Il terremoto Trump sta colpendo anche K Street, la casa del lobbying a Washington. E mentre il Presidente eletto forma la propria squadra di governo pescando qua e là tra lobbisti in-house a grandi gruppi e società di public affairs, le pedine si schierano sulla grande scacchiera delle lobby a seconda delle decisioni del futuro team repubblicano alla Casa Bianca.
In campagna elettorale Trump è stato molto duro nei confronti dei lobbisti, e uno dei punti programmatici della candidatura era “prosciugare la palude”, ossia il mondo dei rapporti tra imprese private e decisori pubblici con la mediazione dei lobbisti. Ma le contromosse del settore sono arrivate. Innanzitutto, si ha davanti una situazione del tutto nuova per la politica americana. I repubblicani infatti sono pronti ad avere il controllo della Casa Bianca, della Camera, del Senato e della maggioranza della Corte Costituzionale, situazione senza precedenti nella storia recente americana, di potere quasi incontrastato. In una tale situazione varierà lo scenario dei conflitti interni alle istituzioni federali, in stallo durante la compresenza di Democratici e Repubblicani al comando delle istituzioni apicali. Torneranno in discussione, secondo un’analisi del Wall Street Journal, sanità, tassazione, infrastrutture e sistema bancario. In pratica, potrà essere rivoluzionata l’opera di Obama. Tutto a vantaggio delle lobby, che potranno esprimere il loro potenziale di fuoco e intessere nuove reti di relazione, riscrivendo le precedenti eredità dell’amministrazione Obama. Saranno quindi necessari nuovi investimenti in lobbying. Ma non è una novità: anche in passato, il primo anno di una nuova presidenza americana è coinciso con un boom nelle spese in attività di lobbying da parte di imprese, associazioni e società civile.
Nel 2009, primo anno di presidenza Obama, sono stati spesi 556 milioni di $ per lobbying nel settore sanitario (+ 66 mln rispetto al 2008) e 473 milioni di $ per il settore finanziario e edilizio (+ 17 mln). E secondo voci interne a Washington, “le lobby stanno passando dalla difesa all’attacco”. La conseguenza del cambiamento di passo della presidenza Trump rispetto alle leggi di Obama favorirà quindi l’opera di lobbisti esperti, che dovranno tradurre in senso politico e legislativo gli interessi di business delle aziende.
E molti lobbisti si stanno riposizionando. Società di lobbying, ma anche grandi corporations, che fino ad oggi si erano affidate a ex collaboratori di senatori o rappresentanti Dem, stanno virando verso lobbisti provenienti dall’area GOP. Nasceranno nuove alleanze, e altri rapporti finiranno con la fine del governo democratico. Ci saranno rimpasti all’interno delle commissioni del Congresso, con nomine meno bipartisan e più spiccatamente “trumpiane”. Ma è proprio il nuovo Presidente la vera incognita per i lobbisti americani.
Si sarà di fronte ad una figura nuova, un imprenditore che ha fatto del populismo il carattere vincente della propria campagna elettorale – e della propria intera vita, se vogliamo – e ha promesso riforme e azioni molto radicali e coraggiose, molte delle quali già mitigate o disattese. In questo contesto, il lobbista rischia di trovarsi in difficoltà in quanto poco esperto nel prevedere le nuove mosse di Trump. Allo stesso tempo, però, le imprese dovranno necessariamente affidare alla flessibilità e multilateralità del lobbista la rappresentanza dei loro interessi.
Sempre il WSJ riporta un dato interessante: anche Obama nel 2008 mise al centro del mirino la “palude lobbistica”, e le registrazioni di lobbisti, aumentate tra il 2008 e il 2009, subirono un costante calo fino al 2016. Anche oggi Trump ha previsto regole etiche molto stringenti per il proprio team di transizione. Ciononostante – e qui la reliability di Trump è stata messa in discussione – il nuovo Presidente si è avvalso di professionisti del settore, giustificandone l’assunzione grazie alla loro competenza negli affari istituzionali e legislativi. Salvo doverli rimuovere qualche giorno dopo, su decisione di Mike Pence.
Lo stesso Pence che, secondo Politico Influence, ha ricevuto più volte consigli dal lobbista Bill Smith, assunto dalla Fidelis Government Relations. Smith, ex capo dello staff di Pence al Senato e stretto collaboratore anche al governo dell’Indiana dell’attuale vicepresidente eletto, sarà il lobbista di punta per una società che rappresenta gli interesse di una delle maggiori associazioni ebraiche d’America, di Microsoft, della Natural Products Association e della Professional Bail Agents of the United States. E ha dichiarato: “Non vedo un conflitto in ciò che faccio. Non vedo mancanza di integrità in una persona che usa la propria esperienza per aiutare i clienti”.
Un tipico ragionamento americano, che difficilmente ritroveremmo in Italia. Dove la “caccia al lobbista” è ancora uno sport in voga.