Alter-EU – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Fri, 13 May 2016 14:04:46 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.2 Timmermans: “Cari lobbisti, noi vi ascoltiamo, ma voi non mentite!” http://www.lobbyingitalia.com/2015/04/timmermans-cari-lobbisti-noi-vi-ascoltiamo-ma-voi-non-mentite/ Tue, 28 Apr 2015 06:04:33 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2784 I lobbisti che mentono saranno buttati fuori dalla Commissione dell’UE, secondo le parole di Frans Timmermans, che sin da quando è entrato in carica ha promesso un registro obbligatorio.

In ogni caso, il piano finale non è produrre la regolamentazione stringente che molti chiedono, ma piuttosto un “gentlemen agreement” tra la Commissione e il Parlamento Europeo per non dare accesso ai lobbisti non registrati.

Il Commissario ha iniziato a portare avanti questo progetto a inizio anno, creando scompiglio tra le società e le imprese iscritte al cosiddetto “Registro per la Trasparenza”, che è tutto meno che trasparente.

ALTER-EU (the Alliance for Lobbying Transparency and Ethics Regulation) ha indicato che nel 2013 Goldman Sachs ha dichiarato una spesa per le attività di lobbying inferiore a 50.000€ per l’UE, davvero poco realistica se paragonata ai 3,6 milioni di $ negli USA.

Nel frattempo, la European Privacy Association, apparentemente innocua nella denominazione, attualmente rappresenta gli interessi di società come Facebook, Google e Yahoo! nel corso del dibattito sull’uso e la protezione dei “big data”. In base al Registro per la Trasparenza, l’EPA ha pochi impiegati e spende solo 450.000€ l’anno, una cifra che sembra non corrispondere a ciò che Microsoft ha ammesso spendere quest’anno: 4,75 milioni di €, dieci volte tanto. Apple dice di avere solo quattro lobbisti nell’Unione Europea, spendendo solo 250.000€.

Alla domanda su cosa farebbe per sanzionare queste società che fanno “interpretazioni creative della realtà”, Timmermans ha tuonato che i bugiardi non sono benvenuti nel suo ufficio. Ha detto che la sanzione dovrebbe essere non registrare del tutto (quindi nessun accesso ai decisori e nessun meeting con i commissari). Però non ha chiarito chi debba monitorare il registro o come si possa capire se le informazioni fornite fossero vere o false.

L’attuale registro volontario ha più di 8.400 registrati, ma è solo la punta dell’iceberg visto che molti attori dell’”industria del lobbying” boicotta il Registro, in particolare i grandi studi legali. Secondo la Commissione, chiunque faccia lobbying, rappresentanza di interessi o advocacy dovrebbe iscriversi al registro, ed è messo in evidenza più “cosa fai” che “chi sei”.

Olivier Hoedeman di ALTER-EU ha dichiarato: “Un Registro rivisto, basato su un accordo inter-istituzionale, farà perdere i meccanismi per verificare se le informazioni del Registro sono corrette, e significherà che non ci sarà possibilità di applicare sanzioni efficaci quando saranno realmente verificate le scorrettezze nelle informazioni”.

Fonte: The Register

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Alter-Eu: bilancio della situazione lobby UE dopo due Commissioni Barroso http://www.lobbyingitalia.com/2014/04/alter-eu-bilancio-della-situazione-lobby-ue-dopo-due-commissioni-barroso/ Mon, 28 Apr 2014 16:03:55 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2273 (Giovanni Gatto) ALTER-EU (Alliance for Lobbying Transparency and Ethics Regulation), il movimento formato da più di duecento associazioni sparse in giro per l’Europa che conducono studi sulla trasparenza e sulla democraticità delle istituzioni europee, a un mese dalle elezioni per il Parlamento comunitario (che si terranno tra il 22 e il 25 maggio prossimo) ha emesso un comunicato dal titolo “Barroso II Commission: ’Talking the talk, but not walking the walk’ on transparency”.

Il documento ha seguito di qualche giorno una presa di posizione netta (ma forse tardiva, alla luce del poco tempo in carica rimasto) da parte del Parlamento Europeo, che con una votazione quasi unanime (646 favorevoli, 7 sfavorevoli, 14 astenuti) ha approvato il 16 aprile 2014 alcune misure volte a rendere obbligatorio il “Registro per la trasparenza dell’Unione Europea” in vigore, in modo congiunto per Commissione e Parlamento, dal 2011. La decisione è stata approvata “per evitare che la forza di pochi prevalga sugli interessi di molti- L’attività dei gruppi d’interesse (…) deve essere trasparente e seguire norme rigorose”. I deputati hanno proposto nuovi incentivi per invogliare e, se necessario, obbligare i portatori di interesse a iscriversi al Registro, da un lato, e altre restrizioni per i membri delle Istituzioni europee che non incoraggiassero la trasparenza del processo decisionale e dei rapporti con le lobby, dall’altro. Tra le richieste vi sono la limitazione dell’accesso ai locali comunitari per i soggetti non registrati; facilitazioni per i soggetti registrati; definizioni più dettagliate delle sanzioni da applicare in caso di mancata registrazione[1].

Relatore della decisione è stato l’italiano Roberto Gualtieri, esponente del Partito Democratico italiano e dei Socialdemocratici europei, che il 18 marzo 2014 fu portavoce nella Commissione Affari Costituzionali dell’Europarlamento del primo provvedimento che muoveva un passo deciso verso l’obbligatorietà del Registro per la Trasparenza[2].

Il comunicato di ALTER-EU ha analizzato il lavoro condotto dalla Commissione insediatasi nel 2010 nel corso degli ultimi quattro anni, concentrando la propria attenzione su quattro punti critici: trasparenza delle lobby, fenomeno delle revolving doors, gruppi di lavoro e accesso ai documenti. Il rapporto è stato il punto finale della campagna “Politics for People”, portata avanti da ALTER-EU per permettere ai cittadini di far “sentire” la propria voce all’interno delle istituzioni europee pur non disponendo dei fondi e delle strutture dei potenti gruppi lobbistici di Bruxelles, in particolare le aziende hi-tech e i grandi gruppi finanziari (che, secondo uno studio di Corporate Europe Observatory, spenderebbero 120 milioni di euro l’anno in attività di lobby).

Secondo ALTER-EU, l’approccio del Presidente della Commissione Barroso e del Commissario per le Relazioni Interistituzionali e l’Amministrazione, lo slovacco Maroš Šefčovič, è stato passivo, poco reattivo, difensivo, dedito al rispetto dello status quo piuttosto che orientato verso la maggiore trasparenza dei gruppi di interesse. Le uniche attività in tal senso, infatti, sono state portate avanti solo dopo la sollecitazione da parte di membri del Parlamento, di ONG o della stampa a seguito di scandali (come quello che ha condotto il precedente Commissario alla Salute John Dalli, maltese, alle dimissioni, dopo il coinvolgimento in un’inchiesta su un caso di corruzione da parte della società svedese Swedish Match, condotta dall’Ufficio europeo per la lotta anti frode).

Per quanto riguarda il primo punto (il Registro per la Trasparenza delle lobby), ne vengono contestati tre aspetti: la volontarietà del registro, le poche informazioni che il registro contiene, l’illeggibilità di alcuni dati che porta a irregolarità amministrative sulla redazione del registro stesso. Il documento, reso unitario per Parlamento e Commissione proprio da Barroso nel 2011, fu un passo in avanti, ma non si basò su un’iniziativa spontanea della Commissione, organo di primaria importanza tra le Istituzioni comunitarie, bensì del Parlamento. Inoltre, alcuni membri della Commissione hanno fatto in modo, con il loro comportamento, di rendere l’obbligatorietà del Registro non necessaria per portare avanti azioni di lobbying: il Commissario finlandese Olli Rehn, ad esempio, incontrò esponenti della potente Goldman Sachs (società che storicamente boicotta il Registro per la trasparenza) per ben tre volte nel corso del 2011, fatto che testimoniò la poca serietà dell’azione della Commissione sulla trasparenza. In altre situazioni, nonostante le ripetute sollecitazioni da parte di cittadini e Parlamento, l’obbligatorietà del Registro è sembrata più che un obiettivo, un cruccio per i lavori della Commissione.

Il secondo punto dell’analisi di ALTER-EU riguarda il fenomeno delle “porte girevoli”. Il rapporto fa una rassegna dei principali membri delle Istituzioni europee che sono passati a rappresentare le grandi imprese o i grandi interessi costituiti (qui una rassegna dei casi di revolving doors da parte di Corporate Europe Observatory). Parlamento e società civile hanno spinto la Commissione ad attivare un nuovo Codice di Condotta che ha previsto un periodo di 18 mesi di “raffreddamento” da parte di chi, spogliatosi di cariche politiche, avrebbe voluto intraprendere la carriera di lobbista. Durante questi 18 mesi, gli ex-Commissari sarebbero stati interdetti dall’ingresso negli edifici comunitari. Secondo ALTER-EU, però, la misura non è adeguata, poiché servirebbe un periodo almeno doppio (circa 3 anni) di interdizione per evitare qualsiasi contatto tra un ex-Commissario recentemente decaduto e altri funzionari europei in carica.

Importante è anche il focus sui gruppi di esperti (“advisory groups”) e sulla loro attività d’informazione all’interno delle commissioni parlamentari o delle Direzioni della Commissione, che molto spesso sono monopolizzati dai grandi gruppi di pressione, in particolare industriali e finanziari. ALTER-EU e altre associazioni, negli anni, hanno fatto pressione per evitare che i lobbisti sedessero tra gli esperti a titolo individuale, che il budget a disposizione dei gruppi di lavoro fosse equo e limitato, che tutti i documenti fossero pubblicati. Fu quasi tutto inutile, poiché l’anno dopo l’applicazione delle misure nulla faceva presagire a un cambiamento, in particolare nella DG Tassazione e Dogane, mentre nella DG Impresa e Industria fu instaurata maggiore equità grazie a regole stabili e certe.

L’ultimo punto riguarda l’accesso ai documenti ufficiali, uno dei diritti umani fondamentali proclamati dal Trattato di Lisbona. La Commissione, però, ha man mano ristretto la nozione di “documento” che, dopo Lisbona, sarebbe dovuto essere reso pubblico: dapprima includeva solo i documenti trasmessi formalmente, poi prevedeva il diritto all’accesso dei documenti solo in caso di sottoposizione a una Corte o un’inchiesta, e via dicendo. ALTER-EU invece propone, semplicemente, di rispettare le previsioni del Trattato di Lisbona del 2007, che prevedevano un accesso illimitato a tutti i documenti delle Istituzioni europee.

Il bilancio finale del documento di ALTER-EU è essenzialmente negativo, ma ottimista e propositivo per il futuro. La maggior trasparenza delle istituzioni non è utile solo a cittadini e corpi intermedi che desiderano entrare nel processo decisionale comunitario con potere pari a quello delle grandi multinazionali, dotate di fondi pressoché illimitati; la trasparenza consentirebbe anche alle Istituzioni (e alla Commissione in primis) di venir fuori in modo “pulito” da scandali che implicano i loro funzionari (non ultimo il caso Dalli) e di ripianare il deficit democratico di cui sono spesso accusate.


[1]F. Spicciariello, “Parlamento UE approva misure per maggior trasparenza lobbying”, Lobbying Italia, 15 aprile 2014.

[2] Redaz., “Lobbies: Parlamento europeo approva norme per trasparenza”, EU News, 18 marzo 2014.

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Il metodo della trasparenza. Lobby e dintorni (Parte #1) http://www.lobbyingitalia.com/2013/11/il-metodo-della-trasparenza-lobby-e-dintorni-parte-1/ Thu, 14 Nov 2013 15:45:42 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=1829 L’accountability di singoli e istituzioni trova il proprio fondamento nella trasparenza, che non è solo mezzo e al contempo fine, ma altresì metodo di svolgimento di ogni attività che abbia pubblica rilevanza. I soggetti che in qualunque ruolo devono rendere conto del proprio operato sono oggi chiamati ad agire secondo modalità idonee a consentire che i propri comportamenti siano pubblicamente verificati e, comunque, giudicati. In questo modo, la loro responsabilità viene sostanziata mediante il controllo che qualunque interessato può operare sui fini perseguiti, sulle motivazioni che ne sono alla base, sulle valutazioni compiute, sugli obiettivi raggiunti e sulle cause di eventuali scostamenti da quelli inizialmente previsti.

Il suddetto controllo può essere, dunque, effettuato solo laddove funzioni istituzionali che richiedono l’utilizzo di pubbliche risorse vengano espletate secondo procedimenti che trovino nella trasparenza il proprio connotato. Di tale principio nelle sue più varie accezioni si è più volte scritto: giova evidenziarne il “filo rosso”.

La posizione di inaccessibilità di cui lo Stato ha sempre goduto rispetto ai soggetti amministrati – collocati in una situazione di sudditanza, per molti versi ancora presente – va da anni gradatamente sfumando. A partire dal 1990 (L. n. 241), la legge ha ammesso che la “casa di vetro” dell’Amministrazione cominciasse a essere illuminata, permettendo al singolo soggetto di accedere agli atti di un procedimento pubblico di cui egli fosse parte in causa. La trasparenza, nonostante le buone intenzioni che inizialmente ne hanno lastricato la strada, non è stata mai compiutamente attuata. A essa da ultimo è stato dedicato un provvedimento (il decreto c.d. “Trasparenza”, d.lgs. n. 33/2013, qui se ne è scritto) che, smentendo l’intitolazione, crea opacità per confusione alla collettività destinataria di informazioni di non agevole fruizione (nonché complicazioni operative a chi sia tenuto ad applicarlo).

E’ stata così ottenuta non la disclosure annunciata, bensì una burocrazia digitalizzata. Peraltro, il decreto citato non è il Foia (Freedom of Information Act); la trasparenza non è “reattiva”, cioè non si concretizza nell’obbligo di assolvere a precise istanze informative avanzate da parte di soggetti interessati, ma viene realizzata solo se proattivamente prevista ovvero qualora qualche amministrazione decida di aprire il forziere della conoscenza di questo o quel dato che la riguardi; in Italia il “rendere conto” non connota spontaneamente lo stile delle istituzioni, come dovrebbe invece avvenire in un Paese evoluto. Gli open data, anch’essi strumento di trasparenza (openness), nonché miniera di elementi da elaborare in funzione dell’innovazione tecnologica, della crescita imprenditoriale e quindi anche del Paese, restano spesso più un auspicio che un “dato” effettivo (come qui si spiega).

Per altro verso, anche l’Agenda digitale, che dovrebbe consentire efficienza alla P.A. e risparmi allo Stato, per molti profili è ancora irrealizzata: l’intrico di competenze e decreti finalizzati ad attuarla ne sanciscono, di fatto, lo stallo (come qui si dimostra). Dal settore amministrativo l’esigenza di trasparenza si è progressivamente estesa a quello normativo, al fine di conferire all’attività di rule making l’evidenza pubblica necessaria per ogni procedimento avente a oggetto gli interessi dei cittadini (come qui si è visto).

La “qualità della regolamentazione”, strumento di semplificazione e dunque di efficienza, è a tutt’oggi un mero auspicio, mentre in ambito europeo continuano le iniziative volte a perseguirla (in materia di semplificazioni, da ultimo, ottobre 2013). La sempre maggiore complessità e numerosità degli interessi da considerare nell’attività di produzione normativa evidenzia l’esigenza di una trasparenza ancora più ampia, affinché la collettività destinataria delle leggi possa verificare l’agire del pubblico decisore e le valutazioni da parte di quest’ultimo poste alla base delle sue scelte.

Poiché non vi è controllo che non abbia a oggetto il procedimento seguito e le motivazioni su cui si basano le decisioni assunte, risulta necessario che il legislatore adotti la trasparenza quale metodo operativo: funzionali a ciò risultano l’analisi e la verifica di impatto (AIR e VIR), che si basano sulla misurazione degli oneri amministrativi (MOA). Gli strumenti citati trovano momento importante nelle consultazioni pubbliche che, preventivamente all’emanazione dell’atto di legge, consentono di portare a conoscenza del pubblico decisore ogni elemento essenziale della materia da disciplinare, affinché egli possa valutare l’impatto delle disposizioni sui portatori degli interessi rappresentati. Dunque, in sede di consultazioni, detti interessi vengono messi a confronto sulla base dell’opera di esposizione e valorizzazione svolta da parte di sappia adeguatamente spiegarli: è poi compito del legislatore quello di compararli, decidere quale soddisfare o cercare comunque una mediazione, dando poi chiara ed evidente descrizione del proprio operato mediante i documenti a ciò finalizzati.

Da quanto fin qui esposto e in forza del più volte richiamato criterio di trasparenza, ci si aspetterebbe che l’attività dei c.d. gruppi di pressione, quali interlocutori delle istituzioni affinché a specifici interessi sia riconosciuta rilevanza in forza dell’attività da essi svolta, trovasse nel nostro ordinamento ambiente normativo idoneo a far sì che essa avvenga secondo criteri di chiarezza, correttezza e pubblica evidenza. Invece, in Italia già solo il termine “lobbisti”, usato per indicare chi intenda esercitare un qualche ruolo attivo – dall’informazione, alla persuasione, all’influenza alla pressione – nei riguardi pubblico decisore, evoca pratiche truffaldine, corruzione, malaffare, clientelismo e, in ogni caso, fini illegali.

Pare che J. F. Kennedy dicesse che un “lobbista” gli consentiva di capire in dieci minuti questioni che i suoi assistenti gli avrebbero spiegato in tre giorni e in decine di fogli. Ciò sintetizza l’importanza che lobby regolamentate come strumenti di comunicazione dinamica ed efficace di istanze diverse potrebbero rivestire per un miglior funzionamento delle istituzioni, per l’efficienza nell’intero sistema e per la democrazia stessa, che nella rappresentanza degli interessi della collettività si sostanzia e che nella trasparenza dei metodi per soddisfarli trova la manifestazione più compiuta.

Giova rammentare che la trasparenza è stata sancita quale principio di funzionamento delle istituzioni comunitarie, nonché quale strumento per avvicinare le istituzioni stesse ai cittadini, con il trattato di Amsterdam (art. 1, comma 2 TUE), in vigore dal 1999. Nel Libro Bianco sulla governance europea (2001), poi, la UE ha affrontato temi dei quali la trasparenza rappresenta espressione: tra questi, l’accesso a documenti istituzionali e a informazioni sui consulenti di cui la Commissione si avvale, la consultazione delle parti interessate e la valutazione d’impatto prima della presentazione delle proposte legislative, ciò per “garantire che si tenga debitamente conto delle esigenze dei cittadini e di tutte le parti interessate”.

Il fine che si è inteso perseguire è quello di offrire a queste ultime “un canale strutturato per le loro reazioni, critiche e proteste”, “rafforzare la cultura della consultazione e del dialogo” e in questo modo, mediante processi che in quanto pubblici e condivisi sono per definizione anche più trasparenti, pervenire a una maggiore “responsabilizzazione di tutte le parti in causa” (come chiarito altresì nella successiva comunicazione contenente “Principi generali e requisiti minimi per la consultazione delle parti interessate” del 2002, oltre che nel Libro verde di cui in appresso). Nel 2005, poi, la Commissione ha avviato un’analisi della sua strategia generale in materia di trasparenza (c.d. Iniziativa Europea per la Trasparenza), comprendente tra l’altro “la gestione delle attività dei gruppi di interesse e delle organizzazioni della società civile”.

Nell’ambito di detta iniziativa, ha adottato il Libro verde  (2006) al fine di “identificare i settori suscettibili di miglioramenti e stimolare un dibattito su tali settori”: tra questi, la definizione di “le attività dei rappresentanti dei gruppi di interesse (lobbisti)” e i “feedback sui requisiti minimi in materia di consultazione” che “contribuiscono a garantire una interazione trasparente tra i rappresentanti dei gruppi di interesse e la Commissione”. Peraltro, nel Libro Verde si ribadisce l’importanza di un “alto grado di trasparenza per garantire che l’Unione sia aperta a un controllo pubblico e renda conto del proprio operato”. In tale prospettiva, appare evidente come il “lobbismo” vale a dire “tutte le attività svolte al fine di influenzare l’elaborazione delle politiche e il processo decisionale delle istituzioni europee” non potesse non costituire oggetto di considerazione in un ambito, quello europeo, ove i benefici derivanti da istituzioni e attività trasparenti sono stati percepiti con molto anticipo rispetto al nostro Paese.

La regolamentazione delle lobby è minimale e volontaria: si sostanzia nell’iscrizione a un registro (dal 2011 comune tra Commissione e Parlamento) che ha lo scopo di far conoscere ai cittadini le organizzazioni, le persone giuridiche e i lavoratori autonomi le cui attività possono avere incidenza sui processi decisionali dell’Unione europea. Il registro contiene informazioni riguardanti il tipo di attività, gli interessi perseguiti e le risorse destinate alle proprie attività da parte di detti soggetti. Essi sono tenuti all’osservanza di un codice di condotta, recante generici obblighi di comportamento (che, a propria volta, si integrano con le regole riguardati i funzionari europei, volte al fine di scongiurare pericoli di corruzione o imparzialità nello svolgimento dei propri compiti), per la cui violazione sono previste sanzioni che tuttavia, a detta degli interessati (si veda la ricerca Ocse di seguito citata), non vengono effettivamente irrogate.

L’attività di lobbying in Europa è stata oggetto di ricerche pubblicate di recente (Burson-Marsteller, Alter-EU e OCSE). Nonostante talune differenze tra le percentuali, esse evidenziano l’esigenza che per l’attività stessa un incremento del livello di trasparenza. Perché la trasparenza è l’elemento che conferisce all’attività di cui si sta trattando un effettivo valore aggiunto, come si vedrà in appresso.

 

Fonte: Vitalba Azzollini – Leoni Blog

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