berlusconi – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Wed, 18 May 2016 18:10:09 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.3 A chi conviene non regolamentare le lobby? (Formiche.net) http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/a-chi-conviene-non-regolamentare-le-lobby/ Tue, 16 Sep 2014 14:47:46 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2296 Il primo di una serie di approfondimenti su lobby e regolamentazione a cura di Pier Luigi Petrillo, professore associato di Diritto pubblico e docente di Teorie e tecniche di Lobbying

Ogni giorno il Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, accusa le lobby di fermare lo sviluppo del paese. Prima di lui, l’accusa era stata mossa dai suoi predecessori: Enrico Letta, Mario Monti, Silvio Berlusconi, per limitarci agli ultimi. E con loro anche i Presidenti di Camera e Senato, periodicamente, “urlano” contro le lobby che invadono i palazzi. Eppure non si hanno notizie né di interventi governativi né di interventi parlamentari finalizzati a regolamentare i gruppi di pressione.

Ogni giorno si scopre, così, che dietro ai “gufi” che vogliono lasciare immobile il Paese ed impediscono le riforme necessarie, ci sono le lobby, ogni sorta di lobby, con l’effetto che tutto è lobby, perfino i funzionari pubblici: si pensi alle “lobby” dei magistrati (“no alla riduzione delle ferie”), a quella dei dirigenti pubblici (“no alla riduzione degli stipendi”) o perfino a quella dei senatori (“no alla riduzione del Senato”).

In questo quadro le lobby continuano ad essere il paravento della politica: basta dire che è colpa delle lobby per scrollarsi di dosso ogni responsabilità. E appare ovvio che se le lobby fossero regolamentate e la loro azione fosse pubblica, ecco che i cittadini scoprirebbero il gioco dello scarica barile: il paravento d’incanto cadrebbe e si scoprirebbe che la colpa di certo immobilismo non sono le lobby ma la politica.

LE ULTIME TAPPE DI UN TIMIDO TENTATIVO DI FARE SUL SERIO

Rispetto a vent’anni fa, tuttavia, qualche barlume di speranza comincia a vedersi. Nel 2007, durante il secondo governo Prodi, l’allora Ministro per l’attuazione del programma di governo, Giulio Santagata, spronato dal suo capo di gabinetto, il Consigliere di Stato Michele Corradino (ora componente dell’ANAC), fece approvare dal Consiglio dei Ministri il primo e unico disegno di legge in materia d’iniziativa governativa. Qualche mese dopo il governo fu sfiduciato e il testo dimenticato.

Nel 2012, sotto il governo Monti, ci riprovò Mario Catania, allora Ministro dell’Agricoltura, istituendo l’obbligo per i lobbisti “agricoli” di iscriversi in un elenco pubblico. La netta contrarietà delle principali organizzazioni di categoria (Coldiretti, Cia, Confagricoltura) fece naufragare l’esperimento.

Nel 2013 è il premier Enrico Letta, in prima persona, a farsi promotore di una coerente regolamentazione del lobbying, chiedendo al segretario generale di Palazzo Chigi, Roberto Garofoli, e al sottoscritto, di predisporre una bozza di disegno di legge. Ma il Consiglio dei Ministri, dopo avere approvato i principi della regolamentazione nel maggio 2013, decise di bocciare il testo predisposto, considerandolo troppo stringente.

E siamo arrivati al governo Renzi: entro giugno 2014, aveva dichiarato il Premier nel Documento di Economia e Finanza 2014 (DEF), avremo una regolamentazione dei gruppi di pressione. Sono passati 3 mesi da quella scadenza ma non c’è traccia nemmeno di una qualche bozza. Eppur si muove: nel silenzio generale, il Vice Ministro alle Infrastrutture, Riccardo Nencini (forse l’unico a credere davvero all’importanza di questa questione), è riuscito ad inserire nel disegno di legge delega di riforma del codice degli appalti, un principio legato alla trasparenza dei gruppi di pressione; anni luce lontani dalla regolamentazione delle lobby ma almeno è un segnale.

E’ ripartito da qui Giovanni Grasso, il giornalista dell‘Avvenire che, venerdì e sabato scorso, ha dedicato sul suo giornale un’inchiesta al rapporto tra politica e gruppi di pressione, invitando il Ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, a prendere la palla in mano, trattandosi, anzitutto, di una questione di trasparenza della Pubblica Amministrazione (centrale e periferica).

MA PER FARE (DAVVERO) SUL SERIO, DA DOVE RIPARTIRE?

Ripartiamo dall’inchiesta di Grasso; rileggiamo gli stimoli recenti pervenuti da lobbisti d’eccezione come Gianluca Comin, per anni direttore delle relazioni istituzionali in Enel, o Stefano Lucchini, per anni a capo dell’Eni e ora in Intesa, o le proposte avanzate da Claudio Velardi, Massimo Micucci e l’ottimo gruppo del “Rottamatore”, da Fabio Bistoncini (“vent’anni da sporco lobbista”), da Franco Spicciariello e il suo sito lobbyingitalia.com, da Gianluca Sgueo su Formiche.net, da esperti come Giovanni Galgano e Giuseppe Mazzei de “Il Chiostro”, da studiosi come Maria Cristina Antonucci e Marco Mazzoni, dal collega Alberto Alemanno della New York University, dal gruppo #lobby (purtroppo non più attivo) degli ultimi 7 anni di #VeDrò, da riviste come Percorsi Costituzionali e AGE-Analisi Giuridica dell’Economia e proviamo ad offrire al Legislatore qualche idea su come e per cosa fare sul serio.

Fonte: Formiche.net

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Donazioni online e sms: partiti disperati cercano soldi (Linkiesta) http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/donazioni-online-e-sms-partiti-disperati-cercano-soldi-linkiesta/ Tue, 02 Sep 2014 18:16:15 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2347 (Marco Sarti) Si avvicina la fine del finanziamento pubblico, ognuno si ingegna come può. Il caso americano

I dirigenti di Forza Italia hanno puntato tutto sul web. Per superare senza troppi traumi la riforma del finanziamento pubblico ai partiti, lo staff dell’ex Cavaliere ha studiato e messo in rete un apposito sito internet. L’home page è fin troppo esplicita. In basso, la grande fotografia di Silvio Berlusconi che stringe le mani ai suoi elettori. Poco più in alto, la richiesta di denaro. «Con la nuova legge mi hanno impedito di continuare a sostenere Forza Italia. Oggi ho bisogno dell’aiuto di chi, come te, condivide la mia “follia”». Antonio Palmieri, responsabile della comunicazione web del partito, non fa mistero di essersi ispirato a un sito di fundraising del presidente americano Barack Obama.

Dal web ai cellulari. Per intercettare la generosità dei militanti meno pratici di computer, i berlusconiani si affidano alle donazioni via sms. Una procedura prevista dall’articolo 13 della riforma – al momento non ancora applicato – che potrebbe aiutare a far quadrare i bilanci di Piazza San Lorenzo in Lucina. Nel frattempo il Partito democratico scommette sul 2X1000. È l’altra grande forma di finanziamento indiretto prevista dalla nuova legge. Il futuro dei dem passa da qui. «Anche perché oggi – racconta Antonella Trivisonno, giovane renziana e collaboratrice del tesoriere Francesco Bonifazi – il partito continua a dipendere per il 90 per cento dai finanziamenti pubblici». Dichiarazioni dei redditi e microdonazioni. La raccolta fondi alle feste democratiche un tempo era un’opportunità. «Presto – ammette – diventerà una necessità».

Intanto il conto alla rovescia prosegue inesorabile. La riforma voluta da Enrico Letta ridurrà i fondi pubblici ai partiti anno dopo anno. Dai 91 milioni del 2012 si passerà ai 22 milioni del prossimo anno. Fino a scomparire del tutto nel 2017. Al loro posto un sistema di donazioni fiscalmente incentivate – con un tetto di 100mila euro annui – e l’introduzione del 2×1000 che lascerà un rilevante potere di scelta ai cittadini. Stamattina i rappresentanti dei principali partiti ne hanno discusso a Roma in occasione dell’assemblea dei soci Ferpi, la Federazione Relazioni Pubbliche Italiana. Un’occasione per fare il punto sulle nuove forme di finanziamento alla politica – «Come associazione di categoria vogliamo offrire al sistema politico ed istituzionale spunti, informazioni e dati su cui fondare le nuove policy» spiega la presidente Patrizia Rutigliano – anche alla luce delle esperienze di altri Paesi. Quella statunitense in particolare.

In America, del resto, una recente sentenza della Corte Suprema ha praticamente tolto qualsiasi limite alle donazioni dei privati alla politica. Se prima la legge federale imponeva un tetto di 123mila dollari, ora il sistema permette ai donatori più generosi di finanziare candidati e comitati elettorali fino a quasi 3,5 milioni di dollari. Cifre da far impallidire il tetto di 100mila euro introdotto dal governo Letta.

Ecco perché la chiave di questo modello non può che essere la trasparenza. A confermarlo è uno dei lobbisti più influenti di Washington. Anthony Podesta, chiara origine italiana e, si dice, molto vicino alla Casa Bianca. Senza troppi giri di parole, il settimanale Newsweek lo ha semplicemente ribattezzato «the lobbyist». Fratello di John, stretto consigliere di Bill Clinton e di Obama, a scorrere i suoi principali clienti si finisce per ripassare buona parte della recente storia politica americana, da Ted Kennedy a George McGovern, fino a Michael Dukakis e lo stesso Clinton.

L’insegnamento di Podesta? Nel rapporto tra denaro e politica tanti paletti rischiano di essere controproducenti. «Perché i soldi sono come l’acqua – racconta citando due giudici della Corte Suprema – anche se provi a fermarli trovano sempre una via d’uscita». Certo, è impossibile evitare la presenza di troppi interessi attorno ai partiti. «In un paese moderno e democratico – ammette il lobbista americano – il governo prende decisioni importanti. E inevitabilmente c’è chi proverà a investire denaro per eleggere i politici che prenderanno quelle decisioni. I suoi soldi, proprio come l’acqua, troveranno sempre una via d’uscita». Ecco perché riformare il sistema introducendo procedure più stringenti non sempre funziona. «Le buone intenzioni non si trasformano necessariamente in buoni risultati. Specialmente quando il denaro incontra i politici». L’obiettivo primario diventa allora la trasparenza. «Le persone devono poter sapere da dove vengono i soldi, chi li prende e come vengono spesi».

Intanto negli Stati Uniti il costo delle campagne elettori cresce vertiginosamente. Un dato su tutti: alle ultime presidenziali tra Obama e Mitt Romney, i due avversari hanno raccolto la bellezza di un miliardo di dollari. Ciascuno. Il rischio che un ristretto gruppo di miliardari possa effettivamente controllare la politica è evidente. Anche per questo si impone la necessità di una sempre maggiore trasparenza. E se da noi la deriva oligarchica è ancora lontana – difficile controllare la politica con un tetto di 100mila euro – la chiarezza tra donazioni e partiti deve comunque rimanere un obiettivo primario. Il futuro della nostra politica passa dal fundraising? «Trasparenza e rendicontazione devono essere i punti irrinunciabili nella gestione del difficile rapporto tra denaro e politica» spiega il sottosegretario alla Semplificazione Angelo Rughetti. Non è più tempo di aspettare. Come auspica Andrea Romano, di Scelta Civica, entro questa legislatura possono essere approvate una legge sui partiti e una legge sulla rappresentanza di interessi.

Fonte: Linkiesta

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Berlusconi e la pubblicità: che c’entra il lobbying indiretto? http://www.lobbyingitalia.com/2014/01/berlusconi-e-la-pubblicita-che-centra-il-lobbying-indiretto/ Thu, 02 Jan 2014 08:21:32 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2061 Lo riporta uno lo studio dal titolo “Market-based Lobbying: Evidence from Advertising Spending in Italy”, pubblicato dal National Bureau of Economic Research degli Stati Uniti e ripreso da Repubblica.

Quando era presidente del Consiglio gli investimenti pubblicitari salivano, quando era all’opposizione calavano. Il guadagno di Silvio Berlusconi per gli spot trasmessi sulle reti Mediaset sarebbe, durante i diversi periodi di premierato tra il 1994 e il 2009, di un miliardo di euro.

Sarebbe questo il vero conflitto di interesse secondo il rapporto stilato da quattro economisti Stefano DellaVigna, dell’Università di California a Berkeley, Ruben Durante di Science Po a Parigi e Yale, Brian G. Knight della Brown University e Eliana La Ferrara della Bocconi di Milano, che hanno chiarito col conforto dei numeri come questo sia andato oltre la possibilità di usare il governo per favorire le proprie imprese.

I quattro però, parlano di lobbying indiretto, cioè “l’aumento della spesa in pubblicità sulle reti del premier da parte di gruppi di telecomunicazioni, del settore farmaceutico, della finanza o nell’industria dell’auto, per ingraziarsi Berlusconi e spingere il governo a prendere decisioni convenienti per loro“, scrive Repubblica.

Che c’entra il lobbying indiretto?

Una definizione però quella di lobbying indiretto (grassroots lobbying), che lascia perplessi. Il grassroots lobbying (o appunto indirect lobbying) è infatti l’attività di lobbying portata avanti con l’intenzione di influenzare il processo di decision-making. Esso differisce dal lobbying diretto perché portato avanti coinvolgendo il pubblico – in senso ampio -, intere comunità o gruppi sociali, nell’attività di influenza/pressione sui legislatori.

Nello studio invece si parla di acquisto di pubblicità sulle reti Mediaset da parte di gruppi nei settori regolamentati, sottolineando il fatto che negli anni in cui Berlusconi è al governo le cifre siano in continuo aumento, con in corrispondente calo sulle reti Rai. Secondo i quattro economisti le banche, compagnie assicurative o società di telefonia avrebbero così tentato di accattivarsi il favore dell’ormai senatore decaduto, comprando più spot (o spot più costosi) sulle sue reti. Un’affermazione che chiaramente esclude ogni classica attività di lobbying, e tanto meno qualsiasi coinvolgimento della comunità.

L’investimento pubblicitario aggira gli obblighi di trasparenza del finanziamento ai partiti, ma può rivelarsi molto efficace” dice Ruben Durante da Yale, uno dei quattro economisti che ha lavorato allo studio.

La relazione tra la quota di inserzioni riservata a Mediaset, rispetto alla Rai, e i mandati di governo del centrodestra balza subito all’occhio. In particolare si è impennata dal 62% al 66% con la discesa in campo del Cav nel 1994; salita al 69% con la legislatura partita nel 2001; poi scesa durante l’esecutivo di Romano Prodi fino al 2008 e risalita fino al 70% quando Berlusconi è tornato al governo nella scorsa legislatura.

Illecito finanziamento?

L’acquisto di pubblicità sulle reti Mediaset da parte di gruppi nei settori regolamentati, quelli cioè che dipendono maggiormente dalle scelte del governo nazionale (a esempio le assicurazioni, la farmaceutica, i media e l’editoria e l’auto) sarebbe quindi cresciuto in maniera inequivocabile proprio negli anni nei quali Berlusconi è stato al governo.

Sorprende però che quattro studiosi di tale livello non abbiano avuto il coraggio di utilizzare le giuste categorie per quelle che sono comunque delle accuse, e che non hanno molto a che fare col lobbying, tanto più con quello indiretto. Il tema dello studio infatti, rileva più rispetto all’eventuale aggiramento delle norme sul finanziamento dei partiti, e sarebbe interessante se oltre un freddo studio sui numeri ci fosse un’approfondita inchiesta giornalistica a capire se dietro certi aumenti di spesa ci sia stato altro.

Visti i risultati di questo studio, forse sarebbe il caso che il Decreto legge sul finanziamento dei partiti in corso di conversione possa possa essere occasione di riforma oltre che del rapporto tra soldi e politica anche per regolamentare l’attività di lobbying, diretta o indiretta, visto e considerato che sono passati mesi da quando il governo Letta ha fallito nel tentativo di dare un quadro regolamentare al lobbying. Il tutto sperando che magari almeno i professori universitari nel frattempo inizino ad utilizzare la terminologia giusta.

Scarica lo studio SSRN in pdf

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