burson – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 24 May 2016 16:31:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.3 La città delle LOBBY. Il caso Bruxelles http://www.lobbyingitalia.com/2014/02/la-citta-delle-lobby-il-caso-bruxelles/ Fri, 21 Feb 2014 09:25:37 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2182 Un esercito di 30 mila persone. Un giro d’affari da un miliardo l’anno. Così i lobbisti condizionano gli europarlamentari. Pensando al voto

Stati che devono rifarsi un’immagine o che giostrano interessi privati invece che pubblici; multinazionali che si battono per modifcare una direttiva o annacquare un regolamento; alti funzionari che cambiano casacca, escono dalla Commissione e giurano fedeltà all’impresa; uffci di avvocati che dribblano le più elementari regole sulla trasparenza; think tank che sfornano rapporti “indipendenti” anche se vivono grazie a munifci sponsor; sindacati, associazioni di consumatori ed ong che entrano nell’arena decisionale europea agguerriti ma con meno munizioni dei loro rivali…
Non è il Far West, è Bruxelles, dopo Washington la seconda città più lobbizzata del mondo. «Le lobby sono come la stampa gratuita, se vi danno informazioni gratis vuol dire che il prodotto sei tu. Sei tu, deputato, funzionario, diplomatico, commissario, quello da convincere», spiega, sorridendo, il lobbista di un grande gabinetto brussellese che, come tutti i colleghi, si prepara a modo suo alle elezioni di maggio quando arriveranno nuovi eurodeputati da avvicinare, blandire, convincere e che avranno oltretutto il compito di nominare il presidente della Commissione.
L’arte di infuire sul processo decisionale, nella capitale comunitaria, è un affare da oltre un miliardo di euro l’anno, specchio fedele di un potere, quello europeo, in costante crescita e che incide sull’80 per cento delle politiche nazionali e su un mercato di 500 milioni di consumatori. L’impatto di quello che si decide nel triangolo formato da Commissione, Parlamento e Consiglio Ue supera però di molto le frontiere dei 28 Stati membri.
Nel 2012 Hillary Clinton, allora Segretario di Stato, si impegnava in prima persona in una attiva lobby a favore del shale gas in Europa e lo faceva con successo visto che la Commissione Ue, lo scorso 22 gennaio, lasciava gli Stati liberi di gettarsi in questo mercato con grandi vantaggi per le compagnie nordamericane. Una decina di anni prima era Colin Powell a provare a fare di tutto (stavolta con scarso successo) per bloccare il regolamento comunitario Reach sulla chimica.
Imprese e multinazionali da tutto il mondo e governi rampanti, su tutti Russia e Cina, sono di casa a Bruxelles. «Possiamo contare tra i 15 e i 30 mila lobbisti. Un’attività molto lucrativa che è aumentata costantemente dagli anni Novanta», spiega Martin Pigeon di Corporate Europe, una ong – di fatto una lobby contro le lobby – che si prefgge di iniettare trasparenza nella meccanica comunitaria. «I due terzi dei lobbisti», conteggia Pigeon, «lavorano per interessi commerciali privati, il 20 per cento difende interessi pubblici, come Stati, Regioni o Comuni, e il 10 la società civile organizzata.Basta conoscere queste cifre per notare che c’è un problema di sproporzione dei mezzi». La bilancia si può invertire se il dibattito su una direttiva o una politica diventa pubblico: «Ogni volta che una tematica resta tecnica ed interna, la società civile perde, ma se esce sui media, allora anche i cittadini possono incidere, scrivono agli eurodeputati, diventano massa critica. Il rapporto di forza si inverte».
A volte succede. Il 22 gennaio il Commissario Ue al commercio estero Karel de Gucht decide di sospendere i negoziati su alcuni capitoli del TTIP, l’Accordo di Partenariato commerciale tra Ue ed Usa, di fatto la più importante intesa economica del pianeta che punta a integrare due mondi con standard legali e commerciali differenti promettendo benefici per oltre 500 miliardi di euro. De Gucht ha detto stop per lanciare una consultazione pubblica di tre mesi perché i negoziati, condotti nell’assoluta discrezionalità, rischiavano di sollevare un’ondata di indignazione popolare pari a quella che ha fatto naufragare l’Acta, l’Accordo internazionale anticotraffazione e pirateria. «Le ong si lamentano sempre contro le lobby, ma anche loro sono potenti a Bruxelles», sbotta un funzionario della Commissione Ue vicino ai negoziati.
In molti altri casi le cose vanno diversamente. Il 13 dicembre scorso la Commissione Ue doveva presentare i criteri di identifcazione dei perturbatori ormonali, accusati di danni alla salute (tumori e fertilità) e all’ambiente, ma sotto la pressione dell’Acc, l’American Chemistry Council, del Cefc, la federazione Ue della chimica, e di Croplife, che difende l’interesse dei produttori di pesticidi e che conta tra le altre Basf, Bayer, Monsanto, Syngenta, la decisione è stata rimandata sine die. Stesso discorso per il regolamento CO2 auto, annacquato nei suoi obiettivi e soggetto ad una feroce lobby da parte dell’industria delle 4 ruote, con tanto di lettere segrete inviate dai costruttori tedeschi all’allora Commissario Ue all’industria, il teutonico Gunther Verheugen. Non solo: il 95 per cento degli emendamenti arrivati al Parlamento Ue sulla proposta di regolamentazione sui gas fuorurati, quelli di frigoriferi e condizionatori, estremamente dannosi per l’effetto serra, erano stati dettati dai lobbisti.
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Giovane, preparato e prudente
Come si fa lobby a Bruxelles ? «Il lobbista deve essere come Machiavelli», spiega il politologo Rinus van Schendelen, professore a Rotterdam, consulente per imprese e governi ed autore di “L’arte di fare lobby nella Ue: più Machiavelli a Bruxelles”. «Deve avere l’ambizione necessaria per vincere, studiare e prepararsi al meglio e quindi, in battaglia, essere prudente». Una lobby che è diversa dalle altre. «Nella Ue ogni combattimento è molto più duro, competitivo, in gioco ci sono più interessi, se in Italia hai 15-20 gruppi di potere che lavorano su un dossier, a Bruxelles ce ne sono 180-200. Il livello, la dimensione e la qualità della battaglia è molto più elevata».
E al fronte, da sempre, ci vanno i giovani. Karen Massin ha 38 anni ed è direttore operativo di Burson Marsteller, oltre 7 milioni di fatturato e 60 dipendenti, il principale gabinetto di lobby di Bruxelles. «A parte pochi senior adviser, abbiamo tutti tra 25 e 40 anni», spiega in una delle sale conferenza della sede della società, tre piani a Square de Meeus, a poche centinaia di metri dal Parlamento Ue. Caraffe d’acqua e bicchieri riempiono i tavoli. «Parliamo per ore, le riunioni sono lunghe, il lavoro è minuzioso, il lobbista deve fare da tramite tra le imprese, i gruppi di interesse e le istituzioni Ue. La legislazione comunitaria è spesso così: un singolo paragrafo ha un impatto enorme sull’industria».
Interessi che giustifcano grandi investimenti: un lobbista può arrivare a costare fno a mille euro l’ora. In quest’arte cara e minuziosa c’è chi eccelle. «La lobby moderna ha le sue origini negli Usa e gli statunitensi con gli inglesi sono i migliori», snocciola la sua classifca van Schendulen, «seguiti dalle società olandesi, quindi i Paesi scandinavi e, negli ultimi dieci anni, i tedeschi». E poi i nuovi venuti, più rapidi a imparare di quanto non lo siano Paesi fondatori, come l’Italia. «Stanno arrivando a Bruxelles tanti giovani dall’est Europa: Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia. Sono eccellenti professionisti, hanno fatto le università occidentali e sono molto ambiziosi». In fondo alla classifca i Paesi del sud. «Ci sono tante trattorie a Schuman (la rotonda su cui si affacciano Commissione e Consiglio Ue, ndr), ma non basta andare a pranzare per fare lobby».
A ciascuno il suo tornaconto «Negli ultimi anni la concorrenza a Bruxelles è diventata feroce, con una vera e propria guerra dei prezzi», assicura un lobbista. «Lo vediamo sui grandi contratti. Coca Cola ogni tre anni cambia ufficio e quest’anno hanno fatto domanda 12 gabinetti, non s’era mai vista tanta concorrenza». Alla fne ha vinto Interel. «La crisi ha portato al raggruppamento dei piccoli uffici», il parere di Massin, «e ultimamente sono venuti qui diversi gabinetti Usa, a cui le imprese americane preferiscono rivolgersi».
Da Washington si sono accorti che Bruxelles esiste, almeno economicamente. Se gli statunitensi vanno dai loro, i cinesi preferiscono il lobbista locale. «I gruppi di pressione cinesi usano esperti europei come moderni soldati di ventura», spiega ancora Van Schendelen. Altro Paese particolarmente attivo a Bruxelles è la Russia e anche loro si affdano a esperti locali. «Mosca ha iniziato nel 2006, in occasione della Presidenza del G8, a rendersi conto che non sapevano come funzionavano i media occidentali, da allora hanno preso coscienza dell’importanza dell’immagine e si sono rivolti a noi», racconta Benoit Roussel, lobbista per Gplus, uno dei due gabinetti che segue gli interessi di Mosca a Bruxelles. A creare Gplus è stato Peter Guilford, ex portavoce della Commissione europea, che ha portato con sé altri ex colleghi ed ex giornalisti, le due categorie più ambite, perché dal portafoglio denso di contatti. Gplus ha gestito l’immagine di Mosca durante la guerra con la Georgia del 2008 mentre i concorrenti di Aspect Consulting facevano lo stesso per Tbilisi. L’altro gabinetto che segue gli interessi di Putin a Bruxelles è Hill & Knowlton, uno dei big del settore, ma nella rete del Cremlino in Occidente figura anche l’uffcio americano Ketchum e il britannico Portland, fondato da Tim Allen, ex portavoce di Tony Blair.
Regole chiare, ma non per tutti
Nel 2008, sotto la pressione di diverse ong, è nato il primo registro dei lobbisti attivi a Bruxelles. «Si sono iscritti 15-20 mila lobbisti individuali e 6.000 società e», spiega Federica Patalano, ricercatrice nel settore delle lobby e nel gruppo che gestisce il registro, «devono rispettare degli standard etici e di trasparenza, pena la sospensione e la perdita di accesso al Parlamento, ma i controlli non sono dei più stringenti, mancano le risorse per il monitoraggio, anche per questo i numeri non sono precisi». Oltretutto, sono esonerate due infuenti categorie: i religiosi e gli avvocati. Tra le 6 mila società fgurano solo 45 studi di avvocati, pochi per una città come Bruxelles. Non è un caso. «Se un’impresa vuole fare le cose di nascosto va da un gabinetto di avvocati», si lamenta Robert Mack anche lui di Burson Marsteller.
Fuori registro giocano i grandi uffci nordamericani, alcuni a Bruxelles da anni, come Covington, ed altri – Baker Botts, Hogan Lovells – sbarcati di recente per approfttare del mercato aperto dai negoziati per il TTIP. Nessuno di loro è iscritto e nessuno ha voluto dare spiegazioni sul perché preferiscano così.
Nessun commento anche su un’altra pratica in voga, quella del “revolving door” porta girevole: il passaggio dalle alte sfere della Commissione alla lobby. «Da Covington», accusa un lobbista di una società concorrente, «ci sono ex ambasciatori, ex direttori generali o capi unità della Commissione». I casi sono numerosi ed il fenomeno arriva a toccare i Commissari europei: dei 12 che hanno abbandonato la prima commissione Barroso, metà è passata a fare il lobbista. Caso emblematico quello del tedesco Gunther Verheugen che, dimessi gli abiti di Commissario all’industria ha aperto il suo gabinetto di lobby. Unica limitazione: non poter contattare per 24 mesi i suoi ex sottoposti. Altro caso: Serge Abou, un francese per trent’anni in posti chiave della macchina comunitaria, da direttore generale alle relazioni esterne fno ad ambasciatore della Commissione in Cina, una volta andato in pensione nel 2011 ha frmato per il gigante cinese della telefonia Huawei, che ha una un’indagine aperta a Bruxelles per comportamenti anti-competitivi. Huawei, come tutte le grandi frme, non lesina risorse, spendendo ogni anno oltre 3 milioni di euro in lobby a Bruxelles, con contratti ben distribuiti tra Apco, Aspect, Fleishman Hillard, Isc e The Skill Set. Ancora più recente il caso di Philip Lowe, fno al 31 dicembre 2013 direttore generale per l’Energia, che due mesi prima della pensione ha frmato per l’Autorità britannica alla concorrenza (aggiungendo allo stipendio di 19 mila euro anche i 4.500 di gettone per l’agenzia).
Michel Petit, responsabile del serivizio legale della Commissione nonché membro del Comitato etico incaricato di valutare proprio i casi di “revolving door”, una volta andato in pensione è passato a Clifford Chance, che conta come cliente Philip Morris. Il tutto mentre si discuteva la nuova direttiva Tabacco.«Le istituzioni non affrontano il problema in maniera seria, la Commissione, semplicemente, nega», accusa Corporate Europe. Nei 133 casi di possibili confitti di interessi esaminati nel 2013, la Commissione non ha mai ritenuto di impedire al suo ex funzionario di intraprendere una nuova carriera e solo in trenta occasioni ha imposto limitazioni. L’anno prima Barroso aveva detto no una volta su 108. «È la dimostrazione che il sistema funziona», sbotta Antonio Gravili, portavoce del Commissario alla Pubblica amministrazione Maros Sefcovic. «Chi abbandona la Commissione accetta posti per cui sa che non avrà problemi. E lavorare è un diritto, anche per chi va in pensione, non possiamo proibirlo». Proibire magari no, ma controllarli di più, forse sì.
Un chilometro quadrato in cui si concentra un’attività da un miliardo di euro all’anno: da Avenue des Arts a Rond Point Schuman e a salire un po’ fino ai margini del Parco del Cinquantenario, sono questi i limiti in cui si concentra la lobby a Bruxelles. Centinaia di uffici e migliaia di professionisti, censiti dalla guida LobbyPlanet di Corporate Europe, che puntano Commissione, Consiglio e Parlamento Ue e che hanno anche un centro simbolico: l’albero e la stele del lobbista inaugurata più di dieci anni fa dalla popolare Nicole Fontaine, allora Presidente dell’eurocamera, giusto di fronte all’ingresso del Parlamento.
E sempre lì si affaccia la Rappresentanza della Baviera, la più potente regione della Ue, che per 30 milioni di euro ha comprato un edificio storico praticamente incastonato nel Parlamento. Sulla rotonda Schuman, a due passi da Commissione e Consiglio, si affaccia invece la Camera di Commercio Usa, braccio armato a stelle e strisce (e di provata fede repubblicana) nel cuore della Ue, ora più che mai attivo nel cercare di inserire nell’Accordo Commerciale transatlantico il meccanismo di protezione degli investitori, che permetterebbe alle compagnie di chiedere i danni agli Stati. Giusto dietro, in rue Breydel, ha sede Gplus, interessi russi, mentre nel Residence Palace, ex sede della Gestapo nella vicina Rue de la Loi, si trova il Lisbon Council, influente think tank, fondato tra gli altri da da Google, Tesco, Shell, Siemens, che propugna politiche neoliberali, spacciandole per dossier indipendenti.
Prassi simile seguita anche dal rinomato Bruegel, pannell di ricercatori ed esperti di primo piano (vi ha figurato anche Mario Monti) e forte del supporto economico di BNP Paribas, Deutsche Bank, Pfizer e Syngenta. Altra piazza calda, molto vicino al Parlamento, Square de Meeus, qui si trovano i due campioni della lobby, i gabinetti Burson Marsteller e FleishmanHillard, entrambi con fatturati da oltre 7 milioni di euro l’anno. Giusto dietro Edelman The Centre, gabinetto di avvocati che organizza eventi, tra gli altri, per Europa Bio, nome ambiguo per la lobby pro OGM.
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Fare una legge sui lobbisti è un ottimo modo per evitare pasticci sugli appalti (Il Foglio) http://www.lobbyingitalia.com/2010/02/fare-una-legge-sui-lobbisti-e-un-ottimo-modo-per-evitare-pasticci-sugli-appalti/ Sat, 20 Feb 2010 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2010/02/fare-una-legge-sui-lobbisti-e-un-ottimo-modo-per-evitare-pasticci-sugli-appalti/ Interessante articolo de Il Foglio in favore della regolamentazione dell’attività di lobbying. L’articolo porta a supporto delle tesi espresse i risultati della ricerca commissionata da Burson-Marsteller su policy-maker europei ed italiani, già pubblicati su “Il Sole-24 ore” del 24 novembre 2009.

Chi l’ha detto che, nell’eterno braccio di ferro tra Stato e mercato, la regolamentazione sia l’arma affilata dell’uno contro l’altro? Almeno in quella zona grigia che è il lobbying, pragmatica cinghia di trasmissione tra le necessità delle aziende e le possibilità dei politici, le posizioni sono rovesciate.

Da anni i lobbisti chiedono norme; da anni il legislatore nicchia. L’aspetto paradossale è che con gli atti, i decisori politici contraddicono le parole: secondo un’indagine condotta l’anno scorso dalla società Burson-Marsteller, il 57% dei policy-makers europei, e il 60 per cento di quelli italiani, si lamenta per la “scarsa chiarezza degli interessi rappresentati e mancanza di trasparenza”. Viceversa, il 64 per cento degli europei e il 70 per cento degli italiani dicono di trovarsi a proprio agio quando gli interessi rappresentati sono trasparenti. Il “non essere sufficientemente trasparenti” è il maggiore handicap dell’attività di lobbying per il 52 per cento dei decisori europei e il 60 per cento di quelli italiani.

La questione, che periodicamente riaffiora nel dibattito politico, torna di prepo tente attualità alla luce degli ultimi scandali. Quando l’acqua è torbida, è difficile dire cosa si muova sotto la superficie. Da qui, l’incentivo a usare strumenti non ortodossi: la telefonata all’amico, lo scambio di favori, il lobbismo relazionale.

Un filo di ipocrisia pervade la struttura dei rapporti tra gli interessi e i decisori. Tutti dichiarano pubblicamente la propria verginità, salvo poi incontrarsi (neppure troppo di nascosto) nel bordello. All’altro estremo, sorge la tentazione del populismo puritano: come se i due universi delle decisioni pubbliche e degli interessi privati non dovessero neppure sfiorarsi. In realtà, è facile capire come questa strana miscela sia alla base di incomprensioni e degenerazioni. Ed è appunto per questo che un numero crescente di lobbisti chiede all’Italia e all’Europa di dotarsi di una regolamentazione moderna […]

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Il Foglio

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Unione europea: i lobbisti politici contro ogni trasparenza http://www.lobbyingitalia.com/2006/04/unione-europea-i-lobbisti-politici-contro-ogni-trasparenza/ Fri, 14 Apr 2006 00:00:00 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/2006/04/unione-europea-i-lobbisti-politici-contro-ogni-trasparenza/ Dopo il voto contro la costituzione europea di Francia e Paesi Bassi, sarebbe opportuno attirare l’attenzione su un conflitto che pone in evidenza il carattere profondamente antidemocratico dell’Unione Europea, così come il suo ruolo di salvadanaio per l’arricchimento personale di industriali e di trampolino di lancio per gli attacchi alla classe operaia.

Siim Kallas, il commissario europeo incaricato degli affari amministrativi, revisione dei conti e della lotta antifrode, ha annunciato in marzo la preparazione di una iniziativa europea di trasparenza. Per questo sarebbe necessario tra l’altro che i lobbisti professionisti rivelassero gli interessi che rappresentano e le loro fonti di finanziamento.

Niente di sensazionale, direte voi. Dopo tutto, la stampa rigurgita di appelli alla trasparenza e alla responsabilità del settore pubblico “burocratico” e “inefficace”.
Ma Kallas, in un discorso pronunciato alla Nottingham Business School davanti alla European Foundation for Management, ha reso noto che a Bruxelles esistono circa 15000 professionisti del lobbing e circa 2600 gruppi di interesse che vi dispongono di un ufficio permanente. Egli ha stimato che le attività di lobby generano annualmente tra i 60 e i 90 milioni di euro di profitti per i lobbisti. Poiché non esiste nessuna direttiva né tenuta dei conti obbligatoria, nessuno può saperlo veramente. Lo stesso vale per le organizzazioni non governative (ONG) di cui molte dipendono dai fondi pubblici e che forniscono poche informazioni sugli interessi che esse rappresentano. Kallas ammette che la commissione europea ha trasferito più di 2 milioni di euro per “buone cause” ai sedicenti paesi in via di sviluppo attraverso ONG di cui essa non sa molto.

Come sottolineava Kallas, nei siti web di alcune ONG che beneficiano dei fondi comunitari si può leggere che il loro compito principale risiede nel “lavoro di lobby nei corridoi della Commissione”.
O meglio” ha spiegato al suo auditorio della Nottingham Business School, “la Commissione finanzia delle lobby perché dei lobbisti professionisti esercitino delle pressioni su di essa”.
Ma chi sono questi lobbisti? Quali interessi rappresentano?
L’Osservatorio Europeo delle Imprese (CEO), un gruppo di ricerca e indagini situato ad Amsterdam, ha redatto una intrigante guida sul mondo della lobby industriale del quartiere Leopoldo, chiamato “Il quartiere europeo di Bruxelles”. E’ un mondo totalmente sconosciuto al grande pubblico.

L’UE, un terreno fertile per i lobbysti

Dopo gli anni 90, la totalità del quartiere è stato largamente ricostruito per i burocrati europei e il loro entourage di lobbisti, consulenti e mediatori politici. Più di 85000 persone vi lavorano. Solo 15000 persone vivono in quello che era stato un quartiere residenziale e per la maggior parte, questi abitanti sono ricchi eurocrati.

Le ragioni di ciò stanno nel fatto che la complessa struttura decisionale dell’UE, fatta in modo da tenere alla larga il grande pubblico, fornisce un terreno fertile per i lobbisti industriali.
Con più di un migliaio di gruppi di pressione ai quali si aggiungono centinaia di servizi di pubbliche relazioni e di servizi finanziari, studi di procuratori d’affari che offrono i loro servizi di lobby, decine di “think tank” (gruppi di studio) finanziati dalle imprese così come da uffici di “affari comunitari”, Bruxelles fa concorrenza a Washington per il titolo di capitale mondiale del lobbing.

Secondo il CEO, il 70% dei 15000 lobbisti professionisti rappresentano la grande industria. Ogni industria o settore immaginabile beneficia di un gruppo di pressione. Il 20% rappresenta le ONG, compresi i sindacati, i grandi gruppi di organizzazione della salute pubblica, dell’ambiente, ecc. Il 10% rappresenta gli interessi delle regioni, delle città e delle istituzioni internazionali.

Uno dei più grandi gruppi, Hill & Knowlton, occupa forse da solo più persone di quanto possano fare tutti i gruppi sociali e ambientali presenti a Bruxelles. Essi hanno esercitano la loro attività di lobbisti per tutti coloro che possono presentarsi come associazioni commerciali e grandi imprese. Il loro obbiettivo principale è la Commissione europea perché essa sola è abilitata a proporre e a elaborare una nuova legislazione per il Parlamento europeo.

I lobbisti hanno anche come bersaglio il Consiglio dei ministri che avendo l’ultima parola – a porte chiuse- sulle proposte presentate dalla Commissione, rappresenta un altro potere decisionale.

Non si deve dimenticare infine che l’estensione dei poteri del Parlamento europeo ha contribuito a renderlo bersaglio dei lobbisti; a tal punto che nel marzo 2004, la Società dei professionisti in affari europei (SEAP) ha inviato una lettera al presidente del Parlamento europeo per lamentare la mancanza di posti e cuffie per la traduzione destinati ai lobbisti. Si contano quasi 5000 lobbisti accreditati in possesso di lasciapassare che permette loro di un accesso permanente a tutti gli edifici occupati dal Parlamento. Anche se il Parlamento ha la sua sede ufficiale a Strasburgo, possiede grandi immobili anche a Bruxelles. L’insieme del processo parlamentare è diventato tributario dei lobbisti per la redazione delle risoluzioni e degli emendamenti al punto che Chris Davies, un liberaldemocratico britannico deputato al Parlamento europeo, ha affermato in occasione di un seminario di formazione di lobbisti: “Ho bisogno di lobbisti. Conto sui lobbisti”.

Ci si può fare un’idea della perversione dell’insieme della cultura politica facendo riferimento al rapporto redatto dal CEO che riprende le parole di Davies: “In ragione dell’intensità del lavoro e della complessità degli argomenti che sono all’ordine del giorno del Parlamento Europeo, Davies spiegava che era desideroso di ricevere iniziative di emendamenti specifici concernenti le proposte di legge. Davies sottomette questi emendamenti al voto del Parlamento europeo e molte di essi diventano legge europea”.

La “rotazione delle carriere” è un fenomeno ordinario, visto che i membri del parlamento europeo così come gli eurocrati non smettono di acquisire funzioni lucrative negli affari di lobbing a Bruxelles.
L’esempio più famoso è certo quello del britannico Sir Leon Brittain, già Commissario europeo per il commercio estero, divenuto consigliere per gli affari relativi all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) all’interno dello studio di avvocati Herbert Smith, vice presidente della banca d’affari internazionale UBS Warburg, membro del consiglio di amministrazione dell’Unilever e presidente del comitato LOTIS dell’International Financial Services London (IFSL), gruppo di pressione rappresentante i servizi finanziari del regno Unito. Secondo il CEO, il deputato britannico liberal democratico al parlamento europeo Nick Clegg, è un altro esempio; egli raggiunse l’anno scorso a Bruxelles la società di pubbliche relazioni e consulenti Gplus Europe. Il CEO ha anche segnalato dopo che il deputato laburista al parlamento europeo David Bowe, aveva perso il suo seggio nel giugno 2004, annunciava, a mezzo dell’ European Voice, che era alla ricerca di un impiego. “Qualsiasi offerta verrà considerata”, scriveva.

I Lobbisti

Il CEO enumera un gran numero di strategie di lobbing che la società Kimmons & Kimmons espone in uno dei loro stage di formazione. E’ una lettura interessante.

“L’aereo militare” (the gunship) comporta un lobbing aggressivo, che comprende minacce di delocalizzazione nel caso in cui non si abbandoni il progetto ufficiale, e deve essere usato nel caso in cui tutte le altre tattiche siano state vane.
“The Kofi Annan”, conosciuto anche come “cavallo di Troia” o impegno costruttivo, che consiste nel sottoporre ai governi un compromesso mutualmente accettabile.
“Il buon poliziotto e il cattivo poliziotto” (The good cop-bad cop) dove una impresa o un gruppo adotta una linea dura e un altro presenta una soluzione di “compromesso costruttivo”.
“Il dentista” (The dentist) con cui un’impresa o un gruppo che non apprezza un regolamento proverà di estrarre il “dente peggiore” per poi passare ai restanti in seguito.
“La terza parte” (The third party) significa lavorare con le ONG e i sindacati nell’intento di trovare un compromesso per regolare un conflitto.
“L’asino” (The donkey) è la tecnica della carota e del bastone allo scopo di impossessarsi delle chiavi di chi decide.
Premettendo che la società afferma che queste strategie non rientrano nel campo della seduzione e della corruzione, si può dare per certo che esse sono state applicate spesso.

Una delle principali associazioni industriali è l’Unione delle Industrie dei paesi della comunità europea (UNICE), la confederazione padronale europea. Non stupisce che questa preconizzi un mercato del lavoro “flessibile” in seno ad un mercato interno liberato più possibile di ogni “distorsione” fisica, tecnica, fiscale e sociale. UNICE emette analisi dettagliate e commentari su quasi tutta la politica emanata da Bruxelles. Essa non si limita al lobbing di Bruxelles ma, attraverso le federazioni nazionali degli aderenti, pratica il lobbing anche sui 25 governi nazionali europei. Essa ha preteso una moratoria su tutte le nuove iniziative sociali fino a che l’UE non sia divenuta l’economia più “concorrenziale” del mondo.

Secondo il CEO, la scelta degli uffici dell’ UNICE è stata dettata dal fatto che si trovano proprio di fronte alla Direzione generale del mercato interno della Commissione Europea che è ferocemente pro-business. Fino all’autunno scorso, il commissario responsabile della Direzione generale era Fritz Bolkestein, che è all’origine della direttiva sui servizi di interesse economico generale, detta Direttiva Bolkestein, destinata a liberalizzare e aprire i servizi pubblici alle imprese private. Poiché la direttiva è stata rinviata per revisione in seguito a una massiccia opposizione popolare il suo successore non farà altro che ritoccarla un po’.

L’UNICE e la Tavola rotonda europea degli industriali lanciarono la campagna per fare della “competitività” l’ obiettivo primario dell’UE; questo fu raggiunto nel marzo 2000 con l’Agenda di Lisbona il cui obiettivo è di fare della competitività un elemento centrale dell’UE al quale tutti gli altri settori politici devono essere subordinati. A questo fine, l’UNICE pretese e finì per ottenere che l’UE effettuasse nella primavera del 2004 delle valutazioni dell’impatto commerciale relativo a tutta la politica comunitaria esistente e futura. Questo significa che, seguendo l’esempio britannico, sarà impossibile introdurre una legge o adottare una politica che imponga alle imprese costi superiori ai benefici. José Manuel Barroso ha dichiarato che farà dell’Agenda di Lisbona la priorità assoluta della sua presidenza della Commissione Europea.

Tutte le più grandi multinazionali e imprese hanno stabilito le loro sedi nel quartiere Leopoldo. Boeing e Airbus hanno entrambe i loro uffici per gli affari comunitari al Rond-Point Schumann, una posizione ideale che permette di fare un salto alla Commissione europea e al Consiglio d’Europa per avanzare la rivendicazione del dominio mondiale dell’ industria aerea.

La lobby dell’industria chimica è stato uno delle più evidenti per avere organizzato una delle più scandalose campagne della storia dell’Unione Europea. Fino al 99% dei prodotti chimici venduti nell’UE non sono stati sottoposti ad alcun esame ufficiale relativo all’ambiente e alla salute.

Secondo il CEO, il gigante tedesco BASF che dispone di uffici di lobbing a Bruxelles, ha preso il comando del Consiglio europeo dell’industria chimica (CEFIC). Con il sostegno di Bush, il CEFIC ha realizzato una campagna contro gli sforzi dell’UE di regolamentare i prodotti chimici tossici con un sistema di Registrazione, Valutazione, Autorizzazione delle sostanza chimiche (REACH). Il CEFIC ha dispensato milioni di euro in lobbing e in una campagna dei media per ritardare e indebolire il progetto. Sotto la direzione di BASF, il CEFIC ha argomentato che il REACH avrebbe un impatto sfavorevole sulla “competitività” e ostacolerebbe l’obbiettivo comunitario dell’Agenda di Lisbona, di rendere la sua economia la più competitiva del mondo entro il 2010. Delle analisi redatte da consiglieri finanziati dalle imprese presentarono stime largamente e deliberatamente esagerate dei costi che REACH potrebbe richiedere alle imprese così come delle perdite d’impiego che ne deriverebbero.
L’industria chimica fece presto ad avere i governi di Regno Unito, Francia e Germania al suo fianco e il progetto REACH fu considerevolmente edulcorato.

Il CEO dal canto suo ha esaminato le attività di una società di lobbing, Burson-Marsteller, che ha sede in Avenue de Cortenburgh. Una delle società di pubbliche relazioni più controverse del mondo e che contava tra i suoi clienti recenti il Congresso nazionale Iracheno di Ahmed Chalabi, la dittatura birmana e la famiglia reale saudita.

Burson-Marsteller, impiega 45 persone di cui alcuni dirigenti del “front group” per conto di imprese. Uno di questi “front group” è il Forum scientifico e ambientale sul Bromo (BSEF), creato da Burson-Marsteller per i quattro maggiori produttori di bromo al mondo, USA, Israele e le imprese chimiche giapponesi, che si oppongono al divieto del bromo, un additivo ignifugo con gravi effetti collaterali sull’ambiente e la salute. Essi ricorsero ai servizi di Burson-Marsteller quando molti paesi cominciarono a regolamentare l’uso dei ritardatori di fiamma al bromo (BFR) e cercarono di impedirlo colpendo alcuni dei loro prodotti. La ricerca finanziata dal BSEF indica il bromo come buono per l’ambiente in quanto riducendo il fuoco riduce l’inquinamento. Nel maggio 2003, i loro avvocati comunicarono alla stampa che “[i nostri clienti] non esiteranno ad usare tutti i mezzi a loro disposizione nel caso in cui ci sia il minimo rapporto scorretto o inesatto relativo ai BFR e che porti pregiudizi agli affari dei loro clienti”. L’anno scorso, l’UE ha annullato il divieto di un tipo di bromo.

Un esame della carriera del direttore dell’ufficio di Burson-Marsteller a Bruxelles, David Earnshaw, mostra le connessioni che esistono tra i lobbisti, il mondo industriale, le ONG (di cui alcune sono esse stesse grandi imprese) e l’UE. Era stato precedentemente responsabile dell’ufficio di Oxfam a Bruxelles e, prima ancora, aveva condotto la campagna del lobby industriale per la direttiva comunitaria del Patents on Life (”brevetti per la vita”).

Un altro potente gruppo è quello del lobby Biotech, comprendente l’Associazione europea delle sementi (ESA) e l’associazione europea della Bio-Industria. Quattro delle più grandi imprese d’agribusiness e di biotech del mondo (Monsanto, Sygenta, Pioneer (DuPont) e Bayer) sono membri di questi due gruppi che dispongono anche di propri uffici.

ESA auspica l’applicazione di una versione attenuata della direttiva europea concernente le sementi e che determina i termini per l’ etichettaggio delle sementi geneticamente modificate (GM). Mentre all’inizio, l’industria biotech aveva riportato molti successi beneficiando delle politiche che esse preconizzavano, ora si trova a dover affrontare un ritorno della situazione a favore dei consumatori e il fatto che i governi nazionali hanno bloccato tutti i nuovi prodotti. Dopo le campagne aggressive e taglienti condotte contro i gruppi ambientalisti, l’industria ha ora sviluppato molte proposte comunitarie importanti per la “coesistenza” di agricoltura GM e agricoltura tradizionale e biologica, e la Direttiva delle sementi che fisserà i termini al di sotto dei quali sarà necessario etichettare le sementi GM.

Esistono dei think tank di imprese. Uno dei più in vista a Bruxelles è il Centro politico europeo. E’ finanziato dall’industria e mette a disposizione dei media l’ “esperto istantaneo” pronto a commentare gli ultimi sviluppi dell’UE.

Il Centro per la New Europe (CNE) è un altro think tank molto ben finanziato e concepito secondo i modelli americani ultra-destrorsi e molto aggressivi, la Heritage Foundation e il Competitive Enterprise Institute. Esso attacca la politica ambientale europea che dichiara essere basata su una “scienza stantia”.

TechCentralStation, un think tank di destra che dispone di un sito web (www.TechCentralStation.be) finanziato da Microsoft, Exxon e McDonald pubblica degli articoli scritti da ultra-destrorsi americani e europei che denunciano tutta la politica progressista ancora in discussione.
Mentre prima tali organizzazioni erano considerate come marginali, esse fanno ora parte della corrente generale. TechCentralStation per esempio, organizza delle conferenze in collaborazione con il gruppo parlamentare cristiano democratico del parlamento europeo.

Altri think tank industriali comprendono Friend of Europe (Amici dell’Europa), il Foro dell’Europa e la New Defence Agenda (NDA). Il NDA fa parte del crescente complesso dell’industria militare di Bruxelles. Fu fondato nel 2003 ed è finanziato dai fabbricanti di armi Lockheed Martin e BAE System allo scopo di promuovere le spese militari europee.

L’altro gruppo di lobby dell’industria bellica comprende l’Associazione europea dei costruttori di materiale aerospaziale (AECMA) e il Gruppo europeo delle industrie della difesa (EDIG). Anche l’industria bellica mette in primo piano l’Agenda di Lisbona e la competitività per portare avanti la sua causa e far passare le spese attuali dell’UE che sono il 3%, a quelle degli Stati Uniti che sono il 6% del PIL.

La risposta dei lobbisti

L’annuncio esitante del commissario Kallas durante la richiesta di trasparenza dei lobbisti da lui proposta -che tutte le sue proposte possono essere discusse- ha suscitato una opposizione feroce anche da parte di quei gruppi che l’Iniziativa di trasparenza cerca di frenare.

Contrariamente a questa proposta, essi chiedono l’autoregolamentazione, codici di condotta volontari e “responsabilizzazione sciale delle imprese”. Un portavoce dell’ UNICE ha espresso questa riflessione: “Una proposta di maggiore regolamentazione è un’assurdità”. Rogier Chorus, della società dei professionisti degli affari europei (SEAP) una organizzazione commerciale che raggruppa 150 lobbisti creata allo scopo di evitare ogni forma di regolamentazione del lobbing, ha dichiarato che era “un po’ irritato” dal tentativo, visto che SEAP aveva stabilito un codice di condotta etica volontario nei confronti dei lobbisti. Egli ha detto: “A questo punto io non lo accetterei [il registro di divulgazione delle informazioni]”. In un modo arrogante, ha intimato alla Commissione di “rivedere la sua copia” accusandola di corruzione, dicendo che essa farebbe bene a spazzare prima davanti alla propria porta rendendo “i funzionari meno vulnerabili alle bustarelle”.

Rigirando la frittata, ha affermato che una divulgazione obbligatoria del lobbing complicherebbe prima di tutto il compito dei gruppi di interesse più piccoli che farebbero fatica a farsi sentire. Il fatto che i “gruppi di interesse più piccoli”, come per esempio le persone comuni non hanno modo di pagare i grandi salari dei lobbisti, non gli è proprio venuto in mente.
I membri di SEAP sono tenuti a seguire uno stage presso l’ European Training Institute (ETI) concernente il loro codice di condotta. Ci si può fare un’idea di cosa rappresenti uno stage simile rifacendosi all’intervista con il presidente esecutivo di ETI, Daniel Guéguen.
Secondo CEO, Guéguen ha predetto tattiche di lobbing ancora più aggressive. In una intervista recente ha detto : “Penso anche che in futuro si andrà verso strategie di lobbing sempre più dure, verso degli approcci dell’intelligence economica sempre più sofisticati che comporteranno probabilmente il ricorso a pratiche di manipolazione, di destabilizzazione, o di disinformazione”.

Traduzione di Velia Vagnarelli

Jean Shaoul – www.wsws.org

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