bruxelles – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 03 May 2016 17:24:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Ue, la galassia delle lobby: quasi 10mila nel Registro europeo (AdnKronos) http://www.lobbyingitalia.com/2016/04/ue-la-galassia-delle-lobby-quasi-10mila-nel-registro-europeo-adnkronos/ Thu, 07 Apr 2016 10:00:14 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3228 +50 new entries a settimana, influenzerebbero 75% norme comunitarie

Si chiama ‘Registro per la Trasparenza‘. Istituito dalla Commissione europea, ad oggi 5 aprile questo prezioso data base conta 9.555 lobbies dei paesi membri, Italia inclusa, regolarmente registrate presso le istituzioni di Bruxelles. Una cifra per nulla irrilevante se consideriamo che dalle direttive comunitarie oggi dipende circa l’80% delle leggi nazionali.

Un potere quello delle lobbies in senso stretto o in senso lato tornato alla ribalta della cronaca con l’inchiesta sul petrolio che ha portato alle dimissioni del ministro per lo Sviluppo economico Federica Guidi. Tralasciando il caso specifico italiano è interessante notare la crescita di lobbies e simili presso le istituzioni di Bruxelles, con una media di 50 nuove iscrizioni a settimana nel registro Ue. Solo nella giornata di oggi si segnalano 7 new entries.

Una folta galassia di organizzazioni o gruppi di pressione la cui attività è volta a “influenzare direttamente o indirettamente la formulazione e l’implementazione delle politiche e del processo decisionale delle istituzioni Ue”, si legge sul sito, in nome della “trasparenza” e della “partecipazione dei cittadini”. Troviamo uffici di consulenza, gruppi di categoria, di settore, dell’industria persino studi legali, liberi professionisti, associazioni professionali, charity, ong, organizzazioni religiose e accademiche e tutte quelle autorità pubbliche che hanno un ufficio a Bruxelles con la dichiarata missione di fare valere gli interessi di chi rappresentano.

Nel dettaglio dei 9.555 gruppi registrati, 4.812 sono lobbisti interni, associazioni di categoria, commerciali e professionali; 2.446 sono organizzazioni non governative; 1.129 sono società di consulenza specializzate, studi legali, consulenti indipendenti; 673 centri di studio, istituti accademici e di ricerca; 454 sono rappresentanze di amministrazioni regioni, locali e comunali, enti pubblici o misti e 41 sono organizzazioni che rappresentano chiese e comunità religiose.

Dall’industria (energia e tabacco tra le più attive) agli interessi nazionali questo potere ‘ombra’ secondo alcune stime fornite dal Guardian inciderebbero sul 75% della legislazione comunitaria. Un influenza molto forte che dovrebbe prevedere adeguati contrappesi nelle associazioni dei consumatori. Peccato che a Bruxelles ci sia solo un’unica organizzazione in nome degli interessi dei consumatori europei, il Beuc, Bureau of european consumer organisations: 35 impiegati al 2014 e metà del budget soggetto a difficili negoziati con l’Ue.

Fonte: AdnKronos

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Commissione UE, verso una riforma del Registro per la Trasparenza http://www.lobbyingitalia.com/2016/03/commissione-ue-registro-trasparenza/ Tue, 01 Mar 2016 16:38:21 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3174

Nuova consultazione della Commissione sul Registro per la Trasparenza delle lobby. La domanda principale è: sarebbe opportuno renderlo obbligatorio per tutte le istituzioni dell’UE?

Il 1º marzo la Commissione avvierà una consultazione pubblica di 12 settimane per raccogliere contributi sull’attuale regime di registrazione per i rappresentanti di interessi che cercano di influenzare il lavoro delle istituzioni dell’UE e sulla sua evoluzione verso un registro obbligatorio dei lobbisti esteso al Parlamento europeo, al Consiglio dell’Unione europea e alla Commissione.

Il primo Vicepresidente della Commissione Frans Timmermans ha dichiarato: “L’attuale Commissione sta modificando il nostro modo di lavorare, che evolve verso un maggior coinvolgimento dei soggetti interessati e una maggiore trasparenza a proposito di chi incontriamo e perché. Dobbiamo andare ancora oltre e stabilire un registro obbligatorio, valido per tutte e tre le istituzioni, che garantisca la piena trasparenza sui lobbisti che cercano di influenzare l’elaborazione delle politiche dell’UE. Per riuscire a mettere in pratica correttamente questa proposta ci auguriamo di ricevere il maggior numero di contributi possibile da cittadini e soggetti interessati di tutta Europa sul funzionamento dell’attuale sistema e sulla sua evoluzione. Un’Unione europea più trasparente e responsabile è un’Unione in grado di fornire risultati migliori ai cittadini.

La Commissione ha elaborato una consultazione in due parti che consentirà di raccogliere le opinioni di un’ampia gamma di soggetti interessati, della società civile e dei cittadini. La prima fase della consultazione, che non richiede una conoscenza approfondita dell’attuale registro per la trasparenza, consente ai non esperti di rispondere a domande sui principi e sull’ambito di applicazione; la seconda sezione intende invece raccogliere pareri sul funzionamento pratico dell’attuale sistema da parte di coloro che lo utilizzano. I documenti della consultazione sono disponibili in tutte le lingue dell’UE per consentire un ampio feedback. La consultazione terminerà martedì 24 maggio.

Il nuovo sistema, che la Commissione intende presentare come proposta di accordo interistituzionale, costituirebbe un’evoluzione rispetto al registro attuale, gestito congiuntamente dal Parlamento europeo e dalla Commissione ma non obbligatorio e non esteso al Consiglio. Le riforme interne alla Commissione hanno già determinato un netto aumento delle iscrizioni al registro per la trasparenza: al 1º marzo nel registro figurano 9.286 iscritti rispetto ai 7.020 del 31 ottobre 2014, prima cioè dell’entrata in funzione della Commissione e delle sue riforme. La Commissione ritiene che lavorare insieme ai colegislatori del Parlamento europeo e del Consiglio sia determinante per consentire ai cittadini di avere una visione d’insieme su quali rappresentanti di interessi cercano di influenzare il processo legislativo. La consultazione pubblica servirà da base per la proposta che la Commissione presenterà nel corso dell’anno.

Contesto

La Commissione ha già intrapreso importanti riforme della propria organizzazione interna per promuovere una maggiore trasparenza. In base ai metodi di lavoro della Commissione Juncker, i commissari non possono più riunirsi con organizzazioni che non figurano nel registro per la trasparenza. In linea con l’iniziativa per la trasparenza, introdotta nel novembre 2014, tutte le riunioni tra rappresentanti di interessi e commissari, membri dei gabinetti e direttori generali della Commissione devono essere rese pubbliche entro due settimane dal loro svolgimento.

Nel suo primo anno di attività la Commissione ha pubblicato informazioni su oltre 6.000 riunioni (delle quali circa 5.500 con commissari e membri dei gabinetti e 600 con direttori generali). L’introduzione di questo nuovo sistema ha di fatto reso l’iscrizione nel registro per la trasparenza un requisito obbligatorio per qualsiasi soggetto intenzionato a incontrare i più alti responsabili politici e funzionari dell’UE.

L’impegno della Commissione di presentare la proposta di un registro per la trasparenza obbligatorio esteso a tutte le istituzioni europee figura anche negli orientamenti politici del presidente Juncker e nel programma di lavoro 2016 della Commissione. La Commissione ritiene che i cittadini abbiano il diritto di sapere chi cerca di influenzare il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione nel processo legislativo.

Le modifiche previste per il registro per la trasparenza sono parte di un più ampio progetto di riforma del modo di elaborare le politiche nell’UE. Nella sua agenda “Legiferare meglio, presentata nel maggio 2015, la Commissione si è assunta l’impegno di aprire ulteriormente il processo di elaborazione delle politiche al controllo e al contributo dei cittadini. Sono già stati istituiti nuovi meccanismi di feedback che consentono ai soggetti interessati di manifestare alla Commissione il loro punto di vista fin dall’inizio dell’elaborazione di un’iniziativa, sulla base di tabelle di marcia e valutazioni d’impatto iniziali, e in seguito all’adozione di una proposta da parte della Commissione, in modo da contribuire al processo legislativo in seno al Parlamento e al Consiglio.

Altri strumenti che consentono ai soggetti interessati di presentare osservazioni sulla legislazione esistente sono previsti nel quadro del programma REFIT. Il sito web “Ridurre la burocrazia — dite la vostra!” è già operativo e consente ai cittadini di fornire un feedback su norme dell’UE esistenti. I contributi ricevuti vanno ad alimentare l’operato della piattaforma REFIT, che offre consulenza alla Commissione sugli ambiti legislativi che andrebbero riesaminati per rendere la legislazione dell’UE più efficace ed efficiente.

Nel novembre 2014 la Commissione ha infine adottato una comunicazione che delinea una maggiore trasparenza nei negoziati per il partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP). La Commissione ritiene fondamentale garantire che l’opinione pubblica abbia accesso a informazioni accurate ed esaurienti sulle intenzioni dell’UE nell’ambito dei negoziati.

La consultazione pubblica sarà aperta fino all’1 giugno 2016 al seguente link.

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Il lobbying dei (e per) i buoni http://www.lobbyingitalia.com/2016/01/il-lobbying-dei-e-per-i-buoni/ Sat, 09 Jan 2016 08:40:17 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=3116 (Francesco Angelone) L’attività di lobbying come indicatore di deficit democratico e come strumento per restituire nelle mani dei cittadini il potere decisionale. Sembrerebbe una contraddizione in termini ma non lo è se a cambiare è il soggetto di tale attività. È quello che sostiene la Wake Up Foundation, organizzazione no-profit impegnata, con la campagna Wake Up Europe!, nel tentativo di ridistribuire in maniera più equa il potere politico in favore dei cittadini. La fondazione, presieduta e guidata dalla giornalista e regista italiana Annalisa Piras e dal giornalista inglese Bill Emmott, co-autori del documentario Girlfriend in a Coma uscito nel 2012, nasce proprio con l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo le “pericolose tendenze attualmente in corso nelle società occidentali”.

La campagna Wake Up Europe! scaturisce da un secondo docu-film diretto dalla Piras ed uscito nel 2015, The Great European Disaster Movie, che affronta il tema della crisi europea. Nel documentario, ambientato in un futuro prossimo, l’Unione Europea è solo un ricordo. Su un aereo che affronta turbolenze durante il volo e che non riesce ad atterrare su nessuna pista, un archeologo (scelta emblematica) spiega ad una bambina di essere in ritardo per una conferenza sull’Unione Europea nella quale deve intervenire. La bambina gli chiede cosa sia l’Unione Europea e a quel punto comincia un viaggio nel passato, un passato dove i nazionalismi e gli indipendentismi hanno messo la parola fine al sogno dei padri fondatori. L’Europa oggi, secondo il team di Wake Up Foundation, è a rischio implosione e lo è soprattutto per la scarsa consapevolezza dei cittadini su quanto sta accadendo.

Il lobbying allora che ruolo ha in tutto ciò? In un contesto politico come quello dell’Unione Europea, che appare a molti troppo poco trasparente e distante dai cittadini, che non vedono come poter entrare in contatto con le istituzioni europee, cresce lo spazio per il corporate lobbying che finisce per dominare il processo legislativo. Tanto ignari sembrano essere i cittadini dei diritti forniti loro dalla legislazione europea quanto consapevole il mondo degli affari sembra essere dei propri.

Bruxelles, il luogo dove vengono prese le decisioni, è chiaramente una postazione privilegiata per osservare quanto accade in Europa. Nella capitale del Belgio e d’Europa sono attivi circa 30 mila lobbisti se si contano anche quelli non iscritti al Registro per la trasparenza di Commissione e Parlamento, un esercito pari per numero solo a quello dello staff in servizio presso la Commissione europea. Figurano in questa stima anche le ONG, spesso mal equipaggiate per rappresentare gli interessi dei cittadini europei per carenza di personale, per la natura stessa degli interessi che devono rappresentare e per il budget di cui dispongono. Ne consegue che, seppure parlino a nome di molti, la loro voce non arriva forte come quella della di pochi più attrezzati alle orecchie dei decisori pubblici europei.

Oggi, però, per sovvertire questa tendenza i cittadini hanno a disposizione una serie di strumenti forniti dalla rivoluzione informatica ma anche uno strumento più tradizionale come quello della collaborazione, anche pro-bono. Negli Stati Uniti è in pieno svolgimento il fenomeno per cui appassionati e volontari qualificati forniscono la propria esperienza, strategie, marketing e risorse umane di cui le organizzazioni hanno bisogno. In Europa il fenomeno, più irregolare e frammentato, sta comunque guadagnando slancio.

the good lobby

Per far incontrare la domanda e l’offerta di know-how, le ONG e i volontari qualificati, la Wake Up Foundation ha istituito The Good Lobby, una piattaforma online dove studenti, accademici e chiunque voglia può fornire assistenza per le attività di advocacy di cui si occupano le ONG. Per mettere a disposizione le proprie skill di diritto comunitario, comunicazione e sviluppo delle policy è sufficiente iscriversi alla piattaforma. Saranno le ONG a rivolgersi alla piattaforma per trovare le competenze di cui hanno bisogno e questa favorirà l’incontro di domanda e offerta e la loro collaborazione.

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Bruxelles corrotta, Europa infetta | L’Espresso http://www.lobbyingitalia.com/2015/10/bruxelles-corrotta-europa-infetta-lespresso/ Fri, 02 Oct 2015 13:42:28 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2957 Nuova inchiesta de L’Espresso, molto negativa sul mondo del lobbying comunitario.

Tangenti. Sprechi. Inefficienza. Istituzioni al servizio di lobby potenti e occulte. Ecco tutti i pubblici vizi della capitale. Che affossano la fiducia nell’Unione.

È UN TOUR TRA GLI EDIFICI più importanti della città: dalla residenza reale al museo di belle arti, dagli uffci ministeriali alle carceri, dall’osservatorio astronomico al palazzo di giustizia. Sono maestosi, coperti di marmi e statue a testimoniare la solidità della virtù pubblica. Eppure per dieci anni a gestirli è stata una cricca: ogni appalto una mazzetta, altrimenti non si lavorava. Tutti sapevano, nessuno ha mai denunciato la rete criminale che ha trasformato il cuore del Paese in una vera Tangentopoli. Non stiamo parlando della gang romana di Mafia Capitale, questa è Bruxelles: due volte capitale, del Belgio e dell’Europa. E due volte corrotta, nell’intreccio d’affari tra poteri locali e autorità continentali. Qui non si decide soltanto la vita di una nazione lacerata dalle tensioni tra valloni e fiamminghi, ma il destino di mezzo miliardo di persone, cittadini di un’Unione che mai come in questo momento si mostra debole e inconcludente. Dall’inizio del millennio la fiducia degli italiani, come evidenzia il sondaggio Demopolis, è crollata e solo uno su quattro crede ancora nell’Europa. Bruxelles però è anche il laboratorio in cui la corruzione si sta evolvendo. La mutazione genetica delle vecchie bustarelle in un virus capace di intaccare in profondità la reputazione delle istituzioni europee, diffuso silenziosamente da quei soggetti chiamati lobby. Realtà estranee alla tradizione democratica dei nostri Stati nazionali e molto diverse dai modelli statunitensi, perché qui non ci sono leggi che le regolino, né sanzioni che le spaventino: le lobby sono invisibili e allo stesso tempo appaiono onnipotenti.

LA GIUSTIZIA IMPRIGIONATA Il simbolo è Place Poelaert, la grande piazza panoramica affacciata sul centro storico di Bruxelles. Da un lato c’è il palazzo di giustizia, con la cupola dorata che svetta sull’intera città: una muraglia di impalcature lo imprigiona da cima a fondo, soffocando le colonne dietro un gigantesco castello di assi che marcisco no tristemente. Il cantiere dei restauri è abbandonato da otto anni, da quando i titolari sono stati arrestati, assieme ad altri 33 tra imprenditori e funzionari accusati di avere depredato l’intero patrimonio immobiliare statale. Proprio di fronte al palazzo della giustizia impacchettato c’è uno splendido complesso rinascimentale, con un giardino impeccabile. È la sede del Cercle de Lorraine, “the business club”, come recita la targa: l’associazione che raccoglie gli industriali più prestigiosi del Paese, baroni e visconti da sempre padroni del vapore assieme ai manager rampanti della new economy. Lì, tra sale affrescate e camerieri in livrea, promuovono i loro interessi. Insomma, sono una lobby. Una delle oltre seimila che presidiano la capitale europea, con più di 15 mila dipendenti censiti mentre altrettanti si muovono nell’oscurità. A Bruxelles il colore degli affari rispecchia il cielo perennemente coperto: si va dal grigio al nero. Non a caso, la frase magica della cricca degli appalti era «bisogna che il sole splenda per tutti».

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IL CANTIERE INFINITO Oggi la città è tutta un cantiere. Sono centinaia. Dall’aeroporto al quartiere generale della Nato, dalla periferia al centro storico si vedono ovunque gru e ruspe all’opera. Per non essere da meno, anche il Parlamento europeo vuole abbattere l’edificio dedicato a Paul-Henri Spaak, completato nel 1993 con un miliardo di spesa: il progetto prevede altri 750 uffici per i deputati del presente e del futuro, rappresentanti delle nazioni che aderiranno all’Unione negli anni a venire. Se però dal Palazzo di Giustizia si va verso il Parlamento percorrendo la chaussée d’Ixelles, la frenesia cementizia si mostra in una luce diversa. La lunga arteria è stata completamente rifatta nel 2013, solo che al momento dell’inaugurazione c’è stata una sorpresa: i marciapiedi erano troppo larghi e gli autobus finivano per incastrarsi l’un contro l’altro. Hanno ricominciato da capo, di corsa. Appena riaperta al traffico, però, la pavimentazione allargata non ha retto al peso dei pulmann e si è riempita di buche, manco fosse Roma. E giù con la terza ondata di lavori: ora la strada sembra una chilometrica sciarpa rattoppata. Ixelles è un comune autonomo, perché Bruxelles in realtà è un insieme di diciannove piccoli municipi indipendenti, ciascuno con il suo borgomastro. In questo periodo il meno sereno è il sindaco di Uccle, che per undici anni è stato pure presidente del Senato belga. Come avvocato ha difeso una masnada di magnati kazaki, ottenendone l’assoluzione. In cambio ha ricevuto 800 mila euro. «Compensi professionali», ha spiegato Armand De Decker. Il sospetto invece è che la scarcerazione degli oligarchi sia il tassello di un intrigo internazionale: una clausola del patto segreto tra il presidente kazako Nazarbayev e l’allora collega francese Sarkozy per la vendita di elicotteri, in cui era previsto anche «di fare pressione sul senato di Bruxelles». Un’accusa formulata dagli inquirenti parigini, perché le procure locali si guardano bene dall’indagare. Gli investigatori belgi non hanno fama di efficienza né di indipendenza. La storia recente del Paese è costellata di scandali che si perdono nel nulla, tra trame occulte e massoneria: i parallelismi con l’Italia sono forti e anche qui prospera una cultura del sospetto, che porta i cittadini a diffidare della giustizia. L’inchiesta sulla tangentopoli capitale è partita nel 2005, le sentenze di primo grado ci sono state solo quattro mesi fa. I dieci dirigenti della Régie des Batiments, che per un decennio hanno intascato almeno un milione e 700 mila euro, se la sono cavata con condanne irrisorie. «I fatti sono gravi, ma ormai antichi», ha riconosciuto la corte.

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IL BAROMETRO DELL’ONESTA’ Questa giustizia lenta e spesso inefficace è anche arbitro di parecchi dei misfatti che avvengono nei palazzi della Ue. Sono le magistrature nazionali a procedere penalmente contro i corrotti, perché le agenzie europee possono minacciare soltanto sanzioni amministrative: la punizione massima è il licenziamento, una rarità, mentre più frequenti sono le retrocessioni di grado e soprattutto le lettere di richiamo. Di certo, non un grande deterrente per rinsaldare la moralità dei commissari, dei 751 deputati e dei 43 mila funzionari che gestiscono ogni anno oltre 140 miliardi di euro e scrivono leggi vincolanti per 28 Paesi. Mentre anche dalla loro onestà dipende la credibilità di un organismo sempre meno rispettato. L’istituto statistico più autorevole, Eurobarometro, due anni fa ha lanciato l’allarme: il 70 per cento dei cittadini ritiene che la corruzione sia entrata nelle istituzioni europee. Lo credono 27.786 persone, selezionate scientificamente per rappresentare l’intera popolazione dell’Unione. È un dato choc. La Commissione ha reagito annunciato una crociata contro le tangenti in tutto il Continente. Ovunque, tranne che nei suoi uffici: nel 2014 il primo rapporto anti-corruzione nella storia della Ue ha sezionato i vizi di ogni Paese, senza però fare cenno ai peccati dentro casa: quella che la Corte dei Conti europea ha definito nero su bianco «un’infelice e inspiegabile omissione». D’altronde la presidenza di Jean-Claude Juncker è cominciata nel peggiore dei modi. Le rivelazioni di LuxLeaks – pubblicate in Italia da “l’Espresso” – hanno messo a nudo il suo ruolo nel trasformare il Lussemburgo nel Bengodi delle aziende in cerca di tasse irrisorie. Per riscattarsi, Juncker ha promesso una sterzata contro l’iniquità fiscale legalizzata. «Ma finora la Commissione è stata passiva su questa materia», sottolinea Eva Joly, per anni il giudice istruttore più famoso di Francia, che ha portato alla sbarra i crimini delle grandi aziende, ed ora è eurodeputato verde: «La follia è che abbiamo al vertice dell’Europa l’uomo che ha arricchito il Lussemburgo grazie alle tasse rubate agli altri, con guadagni che continuano a crescere. Nel Parlamento i verdi hanno imposto la creazione di un comitato speciale: il primo rapporto sarà pronto tra un mese e sarà molto duro. Anche i conservatori ora hanno capito e c’è la volontà di piegare i paradisi fiscali: sono convinta che il Lussemburgo dovrà adeguarsi o uscire dall’Unione».

Espresso Bruxelles 4IL GRANDE CIRCO Quello che Juncker costruito in Lussemburgo, a Malta lo ha realizzato John Dalli, il ministro che ha fatto dell’isoletta una piazzaforte finanziaria, graditissima agli investitori italiani più spregiudicati e ai miliardi rapidi delle scommesse. Poi nel 2010 Dalli è entrato nel governo dell’Unione: come commissario per la salute ha avuto in mano dossier fondamentali, incluso il via libera alle coltivazioni ogm. Finché la sua carriera non si è trasformata in circo. Letteralmente. Il suo vecchio amico Silvio Zammit, pizzaiolo e impresario circense part-time, è andato in giro chiedendo soldi per conto del «boss». Ha prospettato a una holding svedese la possibilità di spalancare il mercato eu ropeo a un prodotto che piace molto agli scandinavi: lo snus, il tabacco da masticare. Una passione da pirati e cowboy, fnora proibita nel resto della Ue, con potenzialità miliardarie: rimpiazza le sigarette anche dove il fumo è vietato. In cambio Zammit ha chiesto una somma niente male: 60 milioni di euro, poco meno della storica tangentona Enimont. La questione è arrivata sul tavolo dei detective dell’Olaf, l’unità antifrode eu ropea guidata dall’italiano Giovanni Kessler. Con investigatori provenienti dalla Guardia di Finanza, perquisendo di notte l’uffcio del commissario, sono stati trovati «indizi plurimi» del coin volgimento personale di Dalli. Nell’ottobre 2012 l’allora presidente Barroso ha obbligato il maltese alle dimissioni, frmate molto controvoglia. Tant’è che quando, dopo la sostituzione del capo della polizia, l’indagine penale nell’isola è stata archiviata, Dalli ha cominciato a sparare denunce dichiarandosi vittima di un’ingiustizia. E il parlamento ha criticato l’azione dell’Olaf: «Dal rapporto dei supervisori emergono molti dubbi sui metodi del nostro istituto antifrode più importante, che nei resoconti manipola le statistiche per presentare risultati migliori del reale», sancisce l’eurodeputato verde Bart Staes, membro di spicco del comitato che vigila sul budget, altro ca posaldo del sistema di controllo. L’Olaf si è trovata ai ferri corti pure con la Corte dei conti, a cui ha contestato appalti oscuri. Che a sua volta ha rimandato le accuse al mittente. Insomma, un tutti contro tutti, con esiti abbastanza deprimenti per l’affidabilità dei custodi di Bruxelles. Oggi l’Europa sembra avere tanti cani da guardia litigiosi. E tutti con la museruola: abbaiano, ma non mordono. Il loro compito infatti si limita a suggerire provvedimenti. Fuori dai palazzi della Commissione, non hanno poteri e devono invocare l’aiuto delle polizie nazionali. Che – tra interessi patrona li e differenze normative – non sempre collaborano. I detective europei hanno bisogno di un’autorizzazione pure per ascoltare i testimoni. All’Olaf ogni indagine è affidata a una coppia di ispettori, senza assistenti: si fanno da soli pure le fotocopie e passano più tempo a difendersi da tiro incrociato delle altre autorità che non a investi gare. Il feeling che si respira è negativo, come se la lotta alla corruzione interna non fosse una priorità, anzi, dei primi eletti del movimento anti-europeo inglese: nei comizi urlava contro il malaffare di Bruxelles, poi falsificava le note spese. Janice Atkinson, sempre dell’Ukip, a marzo si è fatta triplicare la ricevuta dopo il cocktail con la moglie del leader Nigel Farage – 4350 euro invece di 1350 – mentre la sua assistente si vantava: «È un modo di riportare a casa i nostri soldi». E quando nel 2011 un reporter del “Sunday Times” si è finto lobbista, offrendo denaro in cambio di emendamenti a sostegno della sua società, tre deputati hanno abbocca to subito. Due – un austriaco e uno sloveno – si sono dimessi e sono stati condannati in patria. Il terzo, l’ex ministro degli Esteri romeno Severin, è ancora al suo posto mentre l’istruttoria a Bucarest langue. Distinguere tra lobbisti veri e falsi non è facile. A Bruxelles è stato istituito un registro per queste figure, senza vincoli né sanzioni: chi vuole si accredita. L’attivissima sezione europea di Transparency International un mese fa ha dimostrato che metà delle 7821 dichiarazioni ufficiali delle lobby era no «incomplete o addirittura insensate». E in tanti si sottraggono al censimento, a partire dagli studi legali: un’armata che esercita un’influenza nascosta. La soluzione? «Rendere obbligatoria l’iscrizione al registro», spiega Carl Dolan di Transparency. «E bisogna vietare ogni contatto con chi non è iscritto», aggiunge Staes: «Devo ammettere però che in Parlamento non esiste una maggioranza favorevole al registro obbligatorio. Noi verdi, come i 5 stelle italiani e alcuni esponenti socialdemocratici, ci stiamo battendo, molti invece sono contrari».

PORTE GIREVOLI Tra i palazzi delle istituzioni e quelli dei potentati economici ci sono tante porte girevoli. Si passa dagli uffici della Commissione a quelli delle corporation e viceversa. Figure come Lord Jonathan Hill, con trascorsi in società di lobby della City, imposto dal governo Cameron al vertice della strut tura Ue che si occupa di mercati finanziari. O il caso sensazionale di Michele Petite, il direttore europeo degli affari legali che si tramuta in consigliere della Philip Morris e poi rientra come presidente del comitato etico che dirime i confitti d’interesse nella Ue. Ma queste sono le pedine sullo scacchiere di una partita più complessa. Le manovre dei lobbisti intrecciano network che possono seguire la geopolitica dei governi, dei Partiti o semplici reti di conoscenze trasversali adeguatamente retribuite. Il terreno di caccia favorito è la zona grigia in cui i grandi propositi dei legislatori europei si trasformano in regolamenti, spesso modesti. Uno dei passaggi più opachi avviene nei “gruppi di esperti” che studiano i dossier caldi. Una ong ha appena svelato che il 70 per cento degli esperti incaricati di valutare la questione del fracking, la discussa tecnica di estrazione petrolifera, hanno relazioni con le compagnie del settore. Non si tratta di un’eccezione, ma di un andazzo molto diffuso. L’Ombudsman europeo, l’autorità etica più piccola e dinamica, apre un’istruttoria dietro l’altra. Senza spezzare la cortina di ferro che protegge gli intrallazzi. «Bisogna incrementare al massimo la trasparenza, deve esserci sempre una traccia scritta di chi interviene nelle discussioni interne», sintetizza Carl Dolan. I confitti di interessi pullulano: nel 2012 sono stati segnalati 1078 dipendenti europei con incarichi extra. Quelli sanzionati sono una ventina, quasi sempre con reprimende scritte o verbali. L’impunità è pressoché certa. Per anni il funzionario Karel Brus ha fatto sapere in anticipo agli emissari di due colossi dei cereali, l’olandese Glencore e la francese Univivo, i prezzi stabiliti dall’Europa per gli aiuti agricoli: notizie d’oro, che permettevano di investire a colpo sicuro. In cambio si ipotizza che abbia incassato almeno 700 mila euro. Prima della condanna penale però sono passati dieci anni e il travet è sparito in Sudamerica. E per le due società c’è stata solo una multa: mezzo milione, inezie rispetto ai profitti.

LA NUOVA CORRUZIONE La Commissione ha in mano un’arma micidiale: può bandire le aziende corruttrici da tutti i contratti europei. Misura applicata solo due volte negli ultimi anni. Perché la volontà di fare pulizia sembra labile. Prendiamo il dieselgate di Volskwagen: gli uffici tecnici dell’Unione avevano segnalato i trucchi della casa tedesca da parecchi mesi, ma la denuncia è rimasta lettera morta fino all’intervento delle autorità statunitensi. «Questa è la nuova corruzione. Ed è il nuovo mondo, in cui si agisce tramite logaritmi che falsifcano i dati dei computer: la realtà si riduce a schermate digitali, mentre Volskwagen otteneva fondi per produrre auto ecologiche e contribuiva ad aumentare l’inquinamento che uccide migliaia di persone», tuona Eva Joly: «Ma la portata dello scandalo è ancora più grave, perché dimostra che il rispetto delle regole non è più un valore. La Germania, il Paese della legge e dell’ordine, ha ingannato tutti; la loro azienda simbolo ha mentito per anni. Le nazioni che hanno costruito questa Unione stanno perdendo credibilità e non capiscono quanto ciò peserà sul futuro delle nostre istituzioni». In quello choccante 70 per cento di cittadini che percepisce un’Europa corrotta si proietta una sfiducia più vasta. «È un dato che nasce dallo sconcerto per la debolezza della reazione davanti ai problemi: la crisi economica, il tracollo greco e adesso l’esodo dei migranti», commenta Bart Staes: «La gente sente i racconti sulle pressioni delle lobby, si diffonde il sospetto che l’Unione serva più per tutelare gli interessi economici che i cittadini. C’è la necessità di riforme profonde, che non sono nell’agenda di Juncker. Ma soprattutto bisogna dare risposte concrete: fatti, non storytelling. Partiamo dalla Volskwagen: quasi tutti i produttori di auto sfruttano i buchi nella legislazione per alterare i test, noi verdi abbiamo proposto di cambiare le regole e punire chi mente. Se agisci e la gente vede che i guasti vengono risolti, allora avrà di nuovo fiducia».

CORSI E RICORSI STORICI Un professore dal cognome altisonante, David Engels, in un saggio ha paragonato il declino dell’Unione al crollo della repubblica nella Roma antica. Oggi come allora, l’allargamento troppo rapido dei confini, il confronto con un’economia globalizzata, la crisi dei modelli religiosi – all’epoca i nuovi culti importati nell’Urbe, adesso l’Europa cristiana alle prese con l’Islam – e il contrasto tra i privilegi dei patrizi e l’impoverimento dei ceti popolari, logorano le istituzioni democratiche. Un’analisi che riecheggia le parole scritte da Altiero Spinelli nel 1941, in quel manifesto di Ventotene che ha partorito l’idea di Europa unita. «La formazione di giganteschi complessi industriali e bancari… che premevano sul governo per ottenere la politica più rispondente ai loro particolari interessi, minacciava di dissolvere lo Stato stesso. Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si valevano per meglio sfruttare l’intera collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione che solamen te lo stato totalitario, potesse in qualche modo risolvere i confitti di interessi». Era la situazione che ha fatto trionfare le dittature e spinto il continente nel baratro della guerra. L’Europa unita è nata da questa lezione, che ora sta dimenticando.

Espresso Bruxelles 5Eravamo i più convinti di tutti. Quindici anni fa, l’alba del nuovo millennio vedeva l’Italia piena di euro-entusiasti: oltre il 53 per cento di cittadini. Ci credevamo più dei tedeschi e molto più dei francesi. Da allora la fiducia nella Ue si è sgretolata. E i dati Demopolis dimostrano che non è colpa della moneta unica. La picchiata del consenso è cominciata con la recessione economica internazionale e si è intensificata con la crisi greca, toccando il minimo a giugno: soltanto il 27 per cento degli italiani dava ancora credito al sogno europeo. Adesso il sondaggio, condotto dall’istituto diretto da Pietro Vento su un campione di mille persone, mostra una minuscola ripresa del consenso, ma solo di un punto. Nota informativa L’indagine è stata condotta nel settembre 2015 dall’Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento, su un campione stratifcato di 1.000 intervistati, rappresentativo dell’universo della popolazione italiana maggiorenne. Metodologia ed approfondimenti su: www.demopolis.it

soru lobby ue

Gianluca Di Feo, L’Espresso

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L’esercito delle lobby a Bruxelles: chi sono e quanto spendono i gruppi di interesse Ue [Sole 24 Ore] http://www.lobbyingitalia.com/2015/06/lesercito-delle-lobby-a-bruxelles-chi-sono-e-quanto-spendono-i-gruppi-di-interesse-ue-sole-24-ore/ Wed, 24 Jun 2015 08:56:31 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2831 Bruxelles città delle istituzioni Ue e delle lobby. Quasi tutte le grandi multinazionali, le industrie, le organizzazioni , i gruppi di interesse e anche e le Ong hanno almeno un ufficio nella capitale europea. Tra i corridoi e i bar dei grandi palazzi decisionali non è difficile notare i rappresentanti di varie organizzazioni intenti nel lavoro di lobbista. A influenzare maggiormente le decisioni delle istituzioni europee sarebbero le industrie che tra dicembre 2014 e giugno 2015, registrano già circa 4.318 incontri con rappresentanti e funzionari della Commissione Ue: è quanto riporta un’analisi della organizzazione anticorruzione Transparency International.

Le organizzazioni attualmente iscritte nel registro Ue per la Trasparenza sono 7.821: il 75% di queste, circa 4.879, cerca di favorire gli interessi delle aziende. Mentre il 18 % è rappresentato dalle Ong e il 4% dai think tank e solo il 2% dalle autorità locali. Nella top list delle imprese che spendono di più per fare lobby figurano la Microsoft, Exxon Mobil e la Shell con una spesa che varia tra i 4,5 e i 5 milioni di euro, dedicato a questo scopo. Seguite subito dopo dalla Deutsche Bank AG, la Dow Europe GmbH e Google: quest’ultima ha già avuto 29 incontri con le istituzioni europee in questi mesi. Ma anche Ong come Greenpeace e il Wwf si sono incontrate diverse volte con l’esecutivo comunitario e tra le lobby presenti a Bruxelles BusinessEurope, la General Electric Company (GE) , Eurocommerce e Airbus group.

«Le organizzazioni con un più alto budget per fare lobby hanno un grande accesso , in particolare nel settore finanziario, digitale ed energetico» osserva Daniel Freund di Transparency International. Le imprese che hanno dichiarato almeno 900mila euro di spese per lobby sono quelle che hanno ottenuto più di dieci colloqui ad alto livello con la Commissione Europea, in base al report. Tra i paesi che hanno ottenuto più incontri in questo periodo, al primo posto spicca il Belgio, poi la Germania, l’Inghilterra, la Francia e l’Italia. Le organizzazioni italiane registrate sarebbero 597. Per ora, tra le italiane, la Confindustria avrebbe ottenuto più appuntamenti con rappresentanti istituzionali Ue, poi l’Enel e l’Eni. In generale le organizzazioni italiane sembrano spendere meno per le attività di lobby rispetto ad altri paesi e si focalizzano in particolare sul settore energetico.

Il clima e l’energia, il lavoro e la crescita, l’economia digitale, i mercati finanziari e i trasporti sono i settori che attraggono di più i lobbisti di Bruxelles. Mentre i commissari Katainen, Hill e Oettinger hanno finora avuto pochi confronti con la società civile, tra il 4% e l’8 per cento. In particolare gli ambiti dei mercati finanziari e dell’economia digitale sono presi più di mira dalle imprese. Le nuove misure di trasparenza Ue sono però secondo l’analisi di Transparency International ancora poco seguite: l’80% delle organizzazioni presenti nel registro per la Trasparenza non ha riportato pubblicamente un solo incontro con commissari Ue o funzionari. Inoltre su 30mila funzionari che lavorano alla Commissione Europea neppure 300 sono soggetti alle nuove misure di trasparenza. Le nuove regole di trasparenza della Commissione riguardano solo l’1% dei funzionari e il 20% delle organizzazioni lobbistiche. Su questo punto Carl Dolan, direttore di Transparency International ha le idee chiare «Le istituzioni europee dovrebbero pubblicare “un’impronta legislativa” un documento pubblico con tutti gli incontri con le lobby e altri contributi che abbiano in qualche modo influenzato le politiche e le legislazioni».

Tra i problemi principali riscontrati dall’organizzazione anticorruzione vi è anche la carenza nella qualità dei dati raccolti dal registro per le lobby che rimane per ora su base volontaria: molte organizzazioni rimangono ancora fuori da questo database, tra queste quattordici su venti dei più grandi studi legali mondiali tutti con un ufficio a Bruxelles, come Clifford Chance, White&Case o Sidley Austin. Mente undici di queste sono registrate ad esempio a Washington DC dove vige l’obbligo di iscriversi. «La maggior parte delle informazioni che i lobbisti volontariamente compilano nei file del registro risultano incomplete, poco accurate o totalmente insignificanti» ha affermato Freund. Secondo l’organizzazione oltre il 60% delle organizzazioni che hanno fatto pressione sulla Commissione Ue per l’accordo commerciale tra Ue ed USA non ha dichiarato queste attività in maniera adeguata. Per Transparency International si rendono indispensabili alcuni passi in avanti che riguardino l’obbligatorietà del registro delle lobby e l’introduzione di “un’impronta legislativa” , ossia una testimonianza dell’influenza dei lobbisti su una parte di legislazione.

 

Fonte: Irene Giuntella – Il Sole 24 Ore

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Trasparenza, i lobbisti pronti all’assedio dell’Europarlamento (Il Fatto QUotidiano) http://www.lobbyingitalia.com/2014/05/trasparenza-i-lobbisti-pronti-allassedio-delleuroparlamento-il-fatto-quotidiano/ Thu, 22 May 2014 14:44:11 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2365 (Andrea Valdambrini) Banche e finanza, grandi aziende farmaceutiche, colossi dell’industria alimentare o del tabacco, ma anche giganti della tecnologia e del web come Google, Yahoo o Apple. Sono circa 3.000 le cosiddette lobby – o forse sarebbe più chiaro chiamarle ‘gruppi di interesse’ – che fanno pressione sull’Europa e sulle sue strutture legislative, Parlamento per primo, che regolano la vita di mezzo miliardo di consumatori nel Vecchio Continente. Attraverso la presenza di un esercito di lobbisti, stimati in circa 30.000 dal Corporate Europe Observatory, le lobby provano a modificare l’iter di una legge, soprattutto nel passaggio decisivo, quello attraverso le commissioni parlamentari di Bruxelles. E ci riescono, a quanto sembra, in circa il 75% dei casi. Ufficialmente questi gruppi di interessi agiscono presentando dossier agli eurodeputati, organizzando convegni informativi, cene, aperitivi. I regali che un tempo venivano fatti ai parlamentari sono stati vietati già da un po’ dopo una serie di scandali. Esiste il cosiddetto “registro della trasparenza”, attraverso cui l’attività dei gruppi di interesse dovrebbe venire alla luce. Ma perché l’iscrizione al registro è solo facoltativa?

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È ciò che si chiedono a Transparency International ong che si batte per una maggiore chiarezza del rapporto tra politica e affari. “Il Parlamento non è riuscito a convincere le altre istituzioni europee dell’obbligatorietà del registro. Per questo noi cittadini non possiamo mai sapere quando un eurodeputato ha un incontro con i lobbisti, o quali input riceve da parte sua”, spiega Ronny Patz dell’ufficio di Transparency a Bruxelles.

Da parte nostra abbiamo invece chiesto l’introduzione di un’‘impronta’ che possa tracciare il percorso” che va dal lobbista al legislatore. I gruppi di interesse, continua Ronny, esistono in tutto il mondo, e fare lobby non è un male di per sé. Ammesso però che si tratti di un’attività svolta in modo etico e il più possibile controllabile. Per questo servono regole: “Le nostre ricerche mostrano come rimangono significativi i rischi di corruzione. La causa risiede nella mancanza di regole precise riguardo alle lobby come anche in un’assenza di supervisione dei conflitti di interesse dei parlamentari. Insomma, il malaffare è presente nei singoli parlamenti nazionali come in quello europeo”, non si scappa. Tra l’altro Strasburgo è diventata tanto più bersaglio dei gruppi di interesse quanto più, durante gli anni, ha accresciuto il proprio potere. E come ha detto Heter Grabbe di Open Society – la fondazione di Soros – c’è il rischio che l’europarlamento assomigli maledettamente da vicino a una congrega di lobbisti.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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Lobbisti a Bruxelles, il Parlamento vuole l’obbligo di iscrizione al registro (Il Fatto Quotidiano) http://www.lobbyingitalia.com/2014/04/lobbisti-a-bruxelles-il-parlamento-vuole-lobbligo-di-iscrizione-al-registro-il-fatto-quotidiano/ Sun, 20 Apr 2014 11:19:31 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2383 (Alessio Pisanò) Per aumentare la trasparenza il Parlamento Ue chiede regole più stringenti per i lobbisti attivi a Bruxelles. Solo in campo finanziario sono 1.700. La decisione spetta alla Commissione. Oggi un’organizzazione su quattro agisce nell’anonimato

L’iscrizione nel registro dei lobbisti presso le istituzioni europee deve essere obbligatoria. Sembra quasi una richiesta d’aiuto quella degli eurodeputati che, a Strasburgo, hanno approvato a larghissima maggioranza l’appello alla Commissione europea per rendere più vincolanti le regole che tutelano la trasparenza. Ad oggi si stima che solo il 75% di tutte le organizzazioni collegate alle imprese e circa il 60% delle Ong che operano a Bruxelles abbiano messo la propria firma sul registro. Tutte le altre operano nell’anonimato, incontrando periodicamente deputati e alti funzionari e influenzando in questo modo il processo legislativo europeo senza dover rendere conto a nessuno. Il Parlamento europeo cerca così di mettere una pezza alla discussa proposta della Commissione, che vuole mantenere la volontarietà per l’iscrizione al registro dei lobbisti unificato delle istituzioni Ue. Scontata la domanda: a che serve introdurre la registrazione, se non è obbligatoria per esercitare pressioni nei confronti dei policy maker europei? “Un registro più forte e più vincolante è uno strumento essenziale per garantire la trasparenza del processo legislativo europeo ed avere un maggiore controllo delle attività lobbistiche”, ha detto Roberto Gualtieri (Pd), relatore della risoluzione.

I lobbisti a Bruxelles sono un vero e proprio esercito: secondo l’associazione Corporate Europe Observatory, che monitora da vicino la loro azione, soltanto la grande finanza ne impiega nella “capitale d’Europa” 1.700, un rapporto di uno a quattro rispetto ai funzionari Ue che si occupano di questioni finanziarie (i numeri sono nello studio The fire power of the financial lobby pubblicato il 9 aprile). Parliamo di 120 milioni di euro annui spesi a fronte dei quattro impiegati, nel complesso, da organizzazioni sindacali, associazioni dei consumatori e Ong. Insomma, trenta volte tanto. Il paradosso è che, sempre secondo l’associazione, colossi bancari come Goldman Sachs, UBS, HSBC, Banco Santander e RBS non risultano registrati. Ecco perché la proposta approvata a Strasburgo chiede l’obbligatorietà di iscrizione entro il 2016 e prevede una serie di “incentivi” per i lobbisti registrati: sarebbero garantiti solo a loro l’accesso al Parlamento, l’autorizzazione a organizzare eventi, la partecipazione come oratori alle audizioni pubbliche e la possibilità di chiedere il patrocinio del Parlamento per le proprie iniziative.

Naturalmente l’attività di lobby non è “sbagliata” o “pericolosa” a priori. Rientrano in questa categoria anche le associazioni ambientaliste come Greenpeace, umanitarie come Amnesty International e di categoria come i sindacati. In secondo luogo, la loro consulenza ed esperienza è indispensabile a Parlamento e Commissione, spesso a corto di personale e conoscenze specifiche, per fare il proprio lavoro legislativo. Ciò non toglie, sostengono i deputati, che queste consultazioni dovrebbero avvenire in modo trasparente. Da qui il bisogno di un registro pubblico. “Il continuo boicottaggio da parte di molte grandi banche e aziende che esercitano lobby nei confronti delle istituzioni Ue mostra come l’approccio volontario abbia fallito”, ha sottolineato Olivier Hoedeman di Corporate Europe Observatory. “È arrivato il momento di usare il pugno duro nei confronti delle lobby segrete”. Il momento a cavallo della legislatura è cruciale, tanto che proprio in questi giorni è stata lanciata la campagna “Politics for People” che chiede ai candidati alle prossime elezioni europee un impegno a continuare a far pressione nei confronti della Commissione europea, l’istituzione che sulla materia avrà l’ultima parola.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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La città delle LOBBY. Il caso Bruxelles http://www.lobbyingitalia.com/2014/02/la-citta-delle-lobby-il-caso-bruxelles/ Fri, 21 Feb 2014 09:25:37 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2182 Un esercito di 30 mila persone. Un giro d’affari da un miliardo l’anno. Così i lobbisti condizionano gli europarlamentari. Pensando al voto

Stati che devono rifarsi un’immagine o che giostrano interessi privati invece che pubblici; multinazionali che si battono per modifcare una direttiva o annacquare un regolamento; alti funzionari che cambiano casacca, escono dalla Commissione e giurano fedeltà all’impresa; uffci di avvocati che dribblano le più elementari regole sulla trasparenza; think tank che sfornano rapporti “indipendenti” anche se vivono grazie a munifci sponsor; sindacati, associazioni di consumatori ed ong che entrano nell’arena decisionale europea agguerriti ma con meno munizioni dei loro rivali…
Non è il Far West, è Bruxelles, dopo Washington la seconda città più lobbizzata del mondo. «Le lobby sono come la stampa gratuita, se vi danno informazioni gratis vuol dire che il prodotto sei tu. Sei tu, deputato, funzionario, diplomatico, commissario, quello da convincere», spiega, sorridendo, il lobbista di un grande gabinetto brussellese che, come tutti i colleghi, si prepara a modo suo alle elezioni di maggio quando arriveranno nuovi eurodeputati da avvicinare, blandire, convincere e che avranno oltretutto il compito di nominare il presidente della Commissione.
L’arte di infuire sul processo decisionale, nella capitale comunitaria, è un affare da oltre un miliardo di euro l’anno, specchio fedele di un potere, quello europeo, in costante crescita e che incide sull’80 per cento delle politiche nazionali e su un mercato di 500 milioni di consumatori. L’impatto di quello che si decide nel triangolo formato da Commissione, Parlamento e Consiglio Ue supera però di molto le frontiere dei 28 Stati membri.
Nel 2012 Hillary Clinton, allora Segretario di Stato, si impegnava in prima persona in una attiva lobby a favore del shale gas in Europa e lo faceva con successo visto che la Commissione Ue, lo scorso 22 gennaio, lasciava gli Stati liberi di gettarsi in questo mercato con grandi vantaggi per le compagnie nordamericane. Una decina di anni prima era Colin Powell a provare a fare di tutto (stavolta con scarso successo) per bloccare il regolamento comunitario Reach sulla chimica.
Imprese e multinazionali da tutto il mondo e governi rampanti, su tutti Russia e Cina, sono di casa a Bruxelles. «Possiamo contare tra i 15 e i 30 mila lobbisti. Un’attività molto lucrativa che è aumentata costantemente dagli anni Novanta», spiega Martin Pigeon di Corporate Europe, una ong – di fatto una lobby contro le lobby – che si prefgge di iniettare trasparenza nella meccanica comunitaria. «I due terzi dei lobbisti», conteggia Pigeon, «lavorano per interessi commerciali privati, il 20 per cento difende interessi pubblici, come Stati, Regioni o Comuni, e il 10 la società civile organizzata.Basta conoscere queste cifre per notare che c’è un problema di sproporzione dei mezzi». La bilancia si può invertire se il dibattito su una direttiva o una politica diventa pubblico: «Ogni volta che una tematica resta tecnica ed interna, la società civile perde, ma se esce sui media, allora anche i cittadini possono incidere, scrivono agli eurodeputati, diventano massa critica. Il rapporto di forza si inverte».
A volte succede. Il 22 gennaio il Commissario Ue al commercio estero Karel de Gucht decide di sospendere i negoziati su alcuni capitoli del TTIP, l’Accordo di Partenariato commerciale tra Ue ed Usa, di fatto la più importante intesa economica del pianeta che punta a integrare due mondi con standard legali e commerciali differenti promettendo benefici per oltre 500 miliardi di euro. De Gucht ha detto stop per lanciare una consultazione pubblica di tre mesi perché i negoziati, condotti nell’assoluta discrezionalità, rischiavano di sollevare un’ondata di indignazione popolare pari a quella che ha fatto naufragare l’Acta, l’Accordo internazionale anticotraffazione e pirateria. «Le ong si lamentano sempre contro le lobby, ma anche loro sono potenti a Bruxelles», sbotta un funzionario della Commissione Ue vicino ai negoziati.
In molti altri casi le cose vanno diversamente. Il 13 dicembre scorso la Commissione Ue doveva presentare i criteri di identifcazione dei perturbatori ormonali, accusati di danni alla salute (tumori e fertilità) e all’ambiente, ma sotto la pressione dell’Acc, l’American Chemistry Council, del Cefc, la federazione Ue della chimica, e di Croplife, che difende l’interesse dei produttori di pesticidi e che conta tra le altre Basf, Bayer, Monsanto, Syngenta, la decisione è stata rimandata sine die. Stesso discorso per il regolamento CO2 auto, annacquato nei suoi obiettivi e soggetto ad una feroce lobby da parte dell’industria delle 4 ruote, con tanto di lettere segrete inviate dai costruttori tedeschi all’allora Commissario Ue all’industria, il teutonico Gunther Verheugen. Non solo: il 95 per cento degli emendamenti arrivati al Parlamento Ue sulla proposta di regolamentazione sui gas fuorurati, quelli di frigoriferi e condizionatori, estremamente dannosi per l’effetto serra, erano stati dettati dai lobbisti.
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Giovane, preparato e prudente
Come si fa lobby a Bruxelles ? «Il lobbista deve essere come Machiavelli», spiega il politologo Rinus van Schendelen, professore a Rotterdam, consulente per imprese e governi ed autore di “L’arte di fare lobby nella Ue: più Machiavelli a Bruxelles”. «Deve avere l’ambizione necessaria per vincere, studiare e prepararsi al meglio e quindi, in battaglia, essere prudente». Una lobby che è diversa dalle altre. «Nella Ue ogni combattimento è molto più duro, competitivo, in gioco ci sono più interessi, se in Italia hai 15-20 gruppi di potere che lavorano su un dossier, a Bruxelles ce ne sono 180-200. Il livello, la dimensione e la qualità della battaglia è molto più elevata».
E al fronte, da sempre, ci vanno i giovani. Karen Massin ha 38 anni ed è direttore operativo di Burson Marsteller, oltre 7 milioni di fatturato e 60 dipendenti, il principale gabinetto di lobby di Bruxelles. «A parte pochi senior adviser, abbiamo tutti tra 25 e 40 anni», spiega in una delle sale conferenza della sede della società, tre piani a Square de Meeus, a poche centinaia di metri dal Parlamento Ue. Caraffe d’acqua e bicchieri riempiono i tavoli. «Parliamo per ore, le riunioni sono lunghe, il lavoro è minuzioso, il lobbista deve fare da tramite tra le imprese, i gruppi di interesse e le istituzioni Ue. La legislazione comunitaria è spesso così: un singolo paragrafo ha un impatto enorme sull’industria».
Interessi che giustifcano grandi investimenti: un lobbista può arrivare a costare fno a mille euro l’ora. In quest’arte cara e minuziosa c’è chi eccelle. «La lobby moderna ha le sue origini negli Usa e gli statunitensi con gli inglesi sono i migliori», snocciola la sua classifca van Schendulen, «seguiti dalle società olandesi, quindi i Paesi scandinavi e, negli ultimi dieci anni, i tedeschi». E poi i nuovi venuti, più rapidi a imparare di quanto non lo siano Paesi fondatori, come l’Italia. «Stanno arrivando a Bruxelles tanti giovani dall’est Europa: Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia. Sono eccellenti professionisti, hanno fatto le università occidentali e sono molto ambiziosi». In fondo alla classifca i Paesi del sud. «Ci sono tante trattorie a Schuman (la rotonda su cui si affacciano Commissione e Consiglio Ue, ndr), ma non basta andare a pranzare per fare lobby».
A ciascuno il suo tornaconto «Negli ultimi anni la concorrenza a Bruxelles è diventata feroce, con una vera e propria guerra dei prezzi», assicura un lobbista. «Lo vediamo sui grandi contratti. Coca Cola ogni tre anni cambia ufficio e quest’anno hanno fatto domanda 12 gabinetti, non s’era mai vista tanta concorrenza». Alla fne ha vinto Interel. «La crisi ha portato al raggruppamento dei piccoli uffici», il parere di Massin, «e ultimamente sono venuti qui diversi gabinetti Usa, a cui le imprese americane preferiscono rivolgersi».
Da Washington si sono accorti che Bruxelles esiste, almeno economicamente. Se gli statunitensi vanno dai loro, i cinesi preferiscono il lobbista locale. «I gruppi di pressione cinesi usano esperti europei come moderni soldati di ventura», spiega ancora Van Schendelen. Altro Paese particolarmente attivo a Bruxelles è la Russia e anche loro si affdano a esperti locali. «Mosca ha iniziato nel 2006, in occasione della Presidenza del G8, a rendersi conto che non sapevano come funzionavano i media occidentali, da allora hanno preso coscienza dell’importanza dell’immagine e si sono rivolti a noi», racconta Benoit Roussel, lobbista per Gplus, uno dei due gabinetti che segue gli interessi di Mosca a Bruxelles. A creare Gplus è stato Peter Guilford, ex portavoce della Commissione europea, che ha portato con sé altri ex colleghi ed ex giornalisti, le due categorie più ambite, perché dal portafoglio denso di contatti. Gplus ha gestito l’immagine di Mosca durante la guerra con la Georgia del 2008 mentre i concorrenti di Aspect Consulting facevano lo stesso per Tbilisi. L’altro gabinetto che segue gli interessi di Putin a Bruxelles è Hill & Knowlton, uno dei big del settore, ma nella rete del Cremlino in Occidente figura anche l’uffcio americano Ketchum e il britannico Portland, fondato da Tim Allen, ex portavoce di Tony Blair.
Regole chiare, ma non per tutti
Nel 2008, sotto la pressione di diverse ong, è nato il primo registro dei lobbisti attivi a Bruxelles. «Si sono iscritti 15-20 mila lobbisti individuali e 6.000 società e», spiega Federica Patalano, ricercatrice nel settore delle lobby e nel gruppo che gestisce il registro, «devono rispettare degli standard etici e di trasparenza, pena la sospensione e la perdita di accesso al Parlamento, ma i controlli non sono dei più stringenti, mancano le risorse per il monitoraggio, anche per questo i numeri non sono precisi». Oltretutto, sono esonerate due infuenti categorie: i religiosi e gli avvocati. Tra le 6 mila società fgurano solo 45 studi di avvocati, pochi per una città come Bruxelles. Non è un caso. «Se un’impresa vuole fare le cose di nascosto va da un gabinetto di avvocati», si lamenta Robert Mack anche lui di Burson Marsteller.
Fuori registro giocano i grandi uffci nordamericani, alcuni a Bruxelles da anni, come Covington, ed altri – Baker Botts, Hogan Lovells – sbarcati di recente per approfttare del mercato aperto dai negoziati per il TTIP. Nessuno di loro è iscritto e nessuno ha voluto dare spiegazioni sul perché preferiscano così.
Nessun commento anche su un’altra pratica in voga, quella del “revolving door” porta girevole: il passaggio dalle alte sfere della Commissione alla lobby. «Da Covington», accusa un lobbista di una società concorrente, «ci sono ex ambasciatori, ex direttori generali o capi unità della Commissione». I casi sono numerosi ed il fenomeno arriva a toccare i Commissari europei: dei 12 che hanno abbandonato la prima commissione Barroso, metà è passata a fare il lobbista. Caso emblematico quello del tedesco Gunther Verheugen che, dimessi gli abiti di Commissario all’industria ha aperto il suo gabinetto di lobby. Unica limitazione: non poter contattare per 24 mesi i suoi ex sottoposti. Altro caso: Serge Abou, un francese per trent’anni in posti chiave della macchina comunitaria, da direttore generale alle relazioni esterne fno ad ambasciatore della Commissione in Cina, una volta andato in pensione nel 2011 ha frmato per il gigante cinese della telefonia Huawei, che ha una un’indagine aperta a Bruxelles per comportamenti anti-competitivi. Huawei, come tutte le grandi frme, non lesina risorse, spendendo ogni anno oltre 3 milioni di euro in lobby a Bruxelles, con contratti ben distribuiti tra Apco, Aspect, Fleishman Hillard, Isc e The Skill Set. Ancora più recente il caso di Philip Lowe, fno al 31 dicembre 2013 direttore generale per l’Energia, che due mesi prima della pensione ha frmato per l’Autorità britannica alla concorrenza (aggiungendo allo stipendio di 19 mila euro anche i 4.500 di gettone per l’agenzia).
Michel Petit, responsabile del serivizio legale della Commissione nonché membro del Comitato etico incaricato di valutare proprio i casi di “revolving door”, una volta andato in pensione è passato a Clifford Chance, che conta come cliente Philip Morris. Il tutto mentre si discuteva la nuova direttiva Tabacco.«Le istituzioni non affrontano il problema in maniera seria, la Commissione, semplicemente, nega», accusa Corporate Europe. Nei 133 casi di possibili confitti di interessi esaminati nel 2013, la Commissione non ha mai ritenuto di impedire al suo ex funzionario di intraprendere una nuova carriera e solo in trenta occasioni ha imposto limitazioni. L’anno prima Barroso aveva detto no una volta su 108. «È la dimostrazione che il sistema funziona», sbotta Antonio Gravili, portavoce del Commissario alla Pubblica amministrazione Maros Sefcovic. «Chi abbandona la Commissione accetta posti per cui sa che non avrà problemi. E lavorare è un diritto, anche per chi va in pensione, non possiamo proibirlo». Proibire magari no, ma controllarli di più, forse sì.
Un chilometro quadrato in cui si concentra un’attività da un miliardo di euro all’anno: da Avenue des Arts a Rond Point Schuman e a salire un po’ fino ai margini del Parco del Cinquantenario, sono questi i limiti in cui si concentra la lobby a Bruxelles. Centinaia di uffici e migliaia di professionisti, censiti dalla guida LobbyPlanet di Corporate Europe, che puntano Commissione, Consiglio e Parlamento Ue e che hanno anche un centro simbolico: l’albero e la stele del lobbista inaugurata più di dieci anni fa dalla popolare Nicole Fontaine, allora Presidente dell’eurocamera, giusto di fronte all’ingresso del Parlamento.
E sempre lì si affaccia la Rappresentanza della Baviera, la più potente regione della Ue, che per 30 milioni di euro ha comprato un edificio storico praticamente incastonato nel Parlamento. Sulla rotonda Schuman, a due passi da Commissione e Consiglio, si affaccia invece la Camera di Commercio Usa, braccio armato a stelle e strisce (e di provata fede repubblicana) nel cuore della Ue, ora più che mai attivo nel cercare di inserire nell’Accordo Commerciale transatlantico il meccanismo di protezione degli investitori, che permetterebbe alle compagnie di chiedere i danni agli Stati. Giusto dietro, in rue Breydel, ha sede Gplus, interessi russi, mentre nel Residence Palace, ex sede della Gestapo nella vicina Rue de la Loi, si trova il Lisbon Council, influente think tank, fondato tra gli altri da da Google, Tesco, Shell, Siemens, che propugna politiche neoliberali, spacciandole per dossier indipendenti.
Prassi simile seguita anche dal rinomato Bruegel, pannell di ricercatori ed esperti di primo piano (vi ha figurato anche Mario Monti) e forte del supporto economico di BNP Paribas, Deutsche Bank, Pfizer e Syngenta. Altra piazza calda, molto vicino al Parlamento, Square de Meeus, qui si trovano i due campioni della lobby, i gabinetti Burson Marsteller e FleishmanHillard, entrambi con fatturati da oltre 7 milioni di euro l’anno. Giusto dietro Edelman The Centre, gabinetto di avvocati che organizza eventi, tra gli altri, per Europa Bio, nome ambiguo per la lobby pro OGM.
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Essere lobbisti in Europa http://www.lobbyingitalia.com/2014/01/essere-lobbisti-in-europa/ Tue, 21 Jan 2014 16:24:44 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2178 Con l’aumento dell’attività parlamentare a Bruxelles e Strasburgo cresce l’attività dei gruppi di pressione agevolati dalla mancanza di una regolamentazione della loro attività che consente loro di agire sui singoli parlamentari come avviene in Italia dove dal ’45 ad oggi si è cercato per 41 volte di regolare quest’attività senza riuscirci

Che significa essere un «lobbista»? Animalismo attivo prova a dare una definizione il più possibile chiara. Il lobbista non è altro che il membro di un gruppo di pressione che agisce sulla politica influenzando quella che è l’attività dei membri del parlamento i quali vengono chiamati a sostenere gli interessi delle persone che rappresentano.

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CHI È UN LOBBISTA – Il dibattito è entrato improvvisamente nel vivo dopo che sul blog del Corriere della Sera, Solferino 28, si è parlato dell’opportunità di regolamentare quest’attività che già a livello anglosassone è ben codificata. Nello specifico veniva presentata la testimonianza di Fabiana Nacci, 25enne impegnata con «Utopia Lab – Relazioni istituzionali, comunicazione & lobbying», società che si occupa appunto di lobbying e che viene chiamata a «modificare, introdurre o eliminare disposizioni che interessano i nostri clienti». In sostanza si studiano le proposte di legge e ci si attiva nei confronti di quelli che sono definiti i «decision-makers» per spingere quelle che sono le necessità dei singoli clienti. Si tratta quindi, per l’appunto, di un gruppo di pressione. 

IL REGISTRO PER LA TRASPARENZA – Come dicevamo, l’attività nel mondo anglosassone è regolamentata dalle leggi, cosa che non avviene in Italia ed in Europa, dove l’attività dei gruppi di pressione è indirizzata da un testo non vincolante, il Registro per la Trasparenza. L’obiettivo di Bruxelles, attraverso questo documento, è quello di garantire un’interazione tra le istituzioni europee e le associazioni dei cittadini come delle Ong, delle imprese, delle associazioni commerciali e di categoria, dei sindacati e dei centri di studi. Il lobbismo, inteso secondo quest’accezione, viene definito legittimo e necessario per «difendere la democrazia e per permettere alle istituzioni stesse di realizzare politiche adeguate che rispondano alle esigenze e alla realtà del momento».

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UN PERCORSO CHIARO – Un processo di pressione che secondo le intenzioni di Bruxelles dev’essere chiaro e trasparente. Inoltre deve svolgersi nel rispetto dei principi etici evitando le pressioni indebite. Ed a questo scopo è nato il Regolamento che, ricordiamo, non è vincolante. Quindi viene proposto ai cittadini un regolamento che li garantisca ma che di fatto non rappresenta la legge nel suo complesso. Vengono proposti i profili delle associazioni registrate e quali sono le proprie attività, gli interessi che perseguono, i modi con cui influenzano il processo decisionale dell’Unione Europea e quali sono le risorse investite. Parliamo quindi di un indirizzo al quale teoricamente dovrebbero sottoporsi tutte le associazioni impegnate in attività di lobbying ma che, in sostanza viene disatteso.

VOGLIA DI REGOLAMENTAZIONE – Nella sezione «interrogazioni parlamentari», l’ultimo documento in ordine di tempo è del 13 marzo 2013 ed è firmato dal deputato Keith Taylor che propone a sua volta gli esiti di un sondaggio sul tema del lobbismo condotto in Austria, Repubblica Ceca, Francia, Paesi Bassi e Regno Unito, con il risultato che l’80 per cento dei 6.000 partecipanti ha chiesto un regolamento obbligatorio che regoli un rapporto bilanciato tra i diversi interessi coinvolti nei movimenti di pressioni. Un risultato che sposa appieno la risoluzione del Parlamento Europeo approvata nel 2011 nella quale si chiedeva l’istituzione di un registro obbligatorio dei lobbysti.

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5.800 SOGGETTI REGISTRATI – Nel documento poi viene ricordato che il registro di trasparenza, istituito nel 2011, doveva essere rivisto dopo due anni trasformandolo appunto in un qualcosa di obbligatorio e legalmente vincolante. Ma tutto questo non è ancora stato fatto. Ed ovviamente la mancanza di un registro obbligatorio crea una serie d’imbarazzi a livello continentale. Francesco Delzio, co-fondatore e co-direttore del master di secondo livello in «in Relazioni istituzionali, lobby e comunicazione d’impresa» ha dichiarato al Corriere della Sera che a Bruxelles sono iscritte oltre 5.800 imprese specializzate nell’ambito, di cui 503 italiane. Tuttavia Luigi Rossi, intervenuto all’Assemblea generale dei Gergofili a Firenze lo scorso 17 dicembre, ha dipinto un quadro più preoccupante.

20.000 ENTITÀ REALI – Nella relazione diffusa dalla Fidaf emerge che tale attività esiste a tutti i livelli di governo ed ha un impatto sostanziale sui risultati politici, dalle assemblee locali a quelle internazionali. Per l’Unione Europea il lobbismo è una parte legittima del sistema democratico anche se viene propota da aziende per conto terzi. E questo non può far altro che scatenare il dibattito sulle forme di lobbismo e sulla loro legittimità. Come detto, i lobbisti accreditati sono 5800 ma mancando l’obbligo, si stima che quelli realmente presenti a Bruxelles siano 20.000. E sempre secondo le stime, il 75 per cento di loro è intenzionato a fare affari mentre solo il 25 per cento rappresenta i reali interessi dei cittadini. Ed in tutto questo l’Italia appare attardata. Il che, se vogliamo, spiegherebbe la scarsa dimistichezza della politica italiana dalle parti di Bruxelles e Strasburgo.

L’ATTIVITÀ DEI GRUPPI DI PRESSIONE SUL FRACKING – Per questo motivo, il 28 novembre 2013 la Trasparency International, organizzazione che si batte contro la corruzione, si è rivolta al Commissario per le Relazioni inter-istituzionali Maros Sefcovic, chiedendo una forma di regolamentazione dell’attività dei lobbisti almeno quasi-obbligatoria, in modo da regolare l’attività dei gruppi di pressione sotto una forma quantomeno etica, impedendo ai gruppi non accreditati di partecipare alle attività delle singole commissioni. L’allarme è stato lanciato anche dal New York Times che ha spiegato come la società di lobbying Covington & Burling, di base a Washington, negli Usa, si sia attivata al fianco di multinazionali come Chevron e Statoil per fare pressioni su Bruxelles per dare il via libera al Fracking.

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LO SCONTRO TRA AZIENDE – Inoltre viene riportato lo scontro tra aziende specializzate, con i membri della Burson-Marsteller che hanno accusato i concorrenti di lavorare nell’ombra anche a causa della loro capacità di attirare avvocati, parlamentari ed esponenti della Commissione, oltre ad ex diplomatici come Jean De Ruyt, oggi advisor alla Covington. Segno che dalle parti di Bruxelles si assiste allo scontro tra lobbisti con la conseguenza che il volume delle discussioni diventa inevitabilmente destinato a salire, su temi che oltretutto sono invisi alla maggior parte dell’opinione pubblica. Tuttavia la storia raccontata dal New York Times dimostra che il sistema a modo suo funziona e che comunque è opportuno regolamentare l’attività dei gruppi di pressione.

LA QUESTIONE DEL POLLINE OGM – E non si tratta certo dell’unico caso. Eunews ci spiega che sulle etichette dei barattoli di miele non verrà segnata la presenza di polline Ogm perché questo non verrà più considerato un ingrediente ma un componente. Il polline contenuto in un barattolo di miele non supera lo 0,5 per cento e secondo la normativa europea sugli Ogm, questo va segnato solo se il valore supera lo 0,9 per cento. Ed il deputato Bart Staes ha spiegato che questo voto rappresenta «uno schiaffo ai consumatori e agli apicoltori europei che hanno chiesto a più riprese trasparenza nelle regole di etichettatura» e che gli eurodeputati sono stati influenzati da «un’intensa campagna di lobby portata avanti dagli importatori di miele» perché ora sarà impossibile capire se è stato usato mais Ogm, la cui coltura è stata autorizzata da Spagna e Romania, paesi produttori di miele.

IL CORSO PER DIVENTARE LOBBISTI – Ma stiamo comunque parlando di un’attività legale che al momento non è regolamentata. E con l’aumento dell’attività dell’europarlamento ecco che aumenta anche il numero dei lobbisti necessari a gestire le esigenze dei gruppi di potere. E contestualmente nascono corsi di formazione per aspiranti lobbisti. Parliamo di Europeanlobby, un istituto che si propone di preparare all’attività d’influenza dei «policy-makers». Il corso è organizzato dalla Camera di Commercio italo-belga a Bruxelles e si pone come obiettivo quello di fornire una solida base di conoscenza in ambito lobbyista, offrendo la possibilità ai due migliori alunni del corso che si terrà dal 7 all’11 aprile di passare tre mesi in stage in una di queste aziende.

I DUBBI INEVASI – Quindi sappiamo che a Bruxelles esiste una galassia potenzialmente infinita di gruppi di pressione che agiscono sule singole commissioni spingendo l’adozione di emendamenti o di provvedimenti che possano soddisfare i clienti delle società di lobbying. Di per sé potrebbe non essere un male perché spesso i desiderata dei singoli cittadini fanno fatica ad arrivare nelle sale in cui si decidono le leggi. Tuttavia, come riportato da Luca Rossi, solo il 25 per cento di quanto viene deciso a Bruxelles ha un reale interesse per il cittadino. Il resto riguarda i desiderata delle aziende o dei grandi gruppi. Il fatto poi che non vi sia una registrazione obbligatoria porta ad un’attività di lobby quasi infinita. In Italia invece non esiste alcuna regolamentazione sul tema, con la questione che è stata sollevata nel corso della discussione sulla Legge di Stabilità.

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LA NECESSITÀ DI UN CONTROLLO – L’agenzia Asca ha ripreso la voce di Pino Pisicchio, presidente del gruppo Misto alla Camera e Vicepresidente di Centro Democratico, secondo cui, all’epoca, era «necessario procedere alla regolazione del lobbismo. La legge di stabilità ancora una volta mette in luce la necessità di regolare il rapporto tra gruppi di interesse e parlamentari. Tutto si può fare, purché sia alla luce del sole. Per questo dobbiamo dare priorità all’approvazione di una legge che, come in tutti i parlamenti democratici, regolamenti l’azione informativa dei gruppi di interesse». Ma quello che non si sa è che dal 2008 al 2012 sono stati presentati 14 (quattordici) disegni di legge nei quali si chiedeva la regolazione delle attività dei gruppi di pressione.

I 41 TENTATIVI DI REGOLAMENTAZIONE ITALIANA – Openpolis ci spiega che nello specifico i 14 disegni di legge sono stati presentati nel 2012 da Anna Maria Bernini (Pdl, da approvare alla Camera), da Raffaele Ranucci (Pd, da approvare al Senato), da Nunzia De Girolamo (Pdl, da approvare alla Camera), da Jole Santelli (Pdl, da approvare alla Camera), da Marina Sereni (Pd, da approvare alla Camera), e così via per quattro anni. Peraltro lo stesso Pisicchio aveva presentato nel 2008 un tentativo di disciplina della revisione dell’attività istituzionale, ma rimase fermo alla Camera. E certo non finisce qui. Diritto.it ci ricorda che dal 1945 al 2008 sono stati 27 i tentativi di regolamentare il rapporto tra politica e gruppi di pressione. E quindi vuol dire che dalla nascita della Repubblica ad oggi i tentativi andati a vuoto sono complessivamente 41.

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I REGOLAMENTI REGIONALI – A differenza di quanto accade a Roma, nelle regioni l’attività di lobbying è già istituzionalizzata da anni. La prima a mettere nero su bianco il rapporto tra gruppi di pressione e politica è stata la Toscana nel 2002. Tuttavia la norma limita l’azione del Consiglio ma non quella della Giunta, ma rappresenta un primo passo perché, come spiegato dall’articolo 4, è vietato «esercitare nei confronti dei consiglieri regionali e delle rispettive organizzazioni, forme di pressione tali da incidere sulla libertà di giudizio e di voto». E nel 2009, nonostante fossero iscritti nel registro fossero 115, fino al 2006 non vi era stato nessun documento depositato. Il Molise ha proposto una legge uguale, approvata nel 2004, mentre le Marche nel 2013 hanno realizzato una propria proposta di legge.

QUESTO È LOBBISMO – Infine, per dare un’idea di che significhi davvero fare lobbying, proponiamo gli obiettivi pubblicati sul blog Animalismo attivo nel quale si spiega in maniera esemplare quelli che sono gli obiettivi di un lobbista:

Quali possono essere gli obiettivi della vostra attività di lobbying? Per esempio:

• Vietare i test di sostanze tossiche sugli animali.

• Cambiare la legge per vietare le esportazioni di animali vivi.

• Vietare l’uso di trappole e tagliole per catturare gli animali selvatici.

• Vietare la produzione e la vendita di foie gras, di vitelli e di altre parti del corpo di animali.

• Introdurre sanzioni più rigide e adeguate in caso di abusi e maltrattamenti di animali.

• Cambiare la legge sul trasporto di animali.

• Vietare l’importazione e il commercio di animali selvatici vivi e/o parti del loro corpo.

• Proporre nuove leggi per regolamentare gli allevamenti.

• Vietare la mutilazione di animali per scopi cosmetici ed economici.

• Regolamentare o rendere illegale la detenzione di animali selvatici e non domestici.

Bisognerà identificare su quali rappresentanti politici fare lobbying per raggiungere questi obiettivi. Ma anche se l’attività di lobbying è spesso associata ai rappresentanti politici, in realtà è possibile fare lobbying con qualsiasi persona abbia contatti con responsabili politici e legislatori, cioè tutti i titolari di varie posizioni di potere, sia locali sia nazionali. Ma si può anche fare lobbying nei confronti di istituzioni e aziende le cui attività incidono nel bene e nel male sulla vita degli animali, come per esempio persuadere il vostro supermercato a cambiare la sua politica in materia di vendita di prodotti di allevamento, come uova, polli e galline. Analogamente, si potrebbe fare lobbying nei confronti della mensa dell’azienda in cui lavorate affinchè elimini dal menù prodotti provenienti da allevamenti intensivi e proponga piatti vegetariani, o far pressione sul collegio dei docenti della vostra scuola perchè organizzi corsi di etica animale. I rappresentanti di organizzazioni private, a differenza dei nostri rappresentanti politici, non sono obbligati ad assecondare le nostre richieste, ma potrebbero farlo per tutelare la propria immagine pubblica.

Ed il fatto stesso che una simile attività non sia regolamentata né in Europa né in Italia (nonostante 41 tentativi) dimostra l’importanza che ricoprono i gruppi di pressione sul lavoro quotidiano della Politica e quali possano essere i rischi di un confronto privo di paletti tra i vari attori di un settore che si sta espandendo sempre di più, agevolato dalla mancanza di registri e regole vincolanti. (Photocredit Wikipedia / Repertorio)

Fonte: – di Maghdi Abo Abia – 21/01/2014 – Giornalettismo

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Lobbying trasparente a Bruxelles? Stéphane Desselas di Athenora Consulting racconta http://www.lobbyingitalia.com/2013/11/lobbying-trasparente-a-bruxelles-stephane-desselas-di-athenora-consulting-racconta/ Thu, 21 Nov 2013 15:26:42 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=1861 Il presidente di Athenora Consulting racconta come la sua agenzia svolga attività di lobbying a Bruxelles e spiega come rendere il processo più democratico.

La capitale belga, nota per essere la sede dell’Unione Europea, nonché di varie istituzioni comunitarie, è anche dimora dei public affair e luogo privilegiato dei lobbisti che rappresentano gli interessi dei propri clienti presso coloro che adottano decisioni all’interno dei vari livelli delle istituzioni pubbliche.

La parola lobby ha spesso un’accezione negativa. Ma i lobbisti possono rappresentare uno strumento utile in una democrazia? Stéphane Desselas, presidente di Athenora Consulting a Bruxelles, la nostra agenzia partner nell’ambito del PRGN, è stato intervistato in merito a questo argomento da France 24 in un’intervista bilingue insieme a Isabelle Durant, europarlamentare del Gruppo verde e Vicepresidente del Parlamento europeo.

I lobbisti promuovono sempre un interesse particolare e Athenora Consulting si dedica al settore pubblico e a quello dell’economia sociale. Sono gli europarlamentari che devono stabilire quali interessi particolari siano anche riconducibili ad un interesse generale”, afferma Desselas.

Il lobbying fa parte della democrazia ma non è sempre democratico: non tutti i settori o le aziende dispongono di risorse economiche per accedere ai servizi dei lobbisti. Ecco allora che una soluzione potrebbe essere l’istituzione di fondi pubblici destinati alle aziende e alle organizzazioni affinché possano svolgere attività di lobbying a sostegno dei propri interessi. Non dico che sia facile da mettere in pratica, ma potrebbe trattarsi di un’opportunità per creare un accesso più ampio al lobbying”.

A Bruxelles esiste un registro volontario di lobbisti per offrire ai cittadini trasparenza in merito alla loro attività e un nuovo codice di comportamento in materia verrà presto implementato. Il registro contiene oggi circa i tre quarti di tutti i lobbisti della capitale europea.

La mia agenzia, Athenora Consulting, è stata la prima ad iscriversi al registro che penso dovrebbe essere obbligatorio per garantire la trasparenza e mostrare ai cittadini che non abbiamo nulla da nascondere”.

Guarda l’intervista in inglese

Guarda l’intervista in francese

 

Fonte: Sound PR

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