BRUXELLES Le imprese temono la proposta del registro obbligatorio, misteriosi rinvii di provvedimenti già pronti. Una tregua per l'accordo Ppe-Pse sulla riconferma di Schulz. Il rapporto Giegold sulle nuove regole di trasparenza doveva essere votato a settembre ma è sparito senza spiegazioni
L’ultimo caso di rapporti incestuosi tra affari e decisioni politiche è quello di Neelie Kroes: l'ex commissaria olandese alla Concorrenza ha accettato senza imbarazzi offerte di lavoro da aziende molto interessate al processo decisionale a Bruxelles, come Uber, Salesforce e Bank of America, Merryll Lynch. Ma si è dovuta scusare quando il consorzio di giornalismo investigativo Icij ha rivelato una sua società offshore - nei Bahamas Papers - mai comunicata alla Commissione di cui faceva parte, violando le regole sulla trasparenza. Poi c'è l'ex presidente della Commissione Ue, il portoghese José Manuel Barroso: appena scaduti i 18 mesi di attesa obbligata, è diventato presidente di Goldman Sachs International, con i cui vertici aveva contatti già dal 2013, incontri segreti emersi solo grazie alla richiesta di accesso agli atti di un giornale portoghese. Casi come questi, e l'indignazione che ne è derivata, hanno creato a Bruxelles il contesto politico giusto per una stretta sulle lobby e per mettere un argine all'influenza del mondo del business sulle decisioni tecniche e politiche. O almeno così sembrava.
Dal 2011, quindi già dai tempi di Barroso, la Commissione e il Parlamento europeo hanno un cosiddetto "accordo interistituzionale" per un registro dei lobbisti: oggi conta 9800 iscritti che ne accettano il codice di condotta, ma è un vincolo blando perché la registrazione è volontaria. Anche se dal 25 novembre 2014 la Commissione ha annunciato di non voler più incontrare lobbisti non registrati. Il 28 settembre scorso, anche come reazione alle polemiche su Barroso, il primo vicepresidente della Commissione Frans Timmermans ha proposto un registro obbligatorio, da estendere a Parlamento e Consiglio europeo (l'istituzione che riunisce i governi dei Paesi membri). In parallelo si muove il Parlamento europeo: nel novembre del 2015, come riporta il Fatto Quotidiano, il deputato dei Verdi Sven Giegold ha presentato il rapporto "Trasparenza, responsabilità e integrità nelle istituzioni dell'Ue", cioè un atto di indirizzo che non ha valore legislativo. Il rapporto Giegold, frutto di un lungo lavoro e di decine di incontri con tutti i livelli del Parlamento coinvolti nelle procedure toccate, propone di introdurre cambiamenti molto drastici. Il principale: rendere evidente "l'impronta legislativa" dei provvedimenti, cioè le basi sulle quali i parlamentari arrivano a prendere una posizione, gli incontri con i lobbisti che hanno avuto durante i negoziati su un certo dossier e tutti i documenti ricevuti. "Ci sono parlamentari che non fanno altro che copiare e incollare nei propri emendamenti le proposte delle lobby, tanto che non di rado si trovano più emendamenti perfettamente uguali depositati autonomamente da parlamentari diversi", spiega al Fatto Fabio Massimo Castaldo, eurodeputato del Movimento 5 Stelle che segue il dossier in commissione Affari costituzionali. Il passo preliminare è passare dall'attuale registro volontario dei lobbisti a uno obbligatorio che definisca in modo molto stringente chi sono i "portatori di interessi" , come si dice in gergo. Chi vuole entrare in Parlamento e non è un lobbista dichiarato, firma una dichiarazione. Se, dopo controlli a campione, si rivela falsa, sono guai. La Proposta Giegold impone poi agli studi legali di dichiarare quali sono i clienti nell'interesse di cui si muovono, cancellando ogni opacità. E chiede per i parlamentari e i membri della Commissione l'estensione da 18 mesi a tre anni del periodo minimo di attesa tra la fine dell'incarico pubblico e l'inizio di un contratto nel settore privato. Misure che piacciono a molti, in Parlamento, ma non a tutti.
Il 12 settembre il rapporto Giegold doveva essere votato in commissione Affari costituzionali, ma non è successo: rinviato, senza spiegazioni e senza una nuova data. È uno slittamento che può avere conseguenze: mentre il rapporto Giegold si arena, prosegue il suo percorso quello di cui è relatore Richard Corbett, dei socialisti, per la riforma dei regolamenti parlamentari. È chiaro che se il rapporto Giegold fosse già stato votato, poi la modifica dei regolamenti avrebbe potuto inglobare tutte le novità sulle lobby. Così, invece, la riforma delle lobby si sovrapporrà a quella dei regolamenti: nei migliori dei casi ci saranno polemiche e rallentamenti, nel peggiore verrà immolata per non bloccare tutto. Se il rapporto Giegold supera lo scoglio del voto in commissione Affari costituzionali poi può approdare alla plenaria, dove si può chiedere il voto palese. E a quel punto sarebbe difficile votare in modo esplicito a favore delle lobby. Ma il rapporto Giegold è sparito. "Il Ppe ha sempre spinto per misure soltanto volontarie e non giuridicamente vincolanti. Quando siamo arrivati a un compromesso e abbiamo individuato una possibile maggioranza, i socialisti di S&D hanno fatto capire che vista l'opposizione di Ppe e liberali era meglio non procedere subito", spiega Castaldo del M5S.
Una consonanza tra forze in teoria avversarie che, dicono nei corridoi dell'Europarlamento, avrebbe una spiegazione: a gennaio scade il mandato biennale di Martin Schulz, riconfermato alla presidenza del Parlamento dopo le elezioni del 2014. Schulz, socialista tedesco, si era candidato alla Commissione: sconfitto da Jean Claude Juncker (Ppe), nella logica di grande coalizione perenne, ha avuto un altro mandato biennale. E ora spera di proseguire, a gennaio 2017. E fare asse con il Ppe contro le nuove restrizioni alle lobby deve essergli sembrato un buon modo per dimostrare di essere ancora degno di fiducia.
I PROTAGONISTI
- JOSÉ MANUEL BARROSO Ex presidente della Commissione, ora lavora per Goldman Sachs
- NEELIE KROES Già commissaria alla Concorrenza, collabora con Uber
- MARTIN SCHULZ Da presidente del Parlamento Ue, nel 2014 si è candidato alla presidenza della Commissione europeo in rappresentanza dei socialisti (Pse). Dopo la vittoria di Jean Claude Juncker (Ppe), negli accordi della grande coalizione europea è riuscito a ottenere altri due anni alla testa del Parlamento. Scade a gennaio e vuole riconferma.
Stefano Feltri - Il Fatto Quotidiano