Burson-Marsteller – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 24 May 2016 16:31:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.3 Lobby & Poltrone – A Sky Gerritsen lascia. Torna Pugnalin? http://www.lobbyingitalia.com/2015/06/lobby-poltrone-a-sky-gerritsen-lascia-torna-pugnalin/ Sat, 06 Jun 2015 07:54:36 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2812 Eric Gerritsen lascerà Sky Italia entro l’estate. L’executive vice president communication & public affairs, che lavorava nel gruppo televisivo dal settembre 2012, ritiene infatti concluso il suo mandato, soprattutto dopo l’integrazione di Sky in BskyB e, come risulta a ItaliaOggi, per motivi personali avrebbe anche voglia di abbandonare la Penisola per trasferirsi a Londra.

Gerritsen, nel suo incarico, assommava varie deleghe: comunicazione corporate, publicity e magazine, comunicazione interna, Csr, affari regolamentari, affari europei. Da capire se il suo successore le ricoprirà tutte, o se, in parte, verranno redistribuite tra gli altri manager della comunicazione Sky.

In pole position per rientrare nel gruppo, comunque, c’è Riccardo Pugnalin, attuale direttore delle relazioni esterne e istituzionali del gruppo di costruzioni Parsitalia (famiglia Parnasi). Si tratterebbe di un ritorno poiché Pugnalin ha già lavorato in Sky per molti anni, anche come direttore comunicazione e public affairs. Nel 2012 guidava proprio i public affairs, ma, con l’arrivo di Gerritsen, aveva chiuso il rapporto da lavoratore dipendente di Sky, rimanendo, tuttavia, per qualche tempo come consulente, e riportando direttamente all’amministratore delegato Andrea Zappia.

Gerritsen, prima di Sky, era stato in Burson Marsteller dal 1995 al 2012, guidando le operazioni in Italia e la divisione corporate & crisis per l’area Emea, e, in precedenza, aveva lavorato in Armando Testa (come account director tra il 1990 e il 1995) e in Procter & Gamble tra il 1983 e il 1990. Pugnalin, invece, ha un know how più specifi co nelle attività di lobby e public affairs: molto attivo in politica, all’inizio con Bettino Craxi, poi con Marcello Dell’Utri, è tra i fondatori di Forza Italia. Successivamente ha curato gli interessi di Bat (British american tobacco) Italia, prima delle sue esperienze in Sky e col gruppo Parnasi.

Fonte: Italia Oggi

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Il metodo della trasparenza. Lobby e dintorni (Parte #1) http://www.lobbyingitalia.com/2013/11/il-metodo-della-trasparenza-lobby-e-dintorni-parte-1/ Thu, 14 Nov 2013 15:45:42 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=1829 L’accountability di singoli e istituzioni trova il proprio fondamento nella trasparenza, che non è solo mezzo e al contempo fine, ma altresì metodo di svolgimento di ogni attività che abbia pubblica rilevanza. I soggetti che in qualunque ruolo devono rendere conto del proprio operato sono oggi chiamati ad agire secondo modalità idonee a consentire che i propri comportamenti siano pubblicamente verificati e, comunque, giudicati. In questo modo, la loro responsabilità viene sostanziata mediante il controllo che qualunque interessato può operare sui fini perseguiti, sulle motivazioni che ne sono alla base, sulle valutazioni compiute, sugli obiettivi raggiunti e sulle cause di eventuali scostamenti da quelli inizialmente previsti.

Il suddetto controllo può essere, dunque, effettuato solo laddove funzioni istituzionali che richiedono l’utilizzo di pubbliche risorse vengano espletate secondo procedimenti che trovino nella trasparenza il proprio connotato. Di tale principio nelle sue più varie accezioni si è più volte scritto: giova evidenziarne il “filo rosso”.

La posizione di inaccessibilità di cui lo Stato ha sempre goduto rispetto ai soggetti amministrati – collocati in una situazione di sudditanza, per molti versi ancora presente – va da anni gradatamente sfumando. A partire dal 1990 (L. n. 241), la legge ha ammesso che la “casa di vetro” dell’Amministrazione cominciasse a essere illuminata, permettendo al singolo soggetto di accedere agli atti di un procedimento pubblico di cui egli fosse parte in causa. La trasparenza, nonostante le buone intenzioni che inizialmente ne hanno lastricato la strada, non è stata mai compiutamente attuata. A essa da ultimo è stato dedicato un provvedimento (il decreto c.d. “Trasparenza”, d.lgs. n. 33/2013, qui se ne è scritto) che, smentendo l’intitolazione, crea opacità per confusione alla collettività destinataria di informazioni di non agevole fruizione (nonché complicazioni operative a chi sia tenuto ad applicarlo).

E’ stata così ottenuta non la disclosure annunciata, bensì una burocrazia digitalizzata. Peraltro, il decreto citato non è il Foia (Freedom of Information Act); la trasparenza non è “reattiva”, cioè non si concretizza nell’obbligo di assolvere a precise istanze informative avanzate da parte di soggetti interessati, ma viene realizzata solo se proattivamente prevista ovvero qualora qualche amministrazione decida di aprire il forziere della conoscenza di questo o quel dato che la riguardi; in Italia il “rendere conto” non connota spontaneamente lo stile delle istituzioni, come dovrebbe invece avvenire in un Paese evoluto. Gli open data, anch’essi strumento di trasparenza (openness), nonché miniera di elementi da elaborare in funzione dell’innovazione tecnologica, della crescita imprenditoriale e quindi anche del Paese, restano spesso più un auspicio che un “dato” effettivo (come qui si spiega).

Per altro verso, anche l’Agenda digitale, che dovrebbe consentire efficienza alla P.A. e risparmi allo Stato, per molti profili è ancora irrealizzata: l’intrico di competenze e decreti finalizzati ad attuarla ne sanciscono, di fatto, lo stallo (come qui si dimostra). Dal settore amministrativo l’esigenza di trasparenza si è progressivamente estesa a quello normativo, al fine di conferire all’attività di rule making l’evidenza pubblica necessaria per ogni procedimento avente a oggetto gli interessi dei cittadini (come qui si è visto).

La “qualità della regolamentazione”, strumento di semplificazione e dunque di efficienza, è a tutt’oggi un mero auspicio, mentre in ambito europeo continuano le iniziative volte a perseguirla (in materia di semplificazioni, da ultimo, ottobre 2013). La sempre maggiore complessità e numerosità degli interessi da considerare nell’attività di produzione normativa evidenzia l’esigenza di una trasparenza ancora più ampia, affinché la collettività destinataria delle leggi possa verificare l’agire del pubblico decisore e le valutazioni da parte di quest’ultimo poste alla base delle sue scelte.

Poiché non vi è controllo che non abbia a oggetto il procedimento seguito e le motivazioni su cui si basano le decisioni assunte, risulta necessario che il legislatore adotti la trasparenza quale metodo operativo: funzionali a ciò risultano l’analisi e la verifica di impatto (AIR e VIR), che si basano sulla misurazione degli oneri amministrativi (MOA). Gli strumenti citati trovano momento importante nelle consultazioni pubbliche che, preventivamente all’emanazione dell’atto di legge, consentono di portare a conoscenza del pubblico decisore ogni elemento essenziale della materia da disciplinare, affinché egli possa valutare l’impatto delle disposizioni sui portatori degli interessi rappresentati. Dunque, in sede di consultazioni, detti interessi vengono messi a confronto sulla base dell’opera di esposizione e valorizzazione svolta da parte di sappia adeguatamente spiegarli: è poi compito del legislatore quello di compararli, decidere quale soddisfare o cercare comunque una mediazione, dando poi chiara ed evidente descrizione del proprio operato mediante i documenti a ciò finalizzati.

Da quanto fin qui esposto e in forza del più volte richiamato criterio di trasparenza, ci si aspetterebbe che l’attività dei c.d. gruppi di pressione, quali interlocutori delle istituzioni affinché a specifici interessi sia riconosciuta rilevanza in forza dell’attività da essi svolta, trovasse nel nostro ordinamento ambiente normativo idoneo a far sì che essa avvenga secondo criteri di chiarezza, correttezza e pubblica evidenza. Invece, in Italia già solo il termine “lobbisti”, usato per indicare chi intenda esercitare un qualche ruolo attivo – dall’informazione, alla persuasione, all’influenza alla pressione – nei riguardi pubblico decisore, evoca pratiche truffaldine, corruzione, malaffare, clientelismo e, in ogni caso, fini illegali.

Pare che J. F. Kennedy dicesse che un “lobbista” gli consentiva di capire in dieci minuti questioni che i suoi assistenti gli avrebbero spiegato in tre giorni e in decine di fogli. Ciò sintetizza l’importanza che lobby regolamentate come strumenti di comunicazione dinamica ed efficace di istanze diverse potrebbero rivestire per un miglior funzionamento delle istituzioni, per l’efficienza nell’intero sistema e per la democrazia stessa, che nella rappresentanza degli interessi della collettività si sostanzia e che nella trasparenza dei metodi per soddisfarli trova la manifestazione più compiuta.

Giova rammentare che la trasparenza è stata sancita quale principio di funzionamento delle istituzioni comunitarie, nonché quale strumento per avvicinare le istituzioni stesse ai cittadini, con il trattato di Amsterdam (art. 1, comma 2 TUE), in vigore dal 1999. Nel Libro Bianco sulla governance europea (2001), poi, la UE ha affrontato temi dei quali la trasparenza rappresenta espressione: tra questi, l’accesso a documenti istituzionali e a informazioni sui consulenti di cui la Commissione si avvale, la consultazione delle parti interessate e la valutazione d’impatto prima della presentazione delle proposte legislative, ciò per “garantire che si tenga debitamente conto delle esigenze dei cittadini e di tutte le parti interessate”.

Il fine che si è inteso perseguire è quello di offrire a queste ultime “un canale strutturato per le loro reazioni, critiche e proteste”, “rafforzare la cultura della consultazione e del dialogo” e in questo modo, mediante processi che in quanto pubblici e condivisi sono per definizione anche più trasparenti, pervenire a una maggiore “responsabilizzazione di tutte le parti in causa” (come chiarito altresì nella successiva comunicazione contenente “Principi generali e requisiti minimi per la consultazione delle parti interessate” del 2002, oltre che nel Libro verde di cui in appresso). Nel 2005, poi, la Commissione ha avviato un’analisi della sua strategia generale in materia di trasparenza (c.d. Iniziativa Europea per la Trasparenza), comprendente tra l’altro “la gestione delle attività dei gruppi di interesse e delle organizzazioni della società civile”.

Nell’ambito di detta iniziativa, ha adottato il Libro verde  (2006) al fine di “identificare i settori suscettibili di miglioramenti e stimolare un dibattito su tali settori”: tra questi, la definizione di “le attività dei rappresentanti dei gruppi di interesse (lobbisti)” e i “feedback sui requisiti minimi in materia di consultazione” che “contribuiscono a garantire una interazione trasparente tra i rappresentanti dei gruppi di interesse e la Commissione”. Peraltro, nel Libro Verde si ribadisce l’importanza di un “alto grado di trasparenza per garantire che l’Unione sia aperta a un controllo pubblico e renda conto del proprio operato”. In tale prospettiva, appare evidente come il “lobbismo” vale a dire “tutte le attività svolte al fine di influenzare l’elaborazione delle politiche e il processo decisionale delle istituzioni europee” non potesse non costituire oggetto di considerazione in un ambito, quello europeo, ove i benefici derivanti da istituzioni e attività trasparenti sono stati percepiti con molto anticipo rispetto al nostro Paese.

La regolamentazione delle lobby è minimale e volontaria: si sostanzia nell’iscrizione a un registro (dal 2011 comune tra Commissione e Parlamento) che ha lo scopo di far conoscere ai cittadini le organizzazioni, le persone giuridiche e i lavoratori autonomi le cui attività possono avere incidenza sui processi decisionali dell’Unione europea. Il registro contiene informazioni riguardanti il tipo di attività, gli interessi perseguiti e le risorse destinate alle proprie attività da parte di detti soggetti. Essi sono tenuti all’osservanza di un codice di condotta, recante generici obblighi di comportamento (che, a propria volta, si integrano con le regole riguardati i funzionari europei, volte al fine di scongiurare pericoli di corruzione o imparzialità nello svolgimento dei propri compiti), per la cui violazione sono previste sanzioni che tuttavia, a detta degli interessati (si veda la ricerca Ocse di seguito citata), non vengono effettivamente irrogate.

L’attività di lobbying in Europa è stata oggetto di ricerche pubblicate di recente (Burson-Marsteller, Alter-EU e OCSE). Nonostante talune differenze tra le percentuali, esse evidenziano l’esigenza che per l’attività stessa un incremento del livello di trasparenza. Perché la trasparenza è l’elemento che conferisce all’attività di cui si sta trattando un effettivo valore aggiunto, come si vedrà in appresso.

 

Fonte: Vitalba Azzollini – Leoni Blog

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Burson Marsteller, indagine sulle attività di lobbying in 20 Paesi della UE http://www.lobbyingitalia.com/2013/07/burson-marsteller-indagine-sulle-attivita-di-lobbying-in-20-paesi-della-ue/ Sun, 14 Jul 2013 14:58:56 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1569 Regolamentare le attività di lobbying: è possibile ?

Wikipedia definisce lobbying come “un gruppo di pressione, ovvero un gruppo dotato di una organizzazione formale, identificabile e riconoscibile basato sulla divisione funzionale dei compiti che agisce in vista dell’affermazione dell’interesse particolare che ne ha causato la genesi”.

Secondo un’indagine condotta da Burson-Marsteller, una delle società leader nel mercato mondiale delle pubbliche relazioni e della comunicazione, la maggiorparte dei politici intervistati ritiene che sia fondamentale avere una maggiore regolamentazione delle attività di lobbying.

L’indagine realizzata da Burson-Marsteller, sull’efficacia delle attività di lobbying in Europa, ha riguardato oltre seicento membri appartenenti a venti Parlamenti nazionali incluso il Parlamento europeo.

Secondo gli intervistati una buona regolamentazione delle attività di lobbying dovrebbe permettere maggiore trasparenza nelle transazioni e, soprattutto, tenere fuori dalle attività “lobbyisti improvvisati”. Le associazioni di categoria, gli organismi professionali, i sindacati e le ONG, in particolare hanno dimostrato di operare secondo principi etici, trasparenti e soprattutto in modo efficace.

Vito Basile, Managing Director di Burson-Marsteller, afferma che “è rassicurante constatare come, nonostante una serie di significativi scandali che hanno coinvolto alcuni lobbisti, un’attività di lobbying etica e trasparente costituisca la norma e come quest’attività sia ampiamente apprezzata dai policy-maker in tutta Europa”.

Gran parte degli intervistati, tuttavia, ritiene che occorra maggiore regolamentazione, anche se non particolarmente ottimisti in tal senso.

Alcune notizie apparse sui giornali negli ultimi mesi, confermano quanto siano importanti le lobbies per l’aggiudicazione dei grandi appalti internazionali, e confermano altresì quanto sia importante che una precisa regolamentazione definisca in modo certo e concreto il labile confine tra attività di lobbying e corruzione.

Gli intervistati, che ricordiamo appartenere alla classe politica, ritengono che i lobbisti meno trasparenti siano i giornalisti (41%) e gli studi legali (38%). Se si può dire, senza dubbio di smentite, che la poca simpatia che intercorre tra politici e giornalisti sia evidente (e comprensibile), è sugli studi legali che si può avere qualche ragionevole dubbio. Non dimentichiamo che gran parte degli avvocati, con comprensibili difficoltà di lavoro a causa della forte competitività del settore (e della crisi economica), occupano molti scranni nei vari parlamenti europei. In Italia dovrebbe essere la categoria più rappresentata in Parlamento.

Per il 47% degli intervistati i social media ed i media tradizionali, compresi i siti web, non sono considerati particolarmente utili. Di diversa opinione la classe politica italiana, che ha evidenziato la necessità di ricevere informazioni approfondite sui vari temi che deve di volta in volta affrontare. Per quanto riguarda i social media, gli intervistati italiani li ritengono utili e molto utilizzati. Tema che andrebbe senz’altro approfondito. Se non altro per verificare che cosa intendono i nostri politici per “siti utili” alla loro missione politica. Youtube non credo sia incluso nella lista di tali siti.

I lobbisti che curano le aziende del settore energetico (68%) e del settore sanitario (60%) sono considerati i più efficaci mentre fra i lobbisti che seguono le ONG, coloro che vengono reputati più efficaci sono quelli attivi nei settori dell’ambiente (52%) e dei diritti umani (49%).
Fra i lobbisti al servizio di aziende e ONG, si ritiene che i meno efficaci siano quelli che operano per conto del settore delle vendite al dettaglio (13%) e del settore dei beni di consumo (15%).

Nota conclusiva: posso ritenermi sostanzialmente d’accordo su quanto sopra descritto. Un’unica considerazione: se i nostri politici che ci rappresentano nel Parlamento europeo fossero più presenti alle riunioni delle varie commissioni, forse potremmo avere maggiore voce in capitolo in merito a molte decisioni che riguardano l’economia, e non solo. Pertanto, oltre a maggiore regolamentazione, trasparenza e quant’altro, occorrerebbe semplicemente più presenza nelle sedi istituzionali.

Per ulteriori informazioni è possibile contattare Piergiorgio Gambardella di Burson-Marsteller, all’indirizzo di posta elettronica [email protected].

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Lobby, D’Alia: Presto ddl governo per distinguere professionisti da faccendieri http://www.lobbyingitalia.com/2013/06/lobby-dalia-presto-ddl-governo-per-distinguere-professionisti-da-faccendieri/ Tue, 25 Jun 2013 11:26:01 +0000 http://www.lobbyingitalia.com/?p=1596 Il ministro per la Pubblica amministrazione e la Semplificazione, Gianpiero D’Alia, ha ricevuto Robert Mack, presidente della divisione europea del Public Affairs di Burson-Marsteller, società leader nel mercato mondiale delle pubbliche relazioni e della comunicazione. L’occasione è stata data dalla presentazione del V Rapporto sulle attività di Lobbying in Europa, una ricerca che ha coinvolto oltre 600 politici (parlamentari nazionali ed europei, con alti esponenti dei governi nazionali e delle istituzioni della Ue) provenienti da 20 Paesi europei e dall’area di Bruxelles. “L’indagine presentata oggi – ha affermato D’Alia – è una ulteriore conferma della necessità avvertita da questo governo di intervenire per regolamentare le attività di lobbying”.

Sono convinto – ha aggiunto – che una buona democrazia debba fondarsi su un confronto trasparente degli interessi legittimi in campo. Da questo punto di vista, dopo anni di scandali, è venuto il tempo che si possa distinguere il professionista della lobby dal cosiddetto faccendiere, incoraggiando i valori della trasparenza e dell’impegno etico e perseguendo tutte quelle opacità che inquinano il rapporto fra Pubblica Amministrazione e imprese”.

I risultati della ricerca hanno rilevato che quasi il 90 per cento dei politici italiani intervistati sono convinti che le attività di lobbying non siano sufficientemente regolamentate nel nostro Paese, contro una media europea del 56 per cento. Inoltre, il 30 per cento dei policy maker che hanno aderito all’iniziativa sono convinti che il processo di regolamentazione sarà avviato entro i prossimi tre anni. In Europa la percentuale sale al 38 per cento ma resta sempre un dato residuale rispetto al totale. A conferma della necessità di una regolamentazione trasparente, l’83 per cento dei politici italiani intervistati ha sottolineato l’importanza dell’istituzione di un registro obbligatorio per i lobbisti, a fronte di una media europea del 53 per cento.

La richiesta dei parlamentari italiani – ha spiegato il manager di Burson-Marsteller, Robert Mack – è resa ancora più urgente dal dato relativo all’importanza che la Lobby riveste nelle attività politiche: secondo quanto sottolineato dallo studio a livello europeo, quasi 9 intervistati su 10 si sono detti d’accordo o fortemente d’accordo con l’affermazione secondo cui un’attività di lobbying etica e trasparente aiuta l’attività legislativa”.

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