A fine agosto la Commissione europea ha ordinato ad Apple di pagare 13 miliardi di euro per tasse arretrate, non pagate perché la società di Cupertino avrebbe goduto di aiuti di Stato da parte del governo irlandese. Dublino, che assicura già a tutte le società con il proprio quartier generale in Irlanda un’aliquota fiscale massima del 12,5%, avrebbe garantito ad Apple una tassazione che è scesa dall'1% del 2003 allo 0,005% nel 2014 sui profitti di Apple Sales International.
(Alessio Samele) Prima di Apple, le istituzioni europee avevano multato già altre grandi società americane e la Commissione ha portato avanti una serie di norme e di indagini volte ad modificare il comportamento delle grandi imprese di internet con base negli Stati Uniti. Frank R. Baumgartner, professore all’Università della Nord Carolina, ha dichiarato che “la Commissione europea è diventata il nuovo centro di gravità, la più grande minaccia per le grandi aziende che potrebbero avere problemi di antitrust”. Nel 2004 fu l’allora commissario alla concorrenza, Mario Monti, a scagliarsi contro Microsoft che dovette pagare 497 milioni di multa per posizione dominante.
L’entità della sanzione per Apple è senza precedenti e la società di Cupertino farà ricorso. Stando, però, a quanto scrive il Wall Street Journal, la battaglia di Apple contro la Commissione Juncker viene portata avanti senza la consulenza di lobbisti e campagne di lobbying. Se guardiamo ai dati del 2015, la concorrente Google di Alphabet avrebbe speso almeno 4.25 milioni di euro in attività di lobbying mentre Apple si ferma a meno di 900 mila euro per influenzare le istituzioni europee con soli 5 dipendenti part-time.
Nonostante sia una delle società più influenti, attraverso questa strategia Apple non sarebbe stata in grado di recuperare informazioni sul documento d’accusa che la Commissione stava preparando a suo carico. Accade lo stesso anche negli USA: una nostra recente analisi ha rilevato come Apple preferisca risparmiare risorse in lobbying per utilizzare canali di influenza diversi rispetto alle aziende del settore. Il comportamento di Apple si pone in controtendenza rispetto a quello dei suoi competitors che al contrario hanno maturato con il tempo una presenza stabile all’interno delle istituzioni europee. Società come Alphabet, Amazon e Qualcomm hanno portato avanti azioni di lobbying per cercare di convincere la Commissione e l’antitrust UE che le loro azioni non violano le regole europee.
Alla luce della grande rilevanza politica, economica e sociale degli interessi rappresentati a Bruxelles, i soggetti che esercitano attività di lobbying all’interno dell’Unione Europea sono aumentati arrivano a superare gli Stati Uniti. Secondo Transparency International le società registrate presso le istituzioni europee sono 9756 organizzazioni contro le 9726 negli Stati Uniti. Proprio oggi, la Commissione Europea ha varato una serie di norme più restrittive per rendere più trasparente il settore del lobbying comunitario.
Il portavoce di Google, Marc Jansen, ha dichiarato al WSJ che “i politici europei hanno molte domande riguardo l’attività di Google, e stiamo lavorando per rispondere a quelle domande”. Secondo il WSJ, le società americane a Bruxelles soffrono la mancanza di una rappresentanza diretta all’interno dell’Unione. Alti funzionari della Commissione dichiarano di frequentare le aziende americane ma i lobbisti delle società europee possono influenzare i rappresentanti dei loro Stati in Parlamento europeo anche attraverso i governi nazionali o i loro commissari.
Alcuni amministratori delegati, tra cui proprio Tim Cook di Apple e Sundar Pichai di Google, nel corso del tempo sono stati a Bruxelles per chiarire le loro posizioni direttamente con il commissario antitrust dell’Unione Europea, Margrethe Vestager. In questo contesto i competitors di Apple stanno lavorando per pubblicizzare i vantaggi delle loro attività in Europa. Google, ad esempio, intraprende campagne per sostenere iniziative legate al giornalismo digitale; Amazon, invece, promuove azioni per aiutare le piccole imprese europee a vendere i loro prodotti online.