni di immagine ma anche di segnali precisi di un regionalismo forte, la decisa riaffermazione di una propria specificità rispetto all’ambito nazionale.

In conclusione, il quadro che è emerso dalla ricerca e che si è cercato di sintetizzare è in realtà diverso dalla seducente definizione del lobbying data in una delle interviste: “La partecipazione al processo di governo è una forma di controllo delle promesse che i rappresentanti – o nel caso comunitario – i governi fanno ai cittadini“, vale a dire un controllo delle procedure di governo da parte degli interessi della società civile, perché in realtà, nell’assetto dei meccanismi istituzionali dell’Unione europea, la distinzione fra decisore e controllore si affievolisce, mancando un reale countervailing power della politica. Tra le indicazioni emerse dalla ricerca è apparso chiaro che l’azione di lobbying condotta dai gruppi di interesse si modella sull’interrelazione con i centri decisionali, assumendo i caratteri che in “quel dato sistema” sono ritenuti i più efficaci. Ma queste considerazioni ci porterebbero ad un’analisi che non rientra nell’economia di questo breve intervento; l’argomentazione finirebbe per sfociare sul tema, sintetizzato nel titolo di un libro dell’”impossibile status quo” dell’Unione europea (9).

Note

1. W. Grant, Organized interests and the European Community in “Organized interests and democracy perspectives on West and East” IV colloquio internazionale Fondazione Feltrinelli, 29-31 maggio Cortona 1990.

2. S.S. Andersen, K.A. Eliassen, European Community Lobbying in “European Journal of Political Research”, 20, 2, 1991, p. 185.

3. Cfr. Gloria Pirzio Ammassari, L’Europa degli interessi. Rappresentanza e lobbying nell’Unione europea, Euroma 1997.

4. Intervista A, funzionario Commissione, Segretariato Generale, Direzione C1, domanda 1 in Gloria Pirzio Ammassari L’Europa degli interessi, op. cit.

5. Intervista F, lobbista di Public Policy Europe, domanda 14 in Gloria Pirzio Ammassari, L’Europa degli interessi, op. cit.

6. Intervista L, Direttore ufficio Eridania-Beghin Say di Bruxelles in op. cit.

7. Intervista C, responsabile delegazione Confindustria a Bruxelles, domanda 2, op. cit.

8. Ibidem, domanda 9.

9. Aa.Vv., Europa: l’impossibile status quo, Il Mulino, Bologna 1996.

 

Fonte: Gloria Pirzio Ammassari – Rivista IMPRESA & STATO

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Le Monde – Come i gruppi di pressione costruiscono la”loro” europa Bruxelles, capitale delle lobby http://www.lobbyingitalia.com/1998/10/come-i-gruppi-di-pressione-costruiscono-laloro-europa-bruxelles-capitale-delle-lobby/ Thu, 01 Oct 1998 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/1998/10/come-i-gruppi-di-pressione-costruiscono-laloro-europa-bruxelles-capitale-delle-lobby/ Traendo profitto da procedure decisionali particolarmente complesse, questi gruppi influenzano le scelte compiute dalle istituzioni europee. Le lobby trascinano così l’Unione in una logica di rapporti di forza che va a vantaggio dei turiferari del liberalismo economico; i sindacati, che pure sono partner ufficiali delle istituzioni, faticano a farsi ascoltare. Sollecitazioni, lettere, regalini: i membri della Commissione europea, gli eurocrati e i deputati europei agiscono costantemente sotto qualche influenza.

Targhe discrete, dorate o brunite, adornano gli ingressi di anonimi edifici nel”quartiere europeo” di Bruxelles. Sono affiancate a quelle degli uffici delle varie Direzioni generali della Commissione e delle delegazioni permanenti dei paesi membri. Il fatto è che la natura stessa dell’Unione europea, il suo potere, la sua organizzazione, la ripartizione dei compiti tra le sue istituzioni incitano al presenzialismo: per contribuire al”pensiero comunitario”, per influire sui processi decisionali, o anche solo per sapere cosa succede in questo o quel campo di interesse particolare.

Il numero dei”lobbisti” che esercitano il loro mestiere nella”capitale d’Europa” è valutato a circa 10.000; ma ad essi se ne aggiungono ogni giorno altre migliaia, provenienti da ogni angolo del continente. Le duecento più potenti imprese mondiali sono già tutte presenti, e altre continuano ad arrivare. Anche le grandi società americane e britanniche di pubbliche relazioni vi hanno gettato l’ancora, e vantano la loro competenza in materia di”acquis” comunitari.

La città rigurgita di uffici di avvocati specializzati e di lobbisti di ogni ramo, settore o impresa, oltre ai consumati”generalisti”, pronti ad accettare qualsiasi incarico nel labirinto europeo, del quale conoscono qualche segreto.
Pur passando quasi inosservati, sono ormai divenuti attori importanti del gioco; e quando siedono intorno al grande tavolo dove si prendono le decisioni, si tengono al riparo dagli occhi degli stati, del pubblico e dei media, a dire il vero non molto curiosi.

E’ un mestiere che in verità non ha nulla di vergognoso. Tutti qui concordano nel riconoscere agli uomini e alle donne che operano in questo campo uno stile mille volte più elegante e corretto dei loro omologhi degli Stati uniti, patria del lobbying.”Io rappresento gli interessi della mia industria: un interesse specifico che si può considerare come una frazione di quello generale“, spiega Roger Chorus, rappresentante degli industriali della ceramica dell’Unione europea (Ue) e presidente della Società dei professionisti in affari europei (Seap), creata per approfondire la cooperazione tra chi influenza e chi decide, e di renderla nel contempo più trasparente. A suo parere, questo lavoro è necessario non solo per le industrie, ma per le stesse istituzioni.”Chi è chiamato a decidere dovrebbe prendere in considerazione, prima di fare una scelta, tutti gli interessi specifici. Il nostro compito è fornire le informazioni in proposito.”

Stesso linguaggio alle Commissione europea, dove questi”operatori di influenze” sono considerati interlocutori indispensabili.”Ne abbiamo assoluto bisogno, spiega Willy Hélin, portavoce di Karel van Miert, commissario alla concorrenza.

Grazie ai contatti con loro riusciamo a tenerci al corrente di ciò che avviene in vari settori dell’attività economica. Nessuno può accusarci di rimanere chiusi nella nostra torre d’avorio e di prendere decisioni senza conoscere le situazioni reali”. Anche ammettendo la”normalità” del fenomeno, bisognerebbe però porsi la questione delle pari opportunità. Poiché in quest’attività sotterranea, sulla quale non esiste il minimo controllo, a vincere sono evidentemente i più forti, quelli che dispongono di più denaro e hanno quindi maggiore influenza.

Non è facile infatti finanziare un ufficio a Bruxelles, allacciare e intrattenere rapporti di complicità con i decisori al più alto livello possibile. Gli uomini delle multinazionali, come quelli dei settori chiave delle economie dei Quindici (industria automobilistica, petrolio, chimica) possono aprire indubbiamente percorsi ben più attrezzati e scorrevoli di coloro che rappresentano gli interessi opposti: sindacati, associazioni di difesa dell’ambiente, gruppi di consumatori, piccole industrie.

Questo non significa però che i più potenti vincano sempre. Le decisioni prese dalla Commissione sono spesso il risultato di pressioni e influenze molteplici diversificate. “I maggiori lobbisti sono gli stessi stati membri“, sottolinea Willy Hélin, che la sa lunga sulle manovre dei governi sospettati di concedere aiuti illegali, o impegnati a difendere le loro aziende dall’accusa di aggirare la concorrenza. La comunità delle imprese non è sempre necessariamente sulla stessa lunghezza d’onda degli stati. Gli interessi nazionali giocano contro gli interessi settoriali. E a complicare il quadro si aggiungono le Regioni, sempre più attive in questo campo.

La Commissione presta orecchio a tutti per poter decidere il più obiettivamente possibile. E’ in effetti in seno alla Commissione europea che si preparano i progetti di legislazione comunitaria da sottoporre in seguito al Consiglio, oltre che, con sempre maggior frequenza, al Parlamento europeo. L’attenzione delle lobby si concentra dunque logicamente su questo organismo, per tentare di influire sui contenuti delle direttive e dei regolamenti al momento della loro elaborazione.

Come dicono tutti i lobbisti che operano a Bruxelles, l’imperativo è lavorare con la Commissione. Solo se si è perso quell’autobus si può tentare di ricuperare al Parlamento… La porta della Commissione è spalancata in particolare per i rappresentanti dell’Unione della Confederazione delle industrie e degli imprenditori europei (Unice), interlocutore ufficiale in virtù del Trattato di Maastricht, allo stesso titolo della Confederazione europea dei sindacati (Ces). Queste due organizzazioni partecipano al primo, modesto avvio del dialogo sociale iniziato su scala europea sotto l’egida delle Commissione (1).

La Comunità e gli stati membri vigilano affinché siano assicurate le condizioni necessarie alla competitività dell’industria comunitaria“, proclama l’articolo 130 del Trattato di Maastricht: un punto di importanza primaria per l’Unice. Gli imprenditori sono ben disposti a essere”europei” nella misura in cui si parli di un’Europa pronta a favorire la sacrosanta competitività, per le ben note vie della deregulation e della flessibilità.”Per molto tempo, questa nozione di competitività non è stata presa sul serio. Oggi ci stiamo svegliando, ma occorre fare molto di più” insiste Christophe de Callatay, direttore del settore comunicazioni all’Unice. Questa organizzazione considera del tutto insufficiente la liberalizzazione generalizzata che da una decina d’anni è stata introdotta in Europa. Gli imprenditori esigono riforme strutturali per ottenere una riduzione della spesa pubblica, soprattutto sociale, che permetterebbe di alleggerire la pressione fiscale sulle imprese.”In Europa, non è più possibile svolgere una normale attività imprenditoriale. Non riusciamo più o spuntare i profitti necessari per investire e per assumereL’ambiente è così ostile che chiunque disponga di un po’ di denaro fugge all’estero, prosegue Christophe de Callatay. Per questo abbiamo avviato “un processo di benchmarking (confronto tra i livelli di efficienza) che ha dimostrato l’inferiorità dell’economia europea rispetto a quella degli Stati uniti o del Giappone“. Tutto questo, ovviamente, è stato detto prima della crisi che ha colpito Tokyo. Sia per quanto riguarda i costi di produzione che in materia di telecomunicazioni, di trasporti, di prelievi fiscali o di”obblighi” sociali, gli europei si troverebbero in una condizione di svantaggio, soprattutto in vista dell’esigenza di prepararsi a una”società dell’informazione“.

“In Germania, insiste Christophe de Callatay, il divario tra il salario minimo e quello massimo è di uno a 3. In America, di uno a dieci. Oltre Atlantico, le remunerazioni sono molti più incentivanti; senza contare che da noi c’è troppa gente che non fa nulla e non è neppure motivata a cercare un posto di lavoro, poiché vive a carico di un settore pubblico ipertrofico, come sempre giustificato dai falsi argomenti dello stato sociale. In breve, le generazioni passate hanno vissuto a spese dei loro figli, che ora devono saldare il conto. Bisogna fermare quest’ingranaggio che non è né giusto, né sociale“.

Questo sbrigativo discorso ha trovato indubbiamente una certa eco negli uffici del Palais Breydel, sede dei venti Commissari europei; tanto più che viene ripreso, anche se in forma molto più discreta, dai patrons delle grandi multinazionali del vecchio continente. Il loro club molto esclusivo la Tavola rotonda degli imprenditori (nota sotto la sigla inglese Ert – European Round Table) occupa un piano di un anonimo edificio della capitale belga, non lontano dalla Porte de Hal. A differenza dell’Unice, l’Ert non è mai menzionata nei rapporti o in altri documenti distribuiti alla stampa dalla Commissione. E tuttavia i 47 potentissimi presidenti-direttori generali di 17 paesi europei (i Quindici, più Norvegia e Turchia) organizzano due volte l’anno incontri formali.”In queste sessioni plenarie si decidono i contenuti dei messaggi per i vertici europei o per i vari governi. Ci si mette d’accordo e si nomina una piccola delegazione che porterà la risoluzione a Jacques Chirac o a Jacques Santer (il presidente della Commissione). Al nostro livello, siamo sicuri di essere ricevuti” spiega Caroline Walcot, segretaria generale aggiunta della Tavola rotonda.

Se l’Unice si occupa del quotidiano, diverso è il caso dell’Ert, che non commenta ogni singola direttiva e non presenta resoconti ad associazioni affiliate nelle varie capitali; si interessa esclusivamente alle grandi decisioni, sulle quali però esercita tutto il suo peso (2).

Ad esempio, l’Ert si batte per l’allargamento e l’approfondimento dell’Unione, concepita come un grande spazio di libera circolazione delle merci, dei capitali e dei servizi, destinato a divenire una vera potenza economica mondiale. E’ quindi intervenuta con forza in favore dell’introduzione dell’Atto unico, della creazione di una moneta unica, dell’incorporazione della convenzione di Schengen nel Trattato di Amsterdam; e ha agito affinché la comunità avviasse negoziati per l’adesione di paesi candidati dell’Europa centrale e orientale, malgrado le reticenze degli agricoltori e dei lavoratori di settori minacciati da questo allargamento. Durante la preparazione della Conferenza mondiale sul clima di Kyoto, ha esercitato ogni possibile pressione perché l’Unione respingesse la proposta di una tassa sull’energia,”contraria, secondo Caroline Walcot, agli interessi del mondo degli affari”.

La Tavola rotonda non ha però sempre partita vinta. Ad esempio, nonostante le pressioni costanti che esercita da anni, e malgrado la formazione di un Centro europeo per le infrastrutture direttamente dipendente dall’Ert, in definitiva gli stati membri hanno ridotto alla sua più semplice espressione l’idea delle reti transeuropee per il trasporto di persone, merci, energia e telcomunicazioni (TENs), che pure era sostenuta a spada tratta dalla Commissione. A dire il vero, questo ripiegamento è stato determinato più da vincoli di bilancio che dalle considerazioni di carattere ecologico in nome delle quali le TENs sono state fustigate dai militanti ecologisti. Di fatto, il dibattito è tutt’altro che concluso. La Commissione, sostenuta da industriali e sindacalisti, non ha abbandonato la variante più ambiziosa delle TENs, di cui decanta il potenziale di posti di lavoro.
“Conosciamo molto bene il presidente Jacques Santer, e cerchiamo di incontrarlo più volte l’anno. Abbiamo inoltre buoni rapporti con i commissari Martin Bangemann (industria) Leon Brittan (commercio), Edith Cresson (ricerca)… Parliamo spesso con i responsabili delle Direzioni generali della Commissione. Quando si tratta di influenzare gli stati membri, ci rivolgiamo ai ministri.Caroline Walcot è perfettamente consapevole delle implicazioni politiche ed etiche di queste attività.

“Rispondiamo con prudenza alle insinuazioni di chi ci accusa di abusare della nostra posizione. E’ vero che godiamo di uno status privilegiato per intrattenere contatti con i livelli politici decisionali; perciò le nostre iniziative devono rispondere a regole molto rigorose: nessun membro dell’Ert può utilizzare questo organismo per sostenere gli interessi della sua impresa, o servirsi del suo nome per battaglie di tipo corporativo“.

Quali motivazioni muovono organismi come l’Unice e l’Ert? Gli slogan che quest’ultima ha formulato nel settembre 1991 sono la miglior risposta a questa domanda:”Vogliamo un’Europa forte, prospera e unita, e al tempo stesso approfondita e allargata. E la vogliamo al più presto, perché il tempo non sta ad aspettare. Siamo pronti a investire in questo progetto e a sostenerlo fino in fondo“. Con questo discorso, la Tavola rotonda ha giocato un ruolo di precursore, poiché è questa la visione che da allora ha ispirato in larga misura le istituzioni europee. Ma al tempo stesso, paradossalmente, l’idea europea ha perduto buona parte del suo potere d’attrazione per la popolazione dei Quindici, poiché sotto l’impulso degli imprenditori la corsa alla competitività è stata condotta con molta più energia di quella spesa per ricercare i mezzi atti a migliorare la vita quotidiana dei cittadini europei.

L’Ert evita ogni discussione sui dati che dimostrano i limiti dell’impostazione liberale. In effetti, dal 1991 la disoccupazione è salita in media dall’8 all’11% della popolazione attiva. La chiusura di fabbriche e le massicce delocalizzazioni, simboleggiate dal caso della Renault-Vilvorde (Belgio, 1997) che ha avuto un fortissimo impatto psicologico, hanno assestato un duro colpo al discorso della multinazionali, secondo il quale basterebbe creare un clima favorevole alle imprese per rilanciare l’occupazione. Ora, dall’inizio di questo decennio la creazione delle migliori condizioni per gli imprenditori è un obiettivo prioritario degli sforzi compiuti sul piano europeo.

A fronte di questi gruppi di pressione, i sindacati navigano a vista. Su scala europea, la Ces vanta il merito di aver ottenuto la firma di accordi sul congedo parentale e sul tempo parziale: accordi negoziati con l’Unice, e divenuti parte integrante delle acquisizioni comunitarie. L’organizzazione, che rappresenta 63 confederazioni sindacali nazionali e 14 federazioni professionali, rivendica inoltre di aver fatto adottare dal Consiglio dei ministri, stavolta contro la volontà dell’Unice, la direttiva europea sui Comitati aziendali multinazionali. Oggi, la Ces si batte per una legislazione che sancisca il diritto dei lavoratori a essere informati e consultati in merito a ogni cambiamento importante nella loro azienda. D’altra parte, il Trattato di Amsterdam contiene un capitolo dedicato all’occupazione, e il Vertice riunito a Lussemburgo nel novembre scorso per discutere di questo tema ha partorito un metodo di valutazione degli sforzi degli stati membri (3).

“In campo economico e monetario evidentemente si sta facendo molto di più; ma qualche progresso, lo abbiamo registrato anche sul fronte sociale: questo, non lo si può negare; e siamo soltanto all’inizio“, sostiene Wim Bergams, portavoce della confederazione. A suo parere, la Commissione europea, pur cedendo alla tendenza che porta alla deregulation e alla liberalizzazione, ha fatto passi costruttivi anche sul versante sociale della sua politica.”Dopo Renault-Vilvorde, i nostri rappresentanti sono stati inseriti nel gruppo di lavoro della Commissione sulla ristrutturazione industriale, prosegue Wim Bergams. A volte ci battono sul tempo, ma continuiamo a segnare punti.” La Ces contesta soprattutto le argomentazioni propagandistiche di chi sostiene che l’Europa avrebbe”perso l’autobus” della competizione, o proclama la fatalità della globalizzazione per giustificare la corsa alla competitività.”Il 90% circa degli scambi commerciali dell’Unione si svolge tra i Quindici, sottolinea il portavoce della Ces. Dovremmo dunque preoccuparci della competitività all’interno dell’Unione, mentre si continua a insistere sul confronto con gli Stati uniti, il Giappone e il Sud-est asiatico … che non assorbono più del 10% delle nostre esportazioni.” I sindacati pongono al centro della loro attività di lobbying l’esigenza di negoziati.”Ci rendiamo conto dell’importanza della competitività per l’occupazione, ma accettiamo soltanto la competitività negoziata, che tenga conto dell’aspetto umano“, afferma Bergams. Stessa risposta per quanto riguarda la flessibilità dei posti di lavoro e degli orari. Si può trovare un terreno di intesa, ma escludendo qualsiasi soluzione imposta con la forza. La Ces esige la definizione di un quadro legislativo europeo per i contratti a tempo determinato e altre forme di flessibilizzazione.”Non accetteremo l’introduzione di un sistema di posti di lavoro di seconda categoria e di qualità inferiore. Non si può lasciare che i padroni facciano il bello e il cattivo tempo.” Questi discorsi, la Commissione li sta a sentire, anche se poi ciascuno dei 20 membri li interpreta alla sua maniera.”Se si confronta la situazione attuale con quella di dieci anni fa, conclude Wim Bergams, bisogna ammettere che ci hanno comunque ascoltati.”

Ma un conto è pesare sulla Commissione, un altro intervenire presso il Parlamento.
L’11 marzo 1998, la bocciatura del progetto di accordo multilaterale sugli investimenti (Ami) da parte di quest’assemblea è suonata come un rintocco funebre per l’impunità degli ambienti affaristici. Se i deputati di varie tendenze hanno rifiutato di dare ulteriori garanzie agli investitori esteri, è perché hanno compreso che in questo modo le multinazionali sarebbero state ancora più libere di sottrarsi all’autorità degli stati e di fare il proprio comodo, tanto da potersi comportare come cow boys dovunque decidessero di investire, nei paesi dell’Ocse o altrove.

Questo voto conferma la sensibile differenza tra il clima che regna al Parlamento e quello della Commissione. Peraltro, i rappresentanti degli industriali lo hanno compreso bene.”La Commissione la pensa come noi, mentre il Parlamento propende per i sindacati. E’ troppo eterogeneo, troppo frazionato, e globalmente orientato verso il sociale.” Christophe de Callatay stigmatizza questa tendenza, a suo parere poco costruttiva.”Chi parla di flessibilità del lavoro riceve gli elogi della Commissione, mentre al Parlamento gli rendono la vita difficile. Là siamo considerati ultra-liberisti: un giudizio che non meritiamo.” Per i pezzi grossi dell’Ert, il Parlamento è imprevedibile.

Meglio premere sui deputati attraverso i rispettivi paesi, perché sono più sensibili alle pressioni nazionali.”Alcuni sono molto verdi e molto estremisti. E’ terribilmente difficile contattarli e lavorare con loro in maniera coerente e organizzata.” Caroline Walcot apprezza alcuni dei deputati e riconosce la necessità di lavorare con le più importanti commissioni parlamentari, ma lascia intendere che in ultima istanza non vale la pena di spendere tanta energia per convincere gente… che cambia ogni quattro anni. E indubbiamente dovrà rivedere questo suo atteggiamento.

Secondo Glyn Ford, deputato laburista da quattordici anni, il Parlamento europeo sta diventando in effetti un elemento importante nel processo decisionale. I lobbisti hanno incominciato improvvisamente a interessarsene con crescente assiduità.”Tempo fa, si facevano vedere una o due volte la settimana; ora accorrono in massa e senza interruzioni.” Valuta a 3.000 il numero dei professionisti del campo prevalentemente orientati verso il Parlamento.Quando parto per Strasburgo, aggiunge, ne metto cinque o sei in valigia“. La battuta è riferita ai lobbisti che lo accompagnano. Il codice di comportamento adottato al Parlamento, sulla base di una proposta dello stesso Glyn Ford, stabilisce regole molto chiare.

In linea di principio, i lobbisti devono essere repertoriati e accreditati; ove necessario, il contenuto delle loro riunioni e conversazioni deve essere reso pubblico. E ovviamente non è ammesso accettare regali:”Finché si tratta di una bottiglia di whisky, passi, spiega Glyn Ford, ma una cassetta no!“. Purtroppo però avvengono cose assai più gravi, come i casi di corruzione da parte di stati esteri. Ad esempio, la Turchia e Taiwan avrebbero offerto vacanze di lusso ad alcuni parlamentari.
Questo tipo di tangenti è più difficilmente punibile, poiché si tratta di stati sovrani. Ma secondo Glyn Ford, chi ne approfitta si squalifica da sé, e se prende posizione in favore del benefattore non sarà preso sul serio.

E’ innegabile che alcuni parlamentari siano molto legati alle industrie locali delle rispettive circoscrizioni. Ma globalmente, né a Strasburgo né a Bruxelles si sente parlare molto di casi di corruzione classica legata al lobbying. Alla Commissione, se un funzionario si facesse prendere con le mani nel sacco metterebbe a rischio un posto ben retribuito e garantito a vita. Al Parlamento, un deputato di cui sia stata dimostrata la colpevolezza vedrebbe compromessa la sua reputazione e la sua carriera politica.

Noi non possiamo cambiare la società né il sistema politico; non possiamo impedire che alcuni abbiano più denaro di altri. La sola cosa che possiamo fare è creare uno spazio d’azione più giusto possibile per tutti” commenta senz’ombra di amarezza Glyn Ford. A suo parere, se i più forti le multinazionali possono contare su mezzi considerevoli, i piccoli, a incominciare dai gruppi di consumatori o di ambientalisti, riescono spesso a colpire nel segno con le loro idee, e a ottenere successi notevoli con mezzi relativamente modesti. Per Glyn Ford, il Parlamento europeo, benché spesso troppo lento e a volte impotente, rappresenta un bastione essenziale contro il pericolo di uno slittamento del lobbying verso quella zona tenebrosa in cui potrebbe attirarlo la logica delle porte chiuse, incoraggiata sia dalla Commissione che dal Consiglio.”Il Parlamento sta diventando un reale ostacolo alla politica delle porte chiuse. Dunque, continuiamo così!

note:
* Giornalista, Bruxelles.
(1) Leggere Hubert Bouchet”La promessa non mantenuta di unione sociale”, le Monde diplomatique/il manifesto, luglio 1996.
(2) Leggere Susan George”Quinta colonna a Bruxelles” e Gérard de Sélys”La scuola, grande affare del XXI secolo” rispettivamente su le Monde diplomatique/il manifesto del dicembre 1997 e giugno 1998.
(3) Leggere Corinne Gobin”L’Europa sociale, ingannevole apparenza” le Monde diplomatique/il manifesto, novembre 1997.

Karel Bartak – le Monde Diplòmatique

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