Gianluca Sgueo – LobbyingItalia http://www.lobbyingitalia.com Blog dedicato al mondo delle lobbies in modo chiaro e trasparente Tue, 09 Aug 2016 08:16:51 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.4.4 Le lobby (opache) d’Ungheria (Formiche.net) http://www.lobbyingitalia.com/2014/09/le-lobby-opache-dungheria-formiche-net/ Wed, 24 Sep 2014 19:51:14 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2497 Parliamo spesso – e giustamente – dell’opportunità e dei rischi di regolare l’attività lobbistica in Italia. Altrettanto spesso, ci invitiamo vicendevolmente a guardare i casi stranieri, che generalmente citiamo come esempi virtuosi.

Questo binomio virtuoso (loro)-vizioso (noi) vale soprattutto per il confronto tra Italia e democrazie di matrice anglosassone. Perde di spessore quando mettiamo l’Italia a confronto con i propri vicini europei. Qui la situazione si fa molto più complessa e, in genere, molto meno virtuosa.

Parliamo dell’Ungheria, ad esempio. Il problema dell’opacità delle lobby – ma si potrebbe dire dell’intero sistema politico – ha radici recenti. Nasce nel 1989, subito dopo la transizione dal regime socialista, verso un regime politicamente più variegato. é in questi sistema di confine, scarsamente regolamentato e attento più alla segretezza del dato pubblico rispetto alla sua divulgabilità, che sono cresciute le attuali oligarchie politiche. Per crescere, e finanziarsi, il sistema ha dovuto fare della segretezza dei rapporti tra politica ed economia un requisito essenziale.

E difatti oggi in Ungheria non è disponibile praticamente alcuna informazione (di rilievo, almeno) sui finanziamenti che la politica riceve dai privati. Esistono iniziative private che monitorano e riportano i casi più eclatanti, ma le risorse con cui operano sono limitate e al massimo possono aprire uno spiraglio su una realtà sconosciuta al grande pubblico. Una tra queste iniziative è K-Monitor (QUI). Un’altra iniziativa è promossa dal capitolato locale di Transparency International e si chiama Kepmutatas (QUI).

Gli analisti politici ci dicono che le cause del sistema attuale, non solo opaco, ma a tratti apertamente anti-democratico (nel senso che respinge le istanze di partecipazione promosse dai cittadini comuni) dipendono per gran parte dal lavoro di Fidesz, oggi primo partito, che ha agito mosso dalla necessità di recuperare il terreno sui socialisti, tornati a vincere nel 2008 e nel 2010.

Come spiega bene la SunLight Foundation (QUI) il partito di Orban non ha oggi alcuna intenzione di migliorare, né dal punto di vista della trasparenza istituzionale, né da quello della partecipazione delle istanze provenienti dalla società civile. Perché dovrebbe? L’opposizione alla disclosure ha consentito di riorganizzare le finanze del partito in tempi brevi e di contenere in modo sostanzialmente indolore le pressioni degli attivisti. Un paradiso, o un inferno, a seconda di come vogliate vederla, per i lobbisti. Una situazione dalla quale avremmo comunque da imparare. Non nel senso di prendere l’esempio su come intervenire per disciplinare la materia. Ma un ottimo esempio per capire quanto sia rischioso non intervenire.

]]>
Open + Data + Lobby = Democrazia (Formiche.net) http://www.lobbyingitalia.com/2014/07/open-data-lobby-democrazia-formiche-net/ Fri, 25 Jul 2014 20:51:50 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2512 Ultimamente si è tornato a parlare in Italia di trasparenza e accesso agli atti. Con l’evento veneziano sull’Italia digitale sono tornati alla ribalta (ma non l’avevano mai davvero abbandonata) i promotori di #FOIA4ITALY, gruppo ben nutrito di attivisti di varia estrazione che propone l’adozione di un FOIA italiano. Cos’è il FOIA? Si tratta di un acronimo. Freedom of Information Act. Ossia una legge che disciplina la trasparenza dell’attività delle istituzioni, prevedendo obblighi per i decisori pubblici e attribuendo diritti ai cittadini. L’Italia, sostengono quelli di Foia4Italy, ha una legge sull’accesso agli atti inadeguata per una democrazia moderna. Serve l’approccio americano che, almeno in teoria, pone un obbligo generalizzato di diffusione delle informazioni a carico delle amministrazioni.

Appunto, la questione è tutta li, nel “a meno che”. E infatti le eccezioni sono molto numerose. Legate prevalentemente alla sicurezza nazionale, ma non solo. I limiti possono arrivare anche indirettamente, ad esempio dal tempo che le amministrazioni si prendono per rendere note le informazioni. Il caso dei finanziamenti alla politica, e quindi in senso lato del lobbying, è emblematico. Un articolo apparso sul New York Times il 17 luglio titolava in modo significativo: “Data Delayed, Democracy Denied” (QUI l’articolo). Ossia, il ritardo nel rilascio dei dati pubblici è una negazione di fatto della democrazia.

In questo caso la responsabilità ricade sulla Federal Election Commission, o FEC, organo deputato alla raccolta (e successivo rilascio) dei dati sulle donazioni ai candidati alle elezioni federali. La FEC dichiara di rendere pubblici il 95% dei dati in suo possesso entro 30 giorni dalla ricezione. Il fatto è che quando OpenSecrets, la no profit di Washington che monitora l’attività politica e lobbistica statunitense, è andata a fare un controllo sui dati messi a disposizione dalla FEC, si è accorta che mancavano all’appello le informazioni di 347 candidati su 703. Praticamente il 50% delle informazioni assenti! Alla richiesta di chiarimenti inoltrata da OpenSecrets nei confronti della FEC, quest’ultima ha risposto laconicamente “non abbiamo ancora terminato di processare le informazioni mancanti”.

Il bello – si fa per dire – è che non c’è nulla che possa fare se non denunciare pubblicamente l’accaduto. é qualcosa, ma ovviamente non equivale a una sanzione per i funzionari della FEC, né tanto meno alla certezza che non verranno ripetuti i ritardi.

Tutto questo per dire che l’entusiasmo con il quale si assume acriticamente la bontà del FOIA, o più in generale del suo approccio idealistico alla trasparenza, rivela una certa ingenuità. C’è sicuramente molto da migliorare nella legislazione italiana sulla trasparenza. Ma quando le informazioni si fanno sensibili, la reticenza delle amministrazioni alla diffusione è una condizione diffusa, FOIA o non FOIA. E questo, del resto, ce lo conferma l’intera ultima serie di House of Cards, che si regge sul medesimo equivoco. C’è una questione di finanziamenti poco chiari al Presidente degli Stati Uniti, e una partita  tra il protagonista, Frank Underwood, e il suo avversario, giocata sui tempi entro i quali quelle informazioni potrebbero divenire di dominio pubblico. Come va a finire non lo scrivo, casomai non l’abbiate ancora vista.

Fonte: Formiche.net

]]>
I mejo lobbisti di Google (Formiche.net) http://www.lobbyingitalia.com/2014/04/i-mejo-lobbisti-di-google-formiche/ Tue, 15 Apr 2014 10:27:04 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2389 Per chi lavorano i “mejo” lobbisti americani? Semplice: Google. Il colosso del web e dell’innovazione da qualche anno non ne sbaglia una. Merito anche di una strategia di lobbying mirata, efficace, aggressiva (quando serve) e sempre puntuale.

(1) Guardate qui. Google ha puntato anzitutto sugli investimenti in public affairs. Nel 2003 l’azienda era ben oltre la centesima posizione tra i top spenders. Appena 10 anni dopo è nella top 10, piazzandosi quarta per spesa complessiva. La professionalità si paga:

ie-fallback-lobbying

(2) Assieme alla capacità di reclutare i migliori lobbisti e metterli in condizione di usufruire di budget faraonici, Google ha capito l’importanza della politica nazionale. Il secondo passo della strategia di lobbying è stato investire sulle donazioni elettorali:

Google-Campaign-Donation

 

 

(3) Terzo passaggio della strategia è stata la creazione di un solido network di pensiero. Finanziando università, centri di ricerca, think tank, Google ha alimentato un dibattito vivace sui temi dell’innovazione e della tecnologia, e nel contempo si è garantita un posizionamento di immagine e reputazione niente affatto trascurabile. Se oggi il settore del “civic tech” cresce al ritmo del 23% l’anno, è merito anche degli investimenti dell’azienda:

knight-civic-tech-growth

è il caso di dire, una volta ancora, che PR per “pranzi e ricevimenti” non basta più. Il lobbying è sempre più parte integrante di una strategia aziendale complessiva. Pensarlo, prima di metterlo in pratica, è un dovere di qualsiasi imprenditore.

Fonte: Formiche

]]>
Professione lobbista: un nuovo libro sulle lobby (Formiche.net) http://www.lobbyingitalia.com/2014/03/professione-lobbista-un-nuovo-libro-sulle-lobby-formiche-net/ Sun, 09 Mar 2014 12:22:11 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2526 Si chiama Professione lobbista. E poi sottotitola “portatori d’interessi o faccendieri?”. Bella domanda. Non la più originale di tutte, forse. Ma proprio per questo importante. Se nel 2014 abbiamo ancora bisogno di chiederci chi sia il lobbista, e in cosa consista la sua professione, evidentemente il dibattito non è esaurito. Bene, allora, un nuovo contributo sul tema (Qui il link al libro)

Le nostre cronache giornalistiche e giudiziarie degli ultimi cinquant’anni quelle internazionali non sono da meno – sono ricche di misteri, di fatti e (più spesso) misfatti imputati al lobbismo ma che con le lobby nulla hanno a spartire. Nell’uso comune dei media e nella percezione dell’opinione pubblica la parola “lobby” è sinonimo di gruppo di pressione che, complottando da “dietro la siepe”, mira a sostenere con la corruzione oscuri interessi a favore di potentati vari: aziende, banche, gruppi finanziari, istituzioni e politici. Le varie P2, P3, P4; o certi club, come ad esempio la Commissione Trilaterale, il Gruppo Bilderberg, Aspen Institute; faccendieri alla Bisignani & c; corruttori di politici operanti all’interno delle istituzioni in Italia e in Europa vengono correntemente definiti lobbisti e lobby la loro attività su cui i media esercitano scarso controllo. Questo libro sostiene invece che, in un contesto pluralista, la lobby, in quanto legittima trasparente rappresentanza di interessi di aziende, associazioni, enti o gruppi presso le istituzioni centrali e periferiche (Stato e regioni), sia l’alternativa democratica al malcostume e alla corruzione dilaganti. Il libro passa in rassegna il lobbismo com’è conosciuto nel mondo occidentale; illustra le tecniche per fare lobby; prende in considerazione il “caso Italia” e gli eventi collegati a questo fenomeno. In appendice la descrizione dei provvedimenti legislativi e normativi per “agire” nei confronti delle lobby.

Nel libro c’è anche una breve postfazione che ho scritto, proprio per raccontare le sfide della professione. Eccola qui:

Ma siamo sicuri che sia una professione? Non è facile dare una risposta. Anzi è difficile, quanto lo è sintetizzare in poche battute i tanti spunti di riflessione che offre un libro che deve fare tante cose in una: fotografare l’attualità politica, raccontare i dilemmi che vive una “professione” complessa, tratteggiare la giungla della formazione e la palude che ha generato, oltre – naturalmente – a soffermarsi sul funzionamento di una democrazia. 

Alla condanna che subisce chi sceglie di scrivere sul lobbying in Italia – una non-professione che riesce a essere tante altre cose assieme – si aggiungono i contorni drammatici che ci consegna un momento storico complesso e imprevedibile come quello attuale. Raccontare il lobbying diventa così un esercizio faticoso, per almeno due ragioni. Anzitutto perché si scrive con il rischio di perdere il treno. O di fare il passo più lungo della gamba. Sarà per questo che fino ad oggi la responsabilità di raccontarne le vicende al di fuori del più rigoroso (e, diciamolo pure, noioso) contesto accademico sia ricaduta sulle spalle dei giornalisti, con le conseguenze che conosciamo tutti. Salvo poche e rarefatte eccezioni il lobbying, o meglio: la lobby, è vissuta grazie alle parole stampate sui quotidiani. Così, vivacchiando, ha proliferato, anche se lo ha fatto alla giornata, vittima e carnefice dello scandal(ett)o dell’ultima ora: quello che dimentichi poche pagine dopo.

Il secondo rischio per chi oggi si cimenta nella scrittura di questo tema è quello di cedere alla tentazione di suggerire soluzioni banali ai problemi. Succede perché chi scrive impara a conoscere, si convince che i problemi non sono poi tali, o sono addirittura semplici, con soluzioni a portata di mano. La verità è che non c’è il coniglio nel cilindro e non esiste un modo per raccontare meglio il lobbismo. Né mi pare ci siano soluzioni o risposte praticabili senza tempi e costi considerevoli. Al massimo si può fare di tutto per non cadere in trappola, regalando a chi legge una prospettiva che da solo non avrebbe avuto.

Questo libro non cede a nessuno dei due rischi, è questo il suo pregio. La narrazione scorre fluidamente tra eventi, dilatandosi a volte, comprendendo episodi che, letti nell’insieme, trovano un senso compiuto. Capitolo dopo capitolo non si affanna a rincorrere l’attualità (del resto, nel momento in cui il volume è in stampa ci sono almeno tre incognite aperte: la riforma elettorale, il passaggio del testimone a Palazzo Chigi e l’applicazione concreta delle norme sulla corruzione). E, soprattutto, non contiene ricette salvifiche per la lobby. Offre invece spunti di riflessione, almeno quattro, tutti di “lungo periodo”, come si dice tra gli economisti, e tutti di grande interesse.

Il primo sul quale riflettere è certamente il più importante. Da anche il titolo al libro. Si tratta del professionista-lobbista. È il più importante e anche il più complesso, al punto da diventare l’ultimo dei problemi che si può risolvere. Prima ci sono, in ordine: la questione etica, quella della formazione e quella delle regole.

L’etica, lo abbiamo visto, non paga. L’Italia ha una tradizione povera in materia. I codici etici non hanno mai funzionato perché, si è detto, non si adattano allo spirito nazionale. Il nostro è un popolo che ha imparato ad adeguarsi e sopravvivere, a “tirare a campare”, basandosi sul genio e l’inventiva. Nelle pubbliche amministrazioni, ma anche nelle aziende private e nella vita di tutti i giorni, fuori dagli uffici, il nostro è un popolo scarsamente propenso all’etica. Non che gli italiani siano immorali. Ma è l’essenza stessa del saper contrattare, del trarre un vantaggio dal compromesso, del difendere le rendite acquisite piuttosto che rischiare il capitale, che fa del nostro un Paese eticamente deficitario. Pure volendo negare questa ricostruzione molto generalista, resta il fatto che le norme dei codici di condotta hanno sempre avuto un’importanza marginale. Vuoi perché prive del principale deterrente alla violazione di qualsiasi regola: la sanzione, vuoi perché poco incentivate. Sta di fatto che l’etica resta uno dei problemi centrali, e irrisolti, del lobbismo in Italia.

Alla (poca) etica si aggiunge la cattiva formazione. Cattiva non perché sia di scarsa qualità. Cattiva perché frammentata, dispersa tra mille possibili varianti che confondono lo studente e sconsolano lo studioso. Non c’è un percorso universitario accreditato, non esiste un parametro accertato post-universitario, né una qualifica che possa indicare cosa contribuisce a fare di un lobbista un “buon lobbista”. Ci si affida di più all’esperienza, che per definizione è priva di standard certi di riferimento. Prevale il concetto di bottega rinascimentale, con il giovane lobbista preso per mano e condotto passo passo dal vecchio lobbista. Per cui se il maestro è bravo avremo un buon allievo, altrimenti…

Resta comunque molto difficile farsi un’idea chiara della scala dei valori. Vale di più un lobbista che si è formato nella grande azienda, dov’era poco più di un numero su un badge, o quello che ha lavorato nel piccolo studio, dove faceva tutto, o quasi, da solo? È più rassicurante quello che viene da un’esperienza di assistente parlamentare o quello che ha due master e tanti tirocini?

Basterebbero delle regole, direte. Certamente sì. Non fosse che le regole non ci sono, e questo è il terzo spunto di riflessione (e problema) che pesa sul giudizio della categoria. Mancano le regole date dal Parlamento, e questo è un fatto noto. Ma sono assenti anche le regole date dalle piccole amministrazioni locali. Bene le sperimentazioni di alcune regioni. Ma sappiamo tutti che sono rimaste lettera morta, materiale buono per una pubblicazione scientifica, e basta. Francamente, tra le due assenze, pesa più la seconda.

Le conseguenze le conosciamo. Senza regole previse non ci sono lobbisti formati, centri di formazione adeguati, partiti responsabili e diritti e doveri. C’è invece una giungla fitta fatta di “vorrei e posso”, “potrei ma non voglio”, “posso?”, “voglio!” e via avanti con il vocabolario che descrive rapporti opachi e pericolosamente fragili: quelli tra chi rappresenta un interesse e chi lo difende. 

Eccoci al punto di partenza: ma siamo davvero sicuri che lobbying sia una professione? Nei numeri certamente sì. Che tanti svolgano questo lavoro è un dato che non ha bisogno di conferme. Nella qualità anche. Con qualche certezza di meno forse, ma, tutto sommato, chi lavora nel settore delle pubbliche relazioni (o degli affari istituzionali) ha una professionalità da spendere.

Ma tutto questo non è inquadramento professionale. Non, almeno, alle condizioni che regolano (a volte anche troppo) professioni più note: gli avvocati, i commercialisti, gli ingegneri. Fin qui potremmo anche starci. Difficilmente un ordine professionale potrebbe mettere assieme e comporre a unità competenze così diverse. Il che spiega il proliferare di associazioni che riuniscono, a vario titolo e sotto bandiere diverse, i professionisti della comunicazione e delle pubbliche relazioni. Funzionano quelle, l’ordine professionale non serve. Servono semmai criteri snelli di inquadramento e trasparenza. L’inquadramento per dire chi è lobbista e chi non lo è. La trasparenza – una parola molto rischiosa perché può voler dire tutto e niente, e il più delle volte è usata per non dire niente – per far capire alle istituzioni, all’opinione pubblica e agli stessi lobbisti chi fa cosa e per quanto.

Tutte queste cose assieme contribuirebbero a rendere i lobbisti professionisti. La loro mancanza è invece la più grande condanna di questa categoria: quella – mediatica prima ancora che giuridica – del trafficante di influenze, illecite, in una democrazia malata.

Fonte: Formiche.net

]]>
Quattro opinioni sulle lobby in Europa http://www.lobbyingitalia.com/2014/02/quattro-opinioni-sulle-lobby-in-europa/ Thu, 20 Feb 2014 11:24:28 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2192 EUObserver è un quotidiano online con sede a Bruxelles e respiro giornalistico esteso a tutta l’Europa. Si occupa di tutti i temi che contano nell’agenda europea: affari interni ed esterni, economia, affari sociali e giustizia. Lo potete leggere QUI.

Qualche giorno fa la redazione ha chiesto a 4 voci di spessore cosa ne pensano del lobbying in Europa. In particolare cosa ne pensano del registro attuale, e se credono che debba essere riformato. Ecco il risultato:

1) Il buono – il ruolo del buono spetta a EPACA, l’associazione degli studi di consulenza dei public affairs europei. In pratica l’associazione ufficiale delle agenzie di lobby. L’opinione di Epaca è tutta tesa al futuro: il lobbying trasparente porterà regole più chiare. Ci vorranno più codici etici (l’EPACA ne ha uno tutto suo). Ma soprattutto ci vuole il registro dei lobbisti a iscrizione obbligatoria. Non è la soluzione finale, ma è importante per garantire trasparenza (e il giusto profitto degli studi di lobbying). Potete leggere tutto il commento QUI.

2) il brutto – la parte del brutto (nel senso che svela una verità poco piacevole) spetta ad Access Info, organizzazione che si batte per la trasparenza e l’accesso alle informazioni dei cittadini europei. Il punto di Access Info è sacrosanto: se vogliamo un’Europa completamente trasparente non possiamo non avere un registro a iscrizione obbligatoria, e pieno di informazioni. Altrimenti neghiamo ai cittadini un principio fondamentale dei Trattati: la conoscenza e l’accessibilità (QUI il commento completo).

3) Il cattivo – il ruolo meno piacevole (ma dipende dai punti di vista) va ovviamente ai lobbisti. Almeno quelli europei – a differenza della gran parte dei colleghi italiani – dice apertamente di volere il registro facoltativo, senza tanti giri di parole. Secondo la SEAP – associazione che riunisce i lobbisti europei – bisogna proseguire sulla strada dell’iscrizione facoltativa al registro, dando però più incentivi (leggi “premi”) a chi si iscrive. Modello bello in teoria, che però non ha mai funzionato. QUI c’è il commento completo.

4) Lo scoraggiato – si fa per dire – è il ruolo che spetta all’ultimo degli intervistati: Transparency International. Scoraggiata non perché ha perso la fiducia nella lotta alla trasparenza del lobbying in Europa. Al contrario, è molto agguerrita. Ma è ben consapevole che siamo lontani dall’ottenere quello che molti si auspicano. E cioè un regime di regole in cui chi rappresenta gli interessi privati sia costretto a comunicare in dettaglio la propria attività con chi riveste incarichi politici (e QUI trovate tutta l’opinione).

è quasi meglio di un western.

]]>
Perchè ai lobbisti interessa la prossima decisione della Corte Suprema sui finanziamenti ai partiti http://www.lobbyingitalia.com/2014/01/perche-ai-lobbisti-interessa-la-prossima-decisione-della-corte-suprema-sui-finanziamenti-ai-partiti/ Sun, 19 Jan 2014 20:21:54 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2128 Tipicamente la corruzione è considerata un fenomeno legato ai titolari di cariche istituzionali. Dal funzionario che prende la tangente per favorire un’impresa in una gara d’appalto fino al politico che compra voti. Il problema, per quanto diffuso e radicato fosse, era e rimaneva del corrotto e del corruttore.

Ora potrebbe cambiare tutto. La Corte Suprema sta valutando se la definizione di “corruzione” possa applicarsi non solo ai singoli individui, ma all’intero sistema istituzionale di cui fanno parte. Una decisione che, se arrivasse, chiuderebbe un dibattito lungo 15 anni. Il primo a sollevare il problema fu  McCain nel corso della campagna elettorale di oltre un decennio fa in New Hampshire. “The enormous sums of money given to both paties by just every special interest in the country, corrupts our political ideals” – sostenne McCain, proseguendo così: “All of our ideal are sacrificed. We are all corrupted“. Alla richiesta da parte degli avversari politici di precisare chi fossero questi corrotti, McCain precisò di nuovo che la corruzione non era necessariamente di Tizio o Caio. Era dell’intero sistema, e delle pressioni lobbistiche esercitate attraverso le donazioni in sede di campagna elettorale.

Fin qui normale dialettica politica. Ora che la Suprema Corte statunitense nel caso McCurtcheon vs F.E.C. si è trovata a dover stabilire se la parola corruzione – e il concetto che implica – si possa applicare anche al sistema, oltre che ai singoli individui, le cose sono diverse. Le conseguenze, in un caso o nell’altro, sarebbero tutt’altro che teoriche. Se a essere corrotti fossero considerati solamente gli individui non avrebbe più senso la crociata di tanti attivisti contro l’aumento esponenziale dei finanziamenti privati alla politica. In caso contrario, se cioè la Corte Suprema sposasse la definizione data dal EJ Safra Center for Ethics di “corruzione istituzionale“, allora avrebbero gioco facile quelli che chiedono limiti più severi agli importi erogati e al regime di trasparenza delle donazioni.

Non c’è solo la Corte che riflette sul tema. Anche il Congresso statunitense ha per le mani la patata bollente. Il famoso Anti-Corruption Act proposto al Congresso (tra gli altri da un celeberrimo lobbista ex-corrotto, Abramoff) e caldeggiato da diverse associazioni no profit, sostiene che si debba adottare un concetto di corruzione di sistema, necessario per poter approvare maggiori controlli e vincoli ai finanziamenti privati alla politica. In pratica: con un sistema corrotto il Congresso e il governo avrebbero gioco facile a intervenire per porre fine al fiume di finanziamenti privati.

Sono problemi con cui, prima di presto, anche l’Italia avrà a che fare. Da una parte c’è la riforma del finanziamento pubblico ai partiti. Riforma timida, che entrerà a regime nel corso dei prossimi anni, e che non esclude completamente il supporto pubblico. Ma di fatto apre all’intervento di privati benefattori disposti a finanziare i candidati in cui credono. Ecco perchè sarà un problema di lobbying, soprattutto in un sistema (involontariamente) de-regolato, com’è il nostro. Sarà un problema, l’ennesimo, della politica. E di chi la farà. O avrà gli sponsor giusti per farla.

Fonte: I-Com

]]>
Lobby 2013: in 10 grandi eventi http://www.lobbyingitalia.com/2013/12/lobby-2013-in-10-grandi-eventi/ Mon, 30 Dec 2013 17:32:23 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=2047 Il 2013 è stato un anno intenso per le lobby.  I fattori che hanno contribuito a tenere vivo l’interesse sono tanti. C’è sicuramente il dibattito serrato nelle aule d’università e, soprattutto, nei palazzi del potere di tutto il mondo. C’è il racconto dei media, unito agli immancabili scandali politici e istituzionali. C’è stata anche una manciata di campagne di comunicazione, europee e statunitensi, che hanno aiutato a sensibilizzare l’opinione pubblica.

é vero che, facendo un bilancio, le chiacchiere hanno superato la sostanza. La proporzione tra parole spese sul lobbying e traguardi raggiunti segna una prevalenza netta delle prime sui secondi. E così nella classifica dei 10 grandi eventi delle lobby nel 2013 fanno il loro ingresso, oltre ai fatti, le promesse. Vediamoli:

1. Doveroso iniziare dall’Italia. Caso perfetto di promesse mancate. La prima, clamorosa, del governo. Stavolta sembrava fatta, e invece…palla in tribuna. Dopo un Consiglio dei Ministri turbolento (come si verrà a sapere più tardi) e una generica promessa di approfondimento affidata al Ministro Moavero, il tema ha perso appeal dalle parti di Palazzo Chigi, costretto a destreggiarsi tra le (sempre meno) larghe intese. Con il risultato che la tribuna – cioè il Parlamento – ha continuato a pasticciare. Ultimo caso, in ordine di tempo, quello del Movimento a 5 stelle e di Luigi Tivelli, lobbista intercettato e finito nel tritacarne mediatico. Promesse mancate sono venute anche da parte della relazione dei saggi di Napolitano (chiedevano di riformare le lobby, ricordate? Qui il resoconto) e, forse, dell’Unità per la Trasparenza del Ministero delle politiche agricole. Pareva dovesse essere il salvacondotto della trasparenza nelle lobby italiane, ma è stata ricusata dal Ministro in carica e giace sospesa nel limbo delle istituzioni mai morte (in ottima compagnia, peraltro). A consolarci restano soltanto alcuni casi virtuosi a livello regionale. Ma, fatti due conti, sembra proprio che il 2013 delle lobby lo ricorderemo probabilmente solo per il servizio de Le Iene, con il portaborse di spalle che racconta i lobbisti corrotti (Qui) e per la litigata in diretta tra Mentana e Ferrara, con ospite Luigi Bisignani (Qui).

2. Il 2013 si è confermato anno fortunato per la produzione “letteraria” sul tema lobby. Parlo sia di libri leggeri, propensi a dare spazio all’indiscrezione (uno su tutti, italiano ovviamente: L’uomo che sussurrava ai potenti, biografia di Bisignani), sia di libri più seri. Tra questi merita una segnalazione soprattutto Reshaping European Lobbying, di Guegen, voce autorevole in materia.

3. Lobby = soldi = politica. Anche nel 2013 (come sarà probabilmente nel 2014, nel 2015 e nei prossimi venti o trent’anni). Nessun evento particolare qui, solo tante informazioni che aiutano a comporre il puzzle. Soprattutto dagli Stati Uniti (leggi Qui) dove il volume di spesa per sostenere i candidati alle elezioni aumenta vertiginosamente, ma anche in Europa. In Uk ad esempio. A 3 anni dal famoso “Lobby is the next big scandal to happen” ci risiamo: 4 parlamentari, un conservatore ai Comuni e 3 Lord, due laburisti e un unionista nord-irlandese, vengono scoperti con le mani nel sacco. Ne hanno scritto e parlato in molti (Qui una raccolta di fonti di stampa).

4. Se parliamo di soldi, e magari anche di lobby, dobbiamo parlare di corruzione. E anche se, qui come nel punto precedente, non si dice nulla di nuovo, il dibattito è stato molto vivo. Lo è stato sicuramente in Italia, bastonata nell’indice della corruzione di Transparency International (Qui) e nella lenta applicazione delle nuove norme per contrastare il fenomeno (leggi Qui). A proposito di corruzione, anche la Cina ha avuto i suoi seri problemi al riguardo (Qui).

5. Ricorderemo il 2013 perché è stato l’anno in cui si è cominciato a parlare seriamente di riforma del registro europeo dei lobbisti. Strumento inutile in tutti i sensi: per la trasparenza, per la corruzione, per la credibilità della Commissione e del Parlamento. A difenderlo sono rimasti solamente alcuni lobbisti, molti di loro italiani, naturalmente preoccupati dall’idea che l’obbligatorietà possa costringerli a dichiarare per chi lavorano, con quali strumenti e mezzi (che poi è il punto centrale del registro). Peccato però che il dibattito sia ancora al “carissimo amico”. Lo dimostrano le ricerche di BM (Qui) e dell’OCSE (Qui un commento). Sottolineano un dato comune: non c’è affatto visione comune sulle lobby in Europa. Ed è un problema serio.

6. A proposito di riforme. Oltre all’Italia e l’Unione europea c’è anche l’Inghilterra. Entra a pieno diritto nella categoria promesse mancate. Finora si è solo parlato tanto, senza concludere nulla. Qui un reportage.

7. Tornando all’Italia, il 2013 è stato anche l’anno di Destinazione Italia. Al di la di qualche manierismo e di un approccio di grandi visioni (quando ci sarebbe bisogno soprattutto di piglio pratico, come ha ricordato più volte Dario di Vico) è un documento importante. Lo è perché segna il passo per rendere all’Italia la giusta dose di attrazione per gli investitori. E cosa c’entra questo con il lobbismo? C’entra eccome. Attrazione degli investitori significa anzitutto capacità di essere “lobbati” (leggi Qui). A proposito di lobby e mercato, imprendibile il contributo di Paolo Zanetto per l’Istituto Bruno Leoni, che riflette sul tema in modo lucido e con ottime argomentazioni.

8. Il 2013 è stato anche l’anno della democrazia digitale. E quindi, volendo, del cittadino o del no profit, che si fanno lobbisti. Qualcuno penserà che così si mischiano le carte e si fa confusione. Non è così. Il lobbying nel 2013 si è svolto spesso attraverso il supporto di canali digitali di partecipazione, coinvolgendo tante persone, magari in crowdsourcing. Separare nettamente tra partecipazione della società civile e lobbying professionale non ha più senso.

9. Più democrazia (digitale e non) e più trasparenza. é quello che ha chiesto la Sunlight Foundation, creando un apposito gruppo di lavoro per tirare giù le linee guida per disciplinare il lobbying nel mondo. Le linee guida le hanno scritte, ora bisogna vedere chi le applicherà (uno dei buoni propositi per il 2014)

10. Ma il 2013 è stato soprattutto il loro anno: i lobbisti. Com’è giusto che sia. Non solo nel male per fortuna. Anche nel bene. Per esempio per le buone promesse di carriera che si portano dietro (molte delle quali veritiere) o per quelle di rispetto delle pari opportunità (leggi Qui). Chissà che i buoni propositi di questi 12 mesi non si realizzino. C’è da aspettarne altri 12 per scoprirlo. E di sicuro non saranno noiosi.

]]>
Lobbisti, fora da i ball! (Formiche.net) http://www.lobbyingitalia.com/2013/12/lobbisti-fora-da-i-ball-formiche-net/ Thu, 19 Dec 2013 19:43:33 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=1908 Finora l’accusa che aveva fatto più scalpore sui lobbisti in Parlamento era contenuta in un articolo del (bravo) Lorenzo Salvia, giornalista del Corriere della Sera, nel luglio del 2012. L’articolo parlava dei lobbisti in Parlamento “transennati”, per impedire che assalissero i lavori in Commissione (per chi lo volesse leggere, lo trova Qui). Apriti cielo, i diretti interessati ci tennero a far sapere che, altro che transenne, i politici facevano trovare loro le porte spalancate per ringraziarli (e avvalersi) dell’aiuto prezioso che davano ai lavori parlamentari.

Erano i politici di ieri, mica quelli di oggi. Questi non guardano in faccia a nessuno. In particolare i pentastellati. I quali, esasperati – dicono loro – dai continui assalti dei lobbisti durante i lavori per la legge di stabilità, hanno pensato bene di scrivere una lettera alla Boldrini e compagnia. Questo il testo (che trovate anche Qui). Il testo è quello originale, a parte le frasi in grassetto (con cui evidenzio i passaggi più sfiziosi):

Negli ultimi giorni, in occasione dell’esame del disegno di legge di stabilità, i deputati appartenenti al nostro gruppo parlamentare ci hanno segnalato la presenza al IV piano di Palazzo Montecitorio di una quantità di soggetti esterni tale da intralciare a tratti l’ordinario svolgimento e la serenità dei lavori. già di per se piuttosto complessi data la tematica trattata. Si tratterebbe, in particolare, dei componenti degli uffici per le relazioni istituzionali sia di gruppi di pressione che di associazioni rappresentative, nonché di aziende private. 

Ci preme a questo proposito sottolineare come ci sfugga la ragione di una tale disinvoltura nella concessione di badge che consentono l’accesso e la libera circolazione, in particolare nel corso dello svolgimento delle sedute delle commissioni parlamentari, all’interno dei Palazzi della Camera dei Deputati, di codesti soggetti il cui numero ad oggi ha – a nostro parere – raggiunto un livello patologico e non più sostenibile. 

Pertanto chiediamo alle SSVV di conoscere quale sia la normativa che regola tali accessi e di avviare, se del caso e per le parti di rispettiva competenza, una riflessione circa l’opportunità di restringere i criteri con i quali, in occasione dello svolgimento delle sedute delle Commissioni parlamentari, viene consentito l’accesso e lo stazionamento nei pressi delle aule a soggetti esterni che non siano: a) dipendenti della Camera dei Deputati; b) addetti alle segreterie istituzionali; c) dipendenti dei gruppi parlamentari; d) dipendenti delle ditte aggiudicativi di appalti presso la Camera (come per esempio gli addetti ai servizi di pulizia o di manutenzione tecnica degli impianti); e) collaboratori parlamentari dei deputati. 

firmato bla bla

In sostanza: i lobbisti sono “soggetti esterni”, al pari degli addetti alle pulizie o alla manutenzione (con tutto il rispetto necessario per queste categorie ovviamente). Non lavorano, disturbano.

All’ingresso della Camera l’elargizione dei badge è generosa, pure troppo. Sicché, in conclusione, perché non dare meno badge anziché pensare ad approvare una legge? Misteri della politica.

 

Fonte: Formiche.net

]]>
Lobby, è tempo di lettere (Formiche.net) http://www.lobbyingitalia.com/2013/12/lobby-e-tempo-di-lettere-formiche-net/ Wed, 11 Dec 2013 23:58:16 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=1931 Siamo a Natale. Si scrive di più. Biglietti di auguri, messaggi e lettere. Quelle più gettonate vanno a Babbo Natale. Quest’anno però ce n’è una, aperta, a tutti i ministri del governo inglese. A scriverla è OpenKnowledge che chiede solo un regalo: fare bene, e fare in fretta, con il lobbying bill.

Ecco qui il testo della lettera (Disponibile anche qui)

12 December 2013

Dear Mr Maude and Mr Lansley,

Response to Mr Maude’s letter of 1 November 2013 to the UK OGP civil society network re the Government’s commitment to lobbying transparency

As campaigners for greater openness in decision making, we applauded the Coalition commitment in May 2010 to ‘regulate lobbying through introducing a statutory register of lobbyists and ensuring greater transparency’. However, we are extremely concerned that the current plans, in Part 1 of the Transparency of Lobbying, Non-Party Campaigning and Trades Union Administration Bill, will fail to deliver the transparency promised. The proposed register is not fit-for-purpose. In the short time the Government has allowed for debate on the bill, it has been heavily criticised by the Political and Constitutional Reform Select Committee and Members of Parliament, as well as representatives of the consultancy industry and a wide range of civil society groups.

In sostanza. Grazie di averci provato. Ma non basta. Anzi, c’è molto da fare. Cosa? Lo dice la seconda parte della lettera:

We urge you to redraft Part 1 of the Bill to:

  • broaden the definition of lobbyist to include all third party consultants and in-house lobbyists, whether corporate, union or charity;
  • extend the definition to include lobbying of mid-ranking civil servants and special advisors; and
  • introduce fuller disclosure requirements to include the target, topic and estimated cost of lobbying activity.

Dunque, tanto per cominciare, lobbisti non sono solamente i freelance ma anche quelli che lavorano in azienda, sindacato o in enti no profit. Escluderli, dice chiaramente la lettera, significherebbe tagliare fuori l’80% dei professionisti della rappresentanza di interessi. Leggete qui: Central to our concerns is the narrow definition of lobbyist. As drafted, the Bill excludes at least eighty per cent of the industry, notably in-house lobbyists. It will also exclude most key consultant lobbyists through a significant loophole: those who in the course of their lobbying do not make contact with Ministers and Permanent Secretaries will not be required to register. This, as lobbyists and the lobbied well know, is the majority of lobbying activity. The justification for such a narrow definition does not stand up to scrutiny. The Government has defined the problem as a lack of transparency about who an agency is representing when it meets with a Minister. Official meeting lists reveal that this would apply to only a handful of meetings. As many in Parliament have pointed out, if this is a genuine problem, it would be better solved with improved disclosure from Ministers.

I “lobbati” invece non sono solamente i direttori generali, ma anche i funzionari e i consulenti. Infine, per avere piena trasparenza ci vogliono informazioni sugli obiettivi della strategia di lobbying e sui costi che il lobbista stima di spendere per raggiungerli.  Anche su questo punto la letter è chiara: “Of equal concern to us is the lack of any meaningful information on lobbying activity to be included in the proposed register. It would require lobbyists merely to register their clients, but reveal nothing of their interaction with government (i.e. whom they are lobbying, and what they are seeking to influence). This information is essential if the government is to realise its laudable aim through the register of ‘increasing public accountability and public trust in the UK system of government and improving the efficiency of government policy outcomes’. Fuller disclosure would also bring the UK in line with international standards.

Di qui il passaggio immediatamente successivo. A che serve un registro dei lobbisti? Presto detto:

The fundamental purpose of introducing a register of lobbyists is to allow the public to examine and understand the activities of lobbyists, to improve government accountability and ultimately to rebuild public trust. It is imperative to have in mind the widely held public perception of how decisions are taken by government, a view summed up by David Cameron as ‘a cosy club at the top making decisions in its own interest’. This lack of trust must be of serious concern to Government. Proper disclosure rules for lobbyists would go a long way to dispel this perception. The reality of lobbying in the UK, which would be revealed in a robust register of lobbyists, would be far more mundane than is popularly imagined. A refusal to introduce genuine transparency, however, would only reinforce the perception that public scrutiny is something politicians would rather avoid.

Conclusione politica. Ma ci può stare:

The shortcomings of the current Bill are all the more surprising considering the leadership you have shown through the Open Government Partnership and your vocal support for greater transparency. The current proposals threaten to undermine not only your ambition to be ‘the most open and transparent government in the world’, but also detract from the OGP initiative. Civil society groups long ago identified a robust register as a key priority for the Partnership, yet we encountered a surprising reluctance from some Cabinet Office officials to engage with us during the development of the proposals. The result is a register that is wholly inadequate.

The Coalition rightly identified ‘secret’ lobbying as an issue of public concern, one which ‘goes to the heart of why people are so fed up with politics’. ‘We can’t go on like this,’ said David Cameron. We urge you to now fulfil your commitment with a proper register which will allow public scrutiny of lobbying activity in the UK.

Yours sincerely,

Alexandra Runswick, Director, Unlock Democracy
Dr Andy Williamson FRSA, Founder, FutureDigital & Chair, Ivo.org
Anne Thurston, Director, International Records Management Trust
Anthony Zacharzewski, democracy campaigner
Gavin Hayman, Director of Campaigns, Global Witness
Graham Gordon, Head of Public Policy, CAFOD
Javier Ruiz, Campaigns Director, Open Rights Group
Jonathan Gray, Director of Policy, The Open Knowledge Foundation
Maurice Frankel, Director, Campaign for Freedom of Information
Miles Litvinoff, Coordinator, Publish What You Pay UK
Simon Burall, Director, Involve
Tamasin Cave, Director, Spinwatch
Thomas Hughes, Executive Director, ARTICLE 19

Post Scriptum: oltre al lobbying bill vorremmo anche la XBoX e il piumino di marca. Grazie. 

 

Fonte: Formiche.net

]]>
L’interesse tedesco per le lobby http://www.lobbyingitalia.com/2013/11/linteresse-tedesco-per-le-lobby/ Mon, 18 Nov 2013 16:50:54 +0000 http://lobbyingitalia.admin.comunicablog.it/?p=1858 Tre giorni dedicati a capire come funziona il lobbying, come potrebbe migliorare, in che direzione sta andando, e che regole servirebbero per migliorarlo, dall’Europa agli Stati membri. Lo ha organizzato la Fondazione Adenauer, una fondazione politica tedesca impegnata nella promozione di temi legati alle istituzioni, la società civile, la democrazia e, ovviamente, la politica.

Durante la tre giorni (Qui il programma completo) si sono alternati tanti esperti, di varia provenienza. Lobbisti d’azienda, lobbisti di associazione, e lobbisti freelance. Nella prima economia d’Europa la professione del rappresentante di interessi va molto bene. C’è un sistema istituzionale ideale: al tempo stesso complesso (perché stratificato, con tanti centri di potere che contribuiscono alla formazione delle politiche pubbliche) ed efficiente. L’industria è in crescita, soprattutto in alcuni Lander. Per questo è ben radicata sul territorio, oltre che a Bruxelles.

Eppure anche la Germania ha i suoi problemi. La legge sul lobbying c’è, ma è sostanzialmente disapplicata, essendo oramai residuato di un’epoca lontana. Andrebbe rivista. Alcune associazioni della società civile spingono in questa direzione. Tra le più attive ci sono Transparency International e LobbyControl. Le imprese fanno muro. L’incontro dibattito tra un rappresentante della Volkswagen e alcuni attivisti di TI e LobbyControl ha assunto toni surreali. Il primo impegnato a negare che lo scambio di documenti tra loro e i decisori pubblici locali avesse un qualsiasi valore, e dunque non richiedesse alcuna pubblicazione. I secondi a insistere che un processo decisionale trasparente avrebbe bisogno comunque della piena accessibilità delle informazioni e dei documenti. E che, comunque, un registro dei lobbisti sarebbe un buon punto di partenza.

Il dato più interessante è però un altro. E cioè che una fondazione di matrice politica si impegni su un tema “scomodo”, per quanto attuale, e lo faccia senza finalità particolari. O meglio, lo faccia solo allo scopo di movimentare il dibattito, ascoltare chi ha opinioni da esprimere, mettere in contatto esperti, praticanti della politica, studiosi e tecnici. é così che dovrebbe funzionare, sempre. Per le lobby, e non solo.

 

Fonte: Gianluca Sgueo – Formiche.net

]]>