commissione europea – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Fri, 13 May 2016 14:04:46 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Voglia di trasparenza: l’Europa si mobilita per un Registro dei lobbisti obbligatorio http://www.lobbyingitalia.com/2016/05/trasparenza-europa-registro-lobbisti/ Fri, 13 May 2016 14:04:46 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3322

Proseguono gli sforzi verso una normativa europea più chiara e decisa sulle lobby

Non solo in Italia: anche in Europa il lobbying è ammantato da un velo di incertezza normativa e di sfiducia da parte di istituzioni e cittadini. Anche per questo, nelle ultime settimane l’azione delle organizzazioni e associazioni che si occupano della trasparenza del processo decisionale si è fatta più forte e omogenea, anche su impulso delle principali Istituzioni europee. L’iniziativa più importante è partita diverse settimane fa dalla Commissione Europea, che ha avviato una Consultazione pubblica sulla proposta di un registro per la trasparenza obbligatorio. È inoltre in corso anche una petizione su change.org, sempre più strumento di espressione della democrazia “dal basso”, portata avanti dalla sezione europea di Transparency International per “puntare i riflettori” sulle lobby di Bruxelles.

La consultazione della Commissione

La Commissione europea intende raccogliere le opinioni di tutte le parti interessate sull’operato dell’attuale registro per la trasparenza delle organizzazioni e dei liberi professionisti impegnati nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione e sulla sua futura evoluzione verso un sistema obbligatorio esteso al Parlamento europeo, al Consiglio dell’UE e alla Commissione europea. La consultazione pubblica ha un duplice obiettivo: 1) raccogliere opinioni sul funzionamento dell’attuale registro per la trasparenza e 2) ricevere contributi utili per la concezione del futuro sistema di registrazione obbligatoria annunciato negli orientamenti politici del presidente Juncker. Lo scopo è valutare e capire che cosa ha funzionato bene finora e che cosa può essere migliorato e come, in modo da garantire che si possano sfruttare pienamente le potenzialità del registro come valido strumento per disciplinare le relazioni tra le istituzioni dell’UE e i rappresentanti di interessi. I risultati della consultazione pubblica serviranno da base per la preparazione della proposta di un registro obbligatorio da parte della Commissione.

La consultazione sarà aperta a tutti fino al prossimo 1 giugno, e potrà essere compilata al seguente link. Sarà molto interessante valutare anche i contributi pervenuti, che saranno pubblicati sul sito web nelle lingue in cui sono stati compilati, entro 15 giorni lavorativi a partire dal termine della consultazione. Una relazione di sintesi sarà pubblicata entro tre mesi dal termine della consultazione. In particolare, un punto fondamentale sarà rappresentato dalle impressioni sull’attuale sistema di registrazione, da più parti definito lacunoso se non fallimentare.

La petizione di Transparency International

La petizione di Transparency International Europe parte da una visione molto negativa della mancanza di trasparenza del lobbying europeo, come minaccia per la democrazia e della fiducia dei governi nella politica. Transparency negli ultimi anni ha condotto, come molte altre ONG sulla trasparenza, indagini sulle attività “nascoste” di alcuni particolari gruppi di pressione. A dire il vero, il punto di partenza di Transparency è molto scettico nei confronti delle “lobby” in generale (farmaceutiche, bancarie, commerciali), ma il principale motivo degli scandali sulla corruzione degli ultimi mesi è considerato la mancanza di trasparenza.

La petizione online è disponibile a questo link: https://www.change.org/p/commissione-europea-puntare-i-riflettori-sul-lobbismo-nell-ue . Queste le richieste alla Commissione Juncker:

  1. Fare in modo che tutti i lobbisti siano obbligati a iscriversi al registro europeo, di modo che gli esponenti delle istituzioni UE non potranno più incontrare lobbisti non registrati, e non potranno più invitarli a udienze o gruppi di esperti.
  2. Assicurare che le norme valgano per tutte le istituzioni europee, compreso il Consiglio, che finora non ha nemmeno aderito al registro volontario. E’ importante che i leader politici e i loro consiglieri pubblichino online tutti i loro incontri con lobbisti.
  3. Rendere più affidabili le informazioni fornite sul registro. A tal fine è neccessario un robusto sistema di controllo, che includa sanzioni per lobbisti che non rispettano le regole.

Le due consultazioni permetteranno di creare una comunità di interesse attorno a un tema molte volte dibattuto in modalità e con accezioni parziali e spesso negative. Sarebbe auspicabile una partecipazione degli “addetti ai lavori”, proprio i lobbisti che, con le loro competenze tecniche e l’esperienza delle tante barriere ideologiche che li circondano, hanno l’opportunità di esprimere un pensiero originale, efficace e, si spera, incisivo anche nei confronti dei legislatori nazionali.

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Commissione UE, verso una riforma del Registro per la Trasparenza http://www.lobbyingitalia.com/2016/03/commissione-ue-registro-trasparenza/ Tue, 01 Mar 2016 16:38:21 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3174

Nuova consultazione della Commissione sul Registro per la Trasparenza delle lobby. La domanda principale è: sarebbe opportuno renderlo obbligatorio per tutte le istituzioni dell’UE?

Il 1º marzo la Commissione avvierà una consultazione pubblica di 12 settimane per raccogliere contributi sull’attuale regime di registrazione per i rappresentanti di interessi che cercano di influenzare il lavoro delle istituzioni dell’UE e sulla sua evoluzione verso un registro obbligatorio dei lobbisti esteso al Parlamento europeo, al Consiglio dell’Unione europea e alla Commissione.

Il primo Vicepresidente della Commissione Frans Timmermans ha dichiarato: “L’attuale Commissione sta modificando il nostro modo di lavorare, che evolve verso un maggior coinvolgimento dei soggetti interessati e una maggiore trasparenza a proposito di chi incontriamo e perché. Dobbiamo andare ancora oltre e stabilire un registro obbligatorio, valido per tutte e tre le istituzioni, che garantisca la piena trasparenza sui lobbisti che cercano di influenzare l’elaborazione delle politiche dell’UE. Per riuscire a mettere in pratica correttamente questa proposta ci auguriamo di ricevere il maggior numero di contributi possibile da cittadini e soggetti interessati di tutta Europa sul funzionamento dell’attuale sistema e sulla sua evoluzione. Un’Unione europea più trasparente e responsabile è un’Unione in grado di fornire risultati migliori ai cittadini.

La Commissione ha elaborato una consultazione in due parti che consentirà di raccogliere le opinioni di un’ampia gamma di soggetti interessati, della società civile e dei cittadini. La prima fase della consultazione, che non richiede una conoscenza approfondita dell’attuale registro per la trasparenza, consente ai non esperti di rispondere a domande sui principi e sull’ambito di applicazione; la seconda sezione intende invece raccogliere pareri sul funzionamento pratico dell’attuale sistema da parte di coloro che lo utilizzano. I documenti della consultazione sono disponibili in tutte le lingue dell’UE per consentire un ampio feedback. La consultazione terminerà martedì 24 maggio.

Il nuovo sistema, che la Commissione intende presentare come proposta di accordo interistituzionale, costituirebbe un’evoluzione rispetto al registro attuale, gestito congiuntamente dal Parlamento europeo e dalla Commissione ma non obbligatorio e non esteso al Consiglio. Le riforme interne alla Commissione hanno già determinato un netto aumento delle iscrizioni al registro per la trasparenza: al 1º marzo nel registro figurano 9.286 iscritti rispetto ai 7.020 del 31 ottobre 2014, prima cioè dell’entrata in funzione della Commissione e delle sue riforme. La Commissione ritiene che lavorare insieme ai colegislatori del Parlamento europeo e del Consiglio sia determinante per consentire ai cittadini di avere una visione d’insieme su quali rappresentanti di interessi cercano di influenzare il processo legislativo. La consultazione pubblica servirà da base per la proposta che la Commissione presenterà nel corso dell’anno.

Contesto

La Commissione ha già intrapreso importanti riforme della propria organizzazione interna per promuovere una maggiore trasparenza. In base ai metodi di lavoro della Commissione Juncker, i commissari non possono più riunirsi con organizzazioni che non figurano nel registro per la trasparenza. In linea con l’iniziativa per la trasparenza, introdotta nel novembre 2014, tutte le riunioni tra rappresentanti di interessi e commissari, membri dei gabinetti e direttori generali della Commissione devono essere rese pubbliche entro due settimane dal loro svolgimento.

Nel suo primo anno di attività la Commissione ha pubblicato informazioni su oltre 6.000 riunioni (delle quali circa 5.500 con commissari e membri dei gabinetti e 600 con direttori generali). L’introduzione di questo nuovo sistema ha di fatto reso l’iscrizione nel registro per la trasparenza un requisito obbligatorio per qualsiasi soggetto intenzionato a incontrare i più alti responsabili politici e funzionari dell’UE.

L’impegno della Commissione di presentare la proposta di un registro per la trasparenza obbligatorio esteso a tutte le istituzioni europee figura anche negli orientamenti politici del presidente Juncker e nel programma di lavoro 2016 della Commissione. La Commissione ritiene che i cittadini abbiano il diritto di sapere chi cerca di influenzare il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione nel processo legislativo.

Le modifiche previste per il registro per la trasparenza sono parte di un più ampio progetto di riforma del modo di elaborare le politiche nell’UE. Nella sua agenda “Legiferare meglio, presentata nel maggio 2015, la Commissione si è assunta l’impegno di aprire ulteriormente il processo di elaborazione delle politiche al controllo e al contributo dei cittadini. Sono già stati istituiti nuovi meccanismi di feedback che consentono ai soggetti interessati di manifestare alla Commissione il loro punto di vista fin dall’inizio dell’elaborazione di un’iniziativa, sulla base di tabelle di marcia e valutazioni d’impatto iniziali, e in seguito all’adozione di una proposta da parte della Commissione, in modo da contribuire al processo legislativo in seno al Parlamento e al Consiglio.

Altri strumenti che consentono ai soggetti interessati di presentare osservazioni sulla legislazione esistente sono previsti nel quadro del programma REFIT. Il sito web “Ridurre la burocrazia — dite la vostra!” è già operativo e consente ai cittadini di fornire un feedback su norme dell’UE esistenti. I contributi ricevuti vanno ad alimentare l’operato della piattaforma REFIT, che offre consulenza alla Commissione sugli ambiti legislativi che andrebbero riesaminati per rendere la legislazione dell’UE più efficace ed efficiente.

Nel novembre 2014 la Commissione ha infine adottato una comunicazione che delinea una maggiore trasparenza nei negoziati per il partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP). La Commissione ritiene fondamentale garantire che l’opinione pubblica abbia accesso a informazioni accurate ed esaurienti sulle intenzioni dell’UE nell’ambito dei negoziati.

La consultazione pubblica sarà aperta fino all’1 giugno 2016 al seguente link.

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Innovation Deals: l’UE propone un nuovo sistema di lobbying partecipativo http://www.lobbyingitalia.com/2016/02/innovation-deals-lue-propone-un-nuovo-sistema-di-lobbying-partecipativo/ Mon, 08 Feb 2016 13:59:47 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3160 Tecnologie e leggi sono in continua evoluzione. Il loro progresso detta il ritmo dell’introduzione di nuovi ambiti di ricerca e applicazione, di nuovi prodotti e servizi. Tecnologie e leggi non si sviluppano però in maniera armonica. Sarebbe un controsenso se lo facessero. Alcune regole ci proteggono dall’ignoto e da fughe in avanti nell’interesse di singoli gruppi che potrebbero danneggiare la collettività. Altre leggi rappresentano un intrico di lacci e lacciuoli che rallenta inutilmente il lavoro di scienziati e innovatori.Ci sono momenti della storia dell’umanità in cui la tecnologia accelera e crea nuove opportunità a ritmi particolarmente intensi, cambiando profondamente il nostro modo di vivere, produrre e consumare. Questi momenti si chiamano rivoluzioni industriali: il vapore e l’elettricità hanno abilitato lo sviluppo della prima e della seconda. Da qualche decennio siamo nel mezzo della  terza rivoluzione industriale, spinta dallo sviluppo dell’informatica, dalla convergenza dell’informatica con le tecnologie di comunicazione, dalla socializzazione delle tecnologie digitali.

Nel mezzo di una rivoluzione industriale il confronto tra norma e tecnologia è particolarmente serrato. Nuove regole creano nuovi mercati, definiscono nuovi standard, rallentano alcune direzioni di sviluppo. Epico lo scontro di fine Ottocento che prese il nome di War of Currents e che vide Thomas Edison tentare di impedire, o quanto meno rallentare, l’introduzione del sistema di corrente alternata in mano all’imprenditore George Westinghouse. Scriveva Edison nel novembre del 1886 al suo mentore e poi stretto collaboratore Edward Johnson: “Sono sicuro che da qui a sei mesi Westinghouse ammazzerà uno dei suoi clienti!” Edison scatenerà contro Westinghouse una delle più impressionanti campagne di comunicazione e lobbying mai intentate fino allora, con l’obiettivo di convincere il legislatore americano a stare ben lontano dai sistemi di corrente alternata. Tragicamente, proprio lo stesso Edward Johnson morirà per una forte scossa elettrica (trent’anni dopo la lettera di Edison…). A quel punto però il sistema di corrente alternata sarà ormai diventato lo standard, che ancora oggi porta energia nelle nostre case.

Da un punto di vista della gestione dell’innovazione, l’ambito normativo non è altro che uno dei tanti cambi di battaglia dove un’azienda può trovare nuove fonti di vantaggio competitivo. Primo esempio è il complesso mondo della proprietà intellettuale (Kodak Vs Polaroid, Samsung Vs Apple, Research in Motion Vs NTP etc etc). Insieme al collega di Groningen, Dries Faems, ho dedicato un intero fascicolo del California Management Review all’analisi dell’Appropriation Advantage, cioè alla capacità di alcune aziende di impostare meglio di altre la gestione della loro proprietà intellettuale e di ottenere grazie a ciò un posizionamento migliore rispetto alla concorrenza (l’angolo dell’autopromozione: ecco il video che abbiamo realizzato per spiegare questo concetto).

Dal punto di vista della politica sull’innovazione, l’ambito normativo è una leva particolarmente potente per rallentare o accelerare lo sviluppo di dinamiche industriali. Influenzare lo sviluppo delle norme e delle politiche in un senso o nell’altro si chiama lobbying. Particolarmente curioso come il concetto di lobbying nacque e si sviluppò. Si narra che il Presidente USA Ulysses Grant (1869-1877) fosse costretto ad una pesante coabitazione alla Casa Bianca, dove aveva deciso di trasferirsi tutta la famiglia della First Lady Julia Dent. Per sfuggire alle pressioni del suocero, il Presidente aveva preso l’abitudine di trascorrere le serate godendosi un buon sigaro nella lobby del Willard Hotel, a pochi metri dalla Casa Bianca. Gli avventori dell’hotel si abituarono alla presenza del Presidente e iniziarono ad avvicinarlo presentandogli problemi e idee. Da quelle origini è sorta una vera e propria industria dei lobbisti, che si è inventata forme di pressione ben più sofisticate e non sempre inclusive. Anzi.

L’iniziativa chiamata Innovation Deals, annunciata dal Commissario Carlos Moedas in un recente discorso a Bruxelles, è in qualche modo un tentativo di dare una forma più partecipativa alle dinamiche di lobbying su nuove regole per l’innovazione.

Innovation Deals ha come obiettivo quello di creare dei tavoli di negoziazione rappresentativi dei diversi interessi del mondo scientifico e industriale. Compito di questi tavoli sarà quello di evidenziare ambiti di intervento su regole che possono essere efficacemente cambiate per promuovere l’applicazione alla società di scienza e tecnologia.

Innovation Deals è un progetto pilota che potrà funzionare se (1) l’esperimento verrà preso sul serio dagli Stati Membri dell’Unione: lo stanno facendo i Paesi Bassi che hanno adottato questa come una delle iniziative bandiera della loro Presidenza. Inglesi, tedeschi e francesi sostengono da anni la rilevanza della questione.

Avrà successo se appunto (2) sarà inclusivo, innanzitutto perché escludere i riottosi non è una buona strategia per veder riuscire la fase implementativa.

Avrà successo se (3) la governance di questi tavoli sarà innovativa. Non è semplice avvicinare competenze e linguaggi della giurisprudenza e della tecnologia. Per farlo bisogna trovare dei contesti nuovi. Me ne sto accorgendo chiacchierando con i colleghi giuristi Erika Palmerini e Andrea Bertolini che lavorano insieme agli ingegneri della Scuola Superiore Sant’Anna al progetto Robolaw, che ha come obiettivo quello di allineare lo sviluppo normativo con quello tecnologico nel campo della robotica.

Primo ambito di sperimentazione, suggerisce Moedas, sarà l’economia circolare. Si tratta di un contesto meno controverso rispetto al dibattito sulle staminali o alle lotte tra tassisti e Uber. E’ dunque un ambito in cui, se ben impostati, questi tavoli potrebbero in breve identificare risultati molto interessanti. E’ fondamentale che l’Italia si faccia coinvolgere e travolgere da questa iniziativa.

Fonte: Alberto Di Minin, Sole24Ore

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Banche, energia, tech dominano il lobbying europeo http://www.lobbyingitalia.com/2015/12/banche-energia-tech-dominano-il-lobbying-europeo/ Sat, 12 Dec 2015 11:18:09 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3086 Il nuovo rapporto di Transparency International, pubblicato a inizio dicembre, ha fatto il punto sulle attività di lobbying presso la Commissione Europea nell’ultimo anno. È stato preso in analisi il periodo trascorso da quando la Commissione ha attuato le nuove regole sulla trasparenza e cominciato a pubblicare gli incontri con i lobbisti. L’ONG ha rilevato che, nonostante i progressi compiuti dalle Istituzioni comunitarie, resta ancora sommersa gran parte delle attività dei lobbisti europei, che rappresentano aziende dal valore di 1,5 miliardi di euro.

I numeri. Nell’ultimo anno ci sono stati 7.000 incontri tra alti dirigenti della Commissione e lobbisti, il 75% dei quali rappresentavano le grandi multinazionali della finanza, delle telecomunicazioni, dell’informatica e dell’energia. I dati sono però ulteriormente “camuffati” dalla contemporanea presenza dei negoziati per il TTIP, l’accordo transatlantico tra l’Unione Europea e gli USA, che rimangono segreti, e dal fatto che gli incontri tra lobbisti e decisori di Parlamento Europeo e Consiglio non sono ancora coperti dalle stesse regole di trasparenza a cui è sottoposta la Commissione. Ciò quindi non permette di delineare l’esatto quadro della mappa delle influenze di Bruxelles.

È però possibile definire quali siano le società o associazioni maggiormente incontrate dai vari commissari, e analizzare “ex post” quale sia stato il livello di influenza in base alle azioni adottate. In particolare ha fatto scalpore la “lista degli incontri” del commissario digitale Oettinger, che è stato oggetto delle attenzioni dei giganti del tech come Google, Microsoft o Apple per il 93% dei casi, in un momento in cui sono in corso di decisione molti provvedimenti-chiave per il Mercato Digitale Unico Europeo. Miguel Arias Cañete, commissario per il Clima e l’Energia, ha invece avuto più contatti con lobbisti (212) rispetto a Oettinger (180).

I gruppi di interesse però non incontrano sempre il vertice decisionale comunitario, anzi: solo nel 19% dei casi il lobbying ha avuto come oggetto un commissario, mentre nel 70 % dei casi sono stati svolti incontri con i membri dei gabinetti.

Per quanto riguarda il budget impiegato per attività di lobbying, al vertice rimangono le multinazionali dell’energia ExxonMobil e Shell (rispettivamente 4,75 e 4,5 milioni di € impiegati), del tech (Microsoft 4,5 e Google 3,5 milioni) e della finanza (Deutsche Bank 4 e Dow 3,75 milioni). Enel prima italiana in questa speciale classifica, con una spesa di 2 milioni di euro in lobbying. Incuriosisce come tra le società che hanno avuto più incontri e hanno un maggior numero di lobbisti registrati a Bruxelles ci sia Airbus, che impiega 1/10 del budget rispetto alle sopracitate multinazionali della Silicon Valley. Le ONG hanno avuto maggior accesso ai decisori della Commissione in materie come Salute e Ambiente (circa gli stessi incontri rispetto alle aziende).

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Cambiamenti climatici, il peso delle lobby nell’Ue [Lettera 43] http://www.lobbyingitalia.com/2015/11/cambiamenti-climatici-il-peso-delle-lobby-nellue-lettera-43/ Thu, 05 Nov 2015 11:41:25 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3023 Settore auto e aziende energetiche in pressing. Rinnovabili e Ong trascurate. Così l’Unione europea si fa influenzare sull’ambiente. La denuncia di ”Ceo”.

C’è grande attesa per la conferenza Onu sui cambiamenti climatici (Cop21) in programma a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre. Un mix di speranza e ottimismo che deve però fare i conti con il fallimento della conferenza Cop15 di Copenaghen nel 2009, quando ci fu un accordo non vincolante dal quale sparirono completamente gli obiettivi di riduzione delle emissioni-serra. I governi questa volta sembrano davvero intenzionati a firmare un accordo globale per combattere i cambiamenti climatici fino al 2050. Ma le Organizzazioni non governative (Ong) già intravedono un compromesso al ribasso: davanti alla possibile catastrofe climatica c’è una scarsa ambizione da parte degli storici inquinatori a cambiare davvero. E l’Unione europea, come denuncia l’Ong Corporate europe observatory (Ceo), tende a mettere le esigenze delle industrie davanti alla salute della gente e del Pianeta.

COMMISSARI MONITORATI. Una denuncia che i watchdog di Ceo hanno deciso di fare dopo aver monitorato l’attività politica dei commissari europei. A partire da quella di Miguel Arias Cañete che a Parigi sarà il capo negoziatore per l’Ue. Il commissario per l’azione per il clima e l’energia ha infatti già detto che se l’accordo di Parigi non porterà, come già deciso a Lima, a mantenere la temperatura media globale al di sotto di 2°C in modo vincolante, «non sarebbe comunque un fallimento», precisando che sì «vorremmo avere un accordo vincolante, ma l’Onu ha bisogno dell’unanimità e non possiamo fare l’errore che abbiamo fatto a Kyoto», quando il Protocollo pur essendo un accordo internazionale vincolante che impegnava i paesi a obiettivi di riduzione delle emissioni, non fu firmato da paesi grandi emettitori come Usa, India e Cina. Anche a Parigi quegli stessi Paesi potrebbe abbassare i target aiutati dalle grandi industrie. A preoccupare le Ong è infatti la tendenza crescente verso un loro coinvolgimento nei negoziati.

CONTRIBUTI DAL BUSINESS. A Parigi la presidenza francese, in collaborazione con la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), ha deciso di creare una sezione speciale per i contributi del mondo del business, che saranno affiancati a un eventuale testo negoziale (originariamente chiamato Lima-Paris Action Plan e ora the Agenda for Solutions). Aziende che già giocano un ruolo fondamentale all’interno del processo decisionale europeo. Con la loro attività di lobbying e la presenza all’interno degli expert group (ex advisory group) dell’esecutivo europeo sono infatti coinvolte nel processo legislativo comunitario sin dal primo step.

LINEE PER LA TRASPARENZA. Per evitare una influenza eccessiva, all’inizio del suo mandato la Commissione Juncker ha scritto delle nuove linee guida sulla trasparenza, che obbligano non solo di pubblicare tutti gli appuntamenti dei commissari e dei loro gabinetti, ma richiede agli stessi che gli incontri siano equilibrati.

Il rapporto Ceo: le grandi aziende di energia sono favorite

Una richiesta che secondo Ceo non è stata rispettata dal commissario per l’azione per il clima e l’energia Miguel Arias Cañete e dal vice presidente e commissario per l’Unione energetica Maros Šefčovič nel loro primo anno di carica.

RAPPORTI PRIVILEGIATI. Nel rapporto Ceo pubblicato il 5 novembre dal titolo Cooking the planet: Big Energy’s year of privileged access to Europe’s climate commissioners (leggi il documento integrale in pdf), si vede come le grandi aziende di energia e di combustibili fossili godono fin troppo di un accesso privilegiato agli uffici dei commissari europei che si occupano di politica climatica. Il dato più sconcertante dello studio è che nel loro primo anno di attività a palazzo Berlaymont, dal novembre 2014 all’ottobre 2015, l’80% degli incontri fatti da Cañete, Šefčovič e dai loro rispettivi gabinetti è stato con i lobbisti dell’industria. Si tratta in tutto di 516 incontri: 413 con le imprese, 79 con aziende di interesse pubblico, 24 alla voce ‘altro’. L’unione energetica è il tema più caldo per i lobbisti, tanto che è stato affrontato con i due commissari e i rispettivi gabinetti in 329 incontri (77 con Ong, 229 con industrie, 23 altri).

RINNOVABILI? SNOBBATE. Ma a colpire è il fatto che il 74% degli incontri avuti tra i due commissari e l’industria energetica per discutere le politiche climatiche, sono stati con le aziende dei combustibili fossili (come British Petroleum, E.on, Statoil e Shell), mentre le aziende che si occupano di energie rinnovabili hanno potuto appena dare un sguardo dentro la stanza dei bottoni. Šefčovič per esempio ha avuto 34 incontri con le cosiddette industrie della dirty energy (dell’energia sporca), e uno solo con il settore delle energie rinnovabili. Facendo un calcolo, per ogni incontro avuto con il settore delle rinnovabili, Cañete (ex presidente di due compagnie petrolifere, Petrolifera Ducar e Petrologis Canarias) ne ha avuto altri 22 con l’industria dei combustibili fossili. Nel complesso, le imprese energetiche ‘sporche’ costituiscono circa il 30% degli incontri con questi commissari e i loro gabinetti.

«DATI PREOCCUPANTI». «Dati estremamente preoccupanti visto i temi sensibili di cui questi commissari si occupano», dice a Lettera43.it Pascoe Sabido, ricercatore e attivista Ceo che avverte «è soprattuto sul gas che il lavoro delle lobby è più forte e concentrato». Nell’ultimo anno Šefčovič e Cañete si sono occupati delle politiche industriali sulle emissioni delle auto, di unione energetica, di Ets (Emissions Trading Scheme, ovvero il sistema europeo di scambio di quote di emissione), e dei negoziati Onu sul clima della 21esima Conferenza di Parigi 2015 (Cop21).

CONFLITTO DI INTERESSI. «Abbiamo registrato un livello preoccupante di facile accesso ai decisori da parte dei rappresentanti delle aziende energetiche», continua Sabido, «coloro che causano i problemi legati all’inquinamento non dovrebbero decidere né suggerire come risolvere il problema e legiferare».

L’accusa: la Commissione Ue si muove in direzione sbagliata

Invece, «mentre la scienza ci dice che dobbiamo urgentemente e drasticamente ridurre le emissioni di gas a effetto serra, aumentare le energie rinnovabili e l’efficienza energetica, la Commissione si sta tristemente muovendo nella direzione opposta», continua Sabido.

SETTORE AUTO IN PRESSING. Un ruolo nella decelerazione del processo legislativo europeo lo gioca l’industria automobilistica, uno dei corresponsabili del cambiamento climatico: il 12% delle emissioni di gas serra in Europa sono dovute all’uso di auto. La riduzione delle emissioni è uno degli obiettivi maggiori dell’Ue che sta lavorando a un nuovo regolamento per il 2017, data già posticipata al 2019 proprio a causa delle pressioni dell’industria.

FRENO CONTRO I TEST SEVERI. La lobby automobilistica ha iniziato la mobilitazione contro il tentativo di mettere limiti di emissione più severi e regolare meglio i test ancora prima che scoppiasse lo scandalo Volkswagen. Negli ultimi 11 mesi ci sono stati 44 incontri tra il mondo dell’auto e i commissari interessati alla materia, in particolare 31 meeting con l’industria dell’auto, 40 con l’industria a esso legata e 4 con Ong e sindacati.

SPESI 18 MILIARDI IN LOBBYING. D’altronde l’industria automobilistica è una delle più potenti lobby di Bruxelles: secondo il Registro per la trasparenza, le case automobilistiche e le loro associazioni di categoria hanno speso oltre 18 milioni di euro nel 2014 in attività di lobbying nelle istituzioni Ue. Al primo posto c’è Volkswagen con 43 lobbisti e 3 milioni e 300 mila euro spesi nel 2014. Seguono Daimler, l’associazione di categoria automobilistica tedesca Vda (Verband der deutschen Automobilindustrie), l’associazione di categoria europea Acea (Association des Constructeurs Européens d’Automobiles) e Bmw.

Incontri quadruplicati, ma non con società di pubblico interesse

Aziende che prima ancora che al parlamento europeo mirano all’organo esecutivo e promotore del processo legislativo, ovvero la Commissione. Durante i suoi primi 11 mesi in carica Cañete ha quasi quadruplicato il numero di di incontri rispetto a Šefčovič: 205 per lo spagnolo di cui 131 con aziende e 63 con società di pubblico interesse, 11 con altri; sono invece 62 per Šefčovič, di cui 48 aziende, 10 pubblico interesse e 4 altri. Mentre il gabinetto di Cañete ha più del doppio degli incontri fatti dal gabinetto di Šefčovič: 460 (339 business, 96 pubblico, 25 altro) rispetto a 200 (151, 33, 16).

SPAGNOLO CON SPAGNOLI. Come se non bastasse c’è anche il conflitto di interessi nazionale: il 22% di tutti gli incontri di Cañete sono con aziende spagnole, solo il 2% degli incontri di Šefčovič sono stati con gruppi del suo Paese di origine, la Slovacchia. Inoltre il 40% degli incontri che Cañete e il suo gabinetto ha avuto con l’industria spagnola sono avvenuti proprio in Spagna. Nemmeno uno è stato con Ong e sindacati.

ONG IN GRUPPI DISPERSIVI. Dati che dimostrano come le aziende abbiano un accesso più agevolato rispetto alle società che rappresentano interessi pubblici, anche se Ceo ha osservato come Cañete in previsione della Cop21 negli ultimi mesi abbia intensificato gli incontri con le Ong, ma organizzando gruppi più grandi rispetto a quelli per incontrare le imprese, che hanno più spesso la possibilità di avere vertici one-to-one con i livelli più alti della Commissione. In otto meeting sono stai incontrati 210 rappresentanti di Ong, in quattro meeting 34 lobbisti delle aziende.

I FOSSILI IN PRIMO PIANO. E ad avere la meglio sono sempre i rappresentanti dell’industria dei combustibili fossili. Dei 669 incontri fatti con le aziende, 282 sono con loro, 383 con industria dell’energia e 4 altri. Cañete in particolare ne ha avuti 78 con l’industria dell’energia, 66 con quella dei combustibili fossili, e il suo gabinetto rispettivamente 180 e 129. Šefčovič invece 34 e 29; il suo gabinetto 91 e 58.

BP ED E.ON SONO DI CASA. Negli ultimi 11 mesi, tra i protagonisti del settore dei combustibili fossili, di casa a palazzo Berlaymont è stato il gigante del petrolio Bp ed E.on: ciascuno dei due colossi ha avuto 15 incontri; segue Statoil con 14, Shell, Engie e Iberdrola con 12 ciascuno, GasNatural Fenosa con 11, Enel 10, Rwe 8, Edf e Eni 7, Repsol e Vattenfall 6, Fortum, Alstom e OMV 5. Per contro, secondo quanto risulta a Ceo, non una sola riunione è stata fatta con aziende energetiche che lavorano esclusivamente nel settore delle rinnovabili, mentre solo sei associazioni di energia rinnovabile hanno avuto incontri.

Tra i temi caldi sul tavolo c’è l’unione energetica

Su 15 incontri con Bp, i temi trattati con il commissario spagnolo e con quello slovacco sono stati: unione energetica, corridoio meridionale del gas, sicurezza degli approvvigionamenti. Nei 15 meeting con E.on si è parlato di sicurezza dell’approvvigionamento di gas, unione energetica e mercato interno dell’energia, investimenti in Algeria, legislazione sui mercati finanziari, stoccaggio del gas, unione energetica e dei colloqui sul gas russo-ucraini. Ma è sui cambiamenti climatici che aziende come Bp ed E.on sono maggiormente focalizzate nel loro lavoro di lobbying. E non stupisce che la potenza di fuoco di queste aziende sia enorme: Bp ha dichiarato una spesa di lobbying per il 2014 di circa 3 milioni di euro, E.on circa 2,3 milioni.

BALKE, FUNZIONARIO AMICO. E come se non bastasse alla Commissione europea, in particolare nel gabinetto di Cañete, i lobbisti E.On hanno un funzionario di riferimento: Joachim Balke. Su sette incontri avuti con il gabinetto, Balke era presente a cinque, in quattro di loro era l’unico membro del gabinetto. Un’attenzione che non è sfuggita ai watchdog di Ceo, che hanno così studiato con attenzione il profilo di Balke.

EX IMPIEGATO DI E.ON. Dopo aver lavorato al parlamento europeo, Balke è stato impiegato di E.on per 4 anni (2004-2008) poi è entrato alla Commissione, dove è passato dalla direzione generale Fiscalità e unione doganale a quella energia con Cañete. Non stupisce così che il primo incontro con il mondo dell’industria avuto dal commissario spagnolo è stato con l’amministratore delegato di E.on, Johannes Teyssen.

LENTZ, CONSIGLIERE FEDELE. Infine Guy Lentz, il consigliere speciale del Commissario Cañete, è un membro del consiglio di amministrazione di Enovos Lussemburgo e lavora anche al ministero dell’economia come coordinatore del Lussemburgo sulle questioni energetiche europee e internazionali. In precedenza ha lavorato alla Shell per otto anni (1993 al 2000). Enovos, che non appare nel registro per la trasparenza, è la più grande società di distribuzione dell’energia del Lussemburgo, opera anche in Germania, Francia e Belgio. Genera elettricità, gas naturale e le energie rinnovabili per aziende e case. Un conflitto di interessi denunciato alla Commissione dall’Ong Ceo. Ma per ora palazzo Berlaymont sembra non voler vedere.

Fonte: Antonietta Demurtas, Lettera 43 (@antodem)

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Quando il lobbying “va di moda” http://www.lobbyingitalia.com/2015/11/lobbying-moda/ Tue, 03 Nov 2015 09:26:09 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3017 Business of Fashion (BOF), uno dei più autorevoli siti online dedicati alla moda, racconta i frequenti meccanismi di lobbying del mondo della moda statunitense, cioè i tentativi di influenzare il potere politico e amministrativo per difendere e promuovere i propri interessi. Com’è facile immaginare, stabilire con esattezza le pressioni delle lobby della moda è piuttosto complicato, vista la discrezione con cui le aziende affrontano l’argomento; BOF ha raccolto alcuni esempi per darne un’idea.

In questi ultimi mesi le lobby si sono concentrate attorno al Trans Pacific Partnership (TPP), un grande trattato internazionale sul commercio che coinvolge 12 paesi affacciati sull’Oceano Pacifico: Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam e soprattutto Stati Uniti. Il TPP prevede la cancellazione o la riduzione di alcune tasse che alcuni paesi applicano alle merci provenienti da altri: al momento l’accordo è stato solo annunciato, non è stato ancora firmato e non se ne conoscono i dettagli in termini di numeri e prodotti.

Le implicazioni del TPP interessano molto il mondo della moda per i vantaggi economici che ne potrebbero derivare. In particolare gli Stati Uniti, il più grande acquirente nel campo dell’abbigliamento, avrebbero un accesso facilitato al Vietnam, il terzo mercato emergente nella produzione di vestiti, dopo la Cina e il Bangladesh. Secondo un’analisi della Footwear Distributors and Retailers of America, la più grande associazione statunitense nel settore delle calzature, nel 2014 le aziende statunitensi hanno pagato 400 milioni di dollari in tariffe doganali per scarpe importate da paesi che partecipano al TPP: l’accordo permetterà di risparmiare parte di questo denaro.

BOF racconta anche i notevoli sforzi della multinazionale di abbigliamento sportivo Nike per far passare il trattato: dal 2006 ha intensificato la sua attività di lobbying sul tema più di qualsiasi altra azienda. L’anno scorso Nike ha speso 1,1 milioni di dollari (quasi un milione di euro) per fare pressioni a favore dell’accordo, a cui si aggiungono altri 560 mila dollari (oltre 500 mila euro) nella prima metà di quest’anno. L’interesse di Nike nel TPP è stato confermato anche dalla visita, a maggio, del presidente degli Stati Uniti Obama al quartier generale dell’azienda a Beaverton, in Oregon, dove ha parlato a favore dell’accordo. In occasione della visita Mark Parker, amministratore delegato di Nike, ha detto che il TPP permetterà all’azienda di creare 10 mila nuovi posti di lavoro nell’industria manifatturiera e nell’ingegneria: «la libera circolazione dei beni nell’economia globale – ha spiegato – sguinzaglierà la nostra capacità di investire e innovare».

Negli Stati Uniti – ma non solo, succede per esempio anche nella Commissione e nel Parlamento Europeo – quella del lobbista è una vera e propria professione, disciplinata da una legge federale, il Federal Lobbying Disclosure Act. La legge regolamenta l’attività di lobbying e prevede un’iscrizione in un apposito registro, così da garantirne la trasparente. Secondo dati della US Federal Lobbyng Disclosures, l’ufficio federale che si occupa della materia, nella prima metà del 2015 le aziende di moda hanno già speso molti soldi per difendere e promuovere i propri interessi, e in particolare il TPP: la National Retail Federation, l’associazione che difende i diritti dei grandi distributori statunitensi, ha speso 3 milioni di dollari (2,7 milioni di euro); i grandi magazzini Target 770 mila (quasi 700 mila euro); e le catene di abbigliamento JC Penney e Gap rispettivamente 410 mila dollari (370 mila euro) e 160 mila dollari (145 mila euro). Sono pochi rispetto a quelli investiti dalle lobby farmaceutiche – che nel 2015 hanno speso complessivamente 1,63 miliardi di dollari (1,47 miliardi di euro) – ma dimostrano comunque il coinvolgimento delle case di moda.

Una lobby può limitarsi a cercare contatti e inviare comunicazioni ai politici – come presentare dati e rapporti a sostegno delle sue richieste – oppure organizzare grosse campagne per influenzare l’opinione pubblica, finanziare campagne elettorali, e addirittura promuovere scioperi e proteste. Le aziende possono assumere lobbisti o pagare un’organizzazione che lo faccia al posto loro: non c’è un tetto massimo alle spese che si possono spendere per le attività di lobby, ma c’è per le donazioni individuali ai politici, pari a 2.700 dollari (2.500 euro) per ciclo elettorale. Julia Hughes, presidente della United States Fashion Industry Association (USFIA), un gruppo di Washington DC che preme per eliminare le restrizioni sul commercio di tessuti e abbigliamento, ha spiegato che il lavoro del gruppo consiste nell’incontrare e sottoporre regolarmente le richieste degli iscritti ai responsabili delle politiche amministrative.

BOF riporta alcuni esempi in cui il lobbying ha funzionato. Il caso più famoso è del 2009 e riguarda la casa di alta moda francese Chanel, il suo direttore creativo Karl Lagerfeld, il gruppo LVMH e altre aziende che si occupano di beni di lusso. Nel 2010 sarebbe scaduta le legge europea per la concorrenza che consentiva ai marchi di scegliere su quali siti vendere la propria merce; sarebbe stata sostituita da un’altra che eliminava le restrizioni sul commercio online. LVMH, Chanel e altre società del lusso temevano che i loro prodotti sarebbero stati così venduti su mercati di massa, come per esempio Ebay, insieme a riproduzioni false dei loro articoli; iniziarono quindi un’operazione di lobbying per impedire all’UE di approvare le nuove norme. Karl Lagerfeld andò a Bruxelles per incontrare Neelie Kroes, responsabile delle politiche di concorrenza della Commissione europea, e per discutere con lei il disegno di legge. Avvocati e lobbisti cercarono di far capire ai politici che la distribuzione selettiva è fondamentale per l’industria del lusso, un settore che produce il 3,5 per cento del prodotto interno lordo dell’UE e dà lavoro a 1,5 milioni di persone. Questa strategia ebbe successo, e la legge che venne poi adottata consente alle aziende di lusso maggior controllo sulla vendita online dei loro prodotti.

Negli ultimi anni le società di moda hanno indirizzato le attività di lobby su temi come l’e-commerce, la sicurezza dei prodotti e la proprietà intellettuale. In quest’ultimo caso la lobby della moda ha però fallito. Nel 2012 il CFDA, Council of Fashion Designers of America, l’equivalente americano della nostra Camera della moda, ha chiesto una legge per garantire tre anni di diritti d’autore agli stilisti che registravano un nuovo prodotto nel giro di sei mesi dalla creazione. Il CFDA assunse due lobbisti ma non riuscì a far passare la legge, in parte perché i politici sono restii a farsi carico di cause che appaiono elitarie e lontane dai problemi della gente, in parte perché la legge sembrava semplicemente proteggere gli interessi delle case di moda e non l’interesse generale.

Negli Stati Uniti le attività di lobby della moda più recenti sono quelle dei negozi di lusso in California, che chiedono un’esenzione dal divieto di importare pelle di coccodrillo. Il governo statunitense deve invece affrontare le pressioni del sito di e-commerce cinese Alibaba per non venire inserito nella lista nera dei siti che vendono merce contraffatta. In Europa il mondo della moda si sta invece muovendo attorno al Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP, in italiano Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti), un accordo commerciale di libero scambio su cui stanno negoziando l’Unione europea e gli Stati Uniti: ci sono già stati incontri tra il dipartimento della Commissione europea che si occupa di moda e aziende come Ralph Lauren, LVMH, Levi’s, InditexEbay.

Fonte: Il Post

 

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Istituzioni UE, è scontro per le norme sul lobbying http://www.lobbyingitalia.com/2015/10/istituzioni-ue-e-scontro-per-le-norme-sul-lobbying/ Tue, 20 Oct 2015 09:10:50 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2996 Il Parlamento Europeo chiede misure stringenti per i lobbisti delle multinazionali che non cooperano in materia fiscale. Ma la Commissione frena

Sanzionare i lobbisti non cooperativi non è di certo una cosa semplice con il sistema normativo attuale. Le istituzioni dell’Unione Europea sono divise sul tema. Da una parte il Parlamento Europeo incoraggia misure più stringenti, dall’altra la Commissione cerca di evitare di entrare a gamba tesa sul tema per non andare a intaccare i sistemi di accreditamento.

Il Parlamento Europeo ha lanciato un comitato speciale in materia fiscale (il Taxe), che è stato però costretto a svolgere le proprie indagini in assenza degli imputati, visto che le grandi multinazionali non si sono presentate per collaborare. Delle 18 grandi aziende contattate dal Taxe per dare chiarimenti fiscali solo Airbus, Total, Bnp Paribas e la società energetica scozzese Sse hanno accolto la richiesta.

Amazon, Anheuser-Busch InBev, Barclays, Coca Cola, Facebook, Fiat Chrysler, Google, Hsbc, Ikea, McDonald’s, Philip Morris, Wal-Mart e Walt Disney si sono tutte rifiutate di testimoniare. Di fronte a questa battuta d’arresto, il Taxe ha chiesto di infliggere dure sanzioni alle multinazionali che hanno rifiutato di cooperare, compresa la sospensione del loro accreditamento al Parlamento Europeo, dove i lobbisti convergono regolarmente per cercare di influenzare la legislazione.

A Bruxelles si conta infatti la presenza di 8396 lobbisti che lavorano nelle istituzioni europee. Ma la Commissione non sta dando alcun sostegno alla proposta del Parlamento e così l’idea rischia di restare solo sulla carta. Ora finalmente sembra che qualcosa possa muoversi sul serio. Il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha espresso il desiderio di raggiungere un accordo comune a proposito della registrazione obbligatoria dei lobbisti in tutte le istituzioni europee.

Fonte Affari Italiani

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Commissione UE sotto i fari dell’Ombudsman: più trasparenza con le big tobacco [L’Espresso] http://www.lobbyingitalia.com/2015/10/commissione-ue-sotto-i-fari-dellombudsman-piu-trasparenza-con-le-big-tobacco-lespresso/ Tue, 06 Oct 2015 07:31:14 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2970 La Commissione europea sotto accusa: omette di censire i colloqui con gli avvocati ingaggiati dai produttori di sigarette. E l’Ombudsman ora scrive: massima trasparenza sulla salute pubblica entro il 31 dicembre.

E’ difficile perdere il vizio del fumo. E nonostante le promesse, la Commissione Ue continua ad avere incontri nascosti con i lobbisti delle sigarette. Lo riconosce l’Ombudsman europeo, la più agguerrita e indipendente tra le autorità che vigilano sulla vita dell’Unione. Ieri il responsabile Emily O’Reilly ha pubblicato un rapporto preliminare sulle relazioni con Big Tobacco: un documento che evidenzia «debolezze intrinseche» nei metodi di lavoro della Commissione, con un approccio «inadeguato, inaffidabile e insoddisfacente».

Si tratta di un settore delicatissimo, sottoposto alle pressioni concentriche dei giganti delle sigarette che fanno di tutto per evitare norme restrittive in difesa della salute. Il più grave scandalo nella storia recente dell’Europa Unita è avvenuto proprio su questo fronte. Nel 2012 il responsabile della Sanità europea John Dalli è stato obbligato a dimettersi dopo che un’indagine dei detective antifrode lo aveva chiamato in causa per una mazzetta da 60 milioni di euro: una tangente destinata ad alleggerire la legislazione Ue in tema di tabacco.

Il dossier dell’Ombudsman ritiene che sia la vecchia Commissione guidata da Jose Manuel Barroso, sia l’attuale presieduta da Jean-Claude Juncker abbiano omesso di rendere noti gli incontri con gli avvocati ingaggiati da Big Tobacco. Vengono registrati solo i colloqui con i lobbisti ufficiali delle aziende e delle associazioni industriali ma non quelli con i loro legali, che formalmente fanno capo di studi professionali indipendenti. Ma per la O’Relly questo è solo un escamotage per violare la convenzione voluta dalle Nazioni Unite nel 2005, che impone la massima trasparenza nelle relazioni tra fabbricanti di nicotina e istituzioni internazionali.

La Commissione ha respinto l’accusa e replica che avere fornito all’Ombudsman i documenti richiesti dimostra come le regole di trasparenza siano state rispettate. Ma il Garante vuole che tutti i colloqui tra alti dirigenti europei ed emissari di Big Tobacco vengano censiti, anche quelli con gli avvocati. E ha dato tempo fino al 31 dicembre per spiegare come intendono risolvere il problema. «La Commissione europea ha una responsabilità particolare nel garantire che le decisioni per la salute pubblica siano quanto più trasparenti possibili», ha dichiarato Emily O’Relly», aggiungendo: «Si tratta di un’opportunità per la Commissione Juncker di diventare un leader globale nella difesa della salute pubblica».

«Questa decisione è una vittoria significativa nella lotta contro i modi di agire sinistri di questa industria letale», ha commentato Olivier Hoedeman, coordinatore delle campagne della ong Corporate Europe Observatory che mette in luce i conflitti di interesse tra grandi aziende e istituzioni europee.

Gianluca Di Feo – L’Espresso

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Timmermans: “Cari lobbisti, noi vi ascoltiamo, ma voi non mentite!” http://www.lobbyingitalia.com/2015/04/timmermans-cari-lobbisti-noi-vi-ascoltiamo-ma-voi-non-mentite/ Tue, 28 Apr 2015 06:04:33 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2784 I lobbisti che mentono saranno buttati fuori dalla Commissione dell’UE, secondo le parole di Frans Timmermans, che sin da quando è entrato in carica ha promesso un registro obbligatorio.

In ogni caso, il piano finale non è produrre la regolamentazione stringente che molti chiedono, ma piuttosto un “gentlemen agreement” tra la Commissione e il Parlamento Europeo per non dare accesso ai lobbisti non registrati.

Il Commissario ha iniziato a portare avanti questo progetto a inizio anno, creando scompiglio tra le società e le imprese iscritte al cosiddetto “Registro per la Trasparenza”, che è tutto meno che trasparente.

ALTER-EU (the Alliance for Lobbying Transparency and Ethics Regulation) ha indicato che nel 2013 Goldman Sachs ha dichiarato una spesa per le attività di lobbying inferiore a 50.000€ per l’UE, davvero poco realistica se paragonata ai 3,6 milioni di $ negli USA.

Nel frattempo, la European Privacy Association, apparentemente innocua nella denominazione, attualmente rappresenta gli interessi di società come Facebook, Google e Yahoo! nel corso del dibattito sull’uso e la protezione dei “big data”. In base al Registro per la Trasparenza, l’EPA ha pochi impiegati e spende solo 450.000€ l’anno, una cifra che sembra non corrispondere a ciò che Microsoft ha ammesso spendere quest’anno: 4,75 milioni di €, dieci volte tanto. Apple dice di avere solo quattro lobbisti nell’Unione Europea, spendendo solo 250.000€.

Alla domanda su cosa farebbe per sanzionare queste società che fanno “interpretazioni creative della realtà”, Timmermans ha tuonato che i bugiardi non sono benvenuti nel suo ufficio. Ha detto che la sanzione dovrebbe essere non registrare del tutto (quindi nessun accesso ai decisori e nessun meeting con i commissari). Però non ha chiarito chi debba monitorare il registro o come si possa capire se le informazioni fornite fossero vere o false.

L’attuale registro volontario ha più di 8.400 registrati, ma è solo la punta dell’iceberg visto che molti attori dell’”industria del lobbying” boicotta il Registro, in particolare i grandi studi legali. Secondo la Commissione, chiunque faccia lobbying, rappresentanza di interessi o advocacy dovrebbe iscriversi al registro, ed è messo in evidenza più “cosa fai” che “chi sei”.

Olivier Hoedeman di ALTER-EU ha dichiarato: “Un Registro rivisto, basato su un accordo inter-istituzionale, farà perdere i meccanismi per verificare se le informazioni del Registro sono corrette, e significherà che non ci sarà possibilità di applicare sanzioni efficaci quando saranno realmente verificate le scorrettezze nelle informazioni”.

Fonte: The Register

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